Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Gli errori militari che hanno cambiato la storia
Gli errori militari che hanno cambiato la storia
Gli errori militari che hanno cambiato la storia
Ebook425 pages6 hours

Gli errori militari che hanno cambiato la storia

Rating: 3 out of 5 stars

3/5

()

Read preview

About this ebook

Una rassegna di scelte sbagliate e di errori di valutazione dall’antichità a oggi: da Salamina alle guerre del Golfo

Le sorti di un popolo dipendono anche dagli errori dei propri comandanti e combattenti.

La storia dell’umanità è strettamente legata alla storia delle guerre, perché esse sono un prodotto della nostra “civiltà”. Ecco perché, oltre che dai mezzi a disposizione e dalla tecnologia impiegata, le guerre sono influenzate anche e soprattutto dall’elemento umano. Ciò significa che le sorti di un popolo dipendono anche dagli errori dei propri comandanti e combattenti. Gli errori compiuti nelle battaglie più o meno famose svoltesi nel corso dei secoli sono sempre gli stessi: si sbaglia nel valutare le proprie forze o quelle del nemico, nello scegliere il campo di battaglia o nell’applicare una strategia poco adatta al luogo di scontro o al tipo di nemico. Una rassegna di scelte sbagliate ed errori di valutazione dall’antichità a oggi mette in evidenza che i fattori esterni come clima e territorio sono sempre meno influenti, dato che possono essere controllati e valutati con la tecnologia, mentre l’elemento umano, e quindi l’errore, diventa sempre più decisivo.

In questo volume:

La battaglia di Salamina
La sconfitta romana di Canne
Ottaviano sconfigge Marco Antonio e Cleopatra ad Azio
Ottone I e la vittoria contro gli ungheresi a Lechfeld
L’invincibile armata affondata dagli inglesi
Napoleone ad Abukir
Napoleone a Waterloo
Prima guerra mondiale: la Marna e Verdun
Seconda guerra mondiale: Stalingrado, Normandia, Ardenne
La guerra di Corea
La guerra dello Yom Kippur
Prima e seconda guerra del Golfo
 

Hans-Dieter Otto
Nato nel 1937 a Berlino, ha già pubblicato molti libri tra cui il bestseller Lexicon der Justizirrtümer (Enciclopedia degli errori giudiziari). Dopo gli studi di Giurisprudenza ha ottenuto un posto direttivo nel campo delle assicurazioni. Il suo maggiore interesse è stata ed è la storia, in particolare la storia di guerra. Vive ad Ahrensburg.
LanguageItaliano
Release dateMar 21, 2014
ISBN9788854166042
Gli errori militari che hanno cambiato la storia

Related to Gli errori militari che hanno cambiato la storia

Titles in the series (100)

View More

Related ebooks

Wars & Military For You

View More

Related articles

Reviews for Gli errori militari che hanno cambiato la storia

Rating: 3 out of 5 stars
3/5

1 rating0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Gli errori militari che hanno cambiato la storia - Dieter Otto

    La madre di tutte le cose

    Nei secoli e millenni antecedenti la nascita di Cristo, gli uomini non credevano in un solo dio, ma adoravano numerose divinità, sia maschili che femminili. Poiché queste, come riferisce la mitologia greca, si trovavano spesso in disaccordo, provocando liti, se non addirittura guerre, anche gli uomini, imitando i loro dèi, tendevano a dichiararsi guerra. Non stupisce dunque se il filosofo greco Eraclito giunse alla conclusione che la guerra fosse madre di tutte le cose e di tutte le cose regina, affermando che «Alcuni essa fa déi, altri uomini. Alcuni li rende schiavi, altri liberi». Forse davvero tutte le cose importanti della vita sono scaturite da una vittoria e da una sconfitta, come sostiene lo storico tedesco Oswald Spengler in Il tramonto dell’Occidente. Certo è che, mentre in tempi remoti l’uomo era spinto a fare la guerra dalla necessità di assicurarsi il nutrimento, e dunque la sopravvivenza, in seguito a prevalere sono state soprattutto le motivazioni ideologiche, come quella secondo cui il nemico intenderebbe ridurre lo spazio vitale o non lasciare un posto al sole.

    Nella storia dell’uomo ricorrono numerosi conflitti, crimini e omicidi: nulla è cambiato dal giorno in cui Caino uccise suo fratello Abele, anzi le cose sono forse persino peggiorate. Gli uomini sono in grado di vivere in assoluta pace, senza ricorrere necessariamente alla guerra? Sembra che Napoleone Bonaparte, secondo quanto affermava il suo contemporaneo J. Bertraut, vedesse nella guerra persino una condizione naturale, «la liberazione dall’opprimente mantello della civilizzazione». Sono parole agghiaccianti, alle quali preferiamo il pensiero di Aristotele, secondo cui la guerra esiste solo per amor di pace.

    Che cos’è la storia e cos’è la storia bellica nel senso più stretto del termine? Le risposte a questa domanda sono molteplici. Mentre il celebre poeta tedesco Johann Gottfried Herder, contemporaneo di Goethe, considerava la storia un’educazione all’umanità, il filosofo Hegel vedeva in essa l’espressione del Weltgeist, lo Spirito del mondo. Esiste uno spirito degli eventi e della storia che fluttua e si muove nel mare della vita e nella tempesta delle azioni? Goethe lo ha descritto con queste parole all’inizio del suo Faust, dove il protagonista comprende con emozione e meraviglia «come ogni cosa si intesse in un Tutto e una nell’altra opera e vive!». La storia è «una forma plasmata che si sviluppa vivendo»? Esiste una logica della storia? Oswald Spengler riteneva che alla base di tutto quanto è storico vi fosse una forma biografica elementare, nella quale vedeva un eterno formarsi e trasformarsi, un meraviglioso divenire e trascorrere di epoche.

    Ma se la guerra è parte della storia dell’uomo, allo stesso modo lo è l’errore. «Erra l’uomo finché cerca!»: queste parole, pronunciate da Dio nel Faust di Goethe, spiegano perché anche in guerra troppo spesso si commettono errori. Perché la guerra rientra nel regno dell’imprevisto, come scrisse Clausewitz nel 1832 nel celebre trattato Della guerra, un’opera che, oltre ad aver influenzato il pensiero di tutti gli strateghi militari, da Moltke a Schlieffen e Ludendorff, ha affascinato anche Hitler. E se «i tre quarti delle cose su cui si fondano le azioni di guerra sono incerte», il margine di errore è elevatissimo. Gli errori si sono ripetuti nel corso delle epoche e sono stati commessi da parte di tutti gli schieramenti; talvolta sono curiosi e singolari, ma altre volte anche ovvi e comprensibili.

    È proprio di simili errori commessi nel corso della storia militare che tratta questo libro, errori che hanno condizionato o addirittura rovesciato l’esito di una battaglia o di una guerra. Quarantasei casi per raccontare, fedelmente alle fonti, di errori piccoli e grandi, più o meno conosciuti, e allo stesso tempo volgere lo sguardo alle epoche storiche più diverse e soprattutto agli uomini che le hanno caratterizzate. Nel tentativo di fornire un quadro preciso degli innumerevoli fatti accaduti in ogni parte del mondo e in ogni epoca, gli errori vengono presentati secondo una suddivisione in sei periodi, dall’età antica fino all’era moderna, all’interno dei quali si susseguono cronologicamente i singoli episodi. La Gli errori militari che hanno cambiato la storia non intende fornire una trattazione esaustiva dell’argomento; al contrario, essa si limita ad analizzare i casi più interessanti e clamorosi.

    L’attualità degli errori militari è dimostrata dalla prima grande guerra del XXI secolo: la guerra all’Iraq del marzo-maggio 2003, alla quale è dedicato uno degli ultimi capitoli del libro, e le cui vicende sono ricche di valutazioni errate. Essa inizia proprio con un errore di fondo, in quanto non è stata trovata alcuna traccia né delle armi di distruzione di massa, né dei presunti legami di Saddam Hussein con i terroristi di Al Qaeda, reali motivazioni del conflitto. Al termine della guerra, tutto il clamore propagandistico sollevato circa le armi chimiche per giustificare l’invasione preventiva crolla come un castello di sabbia e il presidente americano George W. Bush si trova ora a fronteggiare sempre maggiori critiche per la mancanza di prove. L’opposizione americana parla di una politica di guerra confusa e caotica, oltre che di clamorose violazioni del diritto internazionale. Anche la strategia della guerra-lampo si è rivelata sbagliata, perché gli iracheni continuano a combattere sul campo contro l’odiata potenza occupante. Il risultato è una sanguinosa guerriglia, che quasi ogni giorno costa la vita ai soldati americani e che fa rivivere agli Stati Uniti un incubo del passato: il Vietnam.

    Un nodo fondamentale del libro è costituito dagli eventi della seconda guerra mondiale. Non è certo un caso ritrovare in questo conflitto la maggior parte degli errori, più o meno significativi, commessi da parte degli Alleati ma soprattutto da parte delle potenze dell’Asse (Germania e Italia). La complessità e l’enorme drammaticità degli eventi, nonché la varietà dei tipi di armi impiegate, hanno spesso portato a decisioni terribilmente sbagliate. Riferirle tutte sarebbe stato impossibile, per questo il libro si limita a riportare i casi principali, quelli che hanno concretamente influito sul corso della guerra, mentre a numerosi altri errori sarà dedicata una speciale Cronografia degli errori militari della seconda guerra mondiale.

    Secondo il grande maestro della storiografia moderna, Leopold von Ranke, la storia dovrebbe riferire «esattamente ciò che è stato», ma questo risulta piuttosto difficile e molto spesso la narrazione degli eventi storici non coincide con la realtà. La storia universale, così come la storia delle sue guerre, è ricca di leggende e aneddoti, di distorsioni e menzogne, che continuano a vivere nella memoria collettiva. Così, ad esempio, la Bastiglia non è stata affatto presa d’assalto, Martin Lutero non ha affisso le sue tesi pubblicamente e l’uccisione dei bambini di Betlemme è una pura invenzione letteraria. Anche nella storia militare esistono simili casi, che non potevano certo mancare in una cronografia degli errori militari. È per questo che alla fine del libro sono riportati, in un capitolo separato, alcuni esempi di fonti alterate e informazioni errate o di credenze, entrate ormai nella memoria collettiva, che non corrispondono alla realtà. A volte si tratta di semplici episodi o dettagli, altre volte anche di avvenimenti universalmente conosciuti e significativi, di fatti che tutti credono di conoscere ma che in realtà sono andati in maniera completamente diversa.

    Secondo Clausewitz, la guerra non è che «la continuazione della politica con altri mezzi», ma soprattutto «un atto di forza che ha per scopo quello di costringere l’avversario a sottomettersi alla nostra volontà». Obiettivo della guerra è quello di «atterrare l’avversario e renderlo inoffensivo»: un compito difficile e crudele. I suoi massimi principi non sono umanità, moderazione e rispetto, bensì crudo annientamento e distruzione totale. Non è corretto, secondo Clausewitz, pensare che la vera inclinazione dell’arte della guerra sia quella di disarmare o sconfiggere il nemico senza infliggere troppe ferite, «perché in questioni così pericolose come la guerra, sono proprio gli errori risultanti da bontà d’animo quelli maggiormente perniciosi».

    Perché continuiamo a occuparci ancora della guerra e della sua storia, ma soprattutto della storia universale? Nel discorso inaugurale tenuto nel 1789 in occasione dell’assegnazione della cattedra di Storia presso l’Università di Jena, Friedrich Schiller fornisce una chiara risposta a riguardo: perché da questa possiamo imparare. Essa ci istruisce e ci intrattiene in maniera piacevole e affascinante. E lo stesso vale per la storia militare, perché «la storia offre all’uomo di mondo meravigliosi modelli da imitare, al filosofo importanti spiegazioni e a ognuno di noi una ricca fonte del più nobile piacere». Ancora oggi è così: nulla hanno cambiato il progresso, la scienza e gli sviluppi della tecnica moderna. Anche nell’era della navigazione spaziale, delle realtà virtuali e nel bel mezzo di una società del piacere sempre più vacua, continuiamo a essere affascinati dalle variegate rappresentazioni delle epoche passate e dal modo in cui gli uomini si sono affrontati in guerra e sono incorsi in errore.

    Perché, nonostante i grandi cambiamenti, l’uomo è sempre uguale a se stesso. Egli pensa, ama, odia e fa la guerra allo stesso modo dei suoi predecessori; il suo operare è soggetto agli stessi meccanismi ed è determinato dagli stessi impulsi di un tempo. Sulla storia dei nostri giorni aleggia la storia del passato o, come direbbe Schiller, «si trascina una lunga catena di avvenimenti che, dal presente fino agli albori del genere umano, si intrecciano in un rapporto di causa ed effetto».

    Ciò si riscontra proprio nell’attuale contrasto con l’Islam, un contrasto che ha le proprie radici nel lontano passato. La guerra globale del XXI secolo è la lotta al terrorismo internazionale, una guerra che percepiamo esclusivamente dai policromi schermi televisivi, circondati dall’agio e dal comfort. Il criminoso attacco dell’11 settembre al World Trade Center di New York ha cambiato il mondo: anche in questo caso si è trattato di un errore, nato dalla convinzione che una cosa simile non sarebbe mai potuta accadere e mai sarebbe accaduta.

    Ciò che vale per la catena di avvenimenti storici, vale anche per gli errori a essi collegati, poiché spesso da un errore ne scaturisce un altro. Anche questi non sono cambiati molto nel tempo e, come dimostrerà la rassegna documentata attraverso 2500 anni di storia militare, continuano a ripetersi, analoghi nelle forme e nelle cause, oltre che nelle conseguenze. Nel capitolo conclusivo vengono trattate le cause più frequenti degli errori commessi in guerra e non c’è da stupirsi che emergano aspetti curiosi e sorprendenti, in quanto fanno parte della natura stessa dell’argomento. Tuttavia, il continuo ripetersi dei medesimi errori, anche se ogni volta in una situazione diversa – «semper idem, sed aliter», come disse Cicerone della storia, «sempre uguale, ma diversa» – porta a concludere che gli uomini non sono stati capaci di trarre alcun insegnamento dalla storia e, qualora avessero davvero imparato qualcosa, non sembra essere servito a molto.

    L’ampia trattazione di atti di distruzione e di morte, nonché la lunga catena di errori tragici e fatali, talvolta inspiegabili, non vuole essere una celebrazione della guerra. Al contrario. Attraverso la presentazione delle terribili conclusioni sbagliate e dei giudizi errati, i casi analizzati intendono dimostrare chiaramente l’atrocità del massacro e l’insensatezza e l’orrore di ogni spargimento di sangue, facendo di questo libro, un libro contro la guerra.

    Prendendo le distanze da tutti i dibattiti metodologici della storiografia moderna, questo caleidoscopio vuole soprattutto raccontare gli errori e le passioni che hanno caratterizzato la storia militare. E, naturalmente, in molti punti la narrazione non può eludere la domanda preferita dagli storici: quale corso avrebbe seguito la storia se non fossero stati commessi tali errori? La riflessione sulle possibili risposte costituisce un altro aspetto interessante di questo libro, in cui gli avvenimenti militari sono descritti in forma di storie avvincenti, confermando così un’altra osservazione fatta da Schiller a conclusione della prefazione alla prima edizione di La storia dell’insurrezione dei Paesi Bassi, ovvero che «la storia può prendere in prestito qualcosa da un’arte affine, senza per questo divenire necessariamente un romanzo».

    Errori dal 500 a.C. al 1000 d.C.

    «Piene le spiagge di tristi spoglie, …»

    (Salamina, 28 settembre 480 a. C.)

    Queste parole furono pronunciate quasi mezzo millennio prima della nascita di Cristo da un celebre poeta: il suo nome è Eschilo ed è considerato il più grande poeta greco dopo Omero. Trovandosi a bordo di una nave attica, egli è testimone oculare di un evento drammatico, un evento che in seguito racconterà nella tragedia storica I Persiani, un’opera che ancora oggi viene rappresentata sui palcoscenici di tutto il mondo e che riferisce di una vicenda d’importanza e portata storica. Mai, né prima né dopo, le sorti di una battaglia sono state decise in così breve tempo e, come sostiene il filosofo Hegel, in nessun’altra occasione nella storia, la forza dell’ingegno ha superato così brillantemente la prevalenza numerica. Un risultato magnifico, senza il quale forse oggi non esisterebbe la nostra civiltà occidentale, che tuttavia poté essere realizzato soltanto grazie alla capacità dei Greci di ingannare i nemici, inducendoli a commettere un errore rivelatosi decisivo per l’esito della battaglia.

    Seguendo, a ovest di Atene, la strada per il Pireo e proseguendo ancora per dieci chilometri lungo la costa tortuosa e frastagliata, si giunge nei pressi del sobborgo di Perama, al punto più stretto tra la terraferma e l’antistante isola di Salamina. Qui si erge il monte Egaleo, dalla cui cima i turisti possono godere di una splendida vista sull’insenatura e sul mare, di un blu profondo. Il 28 settembre del 480 a.C. a godere di questo splendido panorama non è un turista, bensì un re, anzi un gran re, il «re dei re, di tutte le stirpi umane e di ogni terra lontana» che, giunto fin qui dalla lontana Persia per assistere a uno spettacolo grandioso, siede su un trono riccamente ornato. Il suo nome è Serse, figlio di Dario I.

    Egli è giunto fin qui con un grande esercito e un’imponente flotta per riscrivere la storia e vendicare la sconfitta inflitta al padre, dieci anni prima, dagli ateniesi durante la battaglia di Maratona. Vuole riuscire in qualcosa che gli permetterà di eguagliare i suoi grandi predecessori, i fondatori dell’impero, Ciro e Dario, e di avere finalmente il dominio sul mondo; ancora un ultimo colpo lo separa dal trionfo, la sconfitta di Atene sembra ormai suggellata. Serse siede sul suo trono, deciso a godersi la vittoria da un punto della costa che offre un’ottima visuale: da qui può infatti ammirare, nella luce del sole nascente, l’interminabile colonna formata dalle sue navi imponenti che, allineate in tre fitte file, avanzano da sud-est dal Golfo Saronico in direzione del porto del Pireo, spingendosi dentro la stretta striscia di mare antistante l’isola di Salamina.

    Ma cos’è accaduto in Grecia nei dieci anni successivi alla gloriosa vittoria di Milziade presso Maratona? Sembra strano, ma proprio nulla. La vita politica va avanti come se i fatti di Maratona non fossero mai accaduti e i Greci sembrano non preoccuparsi del fatto che forse le guerre contro i Persiani non sono ancora concluse. Le cose cambiano solo quando Milziade muore, in seguito a uno sfortunato attacco all’isola di Paros, e ad Atene sale al potere un uomo di quarantacinque anni di nome Temistocle. Le sue straordinarie qualità e abilità, la sua personalità di raro carisma, fortuna di Atene, emergono chiaramente quando, nella primavera del 481 a.C., iniziano a giungere dalla Persia notizie allarmanti: sembra che Serse, il gran re persiano, si prepari a invadere nuovamente la Grecia. Egli avrebbe adunato un imponente esercito con il quale intende attraversare lo stretto dei Dardanelli su due ponti di barche, accompagnato via mare da una flotta di oltre mille navi da guerra. Sembra proprio una campagna di annientamento accuratamente studiata!

    Quando un messaggero persiano, inviato del gran re, avanza «richieste di terra e acqua», Temistocle ne ordina la decapitazione: non tanto per la richiesta di sottomissione, quanto piuttosto per la presunzione di leggere il testo in greco e non nella sua lingua barbarica. Numerose città e province finiscono per assoggettarsi: l’Etolia, l’Epiro, l’Eubea settentrionale, la Locride, le isole Cicladi orientali, la Tessaglia e Tebe, nonché l’Acaia e Argo nel Peloponneso. A rispondere con un netto rifiuto è invece Atene, seguita da Sparta e dell’Elea, oltre che dalla Focide, da Tespia, Platea, Megara e dall’isola di Egina.

    Indignato da questa reazione, Serse ordina la guerra: dovrà essere una campagna trionfale alla quale lui stesso intende partecipare, pur non avendo alcuna predisposizione militare. Già i preparativi, effettuati con grande attenzione e cautela, sembrano garantire il successo; la superiorità persiana è così evidente che l’esito della grande campagna militare sembra essere deciso ancora prima del suo inizio. Tutto si svolge come in un’opera teatrale ben studiata: l’esercito di terra, forte di circa 200.000 soldati (i dati numerici variano nelle fonti antiche), si dispone immediatamente sui ponti di barche nel Bosforo, restando in costante contatto con la flotta; mentre per evitare alle navi la difficile circumnavigazione del monte Athos è stato creato un canale alternativo che attraversa la propaggine orientale della penisola Calcidica.

    Cosa fanno a questo punto i Greci? Come prima cosa, nell’autunno del 481 a.C., tutti i rappresentanti delle città alleate contro i Persiani si riuniscono a Corinto per stabilire i provvedimenti da adottare congiuntamente. Si decide così di proclamare la pace generale per editto e di mettere da parte ogni controversia interna per concentrarsi interamente sui preparativi di guerra. Un risultato senza precedenti per la Grecia, ma ora la questione è: come far fronte alla minaccia persiana?

    Sparta propone di concentrare tutte le forze militari nel nord, in modo tale da bloccare l’accesso dalla terraferma, ma Temistocle ha in mente un altro piano. Rendendosi conto che una guerra terrestre non offrirebbe alcuna possibilità di vittoria alle limitate forze greche contro la superiorità numerica dei persiani, egli avanza una nuova, quanto radicale, proposta. «Il nostro futuro è nel mare», cerca di spiegare instancabilmente ai suoi concittadini, «dobbiamo costruire le navi, e in fretta! Abbiamo bisogno di almeno duecento navi da guerra, di bacini di carenaggio e di un grande porto militare nel Pireo!». Per far questo, è necessario rinunciare ai proventi delle miniere d’argento del Laurio e sacrificare tutto il patrimonio pubblico; ogni cittadino abbiente deve inoltre provvedere alla costruzione di una nave da guerra e finanziarne personalmente l’armamento. Ogni uomo, a meno che non serva già nell’esercito, deve mettersi a disposizione come marinaio o vogatore, e il quarto stato può finalmente vedersi riconosciuto lo stato di cittadino a tutti gli effetti, un sogno a lungo nutrito!

    Gli ateniesi sono sbigottiti; la proposta di Temistocle sembra assurda. «Un folle!», esclamano ridendo gli spartani, «un vero Greco non combatte con i remi e con le vele, ma con la lancia e la spada!». Dopo aver tentato invano di convincere i suoi concittadini, Temistocle propone di fare ciò che i Greci hanno sempre fatto quando si trattava di decidere su questioni di vitale importanza: interrogare il sacro oracolo di Delfi. Il responso tuttavia non è mai stato tanto tragico e avvilente: su Atene e sull’Ellade si abbatterà una terribile disgrazia, i suoi abitanti devono lasciare il paese al più presto!

    Ma i fieri ateniesi non hanno nessuna intenzione di abbandonare la loro terra e, non contenti di questo primo vaticinio, chiedono alla Pizia, la sacerdotessa dell’oracolo di Delfi, di proferire un oracolo più benevolo in nome del dio Apollo. Un gesto davvero sfrontato cui segue un secondo responso alquanto enigmatico: «Atena non può propiziarsi Zeus Olimpio, benché lo preghi con molte parole e con astuta saggezza. A te darò questo secondo responso: quando sarà preso tutto ciò che è racchiuso fra il monte di Cecrope e i recessi del divino Citerone, l’onniveggente Zeus concede alla Tritogenia che resti intatto soltanto il muro di legno! O divina Salamina, rovinerai o farai morire figli di donne».

    Gli ateniesi cercano di interpretare l’oracolo, ma i pareri sono diversi. Mentre alcuni pensano che il muro di legno sia lo steccato di graticci che circonda l’Acropoli, altri vedono in esso una perifrasi per indicare le navi, proprio come ha suggerito Temistocle. Sì, deve essere così, l’oracolo vede l’unica possibilità di salvezza nelle navi! Chiarito il senso del responso, i Greci iniziano subito a costruire la flotta e quando, nel luglio del 480, l’esercito di Serse ha ormai raggiunto il nord della Grecia, Atene dispone di 147 navi. A queste si aggiungono quaranta navi provenienti da Corinto, venti da Megara, diciotto da Egina, dodici da Sicione, dieci da Sparta e altre da città più piccole, per un totale di 270 grandi navi pesanti.

    Per evitare che il contingente più nutrito, ovvero quello ateniese, detenga anche la massima autorità di comando, questa viene affidata allo spartano Euribiade. Egli non possiede alcuna esperienza di mare né di guerra navale, ma, fortunatamente, Temistocle viene nominato Primo Consigliere Strategico. Euribiade vuole la battaglia decisiva sulla terraferma, in particolare alle Termopili, uno stretto passaggio della Grecia centrale situato tra i monti e il mare, largo appena quindici metri e circondato da caldissime sorgenti termali sulfuree: forse è questo il luogo adatto per tentare di fermare i Persiani.

    Decisamente contrario a questa idea, Temistocle ordina agli ateniesi di abbandonare la città, lasciare la loro terra e ripiegare in altre città e sulle navi; a suo parere, lo scontro decisivo deve avvenire nella baia di Salamina. Il passo delle Termopili diviene invece lo scenario dell’eroica morte del re Leonida e di alcuni spartani nel tentativo di arginare l’avanzata dei Persiani, i quali, seguendo un sentiero di montagna segreto, riescono ad aggirare l’esercito greco e ad attaccare alle spalle gli spartani: la Grecia centrale, compresa Delfi, è ormai perduta e l’intera Attica distrutta. I Persiani prendono anche Atene ma, trovandosi di fronte a una città fantasma, Serse dà ordine di ridurla in cenere, senza risparmiare neppure l’Acropoli: sembra davvero giunta la fine della civiltà occidentale.

    Ma a questo punto i Persiani commettono un errore che risparmia ai Greci la disfatta totale. Temistocle escogita infatti uno stratagemma del tutto simile a quello con cui Odisseo riuscì a espugnare le mura di Troia e, come racconta il narratore greco Erodoto, durante la notte invia da Serse il suo schiavo Sicinno, il quale propone di aprire delle trattative segrete per la resa, facendo credere al re persiano che la flotta greca si sia divisa e che una parte di essa stia fuggendo in direzione nord. L’obiettivo del geniale piano è quello di attirare la flotta persiana nel ristretto spazio della baia di Salamina, dove le lente navi greche hanno maggiori possibilità di riportare una vittoria sulle numerose imbarcazioni nemiche, che, al contrario, in mare aperto potrebbero accerchiare con maggiore facilità le poche navi greche, mettendole fuori combattimento.

    L’ingenuo re persiano non resiste alla tentazione e, credendo alla notizia dello scioglimento e della fuga della flotta greca, cade nella trappola. Ma pagherà caro questo errore. Convinto che le navi greche abbiano lasciato la baia di Salamina, egli non dà ascolto ai suoi ammiragli e, spinto dal desiderio di vincere la guerra e regnare per sempre sull’intera penisola greca, ordina ai suoi uomini di seguire e annientare le navi nemiche. La mattina del 28 settembre del 480 a.C. la flotta persiana giunge nella baia di Salamina: ad attenderla sulla costa orientale dell’isola, nel punto più stretto dell’insenatura, ci sono le navi greche, pronte a lottare fino all’ultimo uomo, mentre Serse, seduto sul suo trono, ammira le imponenti navi che avanzano in formazione di battaglia.

    È proprio questo il momento tanto atteso da Temistocle, che si trova a bordo della nave ammiraglia. Le navi greche, uscite improvvisamente allo scoperto, sferrano un violento, quanto inaspettato, attacco nel fianco dell’avversario: le massicce navi da guerra, dotate di speroni rinforzati a prua, incalzano e affondano le navi persiane della prima linea, mentre le unità retrostanti, non avendo spazio di manovra, urtano l’una con l’altra affondandosi a vicenda. Serse balza in piedi furibondo: la netta superiorità numerica delle navi persiane avrebbe dovuto garantire non solo la vittoria sui Greci ma anche la loro distruzione! Per quanto gli esperti marinai persiani combattano con grande abilità e valore, molti rimangono uccisi e, nel giro di poco tempo, il mare si tinge di un rosso sangue e si cosparge dei resti delle navi.

    Verso mezzogiorno, secondo il piano e le previsioni di Temistocle, si alza il vento: la brezza si trasforma in una leggera burrasca e il mare agitato, con onde sempre più alte, mette in difficoltà i rematori della squadra persiana, mentre per le navi greche, più basse e piatte, il mare grosso non rappresenta un problema. Le navi persiane iniziano ad affondare una dopo l’altra e quando alcune di esse tentano di sospendere la battaglia e fuggire dalla baia, queste vengono fermate dai Greci. Dopo dodici ore di combattimenti, la baia si trasforma nel cimitero della più grande flotta che il mondo abbia mai visto fino a questo momento: sul fondo del mare rimangono circa 100.000 soldati persiani e numerose navi, contro le quaranta perse dai Greci.

    Ecco come Eschilo descrive la fine della terribile giornata di battaglia: «Sono piene di morti sventuratu le coste a Salamina, e i luoghi intorno. [...] Ahi Salamina, suono di dolore. ahi Atene, ricordo di lamento!». I Greci hanno vinto e Serse si ritira con il proprio esercito. Simulando la fuga, Davide ha sconfitto Golia. Se lo stratagemma non avesse funzionato e Serse non fosse incorso in errore, molto probabilmente la Grecia sarebbe caduta sotto il dominio persiano e non ci sarebbe mai stato un Alessandro Magno, né una civiltà ellenica conosciuta in tutto il mondo. Temistocle viene celebrato come il salvatore della patria e la notizia della vittoria presso la baia di Salamina fa subito il giro di tutto il Paese: la battaglia di Salamina non rappresenta solo la sconfitta della flotta persiana, ma anche la fine di un progetto più ampio, ovvero quello di fondare un impero mondiale.

    La battaglia di Gaugamela

    (sul Tigri, 1 ottobre 331 a.C.)

    Incredibile, ha osato! Alessandro, con il suo piccolo esercito di appena 35.000 fanti e 7000 cavalieri, avanza davvero verso il cuore dell’Impero Persiano. Non contento delle vittorie riportate presso il fiume Granico e, due anni prima, anche nella battaglia di Isso contro il gran re Dario, ora si spinge nell’enorme territorio dell’Impero Persiano, attraversando i caldi e aridi territori desertici e stepposi della Mesopotamia, oltrepassando, il 19 settembre del 331 a.C., l’impetuoso Tigri alla volta dell’esercito persiano. Alessandro, forte degli incredibili successi fino ad allora riportati, cerca la battaglia decisiva, un eroico scontro tra lui e Dario, tra l’Ellade e l’Asia; egli si considera il discendente dei grandi eroi della leggenda greca, dunque al pari di Ercole e Achille. Alla proposta di pace e alleanza avanzata da Dario, il quale gli ha offerto la metà del suo impero fino all’Eufrate, compreso l’Egitto, nonché la mano della figlia, il fiero conquistatore risponde con un netto rifiuto e sostiene di essere lui il signore dell’Asia: se Dario non è disposto a riconoscerlo, dovrà scontrarsi con lui.

    Dario sa bene che è in gioco tutto, ma lui, re dei re, signore del mondo, ora non ha altra scelta se non quella di sconfiggere l’arrogante invasore. Dispone così i preparativi per la battaglia e lo schieramento di un esercito colossale, una forza militare straordinaria che riunisce truppe provenienti da ogni parte dei territori dell’impero a est dell’Eufrate, fino al lontano fiume Indo, per un totale di ventiquattro Paesi diversi. Si tratta del più imponente esercito messo in campo dalla Persia, tra le sue file si trovano anche le unità mercenarie degli opliti greci, oltre ai carri da guerra dotati di speroni alle ruote e alle terribili truppe scelte che formano la Guardia Reale. Gli esperti cavalieri medi e persiani su cavalli corazzati, i Cappadoci e gli Armeni dall’Anatolia, i Parti dal mar Caspio e i valorosi Battriani e Sogdiani, provenienti dalle steppe a nord dell’Hiundukush, formano una potente cavalleria, alla quale si aggiungono anche le truppe alleate, gli esperti cavalieri nomadi scitici del deserto dell’Asia centrale armati di archi e lance da punta e da tiro, nonché gli indiani del Punjab con gli elefanti da guerra.

    Il gran re Dario III ha riunito sotto il proprio comando supremo i migliori condottieri e comandanti dell’impero, affidando a Besso, satrapo di Battriana, e a Mazeo, satrapo di Siria, il comando delle due ali, per un totale di 200.000 soldati e 40.000 cavalieri, schierati nella vasta pianura a est del Tigri presso il villaggio di Gaugamela e pronti ad annientare, fino all’ultimo uomo, l’esercito macedone. Dario è certo di vincere: oltre al vantaggio numerico (l’esercito persiano è sette volte superiore a quello avversario), i Persiani possono contare su un campo di battaglia scelto con grande attenzione e preparato per lo scontro. La vasta superficie pianeggiante permetterà infatti di sfruttare al meglio la superiorità numerica, soprattutto della cavalleria, e offrirà ai terribili carri falcati lo spazio di manovra necessario. Rimane soltanto un dubbio: dopo essersi spinto all’interno del Paese, il nemico giungerà sin qui?

    Alessandro arriva ad appena undici chilometri di distanza dallo sterminato esercito persiano, ma le catene montuose che circondano la zona ne impediscono ancora la vista. Il 30 settembre del 331 a.C. scorge finalmente lo schieramento dei Persiani, disposto su una superficie di sedici chilometri quadrati su un campo di battaglia pianeggiante e dunque favorevole all’avversario. Oltre all’impressionante superiorità numerica, egli individua anche il piano nemico che, pur essendo stato studiato nei minimi dettagli, rivela il suo obiettivo: l’accerchiamento dell’esercito di Alessandro per mezzo della cavalleria. È evidente che il punto forte è rappresentato dall’ala destra, dove sono schierati 9000 cavalieri battriani, più dell’intera cavalleria macedone. A questo punto, Alessandro sorprende i Persiani e, invece di attaccare, prende tempo per studiare attentamente, insieme ad ai suoi generali, il terreno e lo schieramento avversario. Il primo vantaggio per lui è rappresentato dall’iniziativa. Mentre i Persiani hanno infatti scelto il campo di battaglia, a lui spetta ora la prima mossa e l’attesa costringe l’immenso esercito persiano a trascorrere la notte del 1 ottobre in stato di allerta e in posizione di combattimento, cosa che fiacca i soldati ancora prima della battaglia. Le truppe macedoni possono invece concedersi una notte di riposo e lo stesso Alessandro dorme tanto profondamente da svegliarsi a fatica il mattino seguente.

    Egli dispone di appena 40.000 fanti e 7000 cavalieri, ma è l’esercito più forte che abbia mai condotto fino a questo momento. Sulla base dell’ormai chiaro piano del nemico, Alessandro ha scelto una posizione difensiva, concentrando, come ha fatto il nemico, la cavalleria sulle ali. Il comando dell’ala sinistra, il punto forte dello schieramento, viene affidato all’anziano generale Parmenione, che ha già dimostrato le sue abilità sotto il re Filippo: sotto il suo comando si trovano anche i valorosi cavalieri delle pianure della Tessaglia, che, come altri stati greci, hanno aderito alla Lega corinzia. A guidare la cavalleria dell’ala destra è il generale Filotas, protetto davanti dai lanciatori di giavellotto e da metà degli arcieri macedoni. Al centro dello schieramento, Alessandro allinea i sei battaglioni della temibile falange e dietro il fronte di battaglia colloca una seconda falange di opliti greci. Il compito di questi soldati di fanteria con armatura pesante, in caso di accerchiamento, è quello di fare dietro front, difendersi in direzione opposta e preparare il contrattacco: un piano originale e molto duttile mai adottato prima d’ora nella storia militare, ma che rivela ottime capacità di

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1