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L'operazione militare segreta che ha cambiato la storia
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L'operazione militare segreta che ha cambiato la storia

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L'incredibile storia vera che ha cambiato il corso della seconda guerra mondiale

1942. Un'operazione militare che non doveva essere autorizzata, talmente folle da essere considerata una missione suicida.

Per colpire al cuore l’armata nazista, un commando di marines inglesi deve raggiungere in canoa la Francia occupata, pagaiando dall’estuario della Gironda fino al porto di Bordeaux. Chi sopravviverà dovrà proseguire, nascondendosi in territorio nemico, fino a valicare i Pirenei per mettersi in salvo. Ma quanti di loro arriveranno alla meta? Quali terribili minacce dovranno fronteggiare per realizzare un’operazione che sembra già fallita in partenza? Paddy Ashdown – già membro dello Special Boat Service nella Royal Navy – ci racconta la formidabile impresa di un pugno di uomini che riuscì a infliggere un durissimo colpo alla Germania nazista, convinta fino a quel momento di essere invincibile. Questa è la storia dell’Operazione Frankton, all’apparenza una missione minore e poco nota, ma che invece ha cambiato il corso della seconda guerra mondiale.

L'incredibile storia vera dell'operazione che colpì il punto nevralgico della Germania nazista

Tradotto in 12 lingue
Vincitore del premio Royal Marines Historical Society
Un successo internazionale

Erano pochi e coraggiosi, ma entrarono nella storia. Il loro obiettivo era incredibile: colpire al cuore l’armata nazista. Le loro speranze minime. Era l’operazione Frankton, un’impresa tanto folle che cambiò il corso della seconda guerra mondiale.

«Di sicuro, verranno scritti molti altri libri di guerra, ma mi auguro che questo d’ora in poi possa diventare il modello.»
Daily Telegraph

«Paddy Ashdown ha raccontato i fatti privandoli di ogni mitologia, e ha scritto un resoconto affascinante e molto personale.»
The Guardian


Paddy Ashdown
(Nuova Delhi, 27 febbraio 1941) è un politico e diplomatico britannico. Ha fatto parte della Royal Navy, in particolare prestando servizio nello Special Boat Service e lavorando come agente nell’Ufficio Affari Esteri. Successivamente è stato leader del partito liberaldemocratico, ed è stato inviato in Bosnia in qualità di Alto Rappresentante dopo la fine del conflitto jugoslavo. Attualmente siede nella Camera dei Lord. È autore di vari libri, tra cui ricordiamo la sua autobiografia, A Fortunate Life.
LanguageItaliano
Release dateDec 16, 2013
ISBN9788854159297
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    L'operazione militare segreta che ha cambiato la storia - Paddy Ashdown

    e-saggistica.jpg

    177

    Titolo originale: A Brilliant Little Operation

    Copyright © Paddy & Jane Ashdown Partnership 2012

    Mappe © Harriet McDougall 2012

    Paddy Ashdown has asserted his moral right to be identified as the author

    of this work in accordance with the Copyright, Designs and Patents Act 1988.

    p. 6 Copyright © 1955 by W.H. Auden, renewed

    Reprinted by permission of Curtis Brown, Ltd

    First published in Great Britain

    2012 by Aurum Press Ltd

    Traduzione dall’inglese di Nello Giugliano

    Prima edizione ebook: ottobre 2013

    © 2013 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-5929-7

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Il Paragrafo, www.paragrafo.it

    Paddy Ashdown

    L’operazione militare

    segreta che ha cambiato

    la storia

    L’incredibile storia vera dell’operazione

    che colpì il punto nevralgico

    della Germania nazista

    Newton Compton editori

    OMINO.jpg

    […] Il filo spinato racchiudeva l’area

    in cui oziavano ufficiali annoiati (uno di loro raccontava

    una storiella)

    e le sentinelle sudavano giacché caldo era il giorno:

    una folla di gente comune e per bene

    osservava da fuori senza muoversi o parlare

    mentre tre pallide figure venivano condotte e legate

    a tre pali piantati nel terreno.

    Tutta l’enorme maestosità del mondo, tutto

    ciò che ha un peso e pesa sempre uguale

    giaceva in mano d’altri; loro erano minuscoli

    e non potevano sperare in un aiuto, e nessun aiuto venne […]

    W.H. Auden, Lo scudo di Achille

    La pura verità, che nessuna persona onesta nelle nostre varie organizzazioni per la propaganda potrà mai negare, è che gran parte dell’energia che avremmo potuto usare contro il nemico è andata sprecata in battibecchi e gelosie tra i singoli dipartimenti.

    Messaggio del ministro della Guerra Bruce Lockhart al ministro degli Esteri Anthony Eden, 22 agosto 1941

    Annotazioni e criteri

    Orari. Poiché questa è la storia di un’operazione soprattutto militare, ho ritenuto opportuno fare riferimento alla versione dell’orario utilizzata dall’esercito. Durante la seconda guerra mondiale, tutte le forze britanniche di stanza in Europa facevano riferimento al GMT (Greenwich Mean Time, l’ora di Greenwich), mentre quelle tedesche usavano il CET (Central European Time, il tempo dell’Europa centrale), che all’epoca equivaleva al GMT + 2 ore. Tutti i riferimenti temporali nel libro vengono forniti secondo il GMT (a quelli rinvenuti nei documenti tedeschi sono state sottratte due ore per renderli coerenti con il GMT).

    Correnti e maree. Gli orari, i flussi e i livelli delle maree e delle correnti, insieme al manuale di navigazione e ai dati delle carte nautiche, sono basati su quelli forniti dal dipartimento archivi dell’Ufficio idrografico britannico per il periodo preso in esame. Queste informazioni sono state integrate con i dati dell’Ufficio idrografico francese. Nelle rare occasioni in cui le due fonti non coincidono, ho scelto di seguire gli idrografi britannici per il mare aperto e quelli francesi per le acque della Gironda. In quest’ultimo caso, i dati sono stati controllati grazie alle informazioni locali e soprattutto all’esperienza diretta di M. Erick Poineau, Responsable magasin et contrôleur marégraphique per boe e luci di segnalazione a Le Verdon.

    Clima e astronomia. I particolari climatici e astronomici sono basati sulle informazioni fornite dal dipartimento archivi dell’Ufficio meteorologico, integrati quando possibile con le informazioni climatiche tedesche e le carte nautiche dell’epoca, custodite anch’esse negli archivi dell’Ufficio meteorologico.

    Unità di misura. Poiché si tratta di un’operazione britannica che ebbe luogo prima della nascita dell’Unione Europea, ho ritenuto giusto usare le unità di misura imperiali e non il sistema metrico decimale.

    Parole in codice. Le parole in codice delle Operazioni congiunte erano molto semplici. A ogni missione ne veniva assegnata una, scelta tramite un procedimento del tutto casuale, e così venne fuori il nome Frankton, col quale venne chiamata l’operazione oggetto di questo libro. Le parole in codice del SOE erano più complicate. Ogni agente aveva due nomi in codice. Il primo era quello col quale veniva identificato nelle comunicazioni interne dell’organizzazione. Per il Sud della Francia, venivano usati mestieri e occupazioni; e così il capo delle operazioni a Bordeaux nell’autunno del 1942, Claude de Baissac, era noto come Scientist, lo scienziato, mentre il suo corriere, Mary Herbert, era Jeweller, la gioielliera, e così via. Ogni agente aveva poi un nom de guerre, col quale era conosciuto sul campo. De Baissac era noto ai collaboratori francesi come David, mentre Mary Herbert era Claudine. Inoltre, ciascun agente era anche munito di una falsa identità, avvalorata da carte e documenti e sorretta da una storia di copertura, o leggenda. De Baissac si spacciava per Claude Marc Boucher, un agente pubblicitario, mentre Mary Herbert era Marie-Louise Vernier, una giovane vedova di Alessandria. Anche le reti di agenti del SOE – in Francia venivano chiamate indifferentemente circuiti o réseaux – avevano nomi in codice, presi da quello del capo della rete in questione. Di conseguenza, la rete operativa a Bordeaux sul finire del 1942 era nota col nome del suo capo: Scientist.

    Dialoghi. Ho riportato il dialogo virgolettato solo quando è tratto da registrazioni realizzate, o approvate, da uno dei partecipanti all’operazione Frankton. Dal momento che Hasler collaborò con Lucas Phillips alla stesura di Cockleshell Heroes, sono partito dal presupposto che i dialoghi in quel libro fossero approvati da lui come accurata rappresentazione di ciò che venne detto all’epoca.

    Disegni. I disegni inclusi in alcuni punti del testo sono opera di Hasler.

    Note. Le note con l’asterisco sono note esplicative dell’Autore. Gli esponenti numerati rimandano alle note bibliografiche in fondo al volume.

    Prologo

    Nel weekend di Pasqua del 1965, subito dopo aver ottenuto la qualifica di canoista nuotatore della Special Boat Section (SBS), il reparto imbarcazioni speciali dei Royal Marines, partecipai alla gara di canottaggio da Devizes a Westminster. Io e il mio compagno di squadra gareggiavamo nella categoria delle canoe smontabili, che prevedeva centoventicinque miglia a remi senza sosta e una corsa trasportando la canoa a pieno carico per superare le settantasette chiuse. Fummo abbastanza fortunati da vincere, ma quelle restano tra le ventiquattr’ore più spossanti della mia vita.

    Dopo la gara presi il treno alla stazione di Waterloo, per tornare alla base dell’SBS a Poole. Gettai lo zaino sulla rastrelliera per i bagagli, mi accasciai sul sedile accanto al finestrino del mio scompartimento, mi coprii con il telo mimetico della canoa e, esausto, sprofondai immediatamente nel sonno. Il treno non era molto affollato e ricordo vagamente che, prima di crollare, nella carrozza c’era solo un’altra persona. A una stazione poco lontano da Londra – Woking, forse – il treno si fermò con un grande scossone e io mi svegliai di soprassalto, scoprendo così che il mio compagno di viaggio mi stava osservando con grande attenzione.

    Era un uomo imponente, con le spalle larghe, calvo, occhi duri e penetranti, un corpo atletico per la sua età – che stimai sulla cinquantina – e baffi brizzolati tenuti con gran cura. Non ricordo come cominciò la conversazione, o chi la avviò, mi pare fu lui, ma ricordo che ben presto cominciai a sentirmi sottoposto a una specie di interrogatorio.

    «A giudicare da quel telo mimetico sei un Royal Marine, immagino».

    «Esatto».

    «Che grado?»

    «Tenente».

    «Quindi vieni da Londra?»

    «Già. Ho appena partecipato alla gara di canottaggio Devizes-Westminster».

    «Mmm. È bella tosta, vero?»

    «Sono centoventicinque miglia – ed è assolutamente spossante, gliel’assicuro».

    «Ci credo. Quindi ora te ne vai a Poole, immagino».

    «Sì».

    «SBS?»

    «Ascolti, non ho il permesso di divulgare dettagli sul mio incarico. Sono riservati, non posso discuterne con chi non è autorizzato», risposi con un tono pomposo e stizzito che non avrei voluto usare, e subito me ne pentii.

    Com’era prevedibile, la conversazione terminò lì e ci richiudemmo in un silenzio che, almeno per me, fu molto imbarazzante, fin quando l’uomo scese dal treno – a Wichester, mi pare – mentre io proseguii fino a Poole. Arrivato a destinazione, mi misi lo zaino in spalla e andai verso la banchina dei taxi. Lì mi raggiunse un commilitone dell’SBS che aveva preso lo stesso treno.

    «Che tipo era?», mi chiese.

    «Chi?», domandai.

    «Blondie Hasler», mi rispose. «Eravate nello stesso scompartimento!».

    Provo ancora oggi un doloroso senso di vergogna quando ripenso che il compagno di viaggio col quale fui così gratuitamente sgarbato era uno dei personaggi più straordinari della seconda guerra mondiale. Era stato il capo e uno dei due soli superstiti dell’incursione dei Cockleshell Heroes: non solo era diventato una leggenda all’epoca, ma con le sue imprese aveva gettato le fondamenta per la moderna SBS, creandone sia l’etica sia la cultura.

    Quell’incontro fortuito non era l’unico punto in comune che avevo con i dieci uomini che presero parte all’emblematico raid contro le navi dell’Asse a Bordeaux. Durante il corso che avevo di recente completato con l’SBS, anch’io, come loro, ero partito da un sottomarino per percorrere a remi le acque del Loch Long e del Loch Fyne, in Scozia. Avevo partecipato a marce notturne nei boschi e nelle brughiere della penisola di Argyll, dove loro si prepararono per la famosa missione. I fantasmi di quegli uomini erano dappertutto.

    Inoltre, i primi Royal Marines a completare la gara di canottaggio da Devizes a Westminster* che io avevo appena concluso l’avevano fatto quindici anni prima, proprio a bordo di una delle canoe Cockle Mark II che Hasler e i suoi incursori lanciarono dal sottomarino britannico Tuna nella foce dell’estuario della Gironda in quella fredda notte del dicembre 1942. E più tardi, quando avrei guidato una mia unità dell’SBS in missione in Estremo Oriente, la nave che fungeva da quartier generale per il Settimo squadrone dei sottomarini con il quale collaboravamo sarebbe stata la britannica Forth, la medesima imbarcazione che Blondie Hasler e la sua squadra avevano usato come base di addestramento nel Clyde, e dalla quale partì la loro incursione** .

    A mio parere l’operazione Frankton, «una piccola operazione geniale» nelle parole di Lord Mountbatten*** , merita senza alcun dubbio di essere definita la più grande delle piccole incursioni della seconda guerra mondiale. Fino al 1942, quasi tutti i raid britannici erano stati brevi, di portata limitata e volti più che altro a risollevare il morale del Paese piuttosto che causare danni reali al nemico, tanto da essere battezzati come imprese mordi e fuggi. Ma la Frankton aveva un vero e proprio intento strategico: colpire quelle imbarcazioni che, rompendo il blocco navale britannico, trasportavano merci fondamentali per lo sforzo bellico dell’Asse. Non risulta che gli uomini di Blondie abbiano mai ucciso qualcuno. Eppure con il loro successo arrecarono gravi danni alla sensazione di invulnerabilità dei nemici dell’Inghilterra, in un momento in cui sembravano trionfare ovunque. E rinnovarono la speranza e lo spirito combattivo dei nostri alleati tra la popolazione francese.

    Poche altre incursioni della seconda guerra mondiale potrebbero reggere il paragone con l’audacia di un assalto all’enorme porto navale tedesco di Bordeaux con appena dieci uomini in cinque fragili canoe. E nessuna prevedeva un’infiltrazione così profonda e prolungata in territorio nemico. Infine, l’epica ritirata dopo il raid e la fuga di Hasler e del suo compagno di canoa Bill Sparks attraverso la Francia occupata, oltre i Pirenei, passando per la Spagna per tornare in Inghilterra, resta un classico ancora ineguagliato nella storia militare britannica.

    Nell’immediato dopoguerra, un ufficiale tedesco di stanza a Bordeaux quando ebbe luogo l’operazione Frankton la descrisse come »l’incursione più straordinaria di tutta la guerra». In seguito, nei primi anni Cinquanta, fu pubblicato un libro piuttosto valido, seppur di parte, sulle imprese di Blondie Hasler e dei suoi uomini. Dopo qualche anno, nel 1955, fu girato anche un film, assai poco veritiero e accurato. Portavano entrambi lo stesso titolo: Cockleshell Heroes, »Gli eroi in canoa» che Hasler disprezzava profondamente.

    La storia raccontata sia dal libro sia dalla pellicola era necessariamente parziale, basata sulla versione fornita dallo stesso Hasler e sulle striminzite informazioni disponibili all’epoca. Ma dopo settant’anni possiamo avvalerci di fonti che non erano accessibili a Hasler e ai suoi cronisti. Ora è possibile consultare i documenti tedeschi di quel periodo, che raccontano i fatti dalla loro prospettiva e registrano nel dettaglio la sorte di ciascuno dei marines di Blondie; e i documenti francesi, che svelano come i suoi uomini vennero aiutati, e traditi. Infine gli archivi nazionali britannici hanno appena desecretato alcuni dossier che svelano una sconvolgente rete di inganni, sovrapposizioni e rivalità interne da parte di chi, da Londra, spedì i Royal Marines di Hasler in una missione che forse non era mai stata necessaria o che, quanto meno, non avrebbe dovuto comportare il sacrificio di tutte quelle giovani vite.

    Durante le ricerche e la stesura di questo libro ho avuto il privilegio di conoscere persone che recitarono un ruolo attivo in questa storia e ricordano ogni eccezionale e talvolta tragico dettaglio di ciò che accadde; ho potuto raccogliere le testimonianze dei parenti dei protagonisti, tramandate in famiglia, che non erano mai state rivelate; e ho potuto collaborare con uno straordinario gruppo di uomini e donne francesi nella regione di Bordeaux, che si sono adoperati per riunire gli ultimi testimoni oculari di ciò che accadde a Blondie e ai suoi uomini, affinché le loro memorie non vengano risucchiate per sempre nel buco nero del passato.

    Perciò, ora sappiamo che questa non è solo la storia del coraggio e dello spirito indomito dei Cockleshell Heroes. è anche la storia dei loro difetti tutti umani. E sappiamo, inoltre, che il loro condottiero, Blondie Hasler, non era l’eroe platinato così caro a fumetti e film di guerra. Era, piuttosto, un uomo profondamente complesso e passionale che, pur dubitando delle proprie capacità di comandante, riuscì a essere d’ispirazione per uomini assai ordinari affinché affrontassero questa missione davvero straordinaria, quasi sovrumana.

    La storia completa dell’operazione Frankton – l’incursione dei Cockleshell Heroes – non è, ora lo sappiamo, un semplice racconto di avventura e temerarietà. Ci sono i momenti bui, oltre a quelli felici; non si tratta solo di gloria assoluta, resistenza incrollabile o impeccabile strategia.

    Ma in tutto questo – tra le vicissitudini, gli errori e il dolore, le battute d’arresto, le tragedie e le sventure – c’è una luce che non è possibile spegnere. Ed è il genuino coraggio e l’indefessa determinazione dei nove uomini che rischiarono la vita insieme a quel mio compagno di viaggio che mi fece tante domande in un giorno di primavera del 1965. Questo libro è dedicato a loro, alle coraggiose genti di Francia che li aiutarono e a tutti coloro che hanno cercato di seguirne l’esempio nell’odierna SBS.

    img01.jpg

    Mappa dell’Europa nel 1943 (Gran Bretagna, Francia e Spagna). I puntini indicano l’itinerario di Hasler e Sparks, la linea tratteggiata il viaggio del Tuna. La linea di demarcazione divide la Francia in due zone.

    * Il capitano H.G. Bruce e il caporale J.F. Litherland, con un tempo di 35 ore e 12 minuti. L’anno seguente, si qualificarono secondi nel loro corso, con un tempo di 24 ore e 21 minuti.

    ** Mio figlio Simon è stato battezzato a bordo della Forth, il cui comandante all’epoca, il beneamato capitano della marina John Moore, è morto l’8 luglio 2010. La festa per il battesimo, celebrata sul cassero di poppa della Forth con il suo impiantito di legno, fu così bella che solo dopo aver varcato i cancelli del cantiere della marina militare britannica a Singapore, io e mia moglie ricordammo di aver lasciato qualcosa a bordo della grande nave: il piccolo appena battezzato!

    *** Queste le parole usate da Mountbatten per descrivere la Frankton nell’introduzione al rapporto postoperativo redatto da Hasler.

    Prima parte

    Il contesto storico

    1

    Londra, 1942

    I primi mesi del 1942 furono forse il periodo più buio della seconda guerra mondiale per la Gran Bretagna. I giorni gloriosi dell’eroismo solitario, di Dunkerque e della battaglia d’Inghilterra erano ormai passati. Il Paese era da tempo oppresso dal giogo di un conflitto permanente. E tutto lasciava pensare che stesse avendo la peggio.

    Dopo la perdita della Francia, numerose altre sconfitte confermarono la superiorità della Germania prima e del Giappone poi contro una Gran Bretagna vacillante, non ancora pronta alla battaglia. In Estremo Oriente le due navi da guerra orgoglio della marina militare inglese, la Prince of Wales e la Repulse, erano state affondate da bombardieri giapponesi il 10 dicembre 1941, tre giorni dopo l’attacco di Pearl Harbor. I giapponesi invasero quindi la Malesia e si spinsero fino alle porte di Singapore, che cadde il 15 febbraio 1942; Churchill definì quell’evento »il peggior disastro e la più grande capitolazione della storia britannica». I giapponesi proseguirono con la rapida presa della Birmania e delle Indie Orientali inglesi e olandesi e, battaglia dopo battaglia, inflissero agli Stati Uniti una serie di schiaccianti sconfitte vendicate solo dall’unica vittoria americana nel mar dei Coralli. Anche l’altro alleato britannico, la Russia, fu costretto a una precipitosa ritirata per sfuggire ai reparti corazzati di Hitler che puntavano dritti alle porte di Mosca, spazzando via ogni ostacolo sul loro cammino.

    Fin quando non fosse stato possibile mobilitare l’immane potenza militare statunitense, la Gran Bretagna aveva solo due risorse per invertire la rotta di questa sequela di umilianti disfatte: l’indefessa, sanguinaria combattività del suo primo ministro, Winston Churchill, e l’antico bastione della potenza britannica, quella marina militare che, malgrado le avversità, rimaneva l’unico corpo armato in grado di rivaleggiare con la controparte tedesca. Ma agli inizi del 1942 l’orgoglio marinaro britannico subì un secondo e duro colpo quando le navi da guerra tedesche Scharnhorst, Gneisenau e Prinz Eugen affrontarono il fuoco di fila inglese nel Canale della Manica, respingendo i miseri tentativi di opposizione e tornando al porto da cui erano partite senza quasi la minima scalfittura.

    E andò ancora peggio quando le squadriglie di U-Boot, molte delle quali partite dai bacini di carenaggio appena costruiti a Bordeaux, si lanciarono contro i convogli di navi britanniche cariche di uomini e materiali bellici di vitale importanza per la battaglia dell’Atlantico. Anche questo primo scontro fu a senso unico. Solo tra il gennaio e il marzo 1942 furono affondate ben 225 navi mercantili, contro l’eliminazione di appena undici U-Boot¹ .

    Nel mar Mediterraneo, la piccola fortezza britannica di Malta era sotto assedio, si batteva disperatamente per la sopravvivenza e divenne ben presto il luogo più bombardato del pianeta. In Nordafrica, Rommel ricacciò l’Ottava armata inglese fino a El Alamein, conquistando Tobruch e scatenando il panico negli uffici del Cairo, dove tutti si prepararono alla fuga e diedero fuoco agli archivi.

    Con l’esercito in ricostruzione dopo Dunkerque, l’aviazione priva anche delle risorse necessarie a proteggere i cieli nazionali e la marina già fin troppo impegnata a salvare il Paese dalla fame nelle acque ghiacciate dell’Atlantico del Nord, il contrattacco non era ancora un’opzione praticabile. Ma anche la migliore alternativa possibile – un blocco navale per negare alla Germania l’accesso alle materie prime essenziali alla sua macchina bellica – si era rivelata fallimentare. Fino alla metà del 1941, Hitler non ebbe alcun bisogno di usare le vie marittime per far arrivare in patria merci e materiali. Si limitava a prelevarli dalle regioni che le sue trionfanti armate avevano conquistato con tanta rapidità: minerale di ferro dalla Scandinavia; acqua pesante per un futuro programma nucleare dalle centrali idroelettriche della Norvegia; generi alimentari dalla Francia e dai Paesi Bassi; petrolio dalla Romania. La controstrategia tedesca di confisca tramite occupazione permise alla Germania di procacciarsi il 90% di quanto necessitava alla prosecuzione della sua guerra ignorando i tentativi di blocco navale da parte degli inglesi. Nei primi anni del conflitto, anche le materie speciali non reperibili nelle satrapie europee – gomma, oppio per i medicinali, stagno, tungsteno, antimonio, molibdeno, oli animali e vegetali – venivano trasportate via terra direttamente dall’Estremo Oriente, lungo la Transiberiana.

    Ma l’operazione Barbarossa, l’invasione tedesca della Russia nel giugno 1941, cambiò ogni cosa, a svantaggio di Hitler. Un sistema di scambi tra le potenze dell’Asse era già stato concordato in linea di principio all’interno del patto tripartito firmato nel settembre 1940. I giapponesi lo chiamavano "accordo Yanagi, e quando divenne pienamente operativo cominciarono a barattare le materie prime speciali dei loro territori occupati di Malesia, Indonesia, Filippine e Indocina con forniture belliche di produzione tedesca: cuscinetti a sfera, agenti chimici, progetti e tecnologia militare avanzata come radar e sensori di prossimità. Un documento basato su rapporti di spionaggio riguardo alle intese commerciali tra Germania e Giappone stilato per l’Ammiragliato dal ministero della Guerra economica a metà del 1942 stimava che: nei prossimi dodici mesi, la Germania auspica di ottenere 250.000 tonnellate di merci dal Giappone. Questo rappresenta un incremento significativo rispetto alle precedenti 100.000 tonnellate"² , ed era previsto che in quello stesso periodo anche la domanda giapponese di materiale tedesco sarebbe aumentata da 40.000 a 100.000 tonnellate.

    All’improvviso, dopo l’invasione della Russia da parte della Germania, per la Gran Bretagna tornava d’attualità l’idea del blocco navale. Ma l’impresa non era semplice come si poteva immaginare.

    I tentativi del passato, durante le guerre napoleoniche e poi nella prima guerra mondiale, erano stati circoscritti quasi del tutto all’Atlantico del Nord e al mar Mediterraneo. Ora, per essere efficace, il blocco doveva estendersi su scala globale. Ma un simile sforzo era fuori dalla portata delle risorse navali al momento disponibili agli Alleati. Le imbarcazioni con le quali i tedeschi tentavano di forzare il blocco³ (una stima dell’ottobre 1942 calcolava fossero ventisei⁴ ) erano per lo più navi requisite o catturate. Durante i loro viaggi, che duravano all’incirca tre mesi, venivano rifornite da navi mercantili e petroliere tedesche, erano pesantemente armate⁵ e, capaci di raggiungere anche i diciassette nodi, riuscivano spesso a superare in velocità le navi da guerra inglesi. Quindi un’efficace strategia di blocco doveva basarsi sulla possibilità non solo di raggiungere queste imbarcazioni in alto mare, ma anche di colpirle quando erano in porto.

    E soprattutto nel grande porto di Bordeaux, nel Sudovest della Francia. Con il Canale di Suez ancora sotto il controllo degli Alleati, tutte le spedizioni navali tedesche provenienti dall’Estremo Oriente dovevano passare per il Capo di Buona Speranza. Un possibile porto di scarico poteva essere Marsiglia, ma questo significava superare il fuoco di fila dei cannoni inglesi a Gibilterra. Quindi Bordeaux⁶ , sul fiume Garonna, a poche miglia dal punto in cui questo si congiunge alla Dordogna per formare l’estuario più grande d’Europa, la Gironda, era diventata importante non solo come porto per il traffico costiero, per esempio per il trasporto del minerale di ferro dalla Spagna; ma era anche il porto tedesco più vicino per i preziosi carichi provenienti dall’Estremo Oriente. Bordeaux, in breve, aveva un fondamentale ruolo strategico sia per la necessità tedesca di procacciarsi le materie prime indispensabili alla prosecuzione della guerra, sia per i tentativi inglesi di impedirlo.

    L’importanza che tale traffico rivestiva per entrambe le parti è desumibile dalle risorse che erano disposte a dedicarvi. Una delle imbarcazioni usate per forzare il blocco inglese, il mercantile Osorno, era protetta durante il suo approdo a Bordeaux da almeno tredici U-Boot e undici navi tedesche, mentre gli Alleati tentavano di scovarla e affondarla con forze che comprendevano una portaerei americana, tre cacciatorpedinieri, otto bombardieri Halifax e cinquantatré sortite di Mosquito e Beaufighter⁷ : eppure nonostante quest’imponente apparato militare, la Osorno arrivò a destinazione.

    Per Berlino riuscire a infrangere il blocco navale aveva un grande valore propagandistico. Quando, sul finire del 1943, il sottomarino giapponese I-52 Momi⁸ giunse a Lorient con un carico d’oro (per pagare le merci che il Giappone aveva acquistato dalla Germania), l’equipaggio fu inviato a Berlino per incontrare Hitler e, sotto gli occhi del grande pubblico, trascorse diversi giorni di vacanza a Parigi prima di ripartire. Per il viaggio di ritorno (anche questo assai pubblicizzato in Germania), il sottomarino trasportava un carico di radar, sonar, strumenti ottici, ottocento libbre di ossido di uranio (in teoria, da usare per una bomba sporca contro gli Stati Uniti) e vari brevetti, oltre ad alcuni tra gli armamenti tedeschi più avanzati dal punto di vista tecnologico.

    Quella del blocco navale era tuttavia una strategia passiva, seppur necessaria. L’animo combattivo di Churchill esigeva anche un modo per passare all’offensiva. Ma in tal senso le opzioni erano assai limitate dalla carenza di risorse. Dal momento che le normali operazioni di attacco contro un nemico ormai fermamente asserragliato tra le mura della Festung Europa (Fortezza Europa) erano chiaramente fuori dalla portata dell’esercito inglese in quella fase del conflitto, Churchill dovette passare a strategie non convenzionali e a forze irregolari. La nuova fase della guerra di terra per l’Europa, concluse il primo ministro, doveva essere segreta, irregolare e clandestina.

    A metà del 1940 Churchill creò quasi nello stesso tempo due nuove organizzazioni per perseguire la sua guerra segreta, e usò anche un linguaggio sorprendentemente simile per definirne i compiti. Le Combined Operations (CO, Operazioni congiunte), lanciate il 14 giugno 1940, dovevano »diffondere un regno di terrore»⁹ lungo tutte le coste dell’Europa occupata, mentre lo Special Operations Executive (SOE), nato poco più di un mese dopo, il 22 luglio, aveva l’incarico di »incendiare l’Europa».

    Malgrado questo gioco a rimpiattino di responsabilità sovrapposte, il SOE, guidato dal dottor Hugh Dalton, un uomo irritante, egoista, motivato, sinistrorso e ambizioso, non sentiva il bisogno o la necessità di comunicare ad altri le proprie azioni; nelle parole di Dalton, »l’organizzazione dovrebbe essere […] del tutto indipendente dalla struttura dell’Ufficio di guerra»¹⁰ . Il SOE, con il suo quartier generale al numero 64 di Baker Street, a un incrocio da Marylebone Road e ben lontano dal centro di governo a Whitehall, vedeva la condivisione delle informazioni non solo come un pericolo per gli agenti sul campo, ma anche come una minaccia potenziale alla sua stessa sopravvivenza politica. E una tale visione non era priva di fondamento: c’erano davvero poteri forti intenzionati a porre fine al SOE riducendone le risorse, sabotando le missioni e diffondendo dicerie negative nei corridoi di Whitehall o addirittura fino al numero 10 di Downing Street.

    La verità è che a metà del 1941, pur esistendo da oltre un anno e dopo aver consumato un ragguardevole quantitativo di risorse (non ultimi i preziosi aeroplani), il SOE aveva ottenuto ben poco a parte punzecchiare qua e là il nemico, senza alcun reale contributo allo sforzo bellico nazionale.

    Nel maggio 1942 le Operazioni congiunte, il cui quartier generale era in Richmond Terrace, a Whitehall, avevano già eseguito più di venti incursioni lungo la linea costiera europea occupata dal nemico, in luoghi che andavano dal Circolo polare artico, a nord, fino al golfo di Biscaglia a sud. Erano il pugno di ferro di Churchill, al quale lo statista aveva ordinato di »arrivare dal mare di tanto in tanto e sradicare le sentinelle tedesche dalle loro postazioni con efficienza sempre maggiore», e stavano facendo proprio questo da qualche parte lungo le coste dell’Atlantico, in media una volta ogni due settimane. Ma le loro incursioni erano, quasi senza eccezione, semplici operazioni mordi e fuggi che, per quanto coraggiose e senza dubbio sconfortanti per il nemico, avevano un impatto quasi nullo sull’andamento strategico della guerra. Molti a Whitehall chiedevano apertamente se, in un momento di estrema carenza di risorse, questi piccoli raid valevano il loro costo in termini strategici. Le Operazioni congiunte, come il SOE, erano sotto pressione e dovevano dimostrare di poter dare un valido contributo allo sforzo bellico.

    Il nuovo Chief of Combined Operations (CCO), al quale nel marzo 1942 venne concesso un posto ambìto nel potentissimo Chiefs of Staff Committee (CSC), il Comitato dei capi di stato maggiore¹¹ , era l’ex comandante di cacciatorpediniere Louis Mountbatten, un giovane ambizioso e di bell’aspetto legato alla famiglia reale. Nei primi mesi del suo incarico, Mountbatten incontrò il capo del SOE per discutere della collaborazione tra le rispettive organizzazioni. Ma ne venne fuori ben poco, a parte la nascita di una relazione di attenta cortesia tra i due. Quando, nel febbraio 1942, Churchill depose Dalton dall’incarico di ministro dell’Economia di guerra¹² e presidente del SOE sostituendolo col più accomodante Lord Selborne, i rapporti tra i vertici delle due organizzazioni migliorarono in una certa misura: Selborne era amaramente consapevole che, dopo l’irritante approccio di Dalton, aveva parecchio terreno da recuperare per risistemare le relazioni di Whitehall con le altre forze, sia regolari sia irregolari.

    Gli incontri quotidiani tra il personale delle due organizzazioni volute da Churchill divennero assai più fruttuosi. Il SOE mise a disposizione delle Operazioni congiunte una delle sue installazioni segrete, la Sezione tecnica IX, di base in una pensione di campagna chiamata The Frythe a Welwyn Garden City, nell’Hertfordshire. Questa divisione era responsabile dello sviluppo, della costruzione e del rifornimento di nuove armi da usare nella guerra clandestina, come le mignatte, mine antinave, e le loro cugine più piccole e meno potenti, usate per interrompere le linee ferroviarie.

    Un’altra organizzazione condivisa di fondamentale importanza sia per il SOE sia per le Operazioni congiunte a quel tempo era l’Inter-Services Topographical Department (ISTD), il reparto topografico interdipartimentale, che era in realtà gestito dal Secret Intelligence Service (SIS)* , l’agenzia di spionaggio per l’estero inglese. Di base nella facoltà di Geografia dell’università di Oxford e con un personale costituito per gran parte dagli stessi docenti, questa unità aveva il compito di raccogliere tutte le informazioni disponibili, dalle foto di vacanza del periodo prebellico alle ultime scansioni aeree e notizie di intelligence, in modo da produrre dettagliati rapporti topografici sulle zone in cui si prevedevano possibili operazioni. Malgrado questa collaborazione di base su questioni operative, tuttavia, i rapporti di vertice tra Richmond Terrace e Baker Street rimasero guardinghi e sospettosi.

    Tale clima di rivalità, sovrapposizione e competizione non riguardava soltanto CO e SOE. Vigeva anche tra il SOE e il SIS. Quest’ultimo vedeva nel nuovo arrivato un rivale ambizioso, pronto non solo a prendere il suo posto, ma anche a farlo in modo scorretto e palese, con tanto di esplosioni e uccisioni di tedeschi, andando così a turbare la calma e l’accortezza del vero spionaggio. Nel commentare questa inimicizia dopo la guerra, Malcolm Muggeridge, un agente del SIS, disse: «Anche se SOE e SIS erano in teoria dalla stessa parte nella guerra, in linea di massima si detestavano più di quanto detestassero l’Abwehr»¹³ .

    L’acredine nei rapporti istituzionali tra le due organizzazioni era poi esacerbata da profondi dissapori personali. Claude Dansey, che malgrado il ruolo di secondo in comando era a tutti gli effetti il capo del SIS, definiva gli agenti del SOE »banditi dilettanti», e traeva grande piacere da ogni disfatta di Baker Street¹⁴ .

    Come il SIS, il SOE era un’organizzazione non dichiarata: vale a dire che i finanziamenti non erano soggetti ad approvazione parlamentare, il budget era riservato e la sua stessa esistenza non era in alcun modo riconosciuta pubblicamente. Nato in segretezza e in segretezza preservato, ben presto il SOE sviluppò una vera e propria ossessione per i segreti, che divennero il codice etico, la cultura e il modo per sopravvivere nella giungla di Whitehall negli anni Quaranta. Gli agenti adottavano persino delle false identità quando presenziavano a riunioni o avevano incontri di lavoro con le loro controparti di Whitehall. Né questa cultura di esclusione e segretezza si limitava alle relazioni esterne. La struttura interna dell’organizzazione era in gran parte basata sulle sezioni nazionali, ciascuna responsabile per l’addestramento, l’inserimento sul campo e la gestione di agenti in diversi Paesi dell’Europa occupata. C’era una sezione per ciascun Paese, tranne che per la Francia, che ne aveva due: la Sezione f (come Francia) e la Sezione RF (come République Française)¹⁵ . La prima, guidata dal colonnello Maurice Buckmaster, comprendeva agenti e ufficiali di origine per lo più britannica e, su insistenza del generale de Gaulle, veniva fortemente dissuasa dal reclutare cittadini francesi¹⁶ . Questi dovevano essere esclusiva della Sezione RF¹⁷ . Sebbene sul campo le sezioni F ed RF si trovassero spesso a collaborare, i rispettivi quartieri generali a Londra erano in un rapporto di assoluta sfiducia reciproca, si disprezzavano profondamente e quasi mai condividevano le informazioni.

    C’era poi una terza sezione del SOE che a quei tempi agiva in Francia: la Sezione DF. Era un’organizzazione di portata europea che faceva rapporto direttamente al brigadiere colonnello Colin Gubbins, il direttore delle operazioni e dell’addestramento per il SOE, e si occupava di fornire le vie di fuga, soprattutto per gli stessi agenti dell’organizzazione. Di tanto in tanto veniva usata anche per aiutare altri uomini, come prigionieri evasi o piloti abbattuti che tentavano di rientrare in patria.

    Ma la sovrapposizione e la rivalità tra le organizzazioni clandestine in competizione non finivano qui. A quei tempi c’erano almeno altre tre organizzazioni segrete che agivano in Francia.

    La prima era il Bureau central de renseignements et d’action (BCRA) della Francia libera di de Gaulle, nato nel 1940¹⁸ e guidato dal colonnello Dewavrin (nome in codice Passy) nel quartier generale londinese di de Gaulle al numero 4 di Carlton Terrace. Le reti o réseaux del BCRA erano suddivise in réseaux des actions e réseaux des renseignements. Le prime si concentravano su sabotaggi e azioni di offensiva militare, mentre le seconde raccoglievano informazioni, gran parte delle quali veniva passata all’acerrimo rivale del SOE, il SIS.

    Venivano poi le organizzazioni di intelligence dello stesso SIS, la più famosa delle quali al tempo era l’Arca di Noè (così battezzata dai tedeschi, poiché tutti gli agenti avevano nomi di animali), guidata da Marie-Madeleine Fourcade-Bridou.

    E infine – da non confondersi con la Sezione DF del SOE – c’era il MI9, capeggiato dal maggiore Norman Crockatt, che gestiva una propria e indipendente organizzazione segreta dedita a favorire il rientro in Gran Bretagna di prigionieri di guerra evasi e aviatori abbattuti.

    Rivalità, sovrapposizioni, sospetti e il bisogno disperato di dimostrare il proprio valore: erano queste le caratteristiche prevalenti delle organizzazioni segrete che proliferavano e competevano tra loro nella Londra del 1941. Poi, all’improvviso, sul finire dell’estate di quell’anno – proprio quando il SOE ne aveva grande bisogno – a Baker Street cominciarono ad arrivare messaggi segreti da Bordeaux che erano di importanza fondamentale per la strategia inglese del blocco navale, per la guerra segreta di Churchill, nonché per la lotta per la sopravvivenza del SOE a Whitehall…

    * Conosciuto anche come MI6 (in origine, Military Intelligence 6), per distinguerlo da mi5 (Military Intelligence 5) e – come vedremo in seguito – mi9 (Military Intelligence 9). Ma vi farò riferimento con la sigla oggi più diffusa, SIS.

    2

    Bordeaux, 1940-1942

    Il ruolo di Bordeaux in questa nostra storia comincia, come spesso succede nelle grandi storie, con un uomo.

    Jean Duboué aveva quarantatré anni quando scoppiò la seconda guerra mondiale. Fattosi da sé, aveva cominciato a lavorare come garzone nelle miniere della regione basca della Spagna, dove fu salvato e istruito dai gesuiti. Duboué arrivò a Bordeaux tra le due guerre e iniziò una nuova vita come direttore del Café du Commerce, il ristorante più famoso della città. Da lì passò poi ad aprire locali propri. Uno di questi era il Café des Marchands, un piccolo ristorante con pensione annessa frequentato da portuali, camionisti e piazzisti, che Duboué gestiva insieme alla moglie sul lungofiume della città, conosciuto dagli abitanti del posto come Le Port de la Lune per via della forma di ampia mezzaluna.

    All’epoca dell’arrivo di Duboué a Bordeaux, il sindaco della città era impegnato in un grande progetto di rinnovamento. Venivano abbattute le vecchie banchine fatiscenti, da dove partivano il ferro e lo stagno in epoca romana, il vino nell’VIII secolo (diretto soprattutto a Bristol), gli schiavi per il Nuovo Mondo e caffè, zucchero, cacao, cotone e indaco per gran parte dell’Europa nei secoli successivi. All’interno di una vasta opera di lavori pubblici, i moli su entrambe le sponde del fiume furono sostituiti da nuove banchine di pietra lunghe quasi quattro miglia e mezzo. Queste vantavano oltre centocinquanta modernissime gru elettriche, coadiuvate da sei gru galleggianti e altre attrezzature per caricare e scaricare carbone, rena, grano, minerale di ferro e altre merci. Dietro i moli vennero costruiti grandi hangar di cemento, che fungevano da magazzini e terminal per i passeggeri. Più indietro ancora, la vecchia strada di ciottoli accanto al porto fu divelta e sostituita da un’ampia superstrada asfaltata, che correva per tutta la lunghezza dello splendido lungofiume di Bordeaux risalente al XVIII secolo¹ . Qui si trovavano i fornitori marittimi e gli uffici delle grandi ditte di spedizioni, i caffè, gli alberghi di lusso e i mercanti (soprattutto quelli di vino) e, all’estremità del lungofiume dalla parte di Pont de Pierre, gli eleganti appartamenti con balconi, circondati da parchi, gli svaghi per la borghesia e graziosi viali. All’altra estremità, conosciuta come quai des Chartrons, sorgeva il quartiere Bacalan, con il groviglio di case per la classe proletaria dove alloggiavano i duemila portuali che si guadagnavano da vivere ai moli. Nel Bacalan la vita era dura, i mezzi di sostentamento non sempre legittimi, le strade poco illuminate, i caffè piccoli, fumosi e dozzinali, e il vino rosso ruvido come la clientela che lo beveva.

    Il Café des Marchands di Jean Duboué si trovava al centro di questa mezzaluna e della sua scala sociale, e rifletteva la posizione del proprietario, un imprenditore della borghesia di Bordeaux in rapida ascesa. Quando scoppiò la guerra, gli affari andavano abbastanza bene perché Duboué riuscisse a comprare una piccola villégiature, o maison de campagne, chiamata Ancienne Villa Roucoule, a Lestiac-sur-Garonne, dodici miglia e mezzo a sudovest della città.

    Quando finalmente scoppiò anche in Francia, la guerra arrivò subito a Bordeaux. La città fu dichiarata capitale temporanea dopo la caduta di Parigi² . Ma non poteva durare a lungo. Il 17 giugno 1940 dall’aeroporto Mérignac di Bordeaux Charles de Gaulle prese un aereo, 100.000 franchi d’oro, un paio di pantaloni di ricambio, quattro camicie e, secondo molti, l’onore della Francia, e fuggì in Gran Bretagna.

    L’armistizio che il maresciallo Pétain firmò cinque giorni dopo divise il Paese in due. La parte settentrionale e occidentale (conosciuta come Zone Occupée, o ZO), che comprendeva tutta la costa atlantica, fu sottoposta alla diretta autorità della Germania. I restanti due quinti del Paese, la parte meridionale (la Zone Non-Occupée, o ZNO), erano guidati dal governo fantoccio di Pétain, con capitale a Vichy. Le due zone erano separate da una linea di demarcazione che andava dal confine svizzero di fronte a Ginevra fino a un punto della frontiera spagnola vicino a Saint-Jean-Pied-de-Port.

    Questa linea – a tutti gli effetti una frontiera interna – era controllata in ogni punto di attraversamento da una postazione di guardia permanente tedesca, con tanto di bandiera con la svastica e un grande cartello con l’austera dicitura: "Demarkationsline. Überschritten verboten – Ligne de démarcation, défense de traverser". La postazione della Repubblica di Vichy sul lato della ZNO, di solito entro le cinquecento iarde di distanza da quella tedesca, era meno formale, e spesso restava sguarnita per diverse ore di seguito. Nella regione di Bordeaux, questa linea di controllo correva da nord a sud circa diciannove miglia a est della città, attraversando la Dordogna a Castillon-la-Bataille e la Garonna a Langon.

    L’adozione formale della divisione della Francia cominciò alla mezzanotte del 26 giugno 1940, ma solo il 1º luglio le truppe tedesche arrivarono in gran numero a Bordeaux, dove subito misero sotto serrato controllo gli abitanti, l’economia e le vie di comunicazione della città. Stabilirono il coprifuoco dalle 11 PM alle 5 AM secondo l’orario tedesco (21-03 GMT), e i contravventori erano puniti col carcere e i lavori forzati. Tutte le armi da fuoco, inclusi i fucili da caccia, andavano depositati presso la mairie locale. Qualsiasi notizia ufficiale doveva essere pubblicata in tedesco, oltre che in francese. Venne issata la svastica su tutti gli edifici più importanti, e furono installate severe postazioni di controllo al porto di Bordeaux, sull’estuario della Gironda, all’altezza di tutti i maggiori incroci stradali e lungo la ferrovia. Col tempo, qualsiasi aspetto della vita quotidiana sarebbe stato sottomesso all’autorità tedesca, incluse poste e telecomunicazioni, giornali, cinema, eventi culturali, agricoltura (compreso il vino), transazioni commerciali, raffinamento e distribuzione dei derivati del petrolio e il passaggio delle merci verso e dalla Francia di Vichy. C’era un’infinità di posti di blocco permanenti (contrôles), integrati con punti di controllo (conosciuti come rafales) presso i quali bisognava esibire una carta d’identità accompagnata da un laissez-passer o Ausweis.

    Il cibo (ora razionato) cominciava a scarseggiare sempre più, soprattutto per gli abitanti delle città e dei paesi della Francia occupata, per i quali divenne prioritario cercare in ogni modo di procacciarsi il sostentamento per se stessi e le loro famiglie. Non passò molto prima che tutto ciò portasse alla nascita di un fiorente mercato nero.

    A sud della linea di demarcazione, nella ZNO – nota anche come zone libre – l’atmosfera era molto più rilassata. Qui gli spostamenti, se si escludevano gli sporadici contrôles e rafales, erano assai più liberi, e la mano dell’amministrazione di Vichy molto più leggera.

    Malgrado la sua recente storia come capitale della Francia – e a dispetto dell’ottimismo dell’allora capo del SOE Hugh Dalton, il quale sosteneva che »nell’Europa occupata l’opposizione ai nazisti bruciava sopita, pronta a divampare al primo aiuto o incoraggiamento»³ – Bordeaux non era un precoce focolaio di resistenza contro la Germania. Anzi, nei primi anni della guerra gran parte della Francia sembrava a suo agio con gli occupanti, e i soldati tedeschi di stanza in quel Paese vedevano il proprio incarico come una pacchia. Tutti i sondaggi clandestini eseguiti nella zona dal SIS e dalla Francia libera di de Gaulle lamentano che lo spirito di resistenza tra gli abitanti di Bordeaux all’epoca era di una fiacchezza deprimente. All’inizio, l’opposizione all’occupazione fu per lo più limitata ad atti di ribellione individuali.

    Le cose cominciarono a cambiare quando i tedeschi presero a reagire con severità sempre maggiore a queste piccole provocazioni. Il 27 agosto 1940 un ebreo di nome Leizer Karp fu condannato a morte dopo un processo sommario per aver alzato il pugno a un corteo tedesco. In dicembre, un brillante studioso di matematica del posto, Pierre Germin, fu accusato di capeggiare la Resistenza e venne fucilato a Souge, appena fuori dalla città, un posto che sarebbe presto diventato famoso per le esecuzioni di quanti erano pronti a rischiare la vita nella lotta contro gli oppressori della Francia. Il 20 ottobre 1941 un consulente militare tedesco, Hans Reimer, fu assassinato a Bordeaux⁴ . I tedeschi reagirono con terribile durezza: cinquanta ostaggi civili furono portati a Souge e giustiziati per rappresaglia* . Lentamente, nella regione di Bordeaux cominciò a crescere la resistenza organizzata contro gli occupanti.

    Dopo l’operazione Barbarossa nel giugno 1941, venne fondata un’organizzazione di orientamento comunista chiamata Franc-tireurs et Partisans (FTP)⁵ , tra i cui attivisti vi erano molti portuali, ferrovieri e impiegati postali dell’area di Bordeaux. Poco tempo dopo, nacque un’altra organizzazione di sinistra, questa volta legata a de Gaulle e chiamata Confédération générale du travail (CGT). La destra rispose formando una propria rete, la Organisation civile et militaire (OCM), con un ramo nella regione della Charente che si faceva chiamare Le Groupe Ouest.

    A tempo debito, questa grande congerie di movimenti si sarebbe strutturata in una resistenza armata su base ampia – anche se molto frazionata – con migliaia di agenti, molti dei quali spesso ignoravano persino il nome della singola organizzazione cui appartenevano. Alcune di queste realtà erano poco più di associazioni di amici che si univano per esprimere tramite la resistenza agli occupanti il proprio cameratismo, il patriottismo, la rabbia o anche l’affiliazione politica (per lo più comunista). È stato calcolato⁶ che, alla fine della guerra, c’erano 266 réseaux di Resistenza di varia natura – armati, equipaggiati e guidati dalle organizzazioni segrete rivali in Inghilterra – con forse oltre 100.000 agenti, presenti in quasi ogni località della Francia⁷ .

    Jean Duboué fu uno dei primi a Bordeaux a organizzare una forma di opposizione agli oppressori del proprio Paese. Non era la sua prima guerra. In quella del ’14-18 era stato ferito in uno dei calvari più sanguinosi della Francia, la battaglia di Chemin des Dames, e per il suo coraggio era stato insignito della Légion d’honneur. Nell’agosto 1940, meno di sei settimane dopo la fuga di de Gaulle in Inghilterra, Duboué unì le forze con l’amico Léo Paillère, che abitava accanto al suo ristorante sul lungofiume di quai des Chartrons, e diede vita a una delle prime reti segrete della Resistenza. Nel 1941 la struttura venne assorbita dalla rete che in seguito sarebbe diventata nota con il nome di AS (l’abbreviazione di Armée sécrète). A metà del 1941, tuttavia, non c’erano le attrezzature né i numeri per una resistenza armata. E così l’AS Réseau di Duboué, che era arrivato a contare trentasei agenti prima della fine del 1940⁸ , cominciò le sue attività come réseau de renseignements (rete di intelligence). Nel 1940 e durante l’estate del 1941, Duboué e Paillère si adoperarono per rinforzare il loro réseau e accrescere il numero dei membri fino a cento, stabilendo anche tre luoghi dove ricevere i lanci di paracadute e una casella postale per i messaggi clandestini. Duboué si creò una rete di contatti tra i lavoratori del porto che frequentavano il suo locale, cosa che gli permetteva di restare aggiornato sui movimenti delle navi e del loro carico.

    Ma l’organizzazione di Duboué e Paillère non era l’unico réseau de renseignements che agiva a Bordeaux in quel periodo. Anche il BCRA della Francia libera di de Gaulle aveva i suoi agenti in città, inclusi due marinai della Gironda, Jean Fleuret e Ange-Marie Gaudin⁹ , che fornivano informazioni dettagliate sulle navi che entravano e uscivano dal porto, dati idrografici e topografici sull’estuario e ragguagli sullo schieramento delle forze tedesche in quell’area¹⁰ . Questo prodotto veniva spedito al BCRA di de Gaulle a Londra, che a sua volta lo passava all’acerrimo rivale del SOE, il SIS.

    Il SIS, in ogni caso, aveva i suoi circuiti indipendenti in città. Questi comprendevano la rete polacca f2 gestita da Tadeusz Jekiel, che faceva rapporto sui movimenti dei carichi navali attraverso Marsiglia, e un réseau di intelligence chiamato Jade-Amicol.

    Nel 1941, più o meno nello stesso periodo in cui Duboué cominciava a occuparsi della resistenza, un elegante quarantanovenne di nome Raymond Brard mise in piedi un diverso réseau di intelligence che si concentrava principalmente sulla zona del porto¹¹ . Brard, uomo noto e rispettato a Bordeaux, era a capo dei vigili del fuoco al porto, e in quanto tale aveva accesso a tutte le navi ormeggiate ai moli. All’inizio passava le informazioni al circuito Jade gestito dal SIS, ma in seguito istituì un proprio réseau annesso al SIS e chiamato Phidias-Phalanx¹² , che avrebbe poi intrapreso anche piccole missioni di sabotaggio sui moli¹³ . Malgrado Brard sapesse senza dubbio di Duboué e del suo collegamento con il SOE, non c’era alcun contatto tra le rispettive organizzazioni. Come avrebbe scritto dopo la guerra uno dei principali agenti di Brard, Albert Juenbekdjian, Duboué e i suoi colleghi »facevano rapporto direttamente alla Sezione f del SOE (Buckmaster), che non solo non aveva alcun legame con noi, ma in realtà ci teneva nascoste tutte le attività che portavano avanti»1¹⁴ .

    Diverse, separate ed esclusive, tutte queste reti avevano una cosa in comune: erano gelose della propria reputazione e si guardavano con sospetto, proprio come i loro rispettivi capi a Londra.

    A un certo punto, nel 1941, Duboué allargò ancora di più la sua rete legandosi a un altro ribelle della prima ora, Gaston Hèches di Tarbes, circa cento miglia a sud di Bordeaux e vicino ai Pirenei e al confine spagnolo. Hèches, un uomo minuto affetto da una forma di reumatismo così grave da non consentirgli neppure di girare la testa e costretto a camminare con l’aiuto di

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