Le finte bionde
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Chi sono le finte bionde? Platinate, mesciate, cotonate, altoborghesi ma cafonissime, sono dedite alla chiacchiera da parrucchiere e al gossip delle riviste patinate, non disdegnano però il racconto delle corna del marito (altrui). E stranamente – in un Paese che per tradizione vede nelle chiome scure il simbolo della bellezza mediterranea – le finte bionde impazzano. Schiave del rito quasi settimanale della decolorazione, si ritrovano non solo dai guru del capello, ma ovunque ci sia il bisogno di farsi notare: in palestra, nei salotti borghesi, sulle spiagge da cartolina e sotto il sole di Cortina. Ma è Roma – con il suo irresistibile mix di sciatteria e atavica beltà, di arroganza e di spontaneità, di volgarità e tagliente ironia – la loro capitale. Qui la finta bionda è quasi una sottocategoria sociale a sé stante, riconoscibilissima nella starlette televisiva come nella vicina di casa. Ed Enrico Vanzina la tratteggia alla perfezione in una satira che è insieme pungente ed esilarante, amara e sincera: un libro uscito venticinque anni fa, ma ancora attualissimo, che ha ispirato la commedia cult Le finte bionde del 1989.
Finalmente di nuovo disponibile, a venticinque anni dalla prima uscita, l’esilarante e caustico libro di Enrico Vanzina che ha ispirato il film Le finte bionde, diventato un cult per gli amanti della commedia all’italiana.
Enrico Vanzina
È nato a Roma, tempo fa. Suo padre, Steno, era un regista. Suo fratello, Carlo, è un regista. Lui, invece, fa lo sceneggiatore. Ha scritto circa cento film, alcuni famosissimi. Fa il giornalista, ha scritto per il teatro e ha pubblicato sei libri, fra cui Le finte bionde. Nel 2013 ha pubblicato il suo primo romanzo giallo, Il gigante sfregiato.
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Book preview
Le finte bionde - Enrico Vanzina
Il taccuino delle bionde
Questi appunti, scritti in epoche diverse, non seguono un ordine cronologico. Io voglio semplicemente fermare sulla carta un volto, un amico, un libro, un film, una donna: un pot-pourri di impressioni quotidiane raccolte tra la gente che amo e che frequento. Qui parlo solo delle persone che conosco, ma con grande affetto. Perché, come dice Neil Simon, non vorrei trovarmi davanti a un amico e sentirmi chiedere: «…ma che ne hai fatto di me?…».
A piazza di Spagna
Sto sfogliando uno dei meravigliosi libri fotografici esposti nella Libreria Bocca, in piazza di Spagna, quando irrompe una finta bionda, carica di pacchi, che si trascina dietro un marmocchio jeans-west. Con accento stracciato chiede al commesso:
«Ce l’avete l’ultimo libro della Fallaci?»
«Certamente, signora…» fa lui.
Da uno scaffale prende il volume e glielo porge.
«Quanto costa?» chiede la finta bionda.
«Diciottomila lire…»
«Cazzarola!…» esclama lei, con sentimento.
Ma poi, a malincuore, lo compra.
Poco dopo, scendendo per via Borgognona, spintonato dalla folla, provo un’angoscia sottile dovuta a un nuovo disagio metropolitano: siamo circondati da finte bionde, da battaglioni di commercialisti, odontotecnici in doppio petto, stiliste new wave domiciliate all’Alberone, tunisini diventati habitués del Caffè Greco, impiegati dal borsello firmato, froci in perenne lotta con qualche sciarpa, vigili capelloni e cani da salotto con nomi da uomo.
All’angolo di via delle Carrozze, un ragazzotto piumonato mi chiede sgomento:
«Capo, ’ndo sta via Condotti?»
Gli spiego che basta girare l’angolo, e lui si avvia, in bilico sugli stivaletti Vaqueiros, non troppo convinto, anzi deluso, come un esploratore perso in Amazzonia cui abbiano rivelato che, in realtà, il mitico Rio Negro è alla prima a sinistra.
A teatro
Adesso sono al Teatro Eliseo, dove si rappresenta una commedia inedita di Ionesco.
Dietro di me, fra gli abbonati, c’è una finta bionda con relativo ometto. Lui sfoggia occhiali con la montatura di tartaruga, lei, un tailleur grigio, molto Park Avenue. Sono silenziosi ed educati; consultano con attenzione il programma della pièce inedita.
Lei: «Strano, questa commedia di Ionesco non la conoscevo…».
Lui: «Amore, come facevi a conoscerla? È anonima…».
Durante l’intervallo incontro Peppino Patroni Griffi e gli racconto l’episodio. Peppino, col suo malinconico distacco napoletano, sorride e mi narra quanto segue:
«L’altra sera ero a cena al Fogher… accanto al mio tavolo era radunata una consistente comitiva di commercianti ricchi con relative mogli, finte bionde… al momento del dolce, il maître si avvicina al gruppo spingendo il carrello dei desserts e domanda ai clienti con voce impostata:
Forse i signori preferiscono una pera al kirsch?…
Una delle finte bionde ci pensa, poi sbotta: ma sì, mi porti questa pera al kitch…".»
Il secondo atto della commedia inedita fila via tra la noia generale della platea. Oramai, a teatro, facciamo indigestione di luoghi comuni e di pessime regie. Chissà, forse il teatro è un male necessario per sentirci in qualche modo legati a un passato che resiste nella nostra memoria collettiva.
Uscendo in via Nazionale mi domando: ma se invece di abbonarmi all’Eliseo, al Quirino o al Valle, comprassi dei Bot?
A Castiglioncello
Ho passato il fine settimana a Castiglioncello, dove da ragazzo trascorrevo gran parte delle vacanze estive.
Il tempo si è mantenuto incerto, con piccole piogge primaverili che filtravano in pineta come goccioline dannunziane. Oggi, quest’amena località è frequentata da finte bionde toscane, con mariti che sfoggiano pipe, maglioni a collo alto e berretti sud-ovest. Più che in provincia di Livorno, sembra di essere a Plymouth, prima della partenza di una regata atlantica.
Alla pensione Martini, ho incontrato Cesarino Scota. È un avvocato bolognese spiritosissimo, che conosco da più di vent’anni.
Cesarino mi ha raccontato un episodio piuttosto emblematico su un tema alla moda: la cultura di massa…
Pare che l’assessore alla Cultura di Riccione abbia cercato di avvicinare le masse giovanili alla musica classica. Con un’ordinanza prefettizia ha obbligato tutti i gestori dei bar con juke-box a inserire tra i successi della hit-parade almeno quattro dischi di brani sinfonici e da camera.
L’episodio è accaduto in uno di questi bar, sulla spiaggia di Riccione. Due diciottenni rockettari decidono di ascoltare la quinta di Beethoven. Infilano duecento lire nel juke-box e si siedono in religioso silenzio, ad ascoltare. Intanto, prendono un gelato.
Durante tutto il tempo dell’esecuzione, i due non fiatano, leccano il gelato e si concentrano per cercar di cogliere il fascino del mitico capolavoro.
Poi, il disco finisce.
Dopo un breve silenzio, uno dei due commenta:
«Sai che ti dico?… Che questo Beethoven è proprio uno stronzo!…»
Al circolo
Passano i giorni e i margini di convivenza tra me e le finte bionde si vanno riducendo. La loro protervia, la loro abissale ignoranza m’indigna. E soprattutto m’impaurisce.
Ieri, ad esempio, Luca di Montezemolo mi ha invitato in un circolo romano di cui è socio. E le finte bionde erano lì, in agguato…
Ti guardano con un misto di sussiego e di mignottismo. Sono perennemente indecise se mostrarsi altere o troie, se lanciarti occhiate distratte o sbatterti sotto gli occhi una fetta di coscia con calza a rete, complice lo spacco della gonna. Sorridono poco, altrimenti esplodono in risate eccessive per attirare l’attenzione. Ridono di cose ovvie: le corna, il cibo, aneddoti di gin-rummy. Fumano molto, soprattutto a tavola. Hanno trame di vita semplici, percorse da personaggi tutti uguali: mariti, amici dei mariti, mogli di mariti, amiche di altri mariti. Sono curiose. Superstiziose. Si credono sentimentali. Amano i vestiti di pelle e i parei. Adorano i bucatini e quindi hanno un debole per il nero, perché sfina. Sono furbe. Sono maligne. Quanto ai loro ideali, si contano sulle dita di