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Forse non tutti sanno che a New York...
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Forse non tutti sanno che a New York...

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Curiosità, storie inedite, misteri, aneddoti storici e luoghi sconosciuti della Grande Mela

Scopri la città che non dorme mai, la citta dalle mille luci e dai mille volti, una delle metropoli più amate al mondo

New York è milioni di persone diverse e milioni di storie che s’incrociano in un lembo di terra sul fiume Hudson. È una città che ha cambiato nome e pelle, una città che rinasce dalle sue ceneri ogni decennio, che ricomincia a raccontarsi, fin dalle sue misteriosi origini. Questo libro, andando alla ricerca di quello che della Grande Mela ancora non è stato del tutto detto, mette insieme preziosi tasselli che tracciano una storia inedita. Quanti sanno che deve il suo nome al Duca di York? E che Grand Central, quando fu fondata, era la stazione ferroviaria più grande del mondo? O che la città fu il luogo dove iniziò la Grande Depressione? Dagli Olandesi che comprarono per 25 dollari l’isola di Manhattan, ai segreti di Wall Street, un percorso che attraversa la città che ancora oggi “apre la strada”: a un’idea o a un’innovazione, a una follia o a un nuovo trend. 

Forse non tutti sanno che a New York...

…c’era gente anche prima che la città fosse fondata
…è stato un italiano il primo ad arrivare
…fu eletto il primo presidente degli Stati Uniti, George Washington
…prima che in ogni altra città ci fu un servizio permanente di battelli a vapore
…fu inventato l’hip hop
…è nata la “libertà di stampa”
…è nato il più famoso talk show di sempre
…l’Empire State Building è stato per anni il grattacielo più alto del mondo
Gianfranco Cordara
vive negli Stati Uniti dove si occupa di editoria e digital media. Giornalista e sceneggiatore, nel corso degli anni si è dedicato alla scrittura creativa come autore di fumetti, cartoni animati, fiction televisive e saggi. È docente di scrittura creativa presso l’Università Cattolica di Milano. Forse non tutti sanno che a New York... è il suo terzo libro su New York, dopo 101 cose da fare a New York almeno una volta nella vita e Misteri, segreti e storie insolite di New York tutti pubblicati dalla Newton Compton.
LanguageItaliano
Release dateOct 9, 2017
ISBN9788854199477
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    Forse non tutti sanno che a New York... - Gianfranco Cordara

    parte prima. la città dai mille volti

    New York è una città che sembra avere paura della propria storia e fa di tutto per nasconderla. Provate a ricordare per un momento la vostra prima emozione di fronte alla città e vi renderete conto subito non di cosa abbiate provato, ma del momento esatto in cui vi ha colpito: atterraggio al jfk, e poi taxi verso Manhattan attraversando il Queens in un traffico caotico. Poi, all’improvviso, dietro una curva dell’autostrada, appare lo skyline della città: in quel momento, perfino l’autista del taxi che l’ha visto mille volte ha un sussulto. E voi con lui. I più coraggiosi estraggono il telefono per tentare una prima impossibile foto: ma il concetto è chiaro.

    Siete finalmente arrivati a New York! Come se tutto il tempo che avete speso finora per raggiungere il centro dall’aeroporto non contasse. Quello che conta è quel profilo di grattacieli, illuminati di notte, brillanti di giorno, perfino nella foschia autunnale. Quella è l’immagine rappresentativa della città, immagine che si modifica ogni anno, in cui i palazzi più vecchi vengono sostituiti con nuove gemme, frutto del genio dei migliori architetti del mondo, che si sfidano sulla complessa tela della Grande Mela.

    E la storia di questa metropoli resta soffocata dalla modernità, e non solo perché è necessario, ma è frutto di una scelta consapevole: New York non accumula passato, ma lo trasforma. Eppure, investigare su come si sia arrivati a questo punto aiuta a comprendere fino in fondo l’anima della città dalle mille luci. Iniziamo quindi il nostro viaggio nella storia di New York, partendo ancora prima della scoperta dell’area da parte dei primi esploratori europei, per scoprire quel poco che è rimasto di un’epoca indigena, e poi lentamente come gli olandesi abbiano costruito un pezzo per volta il primo insediamento, che si chiamava Nieuw Amsterdam.

    È stata un’epoca eroica, con personaggi, situazioni ed eventi che sono rimasti una delle chiavi più importanti per capire come New York si sarebbe sviluppata in futuro: su tutti, il mix di popolazioni, religioni e culture che si sono mischiate in questo territorio geograficamente limitato e hanno dato vita a un esperimento sociale unico nella storia dell’umanità. Per cui, senza indugi, lanciamoci, in questa prima parte, nella storia di New York fino alla fine del xvii secolo e scopriamo come la città più importante del mondo sia nata e abbia mosso i suoi primi passi.

    1. …I primi insediamenti umani risalgono addirittura a novemila anni fa

    Vi chiedo uno sforzo di immaginazione. Siete seduti su una delle panchine di Washington Square che guardano Fifth Avenue aprirsi verso nord. È una giornata di primavera, con un vento freddo e tagliente che attraversa Manhattan. Alle vostre spalle, l’arco dedicato al primo presidente degli Stati Uniti; intorno a voi, una coppia che porta a passeggio un piccolo cocker, qualche ragazzo che si incammina per seguire le lezioni della New York University, tre jogger che si rincorrono intorno all’anello che circonda la piazza, e gli immancabili turisti giapponesi che cercano invano di scattarsi un selfie con uno degli scoiattoli che popola gli alberi del parco.

    Ora chiudete gli occhi e lasciate che tutti i palazzi che riuscite a vedere scompaiano lentamente. Lasciate che la vegetazione indigena di questa piccola isola alla foce dell’Hudson riprenda il suo posto, un posto che ha mantenuto per secoli prima dell’arrivo degli europei. Aceri neri, rossi e argento si alternano a cespugli di edera velenosa e di cicuta; ontani, betulle e ambrosia crescono a macchie di colore, mentre i primi fiori iniziano a gemmare sugli alberi di cachi.

    Se fate abbastanza silenzio, presto il rumore del vento tra le fronde cederà il posto a quello dell’incredibile varietà di animali che popola questo piccolo paradiso terrestre di biodiversità. Lupi, castori, lontre, lepri e toporagni si muovono lenti, mentre intorno all’isola balene, delfini e foche nuotano secondo i ritmi delle stagioni. Falchi, anatre e ogni genere di passero controllano i cieli, mentre salamandre e rane e almeno venti specie diverse di serpenti strisciano sul suolo.

    E se gettate lo sguardo lontano, fino a raggiungere la riva dell’Hudson, vedrete due giovani Lenape raccogliere pesci e molluschi. I Lenape vivono qui da duemilacinquecento anni, sono una tribù di cacciatori-raccoglitori che sta lentamente transitando verso proto-forme di agricoltura e allevamento. Appartengono linguisticamente al gruppo degli Algonquin che domina quella che diventerà la costa est degli usa. Sono organizzati in clan, e il loro nome, significa semplicemente uomini. E sono proprio loro a dare il nome a questa isola, Mannahatta, la terra delle molte colline.

    Difficile immaginare colline oggi a Manhattan, ma in origine erano quasi seicento, come difficile è immaginare che questa isola avesse quasi novanta chilometri di corsi d’acqua, venti stagni e almeno trecento sorgenti. Probabilmente in nessun altro posto al mondo la mano dell’uomo ha modificato tanto radicalmente il panorama naturale fino a renderlo invisibile, sostituito da strade e palazzi che organizzano lo spazio, sfruttando ogni centimetro disponibile dei quasi sessanta chilometri quadrati di quest’isola.

    Anche i pochi stralci di natura ancora presenti, come il grande polmone verde di Central Park, che copre più di tre chilometri quadrati dell’isola, poco mantengono dell’originale vegetazione e fauna, disegnati ancora una volta dallo sguardo e dall’intenzione umana, in quello straordinario esperimento che diventerà la città di New York.

    Eppure, che questa fosse una zona perfetta per l’insediamento umano, lo avevano capito in molti. Gli scavi hanno dimostrato che i più antichi ritrovamenti nella zona di New York risalgono addirittura a novemila anni fa. Tuttavia, questi primi abitanti non lasciarono quasi traccia del loro passaggio e, probabilmente a causa del riscaldamento della zona e della conseguente estinzione di molte specie da cui dipendeva il sostentamento della popolazione locale, l’area fu abbandonata, per essere ripopolata dai Lenape intorno a tremila anni fa.

    Arrivavano da nord, probabilmente dal Canada, e si stabilirono in un’area vasta che spazia da quella che oggi è New York fino alla Pennsylvania. La foce dell’Hudson, per posizione geografica e varietà di piante e di animali, si rivelò subito come un vero e proprio giardino dell’Eden, adatto all’insediamento umano. Pur divisi in piccoli gruppi, per lo più con legami familiari e di clan, all’epoca dell’arrivo degli europei quasi diciottomila Lenape vivevano nell’area della futura città. Che New York fosse destinata a essere una metropoli era scritto nelle stelle.

    Tutto quello che sappiamo di questo popolo ci arriva dai loro incontri con gli europei che dal xvi secolo iniziarono a esplorare quella zona, per stabilire i primi insediamenti commerciali e sfruttare le immense riserve naturali del Nord America. E il rapporto, come vedremo presto e come tristemente è stato per quasi tutte le tribù nativo-americane, non fu certo dei più semplici.

    È quindi dalle cronache di quei primi esploratori e avventurieri che sappiamo che i Lenape si distinguevano a seconda del clan di appartenenza e che i clan erano tre, il Lupo, la Tartaruga e il Tacchino, e che il sangue era trasmesso per linea matrilineare, cosa che sconvolse non poco i nuovi arrivati, provenienti dalle fortemente patriarcali società europee.

    La società Lenape era essenzialmente pacifica, perlomeno all’interno della singola tribù, e non conosceva la proprietà privata, tutto apparteneva alla comunità, anche se uomini e donne avevano ruoli e educazione fortemente specializzati, con i primi dediti alla caccia e alla pesca e alla costruzione di case e canoe, mentre alle seconde spettava la gestione dei giardini, la raccolta di frutti e noci, e i lavori di casa, fra i quali la cucina e la tessitura degli abiti.

    Scontri con le altre tribù erano rari, e spesso portavano a spostamenti di interi gruppi da una parte all’altra del Nord America, quando le risorse erano esaurite in una certa zona. Ma, pur cercando di stare lontani dallo stereotipo del buon selvaggio, si trattava di una popolazione assolutamente impreparata ad affrontare la minaccia che stava attraversando l’Atlantico alla ricerca di nuove terre da sfruttare.

    Una cosa sola i Lenape ci hanno lasciato, un rituale sacro che per gli europei divenne un divertimento prima e un pessimo vizio dopo: il fumo. Il tabacco è una pianta originaria americana e prima della scoperta del Nuovo Mondo nessuno aveva mai fumato in Europa. Il fumo era invece una parte importante della cultura indiana: sia il tabacco, sia gli strumenti per fumare, lunghe pipe di legno, erano addirittura considerati sacri dai Lenape.

    Fumare e bruciare tabacco in onore degli spiriti erano attività regolate da specifiche liturgie: spesso gli sciamani, i dottori-sacerdoti della tribù, fumavano per scacciare le malattie; capi e consiglieri lo facevano prima di prendere importanti decisioni, di concludere affari o di dichiarare guerra o pace.

    La religione era una parte fondamentale della vita dei Lenape, che permeava tutto il loro mondo: gli spiriti, o manetu, da cui l’italianizzazione Manitù, erano ovunque e avevano ruoli differenti. Da Kishelemukong, il grande spirito creatore del mondo, sino ai singoli spiriti che sbocciavano sugli alberi ogni primavera, ogni entità spirituale doveva essere trattata con rispetto, ingraziata con piccole offerte quotidiane, spesso oggetti e fiori.

    I rituali segnavano il passaggio delle stagioni, ma anche la crescita individuale: un posto di rilievo ottenuto prevedeva il digiuno, che era ritenuto il modo migliore per acquisire poteri e influenzare gli spiriti. Maschi e femmine, al sopraggiungere della pubertà, dovevano intraprendere un viaggio in solitudine e digiuno per poter sognare ed entrare in contatto con gli spiriti. Attraverso questo processo ognuno avrebbe trovato il suo spirito guida, che poteva avere la forma di un lupo o di un’aquila, o perfino di una roccia, e che avrebbe segnato la direzione della loro vita e il loro futuro.

    Il credo dei nativi americani era essenzialmente naturalistico; nei rituali indossavano pelli di orsi per impersonare gli spiriti, il cui obiettivo ultimo era mantenere un equilibrio tra gli uomini e il mondo in cui abitavano. Niente di più diverso dall’approccio europeo, che avrebbero ben presto conosciuto, che faceva dell’ambiente circostante una terra di conquista e uno spazio di manipolazione. Questa la differenza più grande tra la cultura nordamericana indigena e le popolazioni europee che stavano per riversarsi in massa in quella che vedevano come una enorme opportunità commerciale da sfruttare fino all’esaurimento delle risorse.

    È il momento quindi di tornare sulla nostra panchina di Washington Square: la New York che conosciamo è ancora persa nel sogno di quella che diventerà la capitale del mondo, ma il piccolo quadro idilliaco che ci siamo costruiti con la fantasia sta per cambiare drasticamente, con un piccolo evento, destinato a modificare per sempre questo angolo di mondo.

    Se riportate lo sguardo sui due Lenape che stavano pescando sulla riva, noterete che la loro attenzione è attirata da qualcosa che sta comparendo all’orizzonte. Sono le vele della prima nave europea, vele sporche e macilente per il lungo viaggio transatlantico. I due ragazzi saltano su una canoa di legno e pagaiano decisi verso qualcosa che non hanno mai visto, qualcosa che sta per cambiare il destino di un intero continente…

    2. …Il primo europeo a mettere piede sull’isola di Manhattan fu un italiano, Giovanni da Verrazzano

    Fare gli esploratori nel xvi secolo era un lavoro affascinante: la scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristoforo Colombo e la successiva circumnavigazione del globo fatta da Magellano, tutto nel giro di appena trent’anni, avevano aperto il piccolo mondo europeo a una nuova dimensione. Improvvisamente la Terra intera era diventata la nuova frontiera, sia per le conquiste, sia per il nascente commercio: il Medioevo era alle spalle e si apriva l’Età Moderna. Dopo secoli di autoimposto isolamento, navi e carovane iniziavano a muoversi in tutte le direzioni e a portare – a volte imporre – una visione del mondo e una nuova idea di mercato e di sviluppo.

    Navigare era anche un lavoro rischioso: tempeste, navi che non erano ancora costruite per affrontare gli oceani, pirati, concorrenza tra le diverse nazioni, indigeni non propriamente accoglienti con i conquistatori europei, ammutinamenti della ciurma. Tutto questo rendeva il lavoro degli esploratori anche piuttosto complicato; eppure, una spinta eroica muoveva questi primi avventurieri, questi capitani che guidavano le loro navi attraverso mari e terre sconosciute. I loro diari, lasciati come cimeli di un tempo in cui la meraviglia della scoperta aveva ancora un posto nel cuore degli uomini, ci raccontano le vicende quotidiane, i travagli, ma anche il coraggio e la temerarietà di questi esploratori che contribuirono ad allargare il nostro mondo.

    Nella storia di New York ci sono due uomini che sopra tutti gli altri hanno segnato il destino della città: Giovanni da Verrazzano e Henry Hudson. I loro nomi sono incisi nella toponomastica della città a indicare il ponte che collega Brooklyn a Staten Island, il Verrazzano-Narrows Bridge, e addirittura il fiume che scorre attorno all’isola di Manhattan, l’Hudson. Ma la loro storia va oltre il segno che hanno lasciato nei nomi, racconta i primi giorni della New York europea e marca indelebilmente il destino della città. Una storia che come vedremo narra i tantissimi punti di contatto tra i due uomini, nonostante quasi un secolo separasse la cronaca delle loro avventure.

    Giovanni era nato in Toscana, vicino a Firenze, nel castello di cui porta il nome, ma come tutti gli esploratori italiani dell’epoca lavorava per gli stranieri, in questo caso per il re di Francia, Francesco i. Dopo un apprendistato come marinaio che lo portò fino a Terranova, nell’attuale Canada, il re gli diede l’incarico di trovare un passaggio che dall’Atlantico portasse al Pacifico attraverso l’America del Nord. Se Magellano infatti aveva dimostrato di poter circumnavigare il nuovo continente, le altre potenze europee volevano trovare una scorciatoia per velocizzare i commerci e le missioni, soprattutto verso l’Asia.

    Dopo un paio di tentativi non andati a buon fine, nel 1524 Giovanni da Verrazzano attraversò l’Atlantico e iniziò a esplorare la costa orientale dei futuri usa. Risalì le Carolinas e si addentrò nel Pamlico Sound, una grandissima baia, che confuse per il passaggio verso la Cina: la sua lettera entusiasta a Francesco i segnò l’inizio di una confusione che esploratori e cartografi riuscirono a risolvere solo un secolo dopo. Purtroppo, per i secoli a venire, la fama di Verrazzano fu legata soprattutto a questo errore, commesso forse per troppa foga di mostrare al re di Francia di essere riuscito nella propria missione.

    Ma il suo destino, e quello della sua nave, la Dauphine, erano legati all’incontro che avrebbe cambiato la storia di questa terra, anche se nessuno in quel momento ne aveva il benché minimo sospetto: infatti, nell’aprile del 1524, passando attraverso i Narrows che vigilano sull’accesso a Manhattan, Verrazzano incontrò la tribù dei Lenape che viveva da migliaia di anni in queste terre.

    Il primo contatto fu breve e non problematico: offerte reciproche di doni, e la fondazione di quella che Giovanni chiamò Nouvelle Angoulême, in onore ovviamente di Francesco i, il suo datore di lavoro. New York era stata battezzata, anche se nessuno rimase da quelle parti a vivere ed era solo un nome su una mappa di cui presto il re di Francia avrebbe potuto vantarsi. Ma tenete a mente il fatto che sin dagli inizi l’aggettivo nuovo era parte del nome di questo luogo.

    Verrazzano proseguì la sua missione andando verso nord e raggiungendo Cape Cod e incontrando altre tribù indigene, prima di tornare in Francia, convinto di andare incontro agli stessi onori e alla stessa fama che avevano accompagnato il ritorno di Colombo e di Magellano. Ma non ebbe la stessa fortuna. Le sue scoperte erano poca cosa rispetto a quelle fatte in quegli anni, e Giovanni fu costretto a riprendere la strada del mare, inseguendo l’avventura e la fama, per finire, vuole la leggenda, mangiato dai cannibali nei Caraibi…

    Fu solo nel 1960 che, grazie al lavoro di alcuni storici, il suo nome tornò a essere considerato e gli venne dedicato il ponte che era in costruzione per collegare i Narrows. Ma ancora oggi, a New York, sono pochi a conoscere la sua storia e ancora meno a sapere che il primo nome della città che si chiamerà New York fosse Nouvelle Angoulême.

    Destino completamente diverso attendeva invece il secondo esploratore di cui parleremo, Henry Hudson, il cui nome compare in tutti i libri di storia negli Stati Uniti e il cui ruolo è considerato pari a quello di Cristoforo Colombo. Per ottantacinque anni i Lenape raccontarono ai loro figli di quella strana nave che era apparsa nella baia, con a bordo gli ultimi europei che avessero toccato la loro terra. Almeno fino all’arrivo della Halve Maen (Mezza luna in olandese): Hudson, infatti, nonostante fosse inglese, lavorava per gli olandesi e, in particolare, per una compagnia privata, la Dutch East India Company, una delle prime multinazionali dell’era moderna, talmente potente da avere una flotta propria di navi che commerciavano in tutto il mondo.

    L’obiettivo di Hudson era lo stesso di Verrazzano: trovare un passaggio verso l’Asia attraverso il Nord America. Ma dopo quasi cent’anni le possibilità di individuarlo erano ristrette alla zona nord del continente, verso il Canada, in quello che verrà poi rinominato come il Passaggio a Nord Ovest. Tuttavia, durante una delle esplorazioni, spinta a sud dal clima inclemente, la nave di Hudson sbucò attraverso i Narrows e si trovò di fronte l’isola di Manhattan e i suoi abitanti.

    L’incontro, questa volta, fu meno amichevole: uno dei compagni di Hudson venne trafitto da una freccia e ucciso, evento che sancì l’inizio di quello che a breve sarebbe diventato un rapporto decisamente problematico tra gli olandesi e la popolazione locale. Tuttavia Hudson si rese subito conto del potenziale commerciale della zona, che pullulava letteralmente di castori. Come vedremo nel prossimo capitolo, i castori costituivano all’epoca un prodotto commerciale di primaria importanza e Hudson si rese subito conto di quale opportunità poteva offrire quell’area.

    Il report di Hudson attivò la Dutch East India Company, che nel giro di pochi anni iniziò a mandare diverse spedizioni commerciali nella zona: Adriaen Block e Hendrick Christiaensen guidarono missioni che contribuirono a formare quella che diventerà New Netherlands, una spedizione privata, orientata al profitto, da parte di una compagnia che stabiliva un avamposto commerciale per trattare pelli e altri prodotti con i nativi americani. Solo dieci anni dopo, nel 1624, la zona venne reclamata dalla Repubblica Olandese e diventò un dominio, con la fondazione, sulla terra che un tempo si chiamava Nouvelle Angoulême, di Niuew Amsterdam. Ancora una volta la parola nuovo faceva parte della natura e dello spirito del luogo. E non sarebbe stata certo l’ultima.

    E Hudson? Il suo destino fu estremamente simile a quello di Verrazzano, una delle tante cose che questi due esploratori condivisero. Infatti, in una missione successiva, venne abbandonato dalla sua ciurma in rivolta in mezzo ai ghiacci del Canada e da quel momento non se ne seppe più nulla. Ma la sua fama fu certamente diversa da quella di Giovanni: il fiume Hudson venne presto ribattezzato in suo onore, come la gigantesca Baia che porta il suo nome in Canada.

    Ma intanto la futura capitale del mondo era stata fondata: certo, le baracche intorno a Fort Amsterdam, il primo insediamento della Dutch East India Company, ben poco hanno a che spartire con lo skyline della New York attuale, ma in questo viaggio nella storia stiamo facendo grandi sforzi di immaginazione per figurarci come fosse la punta meridionale di Manhattan in quei primi anni di vita del primo insediamento permanente europeo.

    Provate dunque a immaginare una decina di case di legno, costruite con materiali locali, ma secondo la moda olandese, con tetti stretti e spioventi, ammassate intorno al forte, dove la Company teneva i soldati, che avrebbero dovuto difendere il piccolo avamposto da potenziali attacchi delle popolazioni locali. E immaginate, fin da subito, che la futura New York City riceve gente da tutto il mondo: non solo olandesi, ma inglesi, francesi, norvegesi e danesi, schiavi dall’Africa e persino qualche mezzosangue. Non è un caso, forse, o ci piace immaginarlo così, che il primo abitante di cui si abbiano traccia e nome sia il dominicano Juan Rodriguez, figlio di un portoghese e di una africana, nato nei Caraibi e arrivato a Manhattan nel 1613, come commerciante di pelli.

    E saranno proprio le pelli, quelle di castoro in particolare, ad attirare gente da tutto il mondo in questa piccola isola persa nell’estuario del fiume Hudson, che all’epoca si chiamava ancora Mauritius. Ma perché proprio i castori?

    3. …Il castoro è il simbolo della città

    If you can make it there, you’ll make it anywhere… cantava Frank Sinatra in New York, New York, una delle sue canzoni più popolari e una delle tante che sono state dedicate alla Grande Mela. Se riesci a farcela a New York, allora puoi farcela ovunque, a sottolineare quello che gli abitanti della città dalle mille luci sanno benissimo: New York è la città più competitiva del mondo e questa competizione è in qualche modo inscritta nel suo dna.

    Se torniamo, infatti, al piccolo Fort Amsterdam e ai barbuti commercianti che intorno si sono raccolti da tutte le parti del mondo, capiremo un po’ di più le dinamiche culturali che hanno portato alla nascita, ma soprattutto alla crescita di New York. Perché anche in un paese giovane come gli usa, e frutto di un melting pot culturale come mai se ne erano visti al mondo, la storia lascia tracce che spesso vanno scavate in profondità per rendersi conto di come anche eventi minimi abbiano generato conseguenze importanti in quella che oggi è considerata l’identità americana.

    E parlando di crescita della città, partiamo con qualche numero per dare un senso delle proporzioni: dal 1655 al 1664 la popolazione della colonia di New Netherlands esplose letteralmente in meno di un decennio da poco meno di duemila persone fino a novemila, di cui almeno duemilacinquecento vivevano già ammassate nella punta sud di quella che sarà l’isola di Manhattan.

    La popolazione era già un perfetto esempio del melting pot di cui parlavamo, un mix di razze, lingue e culture, in cui solo la metà era davvero olandese: il resto veniva dall’Europa, francesi, spagnoli, tedeschi, nordici, portoghesi, oppure dall’Africa, da cui stavano arrivando i primi schiavi, deportati e usati per i lavori nei campi, a sostegno del commercio di pelli che stava iniziando decisamente a prendere piede.

    La foce dell’Hudson era infatti una posizione perfetta per stabilire una base commerciale nella zona: era un’isola, quindi facilmente difendibile dai primi problemi che stavano iniziando a sorgere con le tribù indigene, per nulla contente dell’arrivo di questi invasori che saccheggiavano senza ritegno le risorse naturali; aveva un accesso privilegiato, e protetto, all’oceano, che rendeva la punta di Manhattan il posto migliore in cui fare confluire tutte le pelli che arrivavano dalla valle dell’Hudson. Infatti, poco più a nord gli stessi olandesi avevano stabilito una seconda missione commerciale, nelle terre in cui sorgerà la capitale dello Stato di New York, Albany.

    Già, le pelli. Soprattutto quelle di castoro, che aveva un valore incredibilmente alto in Europa in quel periodo e che costituiva una grandissima parte della fauna della costa orientale del Nord America. La pelle di castoro è idrorepellente e costituiva una base perfetta per creare il feltro, un materiale ideale per confezionare cappelli. In Europa il processo era conosciuto da secoli, ma i castori stavano scomparendo a causa della caccia incontrollata, per cui l’apertura di un nuovo enorme mercato venne accolta come una manna dal cielo.

    Oltretutto, i castori offrivano anche un interessante by-product oltre alle loro pelli, ovvero il castoreum, da cui il loro nome, la secrezione delle ghiandole anali dell’animale, che veniva usata in medicina e in profumeria, e dava ai profumi un caratteristico sentore di pelle che era molto apprezzato all’epoca. E se pensate che la cosa sia disgustosa, sappiate che tutt’ora il castoreum è usato come additivo alimentare, come sostituto dell’aroma di vaniglia.

    Il castoro è rimasto presente nel corso dei secoli nella storia della città: è infatti l’animale simbolo dello Stato di New York e, ancora più importante, è raffigurato nel sigillo ufficiale della città. Se pensate per un attimo a quali sono le caratteristiche peculiari di questo straordinario essere, troverete una profonda ironia: il castoro è infatti uno dei pochi animali in grado di modificare in modo radicale il paesaggio intorno a lui, in quanto costruisce dighe naturali che creano laghetti e, in generale, ecosistemi

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