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Forse non tutti sanno che il grande Milan...
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Curiosità, storie inedite, aneddoti storici e fatti sconosciuti del diavolo rossonero

Tutti i segreti custoditi dal “diavolo”

Quasi centoventi anni di Milan passati al setaccio attraverso episodi e curiosità su calciatori, allenatori, presidenti, dirigenti e tanto altro, dal 1899 a oggi. Ogni racconto scatena emozioni senza tempo per i tifosi desiderosi di conoscere ancora meglio umori e temperamento degli uomini che hanno contribuito a rendere questo club uno dei più vincenti della storia del calcio. Dietro una partita, l’acquisto di un campione, le dichiarazioni alla stampa, i campi da gioco, le sedi societarie e le gesta di ciascuno dei protagonisti di questo libro, si celano batticuori, turbamenti e speranze della tifoseria milanista, che da sempre gioisce e piange assieme ai suoi eroi. Qui c’è tutto ciò che serve per conoscere vizi e virtù di questo amore chiamato Milan. Perché forse non tutti lo sanno, ma il Diavolo si nasconde (anche) nei dettagli...

Forse non tutti sanno che il grande Milan...

…Ebbe un presidente che svenne per l’emozione alla vittoria dello scudetto
…è stata la prima società a valutare i giocatori con criteri medico-scientifici
…poteva non finire nelle mani di Berlusconi
…ebbe un giocatore e allenatore che fu anche un talentuoso scultore
…fece giocare rivera per un anno senza contratto
…non ha vinto uno scudetto per 44 anni
Giuseppe Di Cera
è nato a Taranto nel 1975. Laureato in Scienze politiche, ha collaborato con diverse testate sportive e attualmente lavora come cronista sportivo. Con la Newton Compton ha pubblicato tre volumi dedicati alla squadra rossonera: 1001 storie e curiosità sul grande Milan che dovresti conoscere, I campioni che hanno fatto grande il Milan, Il romanzo del grande Milan e Il Milan dalla A alla Z.
LanguageItaliano
Release dateOct 31, 2017
ISBN9788822715012
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    Forse non tutti sanno che il grande Milan... - Giuseppe Di Cera

    capitolo 1

    LA DIRIGENZA

    immagine

    A qualcuno è imposto di diventare presidente del Milan

    In piena epoca fascista, gli ordini del regime non vanno discussi, ma semplicemente eseguiti. E ciò vale per tutti, anche per le persone in vista come Emilio Colombo, direttore della «Gazzetta dello Sport» a cui è ingiunto, a partire dal 22 ottobre 1936, di diventare il presidente del Milan. Un paio di settimane prima aveva lasciato la direzione della rosea, mentre meno di una ventina di giorni dopo assumerà la carica di direttore del «Guerin Sportivo». Quando Colombo arriva al vertice, la società fondata da Herbert Kilpin nel 1899, è a digiuno di tricolori da ventinove anni, ma nonostante la lampante anomalia il numero dei tifosi rimane decisamente ampio. E tra questi c’è Efre Parenti, federale di Milano sin dal 1933, milanese, ma soprattutto milanista di lunga data. Proprio il gerarca, soprannominato Rino, chiede a Colombo di accollarsi questo onore e quest’onere. La richiesta, di per sé, sarebbe stata accettata anche volentieri dal giornalista, se non avesse avuto un debole per l’altra squadra milanese, l’Ambrosiana. In ossequio ai doveri istituzionali (non potendo sottrarvisi), il nuovo presidente dimostra d’impegnarsi a fondo e con grande dedizione. Sebbene le casse societarie non trabocchino di denaro, acquista calciatori di grido, tra cui Aldo Boffi, che avrebbe tanto voluto vedere nella sua Inter, magari accanto al grande Peppino Meazza.

    Antonio Busini sviene dalla felicità dopo la vittoria dello scudetto 1951

    La gioia è gioia, in tutte le sue sfaccettature, più o meno capaci di suscitare, a distanza di tempo, un certo grado di ilarità. Ma con i sentimenti non bisogna scherzare, che diamine! Il Milan è a secco di scudetti sin dal 1907, stagione del terzo e ultimo trionfo italiano. Poi il nulla. Nemmeno due guerre mondiali mutano il vento della disfatta, che continua a soffiare inesorabile. Vincono tutte, Inter, Juventus, Bologna, Genoa, Pro Vercelli, Torino, ma del Milan neanche l’ombra. Nel 1940, Umberto Trabattoni diviene il presidente del Milan e come braccio destro sceglie il genero Antonio Busini, persona sensibile e vicina ai colori rossoneri. Durante il secondo conflitto, Busini sostituisce il suocero alla presidenza, per poi fare un passo indietro e lasciargli nuovamente spazio. Nel 1949-50, il Milan sfiora l’impresa, classificandosi secondo alle spalle della Juventus, nonostante un attacco devastante che ha all’attivo 118 gol (contro i 100 dei bianconeri), sette dei quali rifilati proprio alla rivale nello scontro diretto del febbraio 1950. I rossoneri ci riprovano l’anno successivo e centrano l’obiettivo con tanta, tanta sofferenza. Alla penultima giornata, il Milan riceve la Lazio, formazione ostica e da non sottovalutare: infatti i capitolini giocano come se non ci fosse un domani e sgambettano i milanesi, battendoli 2-1. La disperazione è tanta, anche perche l’Inter, sotto di tre punti in classifica (la vittoria ne vale due), è ospite del Torino e sulla carta non ci dovrebbe essere partita. Pur tristi, molti tifosi rimangono sugli spalti, in attesa del risultato del Filadelfia di Torino. Quasi tutti i calciatori sono in lacrime e con le mani tra i capelli. Certo mancherebbe ancora una giornata, ma la situazione si farebbe complicata. Poi all’improvviso gli altoparlanti diffondono l’incredibile notizia della sconfitta dei cugini messi anch’essi ko per 2-1. Il tripudio è incredibile, tra i tifosi, i calciatori e la dirigenza. Busini non regge alla forza d’urto delle emozioni e sfoga la tensione con un inaspettato svenimento liberatorio. Intervengono i medici della squadra per rianimarlo e permettergli di partecipare alla festa, che vede volare sullo stadio San Siro un gigantesco pallone addobbato con bandiere tricolori e rossonere.

    Quale affetto il presidente Luigi Carraro ha per i colori rossoneri

    Dopo il novennio di Andrea Rizzoli alla presidenza (1954-63), segue un biennio (giugno 1963-ottobre 1965) con Felice Riva alla guida del club: è un periodo in cui il Milan si barcamena con qualche difficoltà economica, a cui si aggiungono (per diverse ragioni) i non buoni risultati sul campo. Basti ricordare la Coppa Intercontinentale sfuggita nel novembre 1963, perché vinta dai brasiliani del Santos, favoriti dalla direzione arbitrale dell’argentino Juan Brozzi e l’incredibile secondo posto dietro l’Inter nella stagione 1964-65, dopo aver comandato le operazioni sino a marzo in lungo e in largo. Al culmine delle difficoltà economiche di Riva, le cui aziende sono vicine alla bancarotta, nell’aprile 1966 (dopo alcuni mesi di interregno di Federico Sordillo) arriva alla presidenza Luigi Carraro, sino ad allora il numero due del sodalizio, che rassicura tutti i tifosi, rivolgendo loro un messaggio, datato 30 aprile 1966.

    Cari tifosi del Milan, assumendo la presidenza della nostra grande e gloriosa società ritengo mio preciso dovere inviare a voi, che rappresentate la forza migliore e più sana della passione rossonera, il mio più affettuoso e cordiale saluto. Desidero, inoltre, rivolgervi un appello: noi, i miei collaboratori e io, non lasceremo nulla d’intentato, per riportare il nostro Milan ai fasti del recente passato e ci adopereremo con ogni mezzo per riuscire in questa impresa che si annuncia comunque difficile. Ma sin d’ora, sin da questi primi passi che stiamo movendo, tengo a precisare che il segreto del nostro successo è in voi, nel vostro entusiasmo, nel vostro sincero affetto e incrollabile fede nei colori rossoneri. Il Milan è vostro: per essere degno della vostra passione, dovrà essere un grande Milan.

    Gli sforzi per ridare al club la necessaria brillantezza sono importanti, ma ad arrestare l’azione presidenziale ci pensa il becero fato, perché Carraro, nel luglio 1967, è stroncato da un infarto.

    C’è un tempo in cui un presidente paga i tifosi per andare allo stadio

    Accade sotto la presidenza di Giussy Farina, in carica dal 19 gennaio 1982 al febbraio 1986. L’imprenditore veneto, ex presidente del Vicenza, aveva preso il posto dell’onorevole Gaetano Morazzoni, da sei settimane. A fine gennaio, esonera il tecnico Gigi Radice per i pessimi risultati e lo sostituisce con il duo Italo Galbiati-Francesco Zagatti. A seguire promuove diversi progetti per invogliare i sostenitori del Diavolo, scoraggiati dal pessimo andamento della squadra, a recarsi alla stadio. Il battesimo dell’iniziativa rivolta ai tifosi avviene il 28 febbraio, in occasione della gara casalinga con il Bologna, sotto tre direttrici, come riporta in un articolo «La Gazzetta dello Sport»: la riduzione di 2000 lire del prezzo dei distinti, l’accesso gratuito dei ragazzi sino a tredici anni (la cosiddetta operazione gioventù), ma soprattutto «forti contributi ai club non milanesi che organizzeranno viaggi in treno o pullman per raggiungere Milano». Il progetto ha successo, anche per l’insistenza con cui Farina prova a riavvicinare il pubblico alla squadra, persino seguendo una partita in Curva Sud, cuore del tifo rossonero, con l’Avellino battuto 2-1 in rimonta. Nella delicata trasferta di Cagliari del 2 maggio, infine, Farina sovvenziona buona parte del biglietto aereo (50.000 lire) a ciascuno dei settanta tifosi, tra Brigate Rossonere e Fossa dei Leoni, pronti per il lungo viaggio in Sardegna. La gara finisce 1-1 con gol di Sergio Battistini e Roberto Quagliozzi.

    Il presidente Andrea Rizzoli è, solo apparentemente, un uomo senza sentimenti

    Di difetti ne ha, ma sono i pregi ad abbondare. Almeno sotto il profilo sportivo. Andrea Rizzoli ascende al gradino più alto della dirigenza milanista nel 1954 proponendosi subito come uomo attento alle dinamiche del mercato. Compra il fuoriclasse Juan Alberto Schiaffino, campione del mondo con l’Uruguay nel 1950 in Brasile, il centrocampista Eduardo Ricagni dalla Juventus e il giovane difensore Cesare Maldini dalla Triestina. E vince subito. Nel 1958 porta in Italia il campione del mondo brasiliano José Altafini, vice di Pelé nei mondiali svedesi dello stesso anno. Parla con i fatti, perché le parole le usa se costretto: tuttavia i campioni del calcio lo ammaliano così tanto da indurlo, lui che era un uomo di poche parole, a concedere una lunga intervista al giornalista Silvio Bertoldi. Non ama mostrarsi nelle occasioni mondane e della Milano bene. Anzi preferirebbe, si dice, sedersi comodo su un divano per seguire il suo attore preferito: il grande Totò.

    Nel 1963, nove anni dopo il suo arrivo, regala all’Italia e al Milan la prima Coppa dei Campioni. Sulle emozioni che vive subito dopo il successo continentale si esprime tempo dopo il figlio Alberto, che racconta: «Ho visto papà piangere a Wembley, nel 1963. Stava seduto su una panca negli spogliatoi con la testa fra le mani. Non lo avevo mai visto così. Gli chiesi: Ti senti bene, papà?. Niente, niente, rispose. Si tolse gli occhiali e si asciugò le lacrime senza parlare». Probabilmente il pensiero stava volando ai momenti dell’acquisto della società. Trabattoni gli offre la squadra e lui, milanese e amante dei colori rossoneri, si reca dal padre per avere la benedizione; pur aspettandosi un no secco, non negoziabile. Invece rimane stupito quando sente con le sue orecchie: «Se non ti costerà più di dieci milioni di lire e non ti porterà via molto tempo, fai pure…».

    Quale tempra, Gipo Viani, possiede realmente

    Del grande Gipo Viani, allenatore prima e direttore sportivo del Milan poi, si conosce molto, ma forse non tutto. Soprattutto del grado di irruenza del carattere, già abbastanza complesso e spesso poco portato a relazionarsi con gli altri. All’inizio degli anni Quaranta gioca e allena la Salernitana. Dicunt che in quel periodo, a Taranto, Viani mostri a tutti che il suo secondo sport preferito sia la boxe, perché riesce ad avere la meglio su un nutrito gruppo di tifosi rossoblù invasori del rettangolo di gioco. Ne dà di santa ragione, tanto da guadagnarsi… sul campo una denuncia per le lesioni. Lucca e Palermo le successive tappe. In Sicilia è trattato come un re e ne approfitta per godersi la vita, circondato da diverse donne e bagnato dallo champagne. Nel 1951 passa alla Roma, nella serie cadetta. Durante una partita con il Monza nota che alcuni spettatori, alle sue spalle, si stanno divertendo a lanciargli dei mozziconi di sigaretta. Nulla di che, ne ha viste tante, ma si inalbera, quando si accorge che il fondo della sua giacca risulta annerito. Accecato dalla rabbia risponde alle provocazioni rovesciando verso i monzesi l’acqua in dote al massaggiatore. Il getto d’acqua, volutamente, è indirizzato anche verso alcuni dirigenti giallorossi con i quali non va d’accordo e che desidererebbero esonerarlo. Così facendo unisce l’utile al dilettevole. Il gesto non passa inosservato: il presidente Renato Sacerdoti, imbeccato da chi lo osteggia, sostituisce Viani con Guido Masetti, salvo poi cambiare idea. Il retroscena arriva ai timpani di Viani, che preso dall’ira ne discute con Sacerdoti, promettendogli che avrebbe lui lasciato la Roma, ma solo dopo averla portata in a. E così fa. Qualche settimana dopo è nel Milan, dove contribuisce alla definitiva rinascita del Diavolo.

    Dopo lo scandalo sul calcio-scommesse del 1980, il Milan è vicino alla cessione

    Alla fine del campionato 1979-80, il Milan ottiene il terzo posto, dietro Inter e Juventus. Tuttavia l’epilogo, amarissimo, è un altro: retrocessione in serie b, perché la società è coinvolta nello scandalo del calcio-scommesse. Infatti il presidente rossonero Felice Colombo, certo di riaverli con gli interessi, aveva puntato diversi milioni sulla vittoria della squadra con la Lazio, nello scontro del 6 gennaio 1980. La pentola così scoperchiata mette in luce il marcio presente nel calcio italiano e induce Colombo a dimettersi e a vendere il club, anche in vista del processo che si sarebbe celebrato tra maggio e giugno e che avrebbe potuto (come poi in effetti accadde) determinare la retrocessione del Milan in b. L’acquirente più interessato è Carlo Bonomi, un imprenditore quarantenne, che ha il suo ufficio a Milano in via Turati 25, nelle immediate vicinanze della sede milanista, ubicata al civico 3. Bonomi incontra qualche volta Gianni Rivera, entrato in società all’indomani del suo ritiro dal calcio giocato nel luglio 1979. A far saltare la trattativa, però, è la probabile esosa richiesta di Colombo, che perciò rimane in sella al destriero rossonero quale unico padrone. Tuttavia continua a rimanere privo della carica di presidente, data all’onorevole Gaetano Morazzoni, aiutato nella direzione da tre vicepresidenti: Gianni Rivera, l’avvocato Renato Pigliasco e Angelo Colombo.

    Il Milan, inizialmente, ha una sezione dedicata al cricket

    Calcio e cricket procedono assieme per vent’anni dal 1899 al 1919; la ragione sociale, infatti, è Milan Football and Cricket Club, in breve con l’acronimo di mfc. Sin dall’inizio i fondatori del club riconoscono la parità tra le due anime, quella del pallone e della mazza, della palla e del guantone, elementi imprescindibili per la pratica del cricket. I soci individuano due presidenti a cui affidano le due sezioni: il calcio è affare di sir Ormond Edward, il cricket di Edward Nathan Berra. Ambedue inglesi e a capo di due discipline che tanto piacciono agli abitanti del Regno Unito. Berra, capitano della squadra di cricket, non è però avulso dal calcio: anzi, è anche vice di Ewards, con il quale condivide la passione per il nuovo progetto chiamato Milan. Berra rimane in seno alla società sino al 1908, anno in cui trova la morte in Francia. È una persona generosa e non mancano occasioni in cui si offre di pagare le spese per una trasferta, fosse solamente per disputare un’amichevole. All’atto della fondazione del Milan, si mette per iscritto che «i sottoscritti soci, che appongono la firma per l’impegno che si assumono, dichiarano di fondare una Società Sportiva che prende la denominazione di Milan Football and Cricket Club, con lo scopo di diffondere il gioco del football e di praticare il cricket nella misura più ampia possibile». Ma le belle parole rimangono libere di farsi portare dal vento, poiché nonostante la strada sia lastricata di buone intenzioni, nei fatti gli italiani dimostrano di apprezzare maggiormente la palla di cuoio che non il guantone. Un tentativo vano che, sei anni prima della fondazione del Milan, viene fatto in Liguria, con il Genoa Cricket and Football Club, e in Piemonte con il Torino Football and Cricket Club. Ma anche in questo caso gli esiti saranno infruttuosi.

    È il Milan a valutare i calciatori, per la prima volta, con criteri medico scientifici

    Il presidente Andrea Rizzoli (1954-63) è un vero precursore. Intanto, da buon imprenditore, introduce nel Milan la tipica mentalità di un’azienda, con compiti affidati scientificamente a ciascun componente della società, come se se si trattasse di una catena di montaggio. In più considera i calciatori come professionisti da coccolare e preservare da agenti patogeni esterni (donne, auto e bella vita in generale) pensando e costruendo il centro sportivo di Milanello, in provincia di Varese. Ma tutto questo non gli basta, perché tutela il suo patrimonio in modo ancora più stringente, attraverso uno staff medico non solo di prim’ordine, ma anche capace di guardare l’atleta sotto una luce diversa, per capirne e migliorarne le prestazioni, nel pieno rispetto della sua salute. Questo punto di vista lo affida nelle sicure mani del professor Alfredo Boselli, medico del Milan per due stagioni, nel 1956-57 e nel 1962-63. Sarà un caso, ma nella prima annata il Milan si laurea campione d’Italia, nella seconda, per la prima volta, anche d’Europa. Boselli (su input e in perfetto accordo con Rizzoli e i suoi vice Giangerolamo Carraro e Mino Spadacini) porta la modernità e la scienza a Milanello. Spinto dal massimo responsabile di via Andegari 4, crea una squadra di collaboratori, idonea a seguire il calciatore sotto ogni profilo: psicologico, fisico, igienico, alimentare e chi più ne ha più ne metta. L’esigenza di Rizzoli è chiara: creare un calciatore bionico, che subisca il meno possibile i classici acciacchi di chi corre dietro a un pallone. Anche in questo Rizzoli è un anticipatore.

    Gipo Viani sfugge a due gravissimi incidenti

    La vita del grande dirigente rossonero, sia nella professione che nel privato, è sotto diversi aspetti al limite del consentito. Viani, da tutti dipinto come un burbero (e in parte a ragione) ha una vita difficile, senza sconti e regali da nessuno. Anzi. Si fa da solo con le sue idee, a volte precorritrici di cambiamenti nel mondo del calcio. Il suo istinto e l’incapacità di trattenersi dal dare un giudizio de visu, anche offensivo, rendono instabili i suoi rapporti. Sono noti le divergenze con il tecnico Nereo Rocco e con il coniglio (così definisce il centravanti milanista) José Altafini, reo di non aver messo la gamba con il Santos nella doppia finale di Coppa Intercontinentale del 1963. Non è delicato, certo, ma sa cosa fare, come e quando. Vita al limite, come si diceva, così come la sua scomparsa giunta prematura a cinquantanove anni, stroncato da un infarto in un albergo di Ferrara. Già alcuni anni prima aveva guardato negli occhi la morte, durante due incidenti stradali. Nel primo, avvenuto nel 1963, è diretto a Milano: Viani proviene da Asiago, dove il Milan si sta preparando alla nuova stagione. Durante il tragitto sull’autostrada dei Laghi travolge un pedone; l’auto, impazzita, continua la sua corsa finendo contro un altro mezzo e quindi finisce per capovolgersi e prendere fuoco. Ma come nei migliori film statunitensi, la freddezza, la tempra e la ratio lo salvano e, uscendo dall’auto, si elargisce un altro scampolo di vita. Trascorrono tre anni. Le strade di Viani e del Milan, nel frattempo, si sono divise da dieci mesi. Viani è nel Genoa e presso Broni è vittima di un altro incidente. Il volto è parzialmente sfigurato ed è costretto a sottoporsi a un intervento chirurgico. Almeno la vita è salva, solo per un altro triennio.

    Il Milan, prima di essere acquistato dalla Fininvest, è controllato dalla Ismil

    Il 20 febbraio 1986 il gruppo Fininvest, per conto di Silvio Berlusconi, rileva il Milan da Gianni Nardi, vicepresidente rossonero nonché detentore della maggior parte delle azioni del club. Nardi, poi ricompensato con la vicepresidenza a vita nella nuova gestione, aveva ottenuto, attraverso una serie di sentenze, le 510.000 azioni del presidente rossonero Giussy Farina, socio della Ismil, la finanziaria detentrice del cinquantuno per cento del club. Tra l’altro la Ismil è nel Milan sin dalla stagione 1976-77, quando al vertice della piramide societaria c’è l’imprenditore Vittorio Duina. Secondo alcuni protagonisti della vicenda che porta alla cessione, la percentuale di controllo sarebbe più bassa di dieci punti, ma a ogni modo Nardi vanta un credito di sette miliardi su Farina, elemento su cui il numero due di via Turati impernia la richiesta di sequestro delle azioni e che trova accoglimento in sede giudiziaria. Intanto viene a galla, grazie ai libri contabili, che i debiti societari ammontano a un miliardo e 884 milioni. Le trattative per la cessione della società di Farina, che nel frattempo lascia l’Italia per il Sud Africa, partono ufficialmente il 13 dicembre 1985 e sono condotte per conto dell’Ismil dall’avvocato Donella, che fa parte del consiglio d’amministrazione. Il socio di maggioranza della holding Ismil è la FinMilan al cinquantuno per cento, mentre Farina si attesta in seconda posizione con il trenta per cento, seguito da Nardi, più staccato al sei per cento. La FinMilan, a sua volta, è nella mani della Elafin, proprietaria al novantuno percento delle azioni, 364.000 su un totale di 400.000. Delle restanti 36.000, 20.000 appartengono a Nardi. Un vero e proprio gioco di scatole cinesi. Senza doppi sensi, s’intende.

    Con quale risultato debuttano in campionato i presidenti del Milan

    La lunga cavalcata prende avvio dall’ingegnere Alfred Ormond Edwards il 15 aprile 1900: il primo numero uno della storia societaria del Milan incomincia malissimo con un netto 3-0 a favore della Torinese, interamente realizzato dal centravanti Edoardo Bosio. Dal 30 gennaio 1909, una dozzina di giorni dopo la fine del campionato di Prima categoria, gli subentra Piero Pirelli, che esordisce il 14 novembre nel derby con l’Ausonia vinto per 2-1 (doppietta di Pietro Lana). Luigi Ravasco apre con il medesimo punteggio, il 30 settembre 1928, contro la Triestina (2-1, Abdon Sgarbi e Bruno Tognana). Anche Mario Benazzoli, il 6 ottobre 1929 parte con il piede giusto (4-1 con il Brescia, doppietta di Mario Tansini, poi Rocco Ranelli e Roberto Sternisa), mentre, nell’estate del 1933, torna in sella Ravasco per il bis, ma in veste di commissario straordinario. La sua seconda versione, il 10 settembre 1933, è meno fortunata: 1-0 per la Fiorentina che mette sotto il Milan del tecnico József Violak dopo soli dodici minuti. Dal luglio 1935 è il turno del fascista Pietro Annoni, che debutta il 22 settembre nel 2-0 all’Alessandria (doppietta di Bruno Arcari iv); mentre a seguire tocca al presidente e giornalista Emilio Colombo, in carica sul finire dell’ottobre 1936. Il campionato è iniziato il 13 settembre, ma il suo primo Milan scende in campo il primo novembre nel 3-1 (Capra) incassato dal Torino sullo storico campo del Filadelfia. Il 21 giugno 1939 lo sostituisce l’imprenditore Achille Invernizzi e tre mesi dopo, il 17 settembre, il suo Milan perde 2-1 in casa del Torino, sebbene conduca con Piero Pasinati. Dal 1940 subentra Umberto Trabattoni nel ruolo di commissario straordinario e il Milano, il 6 ottobre, passeggia su un modesto Napoli per 4-0 (doppietta di Aldo Boffi, Natale Faccenda e Gino Cappello). Nel luglio 1944 agisce in sua vece il genero Antonio Busini, che il 31 dicembre vede soccombere il Milano al Sinigallia di Como per 3-1 (Arcari iv su rigore). Trabattoni rientra in società (Busini rimane in qualità di vice) nell’aprile 1945 e il 27 maggio, finita la guerra, si ritrova a dover consolare i suoi per una pesante sconfitta interna (1-4, Guarnieri) a opera del Como. Ma la novità è il cambio di ragione sociale, da Milano a Milan. Trabattoni resta sino al 1954, quindi arriva l’altro imprenditore Andrea Rizzoli che segue ufficialmente i suoi per la prima volta il 19 settembre 1954 (esattamente ventotto anni dopo l’inaugurazione di San Siro) e ne rimane contento visto il 4-0 rifilato alla Triestina (doppio Juan Alberto Schiaffino, Eduardo Ricagni e Nils Liedholm). Con l’uscita di scena di Rizzoli e l’insediamento di Felice Riva alla fine del campionato 1963, il Milan piomba in una strana crisi economica e di risultati; tuttavia il nuovo corso rossonero, da campione d’Europa, inizia con un’importante vittoria per 4-1 (tripletta di José Altafini e Amarildo) a Mantova il 15 settembre 1963. Lo scettro del potere rossonero passa allora nelle mani della famiglia Carraro, prima con Luigi (per lui la pesante sconfitta per 3-0 in casa della Juventus il 24 aprile 1966) e poi con Franco dopo la morte del padre (4-1 sul campo della Spal, il 24 settembre 1967 con tripletta di Angelo Benedicto Sormani e gol di Kurt Hamrin). Il dopo famiglia Carraro si chiama Federico Sordillo. L’avvocato avellinese sorride alla sua prima in campionato il 3 ottobre 1971 per lo 0-1 in casa del Varese (Pierino Prati), mentre Albino Buticchi il 24 settembre 1972 si gode il 4-0 interno sul Palermo (doppietta di Gianni Rivera, Luciano Chiarugi e Prati). Nel ruolo di traghettatore passa il testimone a Bruno Pardi, che il 4 gennaio 1976 sorride dopo il 4-1 al Como (doppietta di Chiarugi, Bigon e Calloni). La crisi societaria, aperta con le dimissioni di Buticchi un anno prima, si conclude con l’elezione di Vittorio Duina, il cui governo societario prende avvio il 9 maggio 1976 con una batosta senza uguali: 4-0 incassato dalla Lazio all’Olimpico. Il nuovo salvatore della Patria si chiama Felice Colombo, che trova battesimo l’11 settembre 1977 a Firenze (1-1, Egidio Calloni). Il suo posto, dopo la retrocessione sub iudice per il calcio-scommesse, è preso il 30 ottobre 1980 (con il Milan lontano dalla a per la prima volta nella sua storia) dall’onorevole della dc Gaetano Morazzoni. Il 2 novembre si annota un deludente 0-0 interno con il Palermo. Giuseppe (detto Giussy) Farina ne prende il posto il 19 gennaio 1982 e cinque giorni dopo ecco lo 0-1 in casa con l’Udinese. Poi finalmente è il turno di Silvio Berlusconi, che acquista ufficialmente il Milan il 20 febbraio 1986, insediandosi alla carica il 24 marzo dopo una calda e appassionata assemblea dei soci. Per lui non ci può essere debutto più amaro con la sconfitta maturata nel derby del 6 aprile. L’autore della stilettata è il difensore Minaudo. E infine l’ultimo imperatore di casa Milan, Yonghong Li, che inizia con un pari da far tremare i polsi nel derby del 15 aprile 2017. Sotto di due reti alla fine del primo tempo (nerazzurri in vantaggio con Candreva e raddoppio di Mauro Icardi) il primo Milan versione cinese rimette a posto le cose nella ripresa in quattordici minuti. Alessio Romagnoli inizia l’opera, mentre Cristiàn Zapata, in spaccata, la completa quando sul cronometro si legge il tempo di

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