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Misteri, segreti e storie insolite di Londra
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Misteri, segreti e storie insolite di Londra

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Londra è la regina delle leggende maledette

Dagli enigmi della sua Torre al mondo misterioso e sommerso in cui si aggirava Jack lo Squartatore

Tutte le curiosità sulla città del Big Ben

Londra è una città misteriosa fin dall’origine del suo nome, forse datole dai romani sulla base di uno più antico: lowonida, ovvero “fiume troppo largo da domare”. Un nome che segnava il legame indissolubile tra la metropoli e il suo fiume, il Tamigi, quell’Old Father Thames che ha raccolto nei secoli i cadaveri dei suicidi e quelli dei morti ammazzati che dovevano sparire per sempre. Londra è anche una città dal passato immenso, in cui ogni epoca ha lasciato una traccia, da quelle dei templari a quelle dei servizi segreti di sua maestà. Fra tradizione e innovazione, questo volume, attingendo anche dagli archivi di Stato in parte desecretati, ci racconta i misteri finanziari della City, i monumenti enigmatici, gli efferati delitti e i luoghi oscuri, come il cimitero delle prostitute di Cross Bones. Senza tralasciare il grande mistero di Jack lo Squartatore, del quale ancora non si è detto tutto.


Mattia Bernardo Bagnoli
Nasce a Milano nel 1980. Dopo la laurea in Lettere e Storia all’Università di Bologna, nel 2005 si trasferisce a Londra, dove frequenta il master in Giornalismo internazionale presso la City University e dove, dal 2006 al 2013 lavora come corrispondente per l’agenzia Ansa e collabora con altre testate tra cui «La Stampa» e «D di Repubblica». Al momento vive a Roma. È autore del noir Bologna permettendo e della guida Strano ma Londra.
LanguageItaliano
Release dateDec 16, 2013
ISBN9788854160064
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    Misteri, segreti e storie insolite di Londra - Mattia Bernardo Bagnoli

    PRIMA PARTE

    LO SCIAMANO E

    LE PROSTITUTE FANTASMA

    London Bridge, riva sud del Tamigi. Qui, per secoli, ha proliferato il malaffare e la povertà. Nelle strade che circondano il Borough Market, eldorado gastronomico della Londra contemporanea, dove si trova di tutto, dalla cacciagione agli altrove introvabili carciofi, dalle ostriche fresche giapponesi ai formaggi francesi, un tempo si affastellavano postriboli e teatri, pub poco raccomandabili e case da gioco. In epoca elisabettiana le autorità avevano d’altra parte bandito dalla riva nord tutto ciò che potesse essere considerato peccaminoso o sconveniente e non è un caso che il celebre teatro di William Shakespeare, il Globe, sorgesse poco più in là – più o meno dove oggi prospera la sua fedele riproduzione. Eppure questo spicchio di Londra, quanto a storia o tradizione, non ha mai avuto nulla da invidiare alle altre zone più blasonate che la circondano.

    I romani, quando fecero di Londinium il campo base per la colonizzazione della Britannia, scelsero questo tratto del fiume per tirare in secca le loro navi. London Bridge, il ponte di Londra con la P maiuscola, l’unico mai eretto sino alla costruzione del Westminster Bridge, venne infatti fondato sotto l’egida delle legioni: alla sua destra, nel tratto di fiume che guarda verso la foce, si sviluppò il porto; a nord, dove oggigiorno si stagliano i grattacieli della City, i genieri di Roma tracciarono il cardo e il decumano e sistemarono il tradizionale centro amministrativo con foro annesso e connesso. A sud, il mercato. Il che fa di Borough Market uno dei luoghi di compravendita di generi alimentari più antichi del mondo. La vicinanza con le banchine del porto in fondo pare troppo allettante. Facile capire come sia andata. Dove ci sono i marinai ci sono le taverne, dove ci sono le taverne ci sono gli ubriachi, dove ci sono gli ubriachi ci sono le prostitute – e un bel po’ di risse. Insomma, sino a che il governo puritano di Oliver Cromwell non ci diede un taglio, Southwark – questo il nome di battesimo del rione – era di fatto il quartiere a luci rosse di Londra. Chiusi i bordelli – be’, diciamo il grosso – l’area divenne residenza privilegiata dei disgraziati della capitale, tanto che persino la polizia, per tutta l’epoca vittoriana, si avventurava di rado per i suoi vicoli infestati di ratti, di sporcizia e di malattie. Ma non corriamo. Le protagoniste di questa storia sono proprio loro, le prostitute. E uno sciamano di origine gallese che assomiglia tremendamente all’ex premier Tony Blair (ma guai a dirglielo).

    • • •

    In fondo a Red Cross Way, parallela della ben più grande e trafficata Borough High Street, una cancellata normalmente addobbata di nastrini separa dalla strada quel che pare uno squallido parcheggio. In realtà l’ignaro passante sta posando gli occhi sui resti del Cross Bones Graveyard, il cimitero della prostitute di Southwark. Ovvero la fossa comune – in terra sconsacrata – dove la Chiesa pretendeva fossero seppellite quelle disgraziate che avevano trasformato il proprio corpo in strumento per sbarcare il lunario. Peccato che a incassare una bella fetta di quel mercimonio, sotto forma di affitti dei casini, fosse la Chiesa stessa nella persona del vescovo di Winchester. Che fin dal 1171 aveva ricevuto la licenza reale per riscuotere le pigioni e supervisionare, per così dire, l’intero tran tran. Non a caso le prostitute di Southwark erano anche conosciute in città con il soprannome di Bishop of Winchester’s geese (in pratica le pollastrelle del vescovo).

    Le donne single della riva sud del Tamigi – il copyright di questo modernissimo understatement è di John Stow, autore del Survey of London pubblicato nel 1598 – erano dunque liberissime di colmare le casse della Chiesa da vive, ma guai a loro se osavano trovare pace nei cimiteri benedetti dal Signore da morte. Le ingiustizie sono andate avanti per secoli, se è vero come è vero che, stando al Museo di Londra – che ha condotto degli scavi alla fine degli anni Novanta, quando il cimitero è stato (ri)scoperto – circa 15.000 corpi sono stati seppelliti nel Cross Bones Graveyard nel corso del tempo. E qui entra in gioco il nostro sciamano John Constable, alias John Crow.

    Ogni mese una piccola folla guidata da John il Corvo si ritrova infatti al cimitero per ricordare le anime dimenticate delle pollastrelle del vescovo. Si tratta di gente qualunque e semplici curiosi ma anche e soprattutto i seguaci della religione neopagana, uno dei credi alternativi di maggior successo nella Gran Bretagna multiconfessionale d’inizio millennio. Anime inquiete, dunque, che tornano oggi a denunciare i soprusi subiti grazie alla mediazione dello sciamano di Southwark.

    «La notte del 23 novembre 1996 ho ricevuto la visita di uno spirito che mi sussurrava all’orecchio strofe di cui io non capivo il significato: era lo spirito di una delle prostitute di Cross Bones, che io chiamo Winchester Goose. Solo in seguito ho scoperto che il cimitero esisteva veramente», racconta John. Un personaggio singolare, John il Corvo: sorriso stampato sul viso, capelli bianchi come la neve. Un concentrato di energia. Negli ultimi 15 anni ha trasformato questo piccolo fazzoletto di terra e cemento incastrato tra i palazzi in un santuario dove dar vita ai suoi rituali. Un mix tra una cerimonia religiosa e un concerto folk-rock. Perché John il Corvo è anche poeta, attore e cantante. Un cantante del mondo-altro.

    «Parte dei miei scritti sono opera diretta degli spiriti», spiega. «S’impossessano del mio corpo e al risveglio trovo centinaia di fogli zeppi di versi. Così è nato il libro di poesie di Cross Bones: me l’ha dettato in una sola notte Winchester Goose». «Se credete che sia pazzo», scherza John, «trattatemi in modo gentile, e per favore non rinchiudetemi. Ma se proprio dovete farlo, rinchiudetemi dentro il cimitero di Cross Bones, dove almeno sarò in buona compagnia».

    • • •

    John Crow è diventato nel corso degli anni una figura di rilievo della comunità di Southwark: sia il Globe Theatre che la Southwark Cathedral hanno ospitato le sue performance. E proprio la notorietà ha indotto John a riflettere: «Molte persone credono che queste siano tutte baggianate. Io stesso ho dovuto considerare l’ipotesi che stessi diventando matto, quando tanti anni fa ho iniziato a lavorare con gli spiriti. Ma la verità è che oggigiorno si dà troppa importanza al lato pragmatico dell’esistenza. In questo mondo c’è di più di quanto si possa vedere. E, d’altra parte, non offro alle persone una nuova religione». E cosa offre, dunque, John il Corvo? «Io, attraverso l’aiuto di Winchester Goose, intono inni alla libertà, ricette contro i soprusi».

    Secondo la definizione offerta dalla Pagan Federation, l’organo che riunisce e rappresenta i pagani britannici, «lo sciamanesimo è una religione estatica che ha al suo centro la credenza nella realtà del mondo degli spiriti». Ma John ha un’altra opinione: «È semplicemente una pratica, una disciplina, un viaggio attraverso le regioni dell’ignoto. Per uno sciamano non ha senso dirsi cristiano o pagano: significherebbe precludersi delle possibilità».

    I pezzi di Crow hanno un che di nostalgico e le poesie strizzano l’occhio alle rime medioevali. Ma è fiero del suo impegno. «Quando abbiamo iniziato a venire qui, dieci anni fa, c’erano dei vigilantes a tenerci lontano dal cimitero», ricorda. «Ora», dice sorridente, «mi hanno consegnato le chiavi del cancello e il Comune ha riconosciuto l’importanza storica del sito con una placca di bronzo».

    L’ultima battaglia di John è incentrata sulla preservazione di Cross Bones dalla speculazione edilizia: quel fazzoletto di terra, nel periodo dell’ultimo boom immobiliare, avrebbe fatto comodo a molti palazzinari londinesi, impegnati a trasformare il quartiere dei tagliagole in uno dei quartieri oggi più desiderati della capitale. Ma grazie al suo impegno, il Comune non ha concesso le autorizzazioni: «Altrimenti le prostitute di Cross Bones non ci darebbero tregua», hanno messo agli atti i consiglieri di Southwark facendo sfoggio di humour tipicamente britannico. E data la ruggente rivalutazione delle proprietà immobiliari della zona, questa sì, è una piccola magia.

    ST BARTHOLOMEW: LA CHIESA CHE

    ACCOMUNA IL BUFFONE DI CORTE

    DI ENRICO I E HUGH GRANT

    Nascosta da un pot-pourri di palazzi di epoche diverse, a un passo dal mercato della carne di Smithfield, in una delle zone più misteriose della città, c’è la piccola chiesa di St Bartholomew the Great, la chiesa più antica di tutta Londra. Dimenticate la grandezza gotica di Westminster, la magnificenza trionfale di St Paul. St Bartholomew non sfigurerebbe infatti in un paesino del Somerset, dove il tempo sembra essersi fermato nel Medioevo. Intimo come un guscio di noce, questo tempietto della sobrietà, tagliato nella nuda pietra, venne costruito nel 1123 dal buffone di corte di Enrico I. Genesi curiosa per un luogo di culto. Eppure, al contrario di altri illustri monumenti scaturiti dall’impeto di ben più illustri lombi, St Bartholomew è riuscita a sopravvivere a ogni tipo di sciagura: incendi rovinosi, incuria, sbancamenti, inondazioni, bombardamenti, follie moderniste. E già questo, per una città abituata a divorare se stessa come il conte Ugolino rosicchia il suo teschio, è un bel miracolo.

    Ovviamente il passare dei secoli ha lasciato la sua impronta. Durante il periodo della Riforma una larga parte degli edifici che componevano il corpo esteso del complesso sono stati convertiti e quindi abbattuti. La chiesa in sé, però, non è stata toccata. E come tale è arrivata fino a noi. Per la gioia – potremmo aggiungere – dei location manager del cinema britannico. Ovvero quei fortunati individui che campano scovando i set esterni più indicati per una data sceneggiatura. Se avete visto Quattro matrimoni e un funerale, il celebre film del 1997 che di fatto ha lanciato un giovanissimo, e bellissimo, Hugh Grant, be’, allora vi è passata davanti agli occhi anche la piccola chiesa di St Bartholomew.

    Certo, nel film viene chiamata in modo diverso quindi è inutile aguzzare la vista quando la telecamera inquadra le partecipazioni; basti sapere che è l’ultima in ordine di apparizione, quella in cui si sposa – o meglio, non si sposa – Hugh Grant. Una visita, se capitate in zona, è d’obbligo. Intanto perché St Bartholomew è una vera delizia. Poi perché, ne converrete, non capita tutti i giorni di visitare una chiesa eretta (nonché guidata) da un buffone di corte. Rahere, questo il suo nome, venne infatti nominato priore di St Bartholomew the Great da Enrico I – che in quanto a senso dell’umorismo non era secondo al suo cortigiano – per ringraziarlo dei suoi servigi: il suo sepolcro si trova tutt’oggi nel santuario.

    La ragione primaria per cui vale la pena visitare la chiesa – oggi corredata di un ottimo bar che serve uno splendido tè – è però il busto di Edward Cooke, situato nella parte meridionale della navata. Alla base della statua un’iscrizione invita l’occasionale visitatore a piangere il caro estinto. Frase di rito, che c’è di strano? C’è che anche Cooke, da bravo inglese seppellito nella chiesa di un buffone, era ben fornito di British sense of humour, sebbene dipartito nel lontano 1652. L’iscrizione infatti prosegue. Se l’occasionale visitatore non dovesse avere lacrime in eccesso da versare, bene farebbe allora a restare e di contro vedere il marmo piangere al posto suo. E qui viene il bello. Il busto di Cooke lacrima per davvero. Razionalista ante litteram, esponente di quella classe sociale giudiziosa quanto operosa che diede vita alla rivoluzione industriale e dunque cambiò il mondo, Cooke ai miracoli credeva poco, al contrario di lunghe teorie di creduloni – e non si farà peccato a leggerci una certa polemica nei confronti di molti confratelli cattolici. La fede, nel fenomeno delle lacrime di Cooke, non c’entra insomma nulla. Semmai la posizione della statua e la sua forma. Elementi che, raccogliendo l’umidità, convogliano la condensa lungo le cavità oculari e trasformano l’illusione ottica in un’ultima, eterna risata.

    IL VATICANO DELLE BANCHE

    Nella bibbia del giornalismo investigativo, Tutti gli uomini del presidente, la fonte di Woodword e Bernstein, Gola Profonda, dà ai due segugi un consiglio semplice e allo stesso tempo fondamentale per risolvere il rebus del Watergate: «Follow the money». Seguite il denaro. È quello che faremo noi in questo capitolo. Se tutte le strade, come vuole il detto, portano a Roma, tutte le transazioni finanziarie – e molti conti correnti offshore – conducono infatti a Londra. O meglio, nella City.

    Ma cosa significa poi City di Londra? È il nome di un quartiere, tipo Trastevere a Roma o Brera a Milano, o più semplicemente un termine giornalistico per raggruppare comodamente le istituzioni finanziarie che hanno sede nelle capitale britannica così come si fa quando si usa Wall Street per New York? La City, diciamolo subito, è molto, molto di più. Questa che stiamo per affrontare è, in parte, una realtà fatta di soldi. Così tanti che forse non esistono nemmeno più. La Grande Crisi, infatti, li ha smaterializzati. Prima del crack si ragionava in termini di milioni, al massimo miliardi. Oggi siamo arrivati ai trilioni. Anglicismo alla Paperon de’ Paperoni che indica migliaia di miliardi. Se traduciamo questa paccata di soldi in vecchie lire la mente vacilla: sono numeri che non sappiamo nemmeno scrivere con certezza, figuriamoci calarli nella vita di tutti i giorni.

    Ecco, la crisi. In un certo senso tutto ha inizio qui. Senza la crisi, infatti, i segreti della City sarebbero rimasti tali per chissà quanto, protetti dai bilanci in attivo delle banche, dalla curva ascendente dei mutui accordati senza troppo cianciare, dai corposi assegni versati ogni anno nei forzieri del Tesoro britannico sotto forma di tributi fiscali. Poi, con i problemi sono nati anche gli interrogativi scomodi. È un aspetto che dobbiamo tenere bene a mente quando parliamo di Gran Bretagna. Troppo spesso nei media italiani ci si occupa di Regno Unito solo quando si vuole alleggerire i palinsesti dei telegiornali o le pagine dei quotidiani. Largo allora alle avventure di William e Kate, agli studi scientifici che provano l’esistenza del colpo di fulmine o alle stramberie proprie di questo grande popolo – i britannici lo sono. Ma c’è di più. C’è un Paese che ha smantellato alla luce del sole il suo grande impero salvo ricostruirlo, in larga parte, attraverso la sobrietà degli uomini in bombetta.

    Il nostro viaggio parte da qui. Dalla Bank of England, certamente, ma soprattutto dalla Mansion House, l’edificio che la fronteggia. Ovvero la residenza ufficiale del Mayor della City of London. Cioè il sindaco. Attenzione, però. Non quello di Londra. Solo della City. E attenzione di nuovo. Il Lord Mayor non è un sindaco qualunque. Ma il capo di un’organizzazione – la City of London Corporation – che conta più di mille primavere e che governa lo Square Mile in quasi totale autonomia.

    La City è infatti una specie di città del Vaticano in salsa inglese: il Vaticano delle banche.

    • • •

    La City di Londra ha naturalmente dei confini. Certamente saltano agli occhi gli affilati ed eleganti grattacieli – molti ancora in costruzione – il più famoso dei quali è il cetriolo di Sir Norman Foster. In questo senso la City non è altro che uno dei boroughs di Londra, le circoscrizioni amministrative in cui è divisa la capitale. Di fatto dei minicomuni.

    Al contrario degli altri boroughs, però, la City si governa da sola. Ha una sua forza di polizia – la City Police – e una propria, particolarissima, filiera amministrativa. Questo le permette di operare su due livelli. Nella vita di tutti i giorni la City si comporta come un normalissimo quartiere: ci sono scuole, ospedali, tasse locali da riscuotere, strade da pulire, un’autorità portuale, uffici, centri commerciali, chiese – la cattedrale di St Paul, ad esempio. Spesso si percepisce che si stanno varcando le sue mura perché il perimetro della City è marcato dal cosiddetto ring of steel, un reticolo di casematte e strettoie costruite negli anni Settanta per fronteggiare i terroristi dell’IRA. Inoltre – fateci caso la prossima volta che passeggiate per Londra – l’area municipale

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