1001 storie e curiosità sul grande Milan che dovresti conoscere
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Giuseppe Di Cera
è nato a Taranto nel 1975. Laureato in Scienze Politiche, dal 2003 collabora con il «Corriere del Giorno». Ha lavorato come addetto stampa per diverse realtà sportive.
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1001 storie e curiosità sul grande Milan che dovresti conoscere - Giuseppe Di Cera
185
Prima edizione ebook: novembre 2013
© 2013 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-5987-7
www.newtoncompton.com
Giuseppe Di Cera
1001 storie e curiosità
sul grande Milan
che dovresti conoscere
Introduzione di
Xavier Jacobelli
Illustrazioni di
Fabio Piacentini
Thomas Bires
logoncNewton Compton editori
A mio padre
Ringrazio Leo Spalluto, Paolo Inno,
Vittorio Galigani e Grazia Forina
1001_calcio_Inter_IC18.tifIntroduzione
Dal 2 settembre 2013, chiunque voglia capire che cosa significhi essere un tifoso del Milan, può chiedere lumi a Kaká. Perché, se è vero che le prossime dieci generazioni della sua famiglia non avranno problemi di sostentamento, che non guadagna 800 euro al mese, che non è un cassintegrato e via di seguito con tutte le altre concioni pseudomoralistiche che ci è toccato ascoltare, è altrettanto vero che non risultano in circolazione altri giocatori capaci di rinunciare a dodici milioni di euro, pur di indossare la maglia della propria squadra del cuore.
E, in un calcio dove le bandiere sono rare come i panda e alcune società si sono vendute pure i pennoni, dove saltabeccano calciatori che cambiano maglia anche per tre volte nell’arco della stessa stagione, baciando senza pudore ciascuna delle diverse casacche indossate, il ritorno di Kaká fa bene al cuore dei rossoneri e non soltanto al loro.
Quando facevo l’inviato del «Corriere dello Sport-Stadio», ho avuto la fortuna di seguire per sette anni l’epopea del primo settennato berlusconiano: dal tramonto di Liedholm al primo Capello, dall’era di Sacchi al Capello ii. Un periodo rivoluzionario in ogni senso, scandito dall’impressionante serie di titoli allineati nella sala dei trofei di via Turati e dalla costruzione della società che sarebbe diventata la più titolata del mondo in campo internazionale.
Una società all’avanguardia sotto ogni aspetto, al punto da precorrere addirittura i tempi non soltanto in materia squisitamente tecnica, ma anche in ambito organizzativo, comunicativo, medico e sanitario, e ancora in tutto ciò che riguarda il marketing, la gestione dei rapporti con gli sponsor e lo sfruttamento planetario di un marchio destinato a non tramontare mai.
È stato allora che ho cominciato a capire che cosa fosse lo spirito
del Milan, incarnato da Franco Baresi e Paolo Maldini e da tutti gli altri mattatori di un’epoca d’oro. Per la squadra sette volte campione d’Europa e per il nostro calcio. Che il Milan onora.
XAVIER IACOBELLI
PRIMA PARTE
Mezzo secolo di storia, dalle origini
sino all’immediato secondo dopoguerra
(1899-1949)
1001_calcio_Inter_IC18.tifSTORIE ROSSONERE
1.
16 dicembre 1899,
il primo vagito del Milan
Nove giorni prima del Natale 1899, di sabato, nasce il Milan Cricket and Football Club. A fondarlo è un folto gruppo di appassionati calciofili italiani e inglesi che si incontrano all’Hotel du Nord su convocazione di Herbert Kilpin, nato a Nottingham, in Inghilterra. Kilpin viene in Italia per ragioni di lavoro, ma porta con sé la ferma intenzione di introdurre nel nostro Paese il calcio, sport già diffuso nel Regno Unito e del quale è un grande appassionato.
Nel 1891 Kilpin arriva a Torino, ma in seguito si trasferisce a Milano, dove trova l’ambiente giusto per dare vita al suo progetto: fondare una squadra di calcio. Possibilmente vincente. Le sue idee sono ben chiare, a cominciare dai colori della casacca che i calciatori dovranno indossare: il rosso e il nero.
Il motivo lo spiega lo stesso Kilpin ed è al tempo stesso semplice e suggestivo: «Saremo una squadra di diavoli e i nostri colori saranno il rosso come il fuoco e il nero come la paura che incuteremo ai nostri avversari».
ic02.tif 2.
48 ore per dare la notizia
Le notizie, nel secolo scorso, non viaggiavano in tempo reale come avviene oggi. Internet? Era ancora roba da Jules Verne. Avviene così che la notizia della fondazione venga diffusa dalla «Gazzetta dello Sport» solo due giorni dopo, lunedì 18 dicembre. I milanesi, sfogliando il quotidiano, apprendono così della nascita di un nuovo soggetto sportivo, attraverso queste trionfalistiche parole: «Finalmente! Dopo tanti tentativi infruttuosi, finalmente anche la sportiva Milano avrà una società pel giuoco del football. Possiamo però di già accertare che i soci toccano la cinquantina e che le domande di ammissione sono copiosissime». Il Milan, giocoforza, entra in competizione con la Mediolanum, altra realtà già esistente nel capoluogo lombardo, che però non regala molte soddisfazioni agli appassionati di questo sport ancora poco conosciuto. Non esistono libri che ne spieghino le regole: la gente assiste alle partite di calcio più per curiosità che per un reale interesse. È solo una distrazione come un’altra, qualcosa di diverso da fare e da vedere. Tuttavia, duecento chilometri più a ovest, a Genova, dove sin dal settembre 1893 è attivo il Genoa Cricket and Football Club, le cose vanno diversamente. Qualcosa inizia a muoversi sul fronte del calcio. Così come avviene in Europa, dove diciassette giorni prima del Milan viene al mondo il Football Club Barcellona.
ic03.tif 3.
Primi dubbi, il 13
o il 16 dicembre?
Il 16 dicembre, il giorno tradizionalmente riportato dagli annali per indicare la nascita del Milan, non è univocamente accettato da tutti gli storici. Anche perché non esiste un atto costitutivo che sia arrivato ai nostri giorni. E non è un problema da poco. La mancanza di un documento ufficiale contribuisce ad accrescere la leggenda del Milan, i cui natali si perdono genericamente in uno degli ultimi giorni dell’ultimo dicembre del XIX secolo. Qualche storico del calcio, allora, gioca d’anticipo e prova a spostare indietro la data di settantadue ore, come fa Mario Zappa nell’Annuario della famiglia meneghina pubblicato nel 1958. L’autore, giornalista della «Gazzetta dello Sport», si tiene sul vago a proposito della data fino a quando gli è possibile. Poi fa il suo affondo. Improvviso e senza particolari spiegazioni: 13 dicembre. Sì il 13, Santa Lucia, e non il 16. Ma questa è solo un’ipotesi.
ic04.tif 4.
«Che confusione,
sarà perché...»
Pur volendo dar fede alla maggioranza degli storici e dei ricercatori che propende per il 16, rimane il fatto che lo stesso Milan, almeno per tutti i suoi primi cinquant’anni di vita, abbia celebrato i suoi compleanni con una certa fantasia. Il decimo anniversario sarebbe stato festeggiato nel gennaio del 1910, mentre il trentennale addirittura a settembre. Persino il primo almanacco del calcio, pubblicato in Italia nel 1914, cade in un clamoroso errore collocando la fondazione del Milan nel gennaio del 1900. Un balzo... di un secolo. Per il cinquantenario la società rossonera non tradisce le attese e modifica ancora la data. Per festeggiare la fondazione si gioca il 27 novembre 1949 contro l’Austria Vienna. Quel giorno di fronte agli austriaci scende in campo una mista Milaninter che soccombe 4-3. E dire che alcuni dei cinquanta soci fondatori, alle soglie del 1950, non avevano ancora tirato le cuoia. Sarebbe bastato chiedere...
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Libro e pallone,
binomio perfetto
Date esatte o meno, la tradizione è pronta a parteggiare per il 16 dicembre. Ciononostante tutte le fonti sembrano d’accordo nel ritenere che il Milan fosse pronto già parecchi mesi prima. Kilpin, infatti, gioca spesso sul campo del Trotter con un gruppo di studenti che frequenta il Regio istituto tecnico Carlo Cattaneo di Milano. Oltre agli alunni del Cattaneo ci sono anche i figli di Pirelli, uno dei futuri soci fondatori. Il primissimo Milan sarebbe dunque stato roba da ragazzini, da giovani che di tanto in tanto si battono con i ginnasti della Mediolanum. Solo che i giocatori di quest’ultima praticano un calcio diverso da quello che oggi conosciamo, ma soprattutto da quello degli inglesi. Se nella perfida Albione
si predilige il rude contatto fisico, in Italia si sta più attenti a fare del salutare movimento. Ginnastica all’aria aperta, per intendersi. Dagli incontri tra le due compagini vengono fuori sfide talvolta impari, ma di certo sempre divertenti, visto che le due parti seguono regole diametralmente opposte, o quasi.
ic05.tif 6.
Perché il diavolo?
Chi una selvatica zebra, chi (come farà l’Inter) un biscione, chi il mitologico grifone. Il regno animale pare insomma inflazionato. I cinquanta fondatori del Milan optano per l’ambito teologico e scelgono il diavolo. Ne parla sulla fine degli anni Ottanta il pronipote di uno di loro, Richard Barnett. A suo dire il bisnonno, così come gli altri capostipiti, è di fede protestante e di conseguenza avverso al cattolicesimo. La spiegazione del simbolo andrebbe dunque ricercata in motivazioni religiose. Tuttavia è lo stesso Barnett ad affermare che durante le partite i primi milanisti attaccavano l’avversario urlando come forsennati. Tradotto: come diavoli! Qualcuno, a sostegno della tesi demoniaca, fa notare che nel Medioevo le casacche a righe strette e verticali venivano indicate come stoffe del diavolo
. Diavolo o meno, il Milan è la prima squadra a indossare maglie a righe.
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Un simbolo, due Paesi
Sulla maglia rossonera, ma sarebbe più opportuno parlare di camicia, appare (sulla sinistra) il simbolo di Milano, ovvero la Croce di San Giorgio. Si tratta di una croce rossa in campo bianco. Originariamente vessillo della Repubblica di Genova, essa viene poi utilizzata dai crociati che partono alla conquista della Terra Santa. Successivamente, la stessa simbologia viene ripresa dall’Inghilterra, ma anche da altre città e nazioni europee. Milano e Inghilterra: per Herbert Kilpin è una scelta obbligata. E inoltre lo scudetto cittadino così riportato sulle maglie ha il vantaggio di risultare molto evidente sulle strette strisce rosse e nere.
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Nati con la camicia
Come succede in tutte le squadre dell’epoca, anche ai calciatori del Milan tocca indossare una camicia anziché una maglia. La casacca è un’elegante camicetta, forse ispirata alle divise dei ginnasti. Lo stile è tipicamente inglese, con il colletto button-down. Il materiale utilizzato non è certo. Ciononostante è possibile fare un’ipotesi verosimile: dato che i campionati si giocano in primavera (le squadre partecipanti, per molti anni, non arriveranno a dieci) si tratterà di un tessuto leggero come il cotone o la flanella. Le probabilità che le casacche siano fatte di cotone sono più alte. Come si vede chiaramente dalle foto dell’epoca, il resto della divisa è composta da pantaloni bianchi a mezza gamba e calzettoni neri. Qualcuno esibisce persino un cappello. Altri tempi!
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Il primo presidente
e il primo allenatore
parlano inglese
Il primo presidente della storia del Milan è l’allora viceconsole del Regno Unito Alfred Ormonde Edwards, mentre la prima panchina tocca, per acquisiti meriti di fondazione, a Kilpin. Il padre del Milan, però, muore dalla voglia di giocare. La scrivania e la panchina vanno bene, ma fino a un centro punto. In lui si assommano pensiero e azione: Mazzini e Garibaldi fusi in un unico uomo. Kilpin vuole ricoprire il duplice ruolo di allenatore e giocatore e si autoproclama capitano. Edwards rimane in carica per dieci anni, sino a quando nel 1909 non decide, costretto dagli impegni, di lasciare l’Italia e di tornare in patria e svolgere l’amata professione di imprenditore. In sua vece lascia Edward Berran Natan, che è anche il capitano della squadra di cricket del Milan. Cricket and Football Club, appunto.
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Berra, il principe
del cricket
Come si evince chiaramente dalla ragione sociale, il Milan appena costituito è una polisportiva. Un caratteristica che verrà dismessa nel giro di pochi anni e che verrà ripresa ottant’anni dopo, per un breve periodo. Ma per il momento c’è anche il cricket da onorare, altra disciplina tipicamente britannica in cui si fronteggiano due squadre composte da undici elementi ciascuna. Edward Nathan Berra, che al contempo è vicepresidente del Milan calcio e suo direttore tecnico, è il massimo responsabile della sezione cricket nonché capitano della squadra. Ma l’inglese, fratello del sindaco di Roma, è impegnato su un triplice fronte, dato che è anche proprietario di una scuderia. E pure qui, come nel cricket, non si limita a dirigere, ma vuole anche gareggiare. La sua passione per i cavalli è grande e partecipa ad alcuni gran premi. Durante una manifestazione del 1908, però, muore in una caduta da cavallo.
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Kilpin, milleunesimo
garibaldino
Che il mito dell’Italia fosse ben vivo in Inghilterra appare evidente dalle parole del papà del Milan. Herbert Kilpin lo racconta bene in un’intervista del 1915, giusto alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia al fianco di Francia, Russia e Regno Unito. A Nottingham, Kilpin gioca nella Garibaldi, una squadra italiana, che ha il rosso, naturalmente, come colore sociale. Debutta tra i titolari a soli tredici anni, nel 1883. Anche il Nottingham Forest, compagine ben più nota e più tardi vincitrice di ben due Coppe dei Campioni, sceglie il rosso alla sua fondazione, nel 1865. Kilpin passa poi al Notts Olympic (seconda categoria dilettanti inglese) e quindi al St Andrews (seconda categoria dilettanti inglese). Non va poi dimenticato che dopo il 1891, quando cioè arriva nella città sabauda, fonda l’International Football Club di Torino, la FC Torinese e la Libertas.
ic13.tif 12.
Origini di... certe rivalità
Il Notthingham e la Garibaldi, la prima squadra di Kilpin, hanno una divisa rossa. Rivale di entrambe le formazioni è il Notts County che, invece, è bianconero. E proprio dalle loro divise derivano gli attuali colori della Juventus, che, negli ultimi anni dell’Ottocento e sino ai primi del secolo successivo, si presenta in campo in casacca rosa e cravattino nero. Una divisa elegante, ma forse poco adeguata, anche perché scolorisce facilmente. Per cui nel 1903 il club torinese chiede a John Savage, uno dei suoi soci fondatori, di farsi spedire altre maglie dall’Inghilterra. Savage ha un amico tifoso dei Notts che gli procura le divise della sua squadra del cuore, il Notts County, fuorviato dal fatto che le uniformi arrivate dall’Italia erano talmente rovinate da rendere difficile l’identificazione del colore originale. E ancora oggi i tifosi del Notts County intonano allo stadio il coro It’s just like watching Juve... (È proprio come guardare la Juve...
) ogni volta che la loro squadra gioca una grande partita. Forse non molti ricordano che l’8 settembre 2011 a inaugurare lo Juventus Stadium è stato proprio un incontro contro il Notts County.
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Il calcio, uno sport
semisconosciuto
Con le sue interviste (non molte per la verità) Kilpin è stato una fonte pressoché inesauribile di fatti ed episodi utilissimi a spiegare il fenomeno calcio, in Italia, nei primi anni del secolo scorso. Molto divertente un episodio che lo vede protagonista. «A Firenze il Milan affronta l’Andrea Doria. Arbitra un pugliese che evidentemente non conosce il football. Volete sapere come cominciò quella partita l’arbitro? Comparve col pallone in mano, diede un gran fischio e poi un calcio alla palla. Io protestai, naturalmente, affermando che il primo calcio lo dovevano dare i giocatori. E quegli: sono o non sono l’arbitro? Si giuochi dunque come voglio io, e lei taccia, se non vuole essere espulso dal campo!». Vero è che il calcio sta prendendo sempre più piede, vista la crescente proliferazione di società nel Meridione e in particolare nelle città portuali: Napoli, Palermo e Messina.
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Kilpin a Torino
Forse non sono molti a sapere che Kilpin, prima di creare i Diavoli, ha fatto altri tentativi. Dopo la parentesi nei club dilettantistici del Notts Olympic e del St Andrews in Inghilterra, nel 1891 arriva in Italia per motivi professionali, insieme a Gordon Savage e Henry W. Goodley. I tre vengono trasferiti in Piemonte dall’industriale tessile Edoardo Bosio per insegnare agli operai torinesi l’uso dei telai meccanici prodotti e utilizzati in Inghilterra. L’Italia è ancora una nazione a economia prevalentemente agricola e solo in alcune zone del Paese tenta una via industriale. Tuttavia Kilpin non trascura la sua passione. Anzi, fonda l’Internazionale torinese con la quale raggiunge due volte la finale tricolore, che perde entrambe le volte contro il Genoa. È in seguito a queste due delusioni calcistiche che Kilpin, profondamente ferito nell’orgoglio, si lascia andare a una sorta di profezia rivolta ai genoani, ascoltata la quale i liguri brinderanno schernendolo. «Questa è la vostra ultima vittoria facile. L’anno prossimo mi trasferirò a Milano per lavoro e li formerò una squadra di veri diavoli che vi darà del filo da torcere». Parola di Kilpin.
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Il Milan e l’imprenditoria
italiana
Oggi come allora per fare calcio c’è bisogno di capitali. Possibilmente ingenti. E tra i circa cinquanta soci che danno vita al Milan, oltre a Berra, c’è anche Pietro Pirelli, figlio di Giovanni Battista, fondatore dell’omonima azienda. Pirelli è così entusiasta di quest’avventura rossonera che arriva a succedere a Edward nel 1909, dopo i pochi mesi di Camperio. L’impulso dato alle attività del Milan e la dedizione e l’impegno profuso sono encomiabili: l’imprenditore rimane al vertice della piramide societaria per vent’anni, sino al 1929: sono due decenni difficili, durante i quali egli cerca in tutti i modi di imprimere una svolta al cammino del Milan. Senza riuscirvi, però. Ciononostante Pirelli lascia un buon ricordo di sé e diventa il presidente più longevo della storia milanista. Anche più di Silvio Berlusconi che, oltre novant’anni dopo, si deve fare da parte quando decide di scendere in politica.
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Benvenuti nella casa
del Milan!
Dove ora si trova la stazione centrale di Milano, una volta sorgeva il terreno di gioco del Trotter di piazza Doria, utilizzato dal Milan tra il 1900 e il 1903. Terreno di gioco
è la definizione più corretta per identificare la prima casa dei Diavoli, che ha tutto il necessario per giocare, ma niente di più. Giusto un po’ di erbetta e i pali delle porte. Quelli sì, ma senza reti, vanno ancora inventate. L’attuale sede di via Turati è lontana: le prime stanze occupate dalla dirigenza rossonera sono nella Fiaschetteria Toscana ubicata all’angolo tra via Berchet e via Foscolo. Peccato che, con il passare dei decenni, il locale abbia cambiato spesso destinazione d’uso sino a diventare (incredibile a dirsi!) prima una filiale di banca e poi, destino beffardo, un negozio di gadget interisti.
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Poco meno di tre mesi
per esordire
È sabato 11 marzo 1900 e siamo in piena Belle Époque. In un’epoca di grande risveglio culturale e tecnologico (in Italia il Futurismo è alle porte, mentre in Francia si sentono le ultime eco dell’Impressionismo), il Milan, fondato neanche tre mesi prima, è pronto per scendere in campo nel primo derby della sua storia contro la Mediolanum. L’Inter è ancora di là dal nascere. Con la Mediolanum viene giocata una partita caratterizzata da duri interventi, soprattutto da parte britannica, ovvero milanista. Alla fine l’esito della partita, molto probabilmente valida per la Medaglia del Re, arride alla neonata società milanese (2-0), definita inglese
dai cronisti del tempo, in virtù della provenienza dei padri fondatori. E come in ogni stracittadina non mancano le polemiche. Il problema è che le due compagini si rifanno a regolamenti diversi: il Milan segue le norme della FIF (Federazione italiana football), a cui il presidente Edwards l’ha affiliata il 15 gennaio 1900; mentre la Mediolanum si adegua a quelle della FGNI (Federazione ginnastica nazionale italiana), che non contempla significativi contatti fisici. Le reti vengono segnate da Kilpin e Allison. L’incontro dura ottanta minuti e questa è la prima formazione del Milan di cui si ha notizia: Hood, Cignaghi, Torretta, Lies, Kilpin, Valerio, Dubini, Davies, Neville, Allison, Pirelli II. All.: Kilpin.
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Doppia Medaglia del Re
Il 27 maggio 1900 il Milan si aggiudica la prima Medaglia del Re (trofeo per squadre di calcio creato in nome di Umberto I di Savoia, re d’Italia prima che venisse ucciso a revolverate a Monza il 29 luglio 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci), superando per 2-0 la Juventus in finale. L’anno dopo, nel marzo del 1901, i lombardi contendono il trofeo al Genoa e vincono ancora, ma con una piccola (e non richiesta) agevolazione. Anche dopo i supplementari la finale con i rossoblù è ferma sull’1-1. Non potendo conferire il trofeo, la FIF prende tempo assegnando una medaglia d’argento a entrambe le compagini. Stabilisce, poi, di far giocare la finale una seconda volta, ma il Genoa non è d’accordo e si rifiuta di prendere parte alla seconda finale. La ferma presa di posizione dei liguri, che chiedono di rivedere la decisione, spinge la FIF ad assegnare il titolo al Milan a tavolino.
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Non è vero che il
diciassette porta sfortuna
Il Milan vince il suo primo Tricolore appena diciassette mesi dopo la sua fondazione. È il 5 maggio 1901 (con buona pace del Manzoni) quando il Milan, dopo aver eliminato la Mediolanum e la Juventus (in quest’ultima occasione vanno a segno Kilpin e il giovane Negretti, che realizza il gol vittoria del 3-2), trova il Genoa. La formazione genoana non ha rivali e senza ombra di dubbio è la migliore d’Italia. I pronostici, difatti, sono tutti a suo favore. Non a caso i rossoblù potrebbero vincere, in caso di successo, il quarto scudetto di fila. Ma i genoani devono fare i conti con il Milan, che gioca al massimo delle sue possibilità: è l’occasione che Kilpin aspetta da cinque anni per rifarsi delle due sconfitte contro la Torinese internazionale. Alla fine la profezia pronunciata solo pochi anni prima si realizza e il Milan può festeggiare portando a casa il primo scudetto della sua gloriosa storia. La partita è trionfale non solo nella prestazione, ma anche nel punteggio: 3-0. Il campionato del 1901 è il secondo al quale il Milan partecipa. L’anno prima aveva perso 3-0 con la Torinese. Il successo adesso è ancora più gradito perché ottenuto fuori casa, a Genova, sul campo di Ponte Carrega. Ecco la prima formazione campione d’Italia, titolo ottenuto nel cosiddetto campionato di prima categoria: Hood, Suter, Gadda, Lies, Kilpin, Angeloni, Recalcati, Davies, Negretti, Allison, Colombo. All.: Kilpin.
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Il più giovane di tutti
Autore di una doppietta in semifinale con la Juventus e poi con il Genoa in finale. Lo scudetto numero uno, non c’è dubbio, porta il marchio di Ettore Negretti, classe 1883. L’attaccante è il più giovane della rosa rossonera. Quattro reti che lo resero il primo capocannoniere milanista. Il suo esordio avviene il 14 aprile 1901 con la Mediolanum, incontro valido per la prima partita del campionato e che il Milan vince 2-0. Qualche dubbio, tuttavia, resta sul numero dei gol realizzati alla Juventus: due per alcuni storici, uno solo per altri. Dettagli a parte, le speranze riposte dalla società nell’imberbe centravanti, appena diciottenne, non vengono ripagate, visto che già dall’anno seguente il suo nome non è più in rosa. Né lo è in quella di altre squadre. È possibile che abbia scelto di abbandonare il calcio e di considerarlo soltanto una breve ma piacevole parentesi.
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Sportivi si nasce
Tra i primi protagonisti delle vittorie rossonere sia nella Medaglia del Re che in campionato c’è Luigi Wagner. In comune con il noto musicista tedesco, c’è solo il cognome. Probabilmente, però, Wagner è di origine svizzere. In ogni caso ricopre un ruolo di primo piano nel Milan dei primordi: nella corsa scudetto gioca la semifinale con la Juventus, ma è tra i titolari anche nel 1902 nella finale di Genova, persa con i rossoblù. Tuttavia non pratica solo il calcio. Wagner è anche inserito nel mondo dell’automobilismo dove partecipa (vincendole) ad alcune gare del Grand Prix d’Amerique al volante di una Fiat. Un crescendo di vittorie che lo porteranno, negli anni Dieci, a costruirsi una discreta fama. Come pilota, naturalmente.
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L’inversione dei campi
costa il bis dello scudetto
Per l’assegnazione dello scudetto del 1902 la Federazione adotta una formula nuova e discutibile, che consente ai campioni in carica di saltare la fase eliminatoria (già non particolarmente lunga) presentandosi direttamente alla finale, da disputare per giunta in casa. Una regola antesignana della challenge round, usata nel tennis in Coppa Davis sino al 1972 e che sta tornando di moda nel mondo della racchetta. Essendo il Milan campione d’Italia uscente, la finale dovrebbe giocarsi al Trotter, ma invece la partita si svolge al Ponte Carrega, lo stadio del Genoa, l’altra finalista. Il motivo dell’inversione dei campi non è certa. Due sono le ipotesi più accreditate: il pessimo stato del terreno di gioco milanista, utilizzato nei giorni precedenti la finale come teatro per giochi equestri e per la tournée di rodei di William Cody (noto come Buffalo Bill); oppure un mero pagamento in denaro per ottenere il cambio di campo. I rossoblù stentano a digerire la sconfitta di un anno prima e vogliono riprendersi il titolo nazionale a tutti i costi. Fatto sta che si gioca nel capoluogo ligure e i rossoblù vincono il quarto campionato della loro illustre storia. La partita finisce 2-0, ma senza molti rimpianti: la superiorità del Genoa è netta.
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Il Milan e il difficile
rapporto con gli stadi
Il Milan non ha un rapporto duraturo con i suoi campi di gioco. Il Trotter è la casa dei rossoneri solo per tre anni, esattamente sino al 15 marzo 1903. L’abbandono della struttura è forzato, perché il comune di Milano decide che in quel luogo dovrà nascere una moderna stazione. Ma alla motivazione istituzionale si deve aggiungere la necessità della squadra di trovare un terreno meno fangoso e che causi meno problemi. I meneghini, allora, si trasferiscono all’Acquabella di via dell’Indipendenza (vicino all’attuale piazza Susa), che viene inaugurato in amichevole con il Genoa (2-2). Sette giorni dopo, con la Juventus, si giocherà la prima sfida di campionato. Il nuovo stadio non sembra portare fortuna, se è vero che i torinesi si impongono in semifinale per 2-0 con un gol per tempo. L’annata va in soffitta senza molte nostalgie, sia perché il campionato ha poco da dire per i colori rossoneri, sia per un furto avvenuto nel frattempo nella sede di via Berchet, nel quale vengono sottratti tutti i trofei vinti.
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La prima amichevole
rossonera con una
squadra straniera
Risale all’8 gennaio 1905 la prima amichevole del Milan con una formazione straniera.
È contro il Grasshoppers, ma di fronte alle cavallette svizzere si schiera una squadra mista composta sia da genoani che da milanisti. Svizzeri e italiani si affrontano al Ponte Carrega e a trionfare sono gli ospiti con un netto 4-0. La mista lombardo-ligure indossa la maglia del Genoa campione d’Italia. Undici milanisti, invece, si ritroveranno in campo quasi quattro mesi dopo, il 23 aprile, contro il Lugano, per la prima vera amichevole del Milan, e sarà un trionfo. Tuttavia le lancette del tempo potrebbero essere spostate indietro di più di un anno. Il primo gennaio del 1904 il Milan e l’Olimpic Lione si accordano per un’amichevole da disputarsi in Francia, ma l’incontro viene rinviato a data da destinarsi a causa di un’abbondante nevicata. Nella stagione 1904/05, il Milan non scrive pagine epiche della sua storia, piuttosto lavora per costruire un radioso e prossimo futuro di successi. E comunque, per la prima volta dalla fondazione avvenuta sei anni prima, il numero di giocatori stranieri è inferiore a quello degli italiani.
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Donne e calcio,
inizia la guerra
Alla partita tra Grasshoppers e la mista Genoa-Milan è legato un curioso aneddoto sullo stesso Kilpin. Il papà del Milan racconta a «Lo sport illustrato» del 28 febbraio 1915 di essersi sposato il giorno prima dell’incontro, il 7. La sera stessa, dopo la cerimonia, Kilpin riceve un telegramma che lo invita a raggiungere Genova. Ovviamente la neoconsorte protesta, ma il marito ha la meglio. Tra le condizioni poste da Kilpin, e da lei accettate, c’è infatti la prosecuzione, anche da sposato, della sua vita da calciatore. Questo è il racconto di Kilpin: «Nel 1905 presi moglie. La sera delle nozze (era un sabato) mi arriva a casa un telegramma nel quale mi si invitava a far parte della squadra rappresentativa italiana che a Genova doveva giocare coi Grasshoppers di Zurigo. Mia moglie, naturalmente, non voleva lasciarmi partire. Ma io le ricordai che, prima di fidanzarmi, l’avevo avvertita che se non mi permetteva di continuare a giocare non mi sarei sposato. In quel match, presi sul naso un tremendo calcio: dalla ferita il sangue mi uscì per varie ore. Inzuppai parecchi fazzoletti. Ritornai da mia moglie col viso irriconoscibile. Lei, tutta in orgasmo, mi domandava: Herbert, cosa ti è successo? Stai male?
. Le risposi: Sto benissimo! Se tu sapessi come mi sento leggera la testa!
».
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La prima goleada
Il 15 ottobre 1905, il Milan mette a segno la prima goleada della sua storia con il Casteggio, che viene asfaltato in amichevole precampionato con venti reti, otto delle quali portano la firma del prolifico Alessandro Trerè I, che si tessera con il Milan alla giovane età di venti anni. È questo il primo cognome che ricorre più volte nella storia del Milan. Come lo saranno più tardi i Colombo
o i Maldini
. Oltre ad Alessandro (trasferitosi poi a Busto Arsizio e quindi a Verona) gioca il fratello Attilio che, invece, è un difensore ed è conosciuto come Trerè II, detto Kaiser
per via dei baffi simili a quelli dell’Imperatore Guglielmo I di Germania. Trerè I rimane in squadra un solo anno, ma in termini di gol la sua presenza non passa inosservata, visto che batte i portieri avversari per sette volte in undici partite.
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Un Milan poco inglese
e molto italiano vince
lo scudetto
Il campo dell’Acquabella si rivela una soluzione di breve durata, visto che nel novembre del 1905 il Milan cambia ancora e si trasferisce al campo di Porta Manforte a via Bronzetti, dove vi rimane sino al 1914, anche se per alcuni mesi qualche partita viene ancora giocata all’Acquabella. Nelle vicinanze di via Bronzetti abita De Vecchi, meglio conosciuto come il Figlio di Dio
e grande giocatore del Milan di quegli anni. Su questo terreno di gioco vengono montate per la prima volta le reti. Ai frequenti cambi di strutture sportive corrisponde anche una drastica diminuzione degli stranieri, ridotti da quattro a uno: il Milan è sempre più italiano. Lo scisma interista di qui a due anni matura in questo clima di italianizzazione del calcio. Il Milan trova il tempo per vincere, il 6 maggio 1906, il secondo scudetto della sua sin qui brevissima vita: una vittoria non semplice ma ottenuta senza colpo ferire, visto che la Juventus decide di non scendere nuovamente in campo dopo lo 0-0 dei tempi supplementari della prima finale. Questa la formazione scudettata, per lo meno quella della prima partita giocata il 29 aprile 1906 al Velodromo di Torino: Trerè II, Kilpin, Meschia, Bosshard, Giger, Heuberger, Pedroni I, Rizzi, G. Colombo, Attilio Colombo. All.: Kilpin-Trerè.
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Rete, rete, rete!
«E la palla entra in rete...», «Rete, rete, rete!», «Il forte tiro scuote la rete alle spalle di...», «Le squadre sono schierate in campo e c’è il consueto controllo delle reti da parte dei collaboratori di linea del signor...», e via di seguito. Le reti vengono usate per la prima volta in Italia in una partita del Milan. I rossoneri giocano con l’Unione Sportiva Milanese nella prima giornata del campionato federale. La stracittadina (l’US Milanese confluirà nell’Inter alla vigilia della seconda guerra mondiale) finisce 4-3 per Kilpin e compagni, ma per la prima volta un portiere, seppure non sia contento di farlo, può raccogliere il pallone alle sue spalle trattenuto da una rete. E il primo a realizzare una... rete è il milanista Guido Pedroni, che sblocca il risultato dopo pochissimi minuti.
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Il primo tulipano
rossonero
Il primo tulipano milanista si chiama François Menno Knoote. Di famiglia nobile, Knoote è uno dei primi calciatori dei Paesi Bassi e con la sua squadra di appartenenza raggiunge per tre volte la finale nazionale. Nel Milan gioca un solo anno, il 1906, e da campione d’Italia (con due presenze) decide di proseguire su un’altra strada nella quale eccelle: il canto. È proprio grazie a questa sua propensione che Knoote giunge a Milano alla fine dell’Ottocento per studiare canto al conservatorio cittadino. Durante la sua permanenza italiana conosce i fratelli Pirelli, che lo convincono ad avventurarsi nel calcio e a fondare insieme il Milan. Solo che il canto è la sua vera passione e, per non rovinare la voce, quando piove pare preferisca non giocare, ma limitarsi a guardare i compagni.
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Ricomincio da... tre
Nel 1907 il Milan, che un anno prima perde la sua sezione di cricket, celebra il terzo scudetto della sua centenaria storia. Il Milan sbaraglia la concorrenza di tre formazioni: l’US Milanese, il Torino e l’Andrea Doria. Quest’ultima è la consueta avversaria del girone eliminatorio della Lombardia. Sia all’andata che al ritorno (6-0, 0-1), i rossoneri riescono a imporsi e a guadagnarsi l’accesso alla fase finale, dove trovano, appunto, genovesi e torinesi. Gli incontri più ardui si giocheranno con i piemontesi imbattuti (1-1 fuori casa, 2-2 in casa); mentre i liguri soccombono per due volte (5-0, 0-2). Il Torino finisce un punto sotto per il pareggio esterno in Liguria e perciò sei punti sono sufficienti perché la squadra del presidente Edwards si fregi del terzo titolo nazionale in otto anni. A vincere è un Milan meno inglese, ma più svizzero per gli arrivi di Imhoff e Mädler. Il Milan vince anche il campionato ginnastica battendo in semifinale il Vicenza per 3-1 e l’Andrea Doria per 2-1 in finale. L’anno del duplice successo coincide con la proposta della «Gazzetta dello Sport» di far disputare un campionato senza stranieri. Un progetto che si rivelerà deleterio per il Milan. Questa è la formazione campione d’Italia: Radice, Meschia, Moda, Bosshard, Trerè I, Piazza, Trerè II, Kilpin, Widmer, Imhoff, Mädler. All.: Angeloni.
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Manca il pallone,
partita sospesa
Quando al termine di un incontro mancano pochi minuti e il risultato è in bilico, a favore di una delle due contendenti, è facile assistere a perdite di tempo da una delle due parti. Se un pallone viene calciato di proposito in tribuna, allora, la palla potrebbe essere rimessa in gioco dalla formazione che in quel momento sta vincendo dopo svariati secondi. Tanti, un’eternità. E così potrebbero aver pensato i giocatori dell’Ausonia Milano che, il 10 novembre 1907, stanno disputando un’amichevole con il Milan valida per il Trofeo Palla Dapples. Solo che in questo caso la furbizia dei tempi moderni non ha ragion d’essere. Non manca moltissimo alla fine del derby e il Milan conduce per 2-0. La gara viene interrotta al 37’ per la mancanza di un pallone regolamentare. Quello utilizzato sino a quel momento ha preso troppi calci ed è inutilizzabile. L’incontro deve essere sospeso e quindi annullato. Tuttavia il Milan vincerà lo stesso il torneo.
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Coppa Spensley
Intorno alla Coppa Spensley, tra il 1907 e il 1908, si accende una forte disputa. Un breve antefatto: nei primi anni del secolo i migliori giocatori del tempo usano mettere in palio dei trofei autocelebrativi recanti il proprio nome. La Spensley, coppa donata dal portiere inglese del Genoa James Spensley, è abbinata alla vittoria del campionato e va consegnata, in originale, alla squadra capace di vincere tre campionati consecutivi o cinque complessivi. Il Milan la vince due volte (1906 e 1907) e dunque è in lizza per appropriarsene in via definitiva. Nell’ottobre del 1907 il presidente della Doria Zaccaria Oberti propone in un’infuocata assemblea della FIGC (non più FIF) di istituire due campionati, uno federale, ovvero aperto anche agli stranieri (ma con qualche limitazione), e uno riservato ai soli italiani e denominato campionato italiano
. Al primo andrebbe la Coppa Spensley, al secondo la Coppa Bruni. La reazione a quest’ordine del giorno è durissima. Il Milan e il Genoa, su tutti, si ritirano dal campionato che sta per iniziare. Alla successiva riunione dell’11 novembre 1907, tra i grandi club, è presente solamente la Juventus. Il Milan rinuncia a entrambi i campionati: i rossoneri vogliono disputare sia il campionato italiano che la Spensley, come fatto sino ad allora. Ma la richiesta viene respinta.
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La riconsegna
della Spensley al Genoa
Il campionato federale del 1908 viene disputato lo stesso e a conquistare il primo posto è la Juventus, cui spetterebbe la Coppa Spensley, ma il Milan, che la detiene da due anni, la riconsegna con un clamoroso gesto di protesta a Spensley stesso. A Torino la restituzione non viene vista bene, perché i bianconeri vogliono avere il trofeo tra le mani come tre anni prima. Il portiere, per non fare torto a nessuno, lo regala al suo Genoa perché venga conservato dalla società rossoblù. Gradualmente le fratture, però, si ricompongono, ed esattamente un anno dopo la separazione dei campionati, nel novembre 1908, si decide di assegnare ugualmente la coppa al Milan. Il campionato italiano, invece, viene vinto dalla Pro Vercelli che guadagna il primo scudetto della sua storia senza l’utilizzo di stranieri.
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Humor britannico DOC
Risale al periodo della nazionalizzazione del calcio (1907-08) un curioso scherzo organizzato dal Milan. La società meneghina partecipa alla Coppa Lombardia, e alla «Gazzetta dello Sport», che appoggia apertamente la mozione di un campionato di soli italiani, fornisce la formazione che sarebbe scesa in campo, interamente composta da stranieri: Whites, Root, Fashion, Hall e Wool, solo per citarne alcuni. Il fatto è che traducendo i cognomi, ci si accorge che essi sono gli italiani del Milan con i cognomi tradotti in inglese: Bianchi, Radice, Moda, Sala e Lana. Lo scherzo va clamorosamente a segno e alla «Gazzetta» non se ne accorgono, se non dopo la pubblicazione. Questa è la formazione completa: Root, Marktel, G. Fashion, Bosshard, Trerè, C. Whites, Hall, Kilpin, Imhoff, Mädler, Wool.
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Il primo tedesco del Milan
Il primo degli antenati di Karl Heinz Schnellinger o più tardi di Oliver Bierhoff è Johann Ferdinand Mädler, di Stoccarda: è lui il primo giocatore tedesco in maglia rossonera. Viene tesserato nel 1902 in occasione della finale persa con il Genoa (quella dei campi invertiti), quindi lascia temporaneamente la squadra per poi tornare nel 1906, rimanendovi sino al 1909. Un triennio durante il quale il personale palmarès si arricchisce di due scudetti. Nel 1906 disputa quattro incontri segnando tre volte. A limitare il raggio d’azione del teutonico è il lavoro, che assorbe molto del suo tempo e lo costringe a giocare solo saltuariamente.
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Attilio Colombo,
lo Stachanov rossonero
Essere chiamati per prendere parte a tre partite in due giorni, a dispetto degli affaticamenti denunciati dagli odierni calciatori, che giocano (ogni tanto) tre volte in sette giorni, è una faccenda complicata. Farlo senza battere ciglio ha qualcosa di eroico. Ma evidentemente la fatica non pesa ad Attilio Colombo. Il giocatore, in barba a tutti i consigli medici, è tra gli undici titolari in tre amichevoli disputate fra il 31 marzo e l’1 aprile 1907, rispettivamente con il Basilea (sconfitta per 4-3) e il Chiasso (due volte battuto, 6-1 e 4-2). Le tre convocazioni sono dovute all’infortunio del portiere Radice, che lui sostituisce persino tra i pali.
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Dai ricordi di Kilpin
Kilpin rimane una fonte inesauribile di curiosità e fatti gustosi da narrare e riportare, come lo sarà Rocco circa cinquant’anni dopo. Il socio numero uno del Milan racconta che, una volta, venne chiamato ad arbitrare (gli sportivi fanno anche questo) una partita e che uno dei due guardalinee aprì un ombrello per ripararsi dalla pioggia e per indicare le rimesse laterali. Per Kilpin quello fu troppo e fermò l’incontro per chiedere al suo collaboratore di assumere un comportamento più consono a un incontro di calcio: doveva chiudere l’ombrello e bagnarsi come tutti gli altri.
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Tributo a Kilpin
All’età di trentasette anni il Milan dice addio al suo fondatore Herbert Kilpin, che lascia la sua creatura dopo la conquista del terzo scudetto nel 1907. Nella sua quasi decennale carriera, Kilpin va via avendo vinto tre volte il titolo di campione d’Italia, con ventitré gare disputate e sette reti messe a segno. Al suo attivo c’è anche una gara con la maglia azzurra, giocata il 30 aprile 1899 a Torino presso il Velodromo Umberto I, contro la Svizzera. Si tratta di un’amichevole e termina 2-0 per i nostri avversari. In ossequio al calcio delle origini, Kilpin ricopre diversi ruoli: esterno basso (oggi si direbbe terzino) e mediano. Un piccolo giallo nasce proprio sulla sua ultima partita. Di sicuro si tratta di un’amichevole giocata nell’aprile del 1908. Ma per alcuni essa ha luogo il 12, sul campo di via Fratelli Bronzetti, contro il Narcisse Sport di Montreux; per altri il 20 aprile contro l’Old Boys Basel.
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Ruoli intercambiabili
Per aggiudicarsi lo scudetto del 1907, il Milan effettua alcuni clamorosi cambi tattici e di ruolo. Tra i pali Kilpin si affida al giovane Radice, proveniente dalla seconda squadra del Milan; poi, lui che è terzino e all’occorrenza mediano, si sposta in attacco per fare posto a Meschia, che gioca da difensore centrale insieme a Guido Moda. Attilio Trerè viene dirottato in cabina di regia, dove invece operava Giger. L’attacco, per l’epoca, è stellare e schiera Trerè II, Widmer, Ihmoff, Mädler, giocatore tedesco già da tempo nel Milan, e appunto lo stesso Kilpin. L’allenatore di questa formidabile squadra è Daniele Angeloni, il primo tecnico non giocatore del Milan. Per lui, cofondatore del Milan insieme al fratello Francesco, dopo cinque anni da giocatore la panchina è stata lo sbocco naturale della sua fortunata carriera.
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Tic tac, tic tac
La lancetta dei secondi va avanti al ristorante l’Orologio di Milano. Intorno a una lunga tavolata, imbandita il 9 marzo 1908, sono seduti quarantaquattro commensali, forse sorridenti, ma di certo con qualche ruga di troppo per la tensione che via via si sta accumulando sui loro visi. Sono i dissidenti del Milan Football and Cricket Club e stanno per sancire la nascita di una società milanese rivale. Hanno un’idea differente del calcio rispetto al resto della dirigenza rossonera e per loro... è giunta l’ora di fondare la Football Club Internazionale Milano.
Il colpo ha i suoi effetti, amplificati dall’esclusione del Milan dal torneo in corso dopo lo sdoppiamento del campionato, italiano da una parte e federale dall’altra. I quarantatré seduti al tavolo rimproverano al Milan di non avere una posizione ufficiale sufficientemente decisa a difesa della presenza degli stranieri nelle squadre. La questione, che ricorda molto da vicino quanto verrà deciso negli anni Ottanta dalla FIGC, anche se solo per pochi anni, con la chiusura del campionato agli stranieri, nasconde dei dissidi con Giovanni Camperio, uno dei soci più in vista e influenti del Milan, che pare non avesse un carattere molto amabile.
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Un caratterino niente male
Le cronache seguono un unico copione: Giovanni Camperio, detto Giannino
, viene descritto come un uomo con un carattere difficile, che si barcamena tra improponibili impennate d’orgoglio. Camperio non è il tipo che torna indietro sulle sue decisioni. Il suo modo di fare, unito ad altre problematiche, canalizza tutti i rancori nei suoi confronti e contribuisce a determinare la scissione e la nascita dell’Inter. Il suo modo di essere, qualche anno dopo, condurrà a un altro esodo, questa volta numericamente più piccolo ma ugualmente pesante, quando molti calciatori sceglieranno l’Inter, nel 1913: Gigi Rizzi, Julio Bavastro, i cinque fratelli Cevenini e i fratelli Mauro. Al nutrito gruppo di fuoriusciti si aggiunge il Figlio di Dio
Renzo De Vecchi, che va al Genoa sempre nello stesso anno. Prima di divenire dirigente, Camperio, oltre a essere socio fondatore, indossa la divisa rossonera vincendo la Medaglia del Re del 1900 (nell’occasione fa anche un gol alla Juve), mentre nel 1908 diventa allenatore al posto di Angeloni. Da tecnico guida il Milan per tre anni, per un totale di trentatré partite. È anche presidente per sette giorni dal 22 al 29 gennaio 1909, giusto prima d’indire l’assemblea che elegge Pirelli. Guida anche la nazionale italiana per tre partite: una con la Francia e due con la Svizzera.
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La maledizione
degli interisti
Si racconta, forse con un pizzico di fantasia di troppo, che quando i quarantaquattro dissidenti lasciano il Milan sbattendo la porta (e non solo in faccia a Camperio, ma anche agli altri rimasti fedeli alla causa milanista), essi abbiano lanciato una sorta di maledizione. Ovvero: «Non vincerete uno scudetto per tanti anni quanti siamo noi». Potrà essere un caso, ma prima che i rossoneri tornino a fregiarsi del titolo di campione d’Italia passeranno esattamente quarantaquattro anni. Saranno quattro decenni e mezzo di vacche magre, e solo nel 1951 la maledizione s’interromperà per sempre con la vittoria del quarto scudetto. La maledizione lanciata dai nerazzurri ricorda quella che si scatenerà a partire dal 1922 ai danni degli scopritori della tomba del faraone Tutankhamon guidati dall’archeologo Howard Carter.
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Il derby nella vita
Il ventiduenne Max Laich gioca nel Milan nel ruolo di centrocampista. Non è uno di quei giocatori che lascerà il segno, ma la sua breve vita calcistica è intimamente legata al derby. Con l’Inter sembra avere un conto in sospeso... che rimarrà tale. Il giovane giocatore elvetico debutta tra i titolari che giocano a Chiasso la prima stracittadina della storia, il 18 ottobre 1908, ma è anche nel primo derby di campionato, il 10 gennaio 1909, che si conclude con un vittorioso 3-2. Si diceva che la sua è una breve vita calcistica perché al campo Internazionale a Ripa Ticinese di Milano, sempre con l’Inter, si spezza una gamba: l’infortunio è talmente grave che, dopo dieci minuti (probabilmente sullo 0-0) la partita viene sospesa, e lui non scenderà in campo mai più.
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Coppa Dapples
Un altro celebre trofeo dell’epoca è la Palla Dapples
, messo in palio dall’omonimo dirigente del Genoa, vinto dal Milan diverse volte. Un bizzarro regolamento ammette che il trofeo si disputi tra la squadra detentrice e quella che per prima abbia fatto pervenire il telegramma di sfida. Curioso, perciò, quanto accade il 22 novembre 1908. Milan e Juventus si recano in Piemonte per giocare contro la Pro Vercelli per contendere la Palla Dapples ai bianchi di casa. Il Milan, per tempo, presenta regolare richiesta alla presenza di due testimoni, sette giorni prima, al termine di un altro incontro proprio contro i piemontesi. Anche la Juventus, da parte sua, spedisce un telegramma lo stesso giorno. Il Genoa, con il consenso della FIF, è la società che mette in palio il pallone d’argento e può decidere, per regolamento, chi debba affrontare la Pro Vercelli. La scelta ricade sul Milan, ma la federazione, con una discussa decisione del segretario Baraldi, preferisce la Juventus, che gioca (e vince) la Palla Dapples.
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Arriva Pirelli,
si volta pagina
Il secondo presidente della storia del Milan è Pietro Pirelli, il quale, dal 1909, sostituisce il britannico Edwards diventando, di fatto, anche il primo presidente italiano. Viene designato a gennaio nei cosiddetti giorni della merla. Per l’imprenditore milanese iniziano venti anni di attiva presidenza, che lasciano sostanzialmente vuota la bacheca rossonera. Sono due decadi piuttosto travagliate, visto che nel mezzo c’è la prima guerra mondiale a cui l’Italia prende parte dal 1915, con le radiosi giornate di maggio. Ciononostante al Milan passano campioni di grosso calibro come gli attaccanti Santagostino e Van Hague. Il suo unico vero successo, più di natura imprenditoriale che agonistica, è la costruzione dello stadio San Siro nel 1926.
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Un albero al centro
della difesa
Pare che non tutti credano alla veridicità di questo racconto, ma nel settembre del 1909 il Milan viene invitato a Solcio (attuale frazione del comune di Lesa, in provincia di Novara) per un torneo amichevole, che mette in palio la Coppa Solcio
. Il campo, però, ha una particolarità da non sottovalutare: un grosso albero di fico cresciuto nei pressi di una delle due aree di rigore, i cui rami si protendono verso la porta. Ed è proprio dietro l’albero che Edoardo Mariani, portiere del Milan nella stagione 1909/10, si nasconde per poi uscire allo scoperto e bloccare le iniziative avversarie. È un episodio divertente che è sempre in attesa di ulteriori conferme. Il primo a parlarne è l’avvocato Ulisse Baruffino, uno dei primi cronisti del Milan.
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Le prime leggende
rossonere, De Vecchi
il Figlio di Dio
Non sembri blasfemo, ma prima che per la mano di Dio
di Maradona al Mondiale messicano del 1986, il Signore è stato scomodato per il giocatore del Milan Renzo De Vecchi, definito "Figlio di