Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

La banda nera
La banda nera
La banda nera
Ebook277 pages4 hours

La banda nera

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Un'organizzazione segreta, che si fa chiamare Banda nera, combatte al di fuori della legalità contro dei criminali che, all' epoca della rivoluzione bolscevica, si sono impadroniti dei gioielli dei regnanti russi e che ora, sotto la guida di un fantomatico Pastore, minacciano di portare lo scompiglio in tutta l'Europa. Gli inquirenti di Scotland Yard, confusi dai misteriosi messaggi della Banda nera e dall'audacia del Pastore e dei suoi accoliti, brancolano nel buio; fino a quando, in una casa alla periferia di Londra, si presenta loro uno scenario agghiacciante...

Herman Cyril McNeile

(1882-1970), meglio conosciuto con lo pseudonimo Sapper, militare di carriera, scrisse diversi romanzi polizieschi, tra i quali i più famosi hanno per protagonista Bulldog Drummond.
LanguageItaliano
Release dateAug 6, 2013
ISBN9788854152090
La banda nera

Related to La banda nera

Titles in the series (100)

View More

Related ebooks

Mystery For You

View More

Related articles

Reviews for La banda nera

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    La banda nera - H. Cyril McNeile

    figlia

    1. Dove accadono delle cose vicino Barking Creek

    Il vento ululava lugubre intorno a una casa isolata che si trovava quasi sulle sponde di Barking Creek. Era il crepuscolo di un mattino autunnale, e solamente l’urlo stridulo di un gabbiano, che sovrastava il vento, rompeva di tanto in tanto il silenzio di quella distesa piatta e desolata.

    La casa sembrava disabitata. Tutte le finestre erano sbarrate; il giardino, trascurato, era un ammasso di erbacce; il cancello che dava sulla strada, sentendo a quanto pare la mancanza di un cardine superiore, si era appoggiato obliquamente su quella che una volta era stata un’aiuola. Pochi, tetri alberi che ondeggiavano lúgubremente al vento circondavano la casa completando il quadro, che avrebbe indotto anche l’uomo meno ricco di immaginazione a stringersi nel suo cappotto e a rallegrarsi per aver avuto in sorte di non vivere in un simile luogo.

    D’altronde ben pochi si avvicinavano abbastanza alla casa da osservare il suo aspetto sinistro. La strada, poco più di una carraia, che passava davanti al cancello era fuori mano; solamente qualche pescatore o contadino la percorreva di tanto in tanto, e per di più di giorno, quando le cose assumono le giuste proporzioni, ed essa era semplicemente una casa abbandonata che cadeva a pezzi per mancanza di cure. Di notte si cercava di evitarla; la gente diceva che dodici anni prima un intruso troppo curioso aveva trovato le ossa di uno scheletro sul pavimento di una delle stanze del primo piano, con una corda ammuffita fissata intorno a una delle travi del soffitto. E la casa era rimasta disabitata per venti anni.

    Anche allora, quando con vento di Est e Nord-est la marea avanzava, c’era qualcuno che diceva che si poteva scorgere il bagliore di una luce attraverso le fessure delle persiane in quella stanza al piano di sopra, e che chi si fosse arrampicato fin lì avrebbe visto non uno scheletro, ma un corpo dal volto purpureo e dagli occhi fissi che dondolava dolcemente avanti e indietro, sospeso per il collo a una trave con una corda che non mostrava alcuna traccia di muffa. Ridicolo, naturalmente; d’altra parte queste superstizioni locali esagerano sempre. Talvolta la cosa può pure rivelarsi utile, in quanto esse consentono di sottrarsi agli occhi indiscreti dei pettegoli locali in modo molto più economico ed efficace di alti muri, chiavistelli e spranghe.

    Questo, a ogni modo, sembrava pensare uno dei due uomini che stavano percorrendo di buona lena il sentiero accidentato.

    – Notevole – osservò, sostando davanti all’ingresso del viale infestato dalle erbacce. – Davvero notevole, amico mio. Una casa con questa posizione è un bel vantaggio, e se poi è pure abitata dai fantasmi allora diventa una benedizione.

    Parlava inglese perfettamente, con un lieve accento straniero, e il suo compagno annuì bruscamente.

    – Da quello che ho sentito dire fa al caso nostro – rispose. – Personalmente penso che sia un posto dannato, ma visto che eravate così contrario a venire a Londra dovevo pur trovare qualche cosa da queste parti.

    I due uomini cominciarono a risalire lentamente il sentiero. Rami grondanti umidità lambivano i loro volti e, involontariamente, tirarono su il bavero del cappotto.

    – Chiarirò le mie ragioni a tempo debito – disse il primo all’improvviso. – Sappiate che sono valide. E quello cos’è?

    L’uomo si girò ansimante afferrando il braccio del compagno.

    – Niente – gridò l’altro seccato. Per alcuni istanti rimasero immobili, scrutando l’oscuro sottobosco. – Che cosa pensate che fosse?

    – Mi pareva di aver sentito un arbusto scricchiolare, come se qualcuno si fosse mosso – disse, allentando la presa. – Deve essere stato il vento, credo.

    Continuò a scrutare con timore quel giardino tenebroso, finché l’altro non lo spinse rudemente verso la casa.

    – Certo che era il vento – bofonchiò stizzito. – Per amor del cielo, Zaboleff, non vi innervosite. Se vi ostinate a venire in un posto infernale come questo per sbrigare un piccolo, normalissimo affare dovete aspettarvi anche qualche rumore e suono insolito. Entriamo; gli altri dovrebbero essere già qui ormai. Non ci vorrà più di un’ora, e potete essere nuovamente a bordo molto prima dell’alba.

    L’uomo che era stato chiamato Zaboleff smise di guardare sulla sua spalla e seguì l’altro, attraverso un’inferriata decrepita, fino al retro della casa. Si fermarono davanti alla porta posteriore, alla quale la guida bussò tre volte in un modo particolare. Era chiaro che si trattava di un segnale convenuto, perché di lì a poco si udirono passi furtivi lungo il corridoio. Un uomo aprì la porta con cautela, fece capolino e subito dopo la spalancò con un leggero sospiro di sollievo.

    – Siete voi, Signor Waldock, vero? – bofonchiò. – Sono contento che ce l’ab-biate fatta. Questo posto ci sta dando sui nervi. – Sera, Jim. – L’uomo entrò, seguito da Zaboleff, e la porta si chiuse dietro di loro. – La barca del nostro amico era un po’ in ritardo. Ci sono tutti?

    – Sì – rispose l’altro. – Ci siamo tutti e sei. E secondo me abbiamo voglia di spicciarci prima possibile. Ha – la sua voce si ridusse a un rauco bisbiglio – ha portato i soldi?

    – Ogni cosa a suo tempo – disse Waldock seccamente. – Qual è la stanza?

    – Eccola, capo. – Jim spalancò una porta. – Vi dovete sedere per terra, perché le sedie non sono sicure.

    Due candele languivano su un tavolo quadrato al centro della stanza, rischiarando i volti dei cinque uomini seduti sul pavimento, appoggiati alle pareti. Tre di loro erano esemplari umani indefinibili, simili alle migliaia di individui che si affrettano a raggiungere la City al mattino con i treni dei pendolari; erano i classici impiegatucci con le dita gialle a forza di fumare sigarette da due soldi; i tipi che urlano insulti all’arbitro durante la partita del sabato. Eppure un osservatore attento avrebbe potuto leggere dell’altro sui loro visi: uno sguardo ingordo, uno sguardo equivoco e infido, lo sguardo di chi è geloso di chiunque abbia una posizione migliore della sua, incapace di abbozzare un tentativo di migliorare la propria posizione che non sia quello, molto relativo, di ritirare sempre in ballo certe conoscenze più fortunate; lo sguardo di piccoli uomini, insoddisfatti non tanto della propria pochezza, quanto della grandezza di altri uomini. Un trio dall’aspetto ostile con quella infarinatura di educazione che è la cosa più pericolosa; tutti e tre dipendenti del signor Waldock.

    Gli altri due erano ebrei; vestiti con una certa appariscenza, chiaramente patiti di bigiotteria. Se ne stavano seduti in disparte, parlando a bassa voce, ma quando la porta si aprì la loro conversazione cessò all’improvviso e guardarono i nuovi arrivati con lo sguardo acuto e indagatore proprio della loro razza. A malapena degnarono Waldock di uno sguardo; era lo straniero Zaboleff che monopolizzava la loro attenzione. Scrutarono ogni singolo dettaglio di quell’astuto volto straniero: la pelle olivastra, gli occhi scuri e penetranti, la bella barba appuntita; lo squadrarono come un pugile squadra il proprio avversario, o come un uomo d’affari valuta attentamente il suo interlocutore nel corso di un accordo; poi ripresero a discorrere tra loro con un tono di voce che era poco più di un sussurro.

    Fu Jim a rompere il silenzio, o meglio Flash Jim come veniva chiamato nei posti che bazzicava.

    – Perché non ce ne andiamo da qui, capo? – osservò abbozzando un bel sorri-so. – In questa casa non ci verrei certo a passare una splendida luna di miele.

    Con un gesto brusco Waldock lo fece tacere e si avvicinò al tavolo.

    – Questo è Zaboleff, signori – disse con calma. – Siamo un po’ in ritardo, temo, ma per cause di forza maggiore. Lui vi spiegherà per quale motivo vi è stato chiesto di venire qui e non ci siamo incontrati nel nostro abituale luogo di ritrovo a Soho.

    Indietreggiò di un paio di passi e Zaboleff prese il suo posto. Per alcuni istanti osservò quelle facce volte verso di lui con aspettazione; poi, appoggiando le mani sul tavolo che gli stava davanti, si protese verso di loro.

    – Signori – cominciò, e l’accento straniero parve un po’ più pronunciato – vi ho chiesto di venire qui stanotte tramite il mio buon amico, il signor Waldock, perché siamo venuti a sapere, non importa come, che Londra non è più un luogo d’incontro sicuro. Sono successe un paio di cose, negli ultimi tempi, che non possiamo assolutamente sottovalutare.

    – Che razza di cose? – interruppe Flash Jim ruvidamente.

    – Stavo per dirvelo – osservò affabilmente il primo, e Flash Jim si placò, con-fuso. – Il nostro capo, con il quale ho trascorso la serata di ieri, è molto preoccupato al riguardo.

    – Avete trascorso la scorsa notte con il capo? – disse Waldock, con la voce pervasa da un fremito di eccitazione, mentre gli altri si sporgevano in avanti con impazienza. – Allora, è in Olanda?

    – C’era ieri sera alle sei – rispose Zaboleff con un sorriso incerto. – Quanto a oggi non ne so più di voi.

    – Chi è quest’uomo di cui sentiamo sempre parlare e che non vediamo mai? – chiese uno dei tre impiegati in modo aggressivo.

    – Egli è ... il Capo – replicò l’altro, mentre i suoi occhi sembravano trapanare il cervello del primo. – Tutto qui, nient’altro. E questo vi basti. – Il suo sguardo vagò per la stanza e gli ascoltatori si rilassarono. – A proposito, non c’è una fessura in quella persiana?

    – Tutto a posto – grugnì Flash Jim. – Chi passa penserà che ci sia un fanta-sma.

    – In ogni modo per favore copritela – ordinò Zaboleff, e uno degli ebrei si alzò e infilò il suo fazzoletto da tasca nella fessura. Mentre faceva ciò tutti tacquero nella stanza, e solamente il lugubre grido di un gufo, fuori, rompeva il silenzio.

    – I gufi sono le uniche cose che vengono in questo dannato museo – disse Flash Jim cupamente. – Gufi e maledetti scemi come noi.

    – Chiudi il becco, Jim! – ringhiò furioso Waldock. – Altrimenti penseranno che hai bisogno di una bambinaia.

    – Signori, per favore. – Zaboleff levò una mano in segno di protesta. – Non vogliamo dilungarci troppo, però alcune spiegazioni sono necessarie. Torniamo, quindi, a questi recenti avvenimenti, che ci hanno imposto un altro luogo di ritrovo questa sera, al quale ha provveduto così cortesemente il nostro amico, il signor Waldock. Tre messaggeri, inviati nelle ultime tre settimane, che portavano istruzioni e, ciò che è più importante, denaro, sono scomparsi.

    – Scomparsi? – fece eco Waldock stupidamente.

    – Dissolti nel nulla. Denaro compreso. Altri due sono stati maltrattati in modo abominevole e derubati dei soldi, ma per qualche strana ragione gli è stata concessa libertà. È da loro che abbiamo ottenuto le nostre informazioni.

    – Accidenti! – brontolò Jim – è la polizia?

    – Non è la polizia, e per questo il fatto è così serio – rispose Zaboleff con cal-ma, mentre Flash Jim tirò un sospiro di sollievo. – È facile rimanere nella legge ma, se le nostre informazioni sono esatte, abbiamo a che fare con un gruppo che non agisce affatto nell’ambito della legge. Un gruppo del tutto privo di scrupoli ed estremamente spietato; un gruppo che sembra conoscere bene quanto noi i nostri piani segreti. E il problema, signori, è che sebbene da un punto di vista legale, in conseguenza dell’assurda legislazione di questo paese, noi stessi possiamo rimanere nella legge, tuttavia non possiamo certo permetterci di ricorrere alla protezione della polizia. Le nostre attività, benché ufficialmente consentite, non sono di natura tale da consentirci di appellarci alle autorità inglesi. Soprattutto in questo frangente. Voi ricorderete che per aver istigato allo spargimento di sangue a Cowdenheath, qualche mese fa, sotto il nome di Mac Tavish, io sono stato bandito. Così sebbene il nostro movimento sia legale, la mia presenza in questo paese non lo è. Per questo era di fondamentale importanza il fatto che questa notte non venissimo disturbati. Non solo siamo tutti alle prese con questa banda sconosciuta ma, per di più, io ho a che fare con la polizia.

    – Avete qualche informazione riguardo a questa banda? – Era l’ebreo che aveva chiuso la fessura nelle persiane che prendeva per la prima volta la parola.

    – Nessuna utile, salvo che sono mascherati di nero e indossano lunghi mantelli neri. – Si fermò un attimo, come per raccogliere i suoi pensieri. – Sono tutti armati, e Petrovitch, uno degli uomini lasciati fuggire, ha molto insistito su un particolare, relativo al capo della banda, che ha descritto come un uomo dalla forza fisica davvero smisurata; un gigante potente come due uomini forti. Ha detto... Ah, Mein Gotti

    La sua voce divenne un urlo e si fece piccolo per la paura, mentre gli altri, col terrore sui volti, balzarono su dalle loro sedie e si rannicchiarono tutti insieme negli angoli della stanza.

    Un uomo enorme stava sul vano della porta, vestito dalla testa ai piedi di nero. In ogni mano aveva un revolver, con cui tenne sotto tiro gli otto occupanti durante quei pochi attimi in cui una mezza dozzina di uomini travestiti in modo simile sfilarono dietro di lui e presero posizione intorno alle pareti. E Waldock, un po’ più istruito del resto dei suoi amici, si ritrovò a pensare alle vecchie storie dell’Inquisizione Spagnola e dei Dogi di Venezia, proprio mentre si rannicchiava ancora più vicino al tavolo.

    – Rimanete intorno al tavolo, tutti quanti.

    L’uomo sulla porta parlava con una voce singolarmente profonda, e come pecore gli obbedirono tutti, tranne Flash Jim. Perché quel tomo, un grande imbroglione, non era però privo di coraggio fisico. Con la polizia sapeva recitarla bene la scena, ma questa non era la polizia.

    – Che dia... – ringhiò e non poté proseguire. Qualcosa lo colpì alla testa, vide tantissime stelle danzargli davanti e, con un grugnito soffocato, cadde rumorosamente bocconi.

    Seguirono alcuni istanti di silenzio, e poi di nuovo parlò l’uomo sulla porta.

    – Allineate questi individui.

    In un attimo gli altri sette uomini furono schierati in fila, mentre dietro di loro si trovavano sei figure nere immobili. Allora il gigante si portò lentamente davanti a loro, scrutando ogni singolo volto. Non disse una parola fino a quando raggiunse la fine della riga e poi, conclusa la sua ispezione, tornò sui suoi passi e si appoggiò alla parete di fronte.

    – Una collezione nauseante – osservò pensieroso. – Una covata ributtante. Chi sono i tre moscerini tremanti sulla destra?

    – Quelli sono tre miei impiegati – disse Waldock ostentando arie da duro. – E mi piacerebbe sapere...

    – A suo tempo – rispose la voce profonda. – Tre vostri impiegati, dunque; im-bevuti delle vostre idee depravate, suppongo, e ansiosi di seguire le orme paterne? Abbiamo qualcosa di particolare contro di loro?

    Non ci fu risposta da parte degli uomini mascherati, e il capo fece un segno. Immediatamente i tre impiegati atterriti furono afferrati e spinti, con le membra tremanti, davanti a lui.

    – Ascoltatemi, voi tre vermiciattoli. – Con grande sforzo quelli si ricomposero, mentre un raggio di speranza attraversava le loro menti: forse se la sarebbero cavata a buon mercato. – A me e ai miei amici non piacciono le persone come voi. Vi incontrate in posti segreti e, nelle vostre menti ripugnanti, macchinate loschi intrighi che, per quanto incredibile possa sembrare, hanno avuto finora molto successo in questo paese. Voi non siete interessati agli intrighi, ma ai soldi che vi danno per attuarli. Questo per voi è il primo e ultimo avvertimento. La prossima volta sarete trattati in modo diverso. Toglietevi dai piedi. E vedete di non fermarvi.

    La porta si chiuse dietro di loro e due uomini mascherati; si sentì il suono di calci ben assestati, e grida di dolore; poi la porta si aprì di nuovo e gli uomini mascherati rientrarono.

    – Se ne sono andati – comunicò uno di loro. – Gli abbiamo dato una spinta-rella.

    – Bene – disse il capo. – Continuiamo l’ispezione. Chi sono questi due giu-dei?

    Un uomo si fece avanti e li esaminò attentamente, poi si avvicinò al capo e gli sussurrò qualcosa all’orecchio.

    – È così? – Una nuova e terribile nota si insinuò nella sua voce profonda. – A me e ai miei amici non piacciono i vostri affari, porci. Per fortuna abbiamo portato gli attrezzi adatti alla bisogna. Andate a prendere il gatto a nove code.

    In silenzio uno degli uomini lasciò la stanza e, poiché le sue intenzioni toccarono nel vivo i due ebrei, questi si gettarono proni implorando pietà.

    – Imbavagliateli.

    L’ordine arrivò secco e chiaro, e in un attimo i due uomini, che si agitavano convulsamente, furono afferrati e imbavagliati. Solamente i loro occhi roteanti e le mani tremanti rivelavano il loro terrore quando si trascinarono in ginocchio verso l’impassibile capo.

    – L’uso del gatto in casi di questo tipo è legale – osservò. – Stiamo semplicemente anticipando la legge.

    In preda a gemiti sempre più forti i due ebrei videro entrare, dalla porta aperta, una inesorabile figura nera, che teneva in mano un bastoncino dal quale pendevano nove fruste.

    – In nome del cielo! – ansimò Waldock, balzando in avanti. – Che cosa volete fare?

    – Fustigateli fin quasi a ucciderli – disse la voce profonda. – E la punizione per il loro modo di guadagnarsi la vita. Cinque e sei, mi raccomando. Quando avete finito portateli nella macchina numero 3 e scaricateli a Londra.

    Divincolandosi disperatamente gli ebrei furono condotti via, e il capo passò agli ultimi due.

    – Così, Zaboleff, alla fine siete venuto. Che sciocco, non vi pare, tenuto conto della polizia?

    – Chi siete? – mormorò Zaboleff, con le labbra tremanti.

    – Sono un collezionista e sto raccogliendo persone come voi. La polizia nel nostro paese è eccessivamente gentile con la vostra razza, anche se stasera non lo sarebbe stata se io non fossi intervenuto. Ma non potevo permettere che loro vi prendessero; voi siete un esemplare molto pregiato. Non credo a ogni modo che abbiate progettato molto bene questa vostra visitina frettolosa. Naturalmente io ne ero al corrente, ma devo confessare di essere rimasto sorpreso quando ho scoperto che anche la polizia lo sapeva.

    – Che cosa intendete dire? – chiese l’altro con voce rauca.

    – Intendo dire che al nostro arrivo qui abbiamo constatato, con nostra sorpre-sa, che la polizia ci aveva preceduto. Casa frequentata, questa, stasera.

    – La polizia! – mormorò Waldock sconcertato.

    – Proprio così, guidata dall’ispettore Mc Iver in persona. Hanno circondato completamente la casa, costringendomi a modificare leggermente i miei piani.

    – Dove sono adesso? – urlò Waldock.

    – Ah, dove sono a proposito? Speriamo bene, a ogni modo.

    – In nome del cielo! – disse Zaboleff, facendo un passo avanti. – Vi ripeto la domanda: voi chi siete?

    – E io vi ripeto la risposta, Zaboleff: un collezionista. Alcuni esemplari li ten-go, altri li lascio andare, come avete già visto.

    – E che cosa avete intenzione di farmi?

    – Tenervi. Al momento voi siete il pezzo pregiato della mia collezione.

    – Lavorate con la polizia? – chiese l’altro confuso.

    – Fino a questa notte non ci siamo mai scontrati. In realtà, secondo me, anche stanotte perseguiamo lo stesso scopo. Volete sapere quale, Zaboleff? – la profonda voce si fece tagliente. – La disfatta totale e definitiva dei tipi come voi e di tutti quelli che voi rappresentate. Per raggiungere questo obiettivo saremo implacabili. Lavoreremo proprio come voi, segretamente. Voi siete già spaventato; abbiamo avuto la dimostrazione che temete l’ignoto più di quanto temiate la polizia; la prima mano è nostra. Però voi avete ancora l’asso, Zaboleff, oppure diciamo un atout? E quando l’avremo preso voi non sarete più il pezzo pregiato della mia collezione. Questo vostro capo vi ha mandato qui dopo aver ascoltato il racconto di Petrovitch, suppongo.

    – Mi rifiuto di rispondere – disse l’altro.

    – C’era da aspettarselo, ovviamente. Ora che siete stato catturato si farà vivo lui. Forse non subito, ma verrà. E allora ... Ma non perdiamo tempo. Il denaro, Zaboleff.

    – Non ne ho – ringhiò.

    – Voi mentite, Zaboleff. Mentite spudoratamente. Avevate certamente portato un bel mucchio di soldi per Waldock in modo che lui potesse sbrigare l’affare dopo la vostra partenza, domani. Muovetevi, il tempo passa.

    Imprecando Zaboleff tirò fuori una piccola borsa di tela. L’altro ne esaminò il contenuto.

    – Vedo – disse serio. – Perle e pietre preziose. Appartenute, suppongo, a una gentildonna assassinata, colpevole unicamente, sebbene suo malgrado, di essere nata in un ambiente diverso. E voi, rettile – disse con una voce un po’ alterata – voi ora che cosa vorreste fare qui?

    Zaboleff indietreggiò, mentre l’altro rideva sprezzante.

    – Perquisitelo, e anche Waldock.

    Due uomini scattarono in avanti.

    – Nient’altro – dissero dopo un po’ – tranne questo pezzo di carta.

    Zaboleff ebbe un sussulto, immediatamente represso, però non abbastanza ra-pidamente.

    – Imprudente – disse il capo con calma. – Viva la precisione. Un indirizzo, guarda un po’. Green Street n. 5, Hoxton. Un quartiere con i fiocchi, che però conosco ben poco. Ah, vedo che il mio irruente amico si è ripreso. – Gettò uno sguardo su Flash Jim, che si era tirato su a sedere confuso, massaggiandosi la nuca. – Numero 4,

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1