Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Come riconoscere uno stronzo al primo sguardo
Come riconoscere uno stronzo al primo sguardo
Come riconoscere uno stronzo al primo sguardo
Ebook353 pages4 hours

Come riconoscere uno stronzo al primo sguardo

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Tutti i segreti e le tattiche per riconoscere il pericolo e anticipare il nemico

Anticipa il tuo nemico!

Il mondo è pieno di gente egoista e senza scrupoli, pronta ad approfittare di ogni occasione per avere la meglio sugli altri. Tratto saliente di questa categoria di persone è la falsità, lo strumento che utilizzano maggiormente è la menzogna. Al lavoro, ma anche in tutte le altre occasioni della vita quotidiana, è importante difendersi. E per farlo l’unica vera tattica di successo è individuare lo stronzo fin dal primo sguardo e stargli alla larga, prima che riesca a rovinarvi. Attraverso lo studio del linguaggio del corpo, questo manuale vi permetterà di individuare le caratteristiche psicologiche e i comportamenti dello stronzo “tipo”: un’arma essenziale per prendere in mano la situazione e sfuggire al pericolo!

«L’autore aiuta il lettore a capire, osservando i suoi interlocutori, se mentono o si sentono a disagio. O anche se tentano di sedurre.»

la Repubblica

Francesco Di Fant

è nato a Roma nel 1978, si è laureato in Scienze della comunicazione ed è un esperto di comunicazione non verbale e linguaggio del corpo. Consulente e formatore per anni presso grandi aziende nazionali e internazionali, insegna e pubblica articoli sulla comunicazione non verbale e collabora con diversi programmi televisivi e radiofonici. Con la Newton Compton ha pubblicato I segreti per parlare e capire il linguaggio del corpo, 101 cose da sapere sul linguaggio segreto del corpo e Come riconoscere uno stronzo al primo sguardo.
LanguageItaliano
Release dateNov 4, 2014
ISBN9788854170681
Come riconoscere uno stronzo al primo sguardo

Related to Come riconoscere uno stronzo al primo sguardo

Titles in the series (100)

View More

Related ebooks

Self-Improvement For You

View More

Related articles

Reviews for Come riconoscere uno stronzo al primo sguardo

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Come riconoscere uno stronzo al primo sguardo - Francesco Di Fant

    213

    Illustrazioni: Sergio Algozzino

    Prima edizione ebook: novembre 2014

    © 2014 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-7068-1

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Copertina: Alessandra Sabatini

    Immagine: © Shutterstock.com

    Francesco Di Fant

    Come riconoscere uno stronzo al primo sguardo

    Tutti i segreti e le tattiche per riconoscere il pericolo e anticipare il nemico

    Introduzione

    Come diceva Zarathustra, nella vita, che tu cammini e ti muovi, o ti siedi e lo aspetti, prima o poi uno stronzo lo incontri.

    Paolo Rossi, Si fa presto a dire pirla

    Prima o poi, uno stronzo, arriva. L’importante è riconoscerlo prima che possa compiere danni!

    In assenza di una specifica tecnologia dedicata all’identificazione di tali individui, che i più educati chiamano arroganti, i più disinvolti semplicemente stronzi, la via più efficace per difendersi è la conoscenza. Lo studio delle caratteristiche psicologiche e comportamentali degli stronzi può risultare molto utile, soprattutto per coloro che vogliono prendere in mano la situazione e arginarli, almeno nella propria vita.

    Stronzi si nasce o si diventa? Questa domanda verrà esplorata a più riprese nel corso del libro e la risposta si arricchirà via via con l’esame dei diversi aspetti ed elementi propri della stronzaggine umana.

    La prima cosa da fare è una bella distinzione: tra chi è stronzo e chi fa lo stronzo (useremo spesso il genere maschile solo per comodità, nessuna si senta esclusa). L’essere stronzo può rappresentare una condizione cronica, permanente, una tara genetica che accompagna l’individuo per tutta la vita: tentare di cambiare un tale personaggio è un’impresa titanica, molto spesso destinata a fallire.

    Chi invece si comporta da stronzo ha sicuramente più attenuanti. Magari non è una persona cattiva, ma gli eventi della vita e/o l’ambiente l’hanno spinto ad assumere un atteggiamento difensivo, che può rappresentare una condizione momentanea. In fondo, fare una grossa stronzata prima o poi capita davvero a tutti, almeno una volta nella vita.

    Poiché noi vediamo e subiamo solamente i comportamenti dello stronzo, capire chi ci è e chi invece ci fa è il primo scoglio da superare! Certo non dobbiamo dimenticare, poi, che esiste anche la categoria dello stronzo casuale, ovvero colui che incrocia il nostro cammino, magari di sfuggita, solo per il tempo necessario a farsi disprezzare.

    La linea di confine tra le varie tipologie di stronzi è molto sottile: c’è chi si pone in maniera sgradevole perché sta attraversando un periodo problematico o stressante, chi si comporta da stronzo senza neanche rendersene conto e, infine, l’osso duro, vero e proprio stronzo da sempre, coerente e fedele alla linea, che andrebbe quasi salvaguardato e additato come esempio alle future generazioni.

    In generale, comunque, il comportamento dello stronzo, per ragioni di brevità e precisione linguistica, verrà indicato col termine di stronzaggine.

    Ma in cosa consiste la stronzaggine?

    Chi parla ad alta voce su un treno può definirsi maleducato, ma non un vero stronzo (a meno che non ci infastidisca per tutta la durata del viaggio!). Chi nel traffico non mette la freccia ci può irritare, ma anche qui in fin dei conti si parla solo di disattenzione e di scarsa conoscenza delle strade!

    I piccoli e inconsapevoli gesti quotidiani che danno fastidio non sono paragonabili ai veri comportamenti da stronzo, che invece sono riconducibili alla presunzione di superiorità che alcune persone nutrono nei confronti degli altri. Resti ben inteso che uno stronzo può far pesare la sua presunta superiorità anche quando non ne avrebbe proprio motivo! Mi spiego meglio: ci sono stronzi che ostentano con poca eleganza i propri trionfi ma sono realmente persone di successo; altri invece, chiacchieroni di poco valore, millantano una superiorità che non ha proprio nulla di reale.

    Il vero stronzo ha visione e savoir-faire, è furbo e saccente. Ha un ego smisurato e non si fa scrupoli. Negli anni, per mettersi in mostra, ha imparato addirittura a utilizzare la tecnologia!

    Il suo atteggiamento da so tutto io si è modificato nel corso del tempo e oggi si nutre della cultura nozionistica di internet, superficiale e a portata di clic, che però permette di millantare un sapere sconfinato.

    Gli stronzi, poi, incarnano l’eccesso: c’è chi esagera con l’aggressività, chi con la confidenza, chi è troppo zelante e chi è troppo confusionario. Di certo non c’è bisogno di essere un maestro zen per capire che ciò che non è equilibrato porta, nel breve o nel lungo periodo, a degli effetti negativi su se stessi e su chi ci circonda.

    Poi ci sono gli stronzi pericolosi, quelli più dannosi per la salute fisica e mentale degli altri. In questa categoria rientrano tutti coloro che si comportano male per ottenere un vantaggio, reale o potenziale. Ci sono stronzi che usano abitualmente l’inganno o la violenza, fisica o psicologica, per sopraffare il prossimo, come se fosse per loro l’unico modo di ottenere ciò che desiderano nella vita.

    Alcuni, i più sfortunati, soffrono di patologie psicologiche che li portano ad avere problemi relazionali; altri, i più lucidi, sono consapevoli delle proprie azioni malvagie. Alcune pagine di questo libro saranno dedicate al riconoscimento e alla corretta gestione di queste mine vaganti per la società.

    Va poi citata la stronzaggine da omissione, che è strettamente legata al tema dell’inganno. Una persona può comportarsi da stronzo anche solo omettendo di riferirci informazioni importanti o utili per noi, o evitando di agire in prima persona per prestarci aiuto. Se, ad esempio, un collega di lavoro non vi avverte di una riunione importante, al fine di mettervi in cattiva luce agli occhi del vostro capo, non ci sono dubbi: si sta comportando da stronzo.

    Proseguendo nella carrellata, ci sono gli stronzi simpatici, tutto sommato innocui, che usano l’ironia o il sarcasmo per strappare una risata agli amici, prendendo però di mira qualcuno senza curarsi del fatto che lo stanno offendendo.

    Gli stronzi, solitamente, sono anche autoironici; prendono in giro se stessi soprattutto per far sorridere gli altri e solo in seconda battuta per divertirsi. Necessitano di un ambiente rilassato e allegro per poter esprimersi e funzionare al meglio. Questo bisogno di un clima sociale confortevole può essere ricondotto a diversi fattori, tra cui l’incapacità di gestire situazioni di tensione, l’insicurezza, l’esigenza continua di far battute per sentirsi apprezzati ed evitare che altri abbiano pensieri negativi nei loro confronti.

    L’ironia è da sempre considerata un indicatore sintomatico d’intelligenza: spesso lo stronzo simpatico cambia la vittima delle proprie frecciatine proprio per non creare dei capri espiatori riconoscibili. È ben attento a coinvolgere diverse persone nelle sue battute e al tempo stesso presta attenzione a mantenere buone relazioni con tutti, mostrandosi positivo e disponibile al di là delle battute al vetriolo.

    Un’altra categoria è quella degli stronzi inconsapevoli, che possono essere o totalmente impermeabili alle emozioni, sembrando quasi anaffettivi, o in possesso di scarsa intelligenza sociale o emotiva, cosa che li induce continuamente a travisare situazioni e ad adottare comportamenti inappropriati.

    Nel primo caso abbiamo una persona che agisce come un automa, un lucido calcolatore che non esita a passare sui sentimenti altrui per fare ciò che ritiene più vantaggioso per sé. Alcuni si comportano così fin da bambini, vengono educati in tal modo dalla famiglia; altri, invece, con il tempo e spesso a forza di bastonate sviluppano un’impenetrabile corazza nei confronti del mondo che li circonda.

    Nel secondo caso siamo invece in presenza di persone con limitato acume intellettuale e scarse capacità relazionali, che, vivendo sull’onda di emozioni e istinti, difficilmente si rendono conto degli effetti del proprio operato sugli altri.

    Dopo questa rapida rassegna delle possibili tipologie di stronzo, senza alcuna pretesa di esaustività, è utile individuare i luoghi tipici in cui più spesso si rischia di incontrare tali individui.

    «La madre dei cretini è sempre incinta», recita un detto popolare, quindi si può trovare uno stronzo dietro ogni angolo: la società stessa sembra essere una fabbrica di stronzi molto produttiva e sempre in funzione. Dentro ogni casa, ufficio, bar o piazza le possibilità che l’ambiente ci induca a comportarci da stronzi sono tante e di varia natura. La vox populi ci dice anche che «L’occasione fa l’uomo ladro»: persino la persona più corretta può essere indotta in tentazione in circostanze particolari. È la società stessa a effettuare una specifica riproduzione culturale, in cui vengono plasmati pensieri e atteggiamenti della massa.

    Esistono culture più socievoli e inclini alla collaborazione, come ad esempio quelle africane, mentre altre sono più dure e aggressive, come alcune del Sud America; vivere in un contesto piuttosto che in un altro determina una specifica visione del mondo e una particolare educazione di base, funzionale alla sopravvivenza fisica e psicologica all’interno della società.

    Proviamo a spostarci in alcuni luoghi che pullulano di stronzaggine umana: una fabbrica degli stronzi per eccellenza sono gli ambienti di lavoro.

    Dall’azienda più grande alla più piccola attività lavorativa, la collaborazione forzata tra esseri umani è un dramma che attanaglia da sempre la nostra specie, da quando i primi uomini, ricoperti da poche foglie sull’inguine, si guardarono negli occhi per affrontare insieme la prima caccia al mammut.

    Sul luogo di lavoro generalmente si privilegia il risultato, la cosiddetta performance, invece delle relazioni umane, anche se nella mission (le intenzioni dichiarate) delle imprese viene spesso enfatizzata la centralità del fattore umano, come a voler rassicurare i dipendenti sul fatto che l’azienda, come una mamma, li coccola e provvede ai loro bisogni, facendoli crescere professionalmente e umanamente.

    Molte volte, però, tali nobili intenzioni rimangono solo belle parole: la gestione quotidiana delle persone e della qualità delle loro relazioni è un’altra cosa. Sul posto di lavoro si è spesso sottoposti a forti pressioni psicologiche. Facilitare lo sviluppo di buoni rapporti tra capi e collaboratori, nonché tra colleghi, è impresa complessa.

    Verrebbe a questo punto da chiedersi se la stronzaggine sia una caratteristica intrinseca della nostra specie; sicuramente nei bambini una certa dose di cattiveria ed egoismo è palese e ben visibile. I bambini sono molto spontanei, sinceri e in alcuni casi abbastanza stronzi. Spesso di qualcuno che non usa la ragione si dice appunto che si comporta come un bambino.

    Nella loro incoscienza e innocenza i piccoli agiscono con un’immediatezza e una naturalezza disarmanti, felici di esibirsi, di fare i capricci, di vantarsi, di essere egoisti e di parteggiare per i più forti. I bambini tendono a mentire per avere piccoli e grandi vantaggi e gratificazioni, senza mostrare rispetto per il mondo dei grandi, ma seguendo istintivamente solo le regole del loro microcosmo.

    Si potrebbe quasi dire, allora, che si nasce stronzi e che con il tempo e l’educazione si diventa uomini adatti a vivere in una società regolata. È vero che il cervello umano impiega molto tempo a svilupparsi; forse è anche questo il motivo per cui i nostri piccoli non sono capaci di governare appieno i propri impulsi fino a una certa età, quando sviluppano capacità cognitive adeguate.

    Insomma, Come riconoscere uno stronzo al primo sguardo vi insegnerà proprio quello che promette già dal titolo… e anche la cosa più importante: come sconfiggerli, gli stronzi!

    La prima sezione, Conoscerli per riconoscerli, introduce il lettore nel mondo degli stronzi attraverso una loro analisi psicologica e sociologica, dall’alba del genere umano a oggi, cercando di approfondire perché il seme della stronzaggine è presente nel nostro patrimonio genetico e come la stronzaggine sia particolarmente evidente in alcune categorie di persone.

    La seconda, Stronzi e stronze: differenze di genere, si propone di far luce sugli aspetti peculiari dell’uomo e della donna, dando consigli a entrambi su come capire e gestire l’altro. Per quanto per tutti noi l’altro sesso rimane sempre un mistero più o meno insondabile, la natura ci ha creati diversi ma complementari: conoscere le differenze e le somiglianze può aiutarci ad andare d’accordo e a riconoscere in tempo se il nostro partner è un vero stronzo oppure no.

    La terza sezione, Un mondo di bugie, è interamente dedicata alla menzogna in quanto modalità d’interazione principale della maggioranza degli stronzi. In questa parte del libro si analizzano la psicologia del bugiardo e il meccanismo della menzogna, dotando il lettore di strumenti concreti da utilizzare nelle diverse occasioni per difendersi dalle bugie di uno stronzo, o addirittura contrattaccare con le sue stesse armi.

    L’ultima sezione si chiama Stronzi al lavoro ed è dedicata a tutti coloro che si confrontano, spesso ogni giorno e in maniera quasi inevitabile, con qualche stronzo sul posto di lavoro. Contiene consigli per vivere meglio ogni singolo giorno di lavoro insieme a persone non sempre disponibili e gentili. Dopo un’iniziale analisi delle particolarità dell’ambiente lavorativo, verranno illustrati diversi profili di stronzo (dal collega asfissiante fino al capo terribile) e saranno messi in evidenza gli strumenti per fronteggiarli.

    Alla fine di ogni capitolo è presente una scheda che evidenzia i punti salienti da ricordare, per dotare il lettore di un comodo riassunto fruibile in pochi istanti.

    L’augurio è che riusciate ad allontanare o, almeno, a gestire in maniera pacifica gli stronzi che sono parte integrante della vostra vita. Attenzione a non cadere, però, nel tranello di rispondere con la stessa moneta. Non fate il loro stesso gioco troppo a lungo.

    «Meglio arrogante che arreso», ha detto Matteo Renzi in una dichiarazione pubblica, sdoganando, di fatto, l’aggressività come strumento di dialogo, per lo meno politico.

    Forse una buona dose di stronzaggine, a volte, può davvero aprirvi la strada e aiutarvi ad arginare i vostri interlocutori… ma occhio a non esagerare.

    Buona lettura!

    04.tif

    CONOSCERLI PER RICONOSCERLI

    01.tif

    1

    Psicologia e biologia dello stronzo

    Come riconoscere uno stronzo? Prima di approfondire il tema e risalire alla fonte della stronzaggine umana, delimitandone i confini, cerchiamo di dare una definizione quanto più precisa del termine. In questo compito ci viene in aiuto il dizionario online della Treccani:

    Strónzo s. m. [dal longob. *strunz «sterco»] sec.

    XV

    1. Massa fecale solida di forma cilindrica; 2. (f. -a) Volgare epiteto ingiurioso, la cui connotazione offensiva si è andata via via riducendo con il tempo, fino a significare, genericamente, «persona inetta e incapace, o che comunque si comporta in modo criticabile».

    Allo stesso modo, facciamo luce sull’etimologia della stronzaggine, la vera linfa vitale dello stronzo:

    Stronzaggine: caratteristica di chi è privo di scrupoli. Infamia.

    Vivere da soli è sicuramente triste, ma stare insieme non è quasi mai semplice e richiede uno sforzo da parte di tutti. Il rapporto con il nostro partner, e per estensione con un’intera città, si basa su un delicato equilibrio tra il nostro spazio privato e quello dell’altro: un problema che tutti affrontiamo quotidianamente.

    Tirando in ballo il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, il vivere sociale ogni giorno ci propone il dilemma del porcospino: il filosofo, con un pizzico di pessimismo, vede l’uomo come un porcospino, animale solitario che non ama particolarmente il gruppo e la compagnia.

    Qualora il porcospino dovesse avvicinarsi ad altri suoi simili per scaldarsi, dovrebbe fare molta attenzione a rimanere a distanza adeguata, per non ferirsi a vicenda con gli aculei lunghi e appuntiti.

    La posizione di partenza in questo caso è pessimistica, l’uomo è visto come pericoloso per natura e deve cercare di limitare l’interazione sociale, per non ferire ed essere ferito a sua volta. Da questo punto di vista il problema è come gestire l’avvicinamento verso altri esseri umani, come fosse uno sforzo immenso, una brutta gatta da pelare.

    Troppo pessimismo? Forse, se consideriamo che Schopenhauer era tedesco e, si sa, non è che sia il popolo più caloroso del mondo; inoltre nel 1800 la società non doveva essere così permissiva e sensibile alle politiche sociali da instillare nel filosofo una visione positiva della natura umana.

    Anche senza buttarsi su posizioni pessimistiche, sicuramente comprendiamo che non è facile stare insieme con altri esseri umani: ognuno ha le sue necessità, le sue speranze e le sue paure. Ma è possibile classificare le reali necessità di un essere umano? Sapere ciò di cui un uomo ha maggiormente bisogno può essere interessante per capire quali sono i bisogni più importanti e quelli secondari.

    Una classificazione l’ha proposta Abraham Maslow, uno psicologo americano che nel 1954 classificò le priorità dei bisogni umani rappresentandoli come una piramide: alla base ci sono quelli primari, legati alla fisiologia e alla sopravvivenza, mentre in cima quelli meno urgenti, legati all’autorealizzazione e alla piena soddisfazione psicologica dell’individuo.

    Al gradino più basso della scala di Maslow ci sono quindi bisogni quali nutrirsi, riposare, scaldarsi, liberarsi degli escrementi, fare sesso. Queste necessità sono degli imperativi biologici: la nostra biologia ci spinge a svolgere tali funzioni necessarie alla sopravvivenza e alla riproduzione.

    Salendo di un livello troviamo i bisogni di sicurezza e di protezione, personale e dei propri cari. Per soddisfarli dobbiamo avere un tetto sopra la testa, essere in salute, avere la possibilità di lavorare e sostentarci in maniera autonoma, vivere in un luogo tranquillo, senza pericoli e così via.

    A metà della scala, al terzo gradino, ci sono i bisogni di appartenenza. Tutti gli esseri umani, una volta che hanno la pancia piena e sono al sicuro, cercano relazioni appaganti. Intrecciare nuove amicizie e prendersi cura dei propri cari è importante, così come avere un soddisfacente rapporto con il proprio partner.

    Al quarto gradino troviamo la stima. Attraverso la realizzazione sociale, il rispetto reciproco tra individui, l’autostima e l’autocontrollo ci inseriamo in un tessuto sociale che riconosce il nostro valore.

    In cima alla piramide c’è il bisogno di autorealizzazione. Tale bisogno è sicuramente il più effimero, essendo all’opposto dei bisogni fisiologici, eppure quando un essere umano ha scalato i primi quattro gradini si trova nella posizione per ambire alla sua piena realizzazione da un punto di vista fisico e psicosociale. Ci sentiamo davvero realizzati quando siamo a posto con la coscienza e con la nostra moralità, quando abbiamo la possibilità di esprimere la nostra creatività, quando ci liberiamo da vincoli comportandoci in modo spontaneo, non abbiamo pregiudizi nei confronti altrui e siamo capaci di comprendere e accettare chi è diverso da noi.

    Chi raggiunge la vetta nella propria vita, riuscendo a soddisfare tutti i bisogni partendo dal gradino più basso, può considerarsi una persona molto fortunata: non sono molti quelli che ce la fanno. La ricompensa è molto simile a un paradiso in Terra.

    Spesso però basta che uno solo dei bisogni più urgenti e basilari non venga soddisfatto per mettere a rischio anche ciò che si è raggiunto ai livelli superiori. Per esempio, pensiamo a un uomo affamato in tempo di guerra: difficilmente sarà interessato all’autostima o alla possibilità di esprimere la propria creatività. Penserà a sopravvivere, a trovare riparo e qualcosa da mangiare.

    I bisogni più alti della scala di Maslow vengono raggiunti quando intorno all’individuo c’è una società progredita e pronta a supportarlo. È poi importante che non ci si trovi in mezzo a un conflitto. Di fronte alla guerra l’uomo perde i suoi tratti umani e si trasforma in un animale, uccidendo, scappando e rubando.

    Di certo è difficile affermare che l’uomo sia una creatura pacifica. I risultati del suo operato sono sotto gli occhi di tutti: nei confronti della natura con l’avvelenamento del pianeta, nei confronti degli altri uomini con guerre, violenza e soprusi di ogni sorta.

    Lo scrittore statunitense Mark Twain affermava: «Tra tutti gli animali l’uomo è il più crudele. È l’unico a infliggere dolore per il piacere di farlo».

    La natura umana è complessa, ambigua. Gli animali, così come la natura in generale, possono essere violenti e sanguinari, la lotta per la sopravvivenza li spinge a combattere continuamente fra loro; nessun animale però si sognerebbe di infierire su un altro animale come atto gratuito di crudeltà. Possono uccidere e sopraffare altri membri della propria specie per stabilire una gerarchia, ma non uccidono o torturano altri animali per il semplice gusto di farlo. È vero che i gatti, solo per fare un esempio, uccidono uccellini o topolini anche se hanno appena mangiato. Ma c’è una ragione: alcuni animali hanno un circuito motivazionale legato alla caccia, che è indipendente dal circuito motivazionale che li spinge alla ricerca di cibo. Il loro istinto li spinge naturalmente all’attività venatoria, al di là della sola finalità di sfamarsi.

    L’uomo, con il suo cervello e il suo delicato equilibrio psicologico, è una creatura che può provare emozioni contrastanti, con livelli di pensiero diversi e anche opposti tra loro.

    In tedesco esiste una parola, Schadenfreude, che indica il godere delle disgrazie altrui. È composta dai due termini Schaden (danno) e Freude (gioia). Tale inclinazione umana può essere considerata come l’opposto dell’empatia e si riscontra spesso nelle persone con una bassa autostima. Solitamente chi è poco soddisfatto di se stesso prova piacere nel sentirsi migliore attraverso la svalutazione degli altri.

    Anche nei bambini è presente questo meccanismo di compensazione, dovuto all’incompleto sviluppo dei freni inibitori e delle strutture mentali. I bambini hanno meno risorse di un adulto per contrastare un’ingiustizia, il che facilita ulteriormente questo tipo di reazione psicologica. È una miscela pericolosa di insoddisfazione, rancore e crudeltà, che a volte viene mascherata e veicolata come sete di giustizia sociale.

    Eppure fa parte della natura umana. Capita più spesso quando le vittime degli eventi sono persone che stanno meglio di noi. Se a cadere vittime del fato sono persone teoricamente felici la nostra soddisfazione è maggiore. Più sono ricche e potenti più siamo contenti. Sembra abbastanza facile provare quest’emozione nei nostri complessi tempi moderni: la corruzione e l’ingiustizia dilaganti nel mondo ci spaventano e ci addolorano al tempo stesso, dando vita a un mix di ansia e di voglia di rivalsa.

    Tale fenomeno di compensazione psicologica, che spinge a vedere un bilanciamento del fato rispetto alla propria dolorosa condizione, può capitare più o meno a tutti, prima o poi. Non bisogna necessariamente sentirsi dei mostri: sarebbe più utile accettare e capire tale sensazione per comprendere meglio cosa ci manca, cosa ci frustra nella nostra vita quotidiana, e per trovare attivamente rimedio.

    Lo scienziato Hidehiko Takahashi ha compiuto degli studi approfonditi su questo particolare fenomeno usando lo strumento della risonanza magnetica funzionale. È stato rilevato che quando si prova invidia per il successo di qualcuno viene attivata la corteccia cingolata anteriore, che fa parte del circuito neurale del dolore. Al contrario, quando si è felici delle sfortune degli altri si attiva lo striato, il quale fa parte del circuito della ricompensa. È interessante notare che quest’ultimo circuito provoca piacere attraverso il rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore che svolge numerose funzioni, tra cui quella di influenzare l’umore e provare piacere. È esattamente quello che succede quando facciamo attività piacevoli o ci concediamo vizi gratificanti. Il cioccolato, ad esempio, è un grande alleato nella produzione di dopamina (e questo spiegherebbe il perché tante persone ne siano ghiotte).

    I soggetti che provano maggiore sofferenza a causa dell’invidia provano sensazioni più intense di gioia grazie alla Schaudenfreude. L’invidioso prova un senso di impotenza, non crede di essere in grado di raggiungere alcuni obiettivi e reagisce liberandosi di questa pressione quando vede il fallimento negli altri. Quando non riusciamo a raggiungere il successo, per incapacità o sfortuna, la frustrazione ci spinge a cercare una compensazione psicologica, un riequilibrio della situazione attraverso un meccanismo di distruzione simbolica o materiale dell’altro.

    Anche gli scimpanzé si ribellano di fronte a ingiustizie o comportamenti considerati scorretti; ad esempio, se dopo lo svolgimento di un compito uno scimpanzé vede che a un altro viene data una ricompensa migliore, rifiuterà la ricompensa iniziale e cercherà di ottenere un trattamento paritario.

    Il cervello umano elabora le esperienze fisiche e materiali in modo molto simile alle esperienze simboliche e sociali. L’invidia è più legata alla diseguaglianza che all’ingiustizia.

    Una situazione di disuguaglianza oggettiva rispetto a qualcuno che è migliore di noi, anche se provocata esclusivamente dal nostro scarso impegno, provoca questo tipo di reazione psicologica. Il problema è che non sempre siamo disposti ad ammettere i nostri limiti e le nostre debolezze. È più facile gioire delle disgrazie altrui. Tale comportamento può diventare un’abitudine: finiamo per crederci veramente e non ci rendiamo conto del problema.

    L’invidia è davvero una brutta bestia e ora ne abbiamo le prove scientifiche: non a caso rientra tra i sette vizi capitali della tradizione religiosa cristiana. Alla diffusione dell’invidia hanno contribuito, in maniera più o meno diretta e consapevole, i mass media e le tecnologie globali di comunicazione, che hanno aperto le finestre dell’informazione su mondi lontani.

    Se fino

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1