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Il potere della non-violenza
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Il potere della non-violenza
Ebook2,068 pages27 hours

Il potere della non-violenza

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About this ebook

• La mia vita per la libertà
• Il mio credo, il mio pensiero
• La resistenza non violenta

Traduzioni di Lucio Angelini, Bianca Vittoria Franco e Franco Paris

Il nome di Gandhi è ormai divenuto sinonimo di pace e di ribellione non violenta, e forse mai come oggi è importante conoscerne il messaggio. Nella prima parte di questo volume, il Mahatma analizza minuziosamente, in bellissime pagine autobiografiche, il suo percorso esistenziale, le esperienze di vita, gli studi, gli scontri, le conquiste, il lungo cammino percorso con la sua gente. E offre al lettore la sua umile, operosa, quotidiana ricerca della verità, dalla quale emerge la grandiosa lezione morale che la sua figura rappresenta nella storia contemporanea. Nella seconda e nella terza parte vengono esposte l’ideologia pacifista, la strenua, indefessa fiducia nella necessità della non-violenza, la difesa dei diritti e della libertà del singolo e dei popoli, l’uguaglianza delle genti, la sacralità del lavoro e della famiglia: princìpi che per Gandhi non costituiscono tanto un messaggio nuovo e rivoluzionario da propagandare al mondo intero, quanto dei valori essenziali e inalienabili dell’uomo, che fanno parte della sua intima natura e come tali vanno sostenuti. Di qui la purezza, la linearità, la sincerità del pensiero gandhiano, che abbraccia ogni aspetto del vivere singolo e collettivo ed emerge in queste pagine con la limpida onestà morale e con tutta la forza e il coraggio che solo la fede più profonda nella propria verità riesce a generare.


Mohandas K. Gandhi

nacque a Porpandar, in India, nel 1869. Dal 1893 fino al 1914 visse in Sudafrica, dove lottò per i diritti civili della comunità indiana, sperimentando quei metodi non-violenti che lo avrebbero reso celebre in tutto il mondo. Tornato in India, lanciò la grande campagna di disobbedienza civile contro le autorità inglesi che, dopo oltre venticinque anni, portò il Paese all’indipendenza. Il Mahatma (Grande anima) morì nel 1948, vittima di un fanatico indù. Oltre a La mia vita per libertà e a Il mio credo, il mio pensiero in volumi singoli, e il volume unico Il potere della non-violenza, di Gandhi la Newton Compton ha pubblicato anche Le grandi religioni. Induismo, Buddismo, Cristianesimo, Islamismo.
LanguageItaliano
Release dateDec 16, 2013
ISBN9788854146815
Il potere della non-violenza

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    Book preview

    Il potere della non-violenza - Mohandas Karamchand Gandhi

    Indice

    Cronologia della vita e delle opere di M.K. Gandhi

    LA MIA VITA PER LA LIBERTÀ

    Introduzione di M.K. Gandhi

    IL MIO CREDO, IL MIO PENSIERO

    Premessa all’edizione riveduta

    Premessa alla prima e seconda edizione

    Prefazione all’edizione riveduta

    Prefazione alla prima e seconda edizione

    Glossario e fonti

    Al lettore

    LA RESISTENZA NON VIOLENTA

    Glossario

    391

    Titoli originali: An Autobiography or the Story of my

    Experiments with Truth, traduzione di Bianca Vittoria Franco;

    The Mind of Mahatma Gandhi, traduzione di Lucio Angelini;

    Satyagraha, traduzione di Franco Paris

    Prima edizione ebook: settembre 2012

    © 1973, 1992, 2000, 2012 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-4681-5

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Mohandas Karamchand Gandhi

    Il potere della non-violenza

    La mia vita per la libertà - Il mio credo, il mio pensiero

    La resistenza non violenta

    Traduzioni di Lucio Angelini, Bianca Vittoria Franco e Franco Paris

    Newton Compton editori

    Cronologia della vita e delle opere di M.K. Gandhi

    1869. Il 2 ottobre Mohandas Karamchand Gandhi nasce da una famiglia Bania (Vaishya o casta dei commercianti) a Porbunder, Kathiawar, il più giovane dei tre figli di Karamchand alias Kaba Gandhi, primo ministro successivamente negli Stati di Porbunder, Rajkot e Vankaner, e della sua quarta moglie PuIlibai.

    1876. Va a Rajkot coi genitori; frequenta le scuole elementari fino al dodicesimo anno; si fidanza con Kasturba, figlia di Gokuldas Makanji, mercante.

    1881. Inizia le scuole superiori a Rajkot.

    1883. Sposa Kasturba.

    1884-85. Inizia a mangiare carne in segreto, ma abbandona la pratica dopo circa un anno per evitare di ingannare i suoi genitori. Muore il padre, all’età di 63 anni.

    1887. Supera l’esame di immatricolazione universitaria; entra all’università di Samaldas a Bhavnagar (Kathiawar), ma abbandona gli studi alla fine del primo semestre.

    1888. Il 4 settembre parte per l’Inghilterra. Il 28 ottobre arriva a Londra. Adotta una dieta vegetariana. Prende lezioni di danza e musica per breve tempo, pensando che costituiscano una parte necessaria dell’educazione di un gentiluomo.

    1889. Legge libri sulla vita semplice e decide di ridurre le spese a metà; studia letteratura religiosa; legge la Gita per la prima volta e ne resta profondamente impressionato.

    1890. Coltiva contatti col movimento vegetariano; per un po’ presiede un club vegetariano. A giugno supera gli esami di immatricolazione a Londra. A settembre si iscrive alla Società Vegetariana.

    1891. Il 10 giugno è nominato avvocato della Corona; il 12 giugno parte per l’India; a luglio arriva a Bombay, a novembre fa domanda per l’Alta Corte di Bombay.

    1892. Si sforza di passare alla pratica legale a Rajkot e Bombay; poi si risistema al precedente posto come compilatore legale.

    1893. In aprile parte per il Sudafrica, ingaggiato da una ditta musulmana per la consulenza legale; in maggio-giugno sperimenta i tribunali di colore in varie forme; decide di restare per combattere i pregiudizi razziali.

    1894. Il 22 agosto fonda il Congresso Indiano del Natal; in settembre è assunto come avvocato della Corte Suprema del Natal, primo indiano ad esservi ammesso; studia letteratura religiosa, compresa la Bibbia, il Corano e Il regno di Dio è dentro di Voi, di Tolstoj.

    1895. Si dedica sempre più alla causa indiana in Sudafrica. Pubblica The Indian Franchise: An Appeal to Avery Briton in South Africa.

    1896. A luglio torna in India e comincia la protesta in favore degli indiani del Sudafrica; il 14 agosto pubblica The Green Pamphlet a Rajkot. Viaggi a Bombay, Madras, Poona e Calcutta per educare i suoi compatrioti sulle ingiustizie patite dagli indiani del Sudafrica; il 30 novembre parte nuovamente per il Sudafrica con moglie e figli.

    1897. Il 13 gennaio, nello sbarcare a Durban, è assalito da una folla eccitata dai resoconti dei suoi discorsi in India sulle condizioni dei lavoratori indiani sotto contratto in Sudafrica; il 20 gennaio si rifiuta di denunciare gli aggressori; il 6 aprile presenta a Chamberlain, Segretario di Stato per le Colonie, un lungo memoriale, riguardante gli incidenti di sbarco e il contesto; porta avanti un programma di petizioni alle autorità locali e imperiali, come anche di contatti con i politici inglesi e indiani a proposito delle leggi discriminatorie.

    1898-99. Dimostra davanti al Congresso Nazionale Indiano, alle autorità Coloniali e Imperiali, contro le Concessioni e le restrizioni ai diritti di commercio degli indiani.

    1899. Organizza il Corpo d’Ambulanza Indiana nella guerra Boera, che entra in azione ed è menzionato nei dispacci; è decorato con la medaglia di guerra.

    1900. Manda a Dadabhai Naroji la bozza di risoluzione del problema indiano in Sudafrica, per la sessione del Congresso.

    1901. Il 18 ottobre parte per l’India; il 14 dicembre arriva a Rajkot via Porbunder. Il 27 dicembre presenta la risoluzione sul Sudafrica al Congresso.

    1902. Dal primo gennaio al 28 febbraio visita Rangoon; resta un mese con Gokhale a Calcutta; ritorna a Rajkot, si dedica alla pratica; in luglio si sposta e si dedica alla pratica a Bombay; in novembre è chiamato in Sudafrica a difendere la causa degli indiani contro le leggi antiasiatiche nel Transvaal; a dicembre arriva a Durban; guida la delegazione da Chamberlain.

    1903. È assunto come Procuratore della Corte Suprema del Transvaal; fonda la Transvaal British Indian Association; manda settimanali aggiornamenti sulla situazione al Dadabhai Naoroji. A giugno inizia le pubblicazioni l’«Indian Opinion».

    1904. Legge Unto This Last di Ruskin; fonda la colonia di Phoenix, vicino Durban (Natal); organizza l’ospedale durante lo scoppio della peste a Johannesburg; scrive una serie di articoli in gujarati sulla dietetica, poi tradotti in inglese e pubblicati sotto il titolo Guide to Health (Guida alla Salute).

    1905. Si oppone alla separazione del Bengala, appoggia il boicottaggio delle merci inglesi. Durante la delegazione in Inghilterra del Gokhale-Lajpat Rai si appella ai politici delle Colonie perché trattino con considerazione l’India, «parte integrante dell’Impero»; guida la delegazione da Lord Selborne, alto commissario inglese, sui problemi degli indiani nel Transvaal.

    1906. Il 12 maggio sostiene l’«autogoverno» per l’India «nel nome della giustizia e per il bene dell’umanità». Il 27 maggio scrive al fratello, Lakshmidas, dichiarandosi disinteressato ai beni terreni; a giugno-luglio organizza il Corpo Barellieri Indiani nella ribellione zulu; fa voto di brahmacharya per la vita; l’11 settembre parla al raduno di massa degli indiani a Johannesburg, che giura resistenza passiva contro l’appena promulgata Ordinanza di Emendamento della Legge sugli Asiatici nel Transvaal; il 30 ottobre va in delegazione in Inghilterra, per presentare il caso indiano al Segretario per le Colonie; il 18 dicembre ritorna in Sudafrica.

    1907. In gennaio-febbraio scrive una serie di 8 articoli in gujarati sulla «Religione Etica», pubblicati settimanalmente su «Indian Opinion» e poi raccolti in volume; a marzo l’Atto di Registrazione degli Asiatici passa nel parlamento del Transvaal. Gli indiani tengono raduni di protesta. In aprile vede Smuts a Pretoria, lo informa delle risoluzioni adottate nei raduni di massa. Perora, su «Indian Opinion», l’opposizione all’«Atto sui Neri». A maggio il «Black Act» riceve l’assenso reale. A luglio parla a un raduno di massa contro il Black Act; ad agosto scrive a Smuts criticando l’atto di Registrazione e suggerendo emendamenti; resistenza passiva, picchettaggio ai Permit Offices; difesa dei resistenti passivi in tribunale; a dicembre Smuts decide di processare Gandhi.

    1908. L’8 gennaio chiede al governo la sospensione dell’Atto di Registrazione, propone la registrazione volontaria; il 10 gennaio adotta la parola Satyagraha al posto di Resistenza passiva; è condannato a 2 mesi di prigione per non avere lasciato il Transvaal; il 21 gennaio approva un accordo basato sulla registrazione volontaria, se verrà abrogato l’Atto di Registrazione; il 30 gennaio è convocato a incontrare il generale Smuts a Pretoria e rilasciato, al raggiungimento di un compromesso; il 10 febbraio è quasi ucciso dai Pathans che considerano il compromesso, per il quale gli indiani devono farsi prendere le impronte digitali volontariamente, come un tradimento degli interessi indiani; rifiuta di sporgere denuncia contro gli aggressori; in marzo-giugno negozia con Smuts per l’adempimento della promessa dell’Atto, che Smuts rinnega. A luglio cessano i rapporti con Smuts; gli indiani in raduno di massa decidono di rifiutare il rilascio dell’impronta del pollice e bruciano i certificati di registrazione; ad agosto dichiara l’uso della violenza «pericoloso», oltre che inutile per sradicare il dominio britannico in India; si appella a Smuts perché abroghi il «Black Act»; i certificati di registrazione sono bruciati ai raduni; ripresa della resistenza passiva; a settembre, l’Atto di Registrazione emendato riceve l’assenso reale; Smuts rifiuta i termini indiani dell’accordo; il 15 ottobre è arrestato e condannato a 2 mesi di carcere duro; il 12 dicembre è rilasciato dalla prigione di Volksrust; il Congresso Nazionale Indiano adotta la risoluzione sul Sudafrica, criticando il duro, umiliante e crudele trattamento degli indiani britannici in Sudafrica come offensivo per l’Impero Britannico.

    1909. Il 16 gennaio è arrestato a Volksrust per aver mancato di produrre il certificato di registrazione; deportato, fatto rientrare e riarrestato, è rilasciato su cauzione; il 20 gennaio scrive alla Stampa invitando gli indiani a prepararsi per la fase finale della lotta; il 25 febbraio è arrestato a Volksrust e condannato a 3 mesi; il 2 maggio è trasferito alla Prigione Centrale di Pretoria; il 24 maggio è rilasciato; il 21 giugno lascia Haji Habib, in delegazione in Inghilterra per presentare la situazione indiana. Il 10 luglio arriva a Londra; con l’aiuto di Lord Ampthill, lavora incessantemente per convincere gli influenti capi inglesi, il pubblico e per sensibilizzare le autorità imperiali; il primo ottobre scrive a Tolstoj sul movimento per la Resistenza passiva; il 9 novembre «The Times» riporta il fallimento dei negoziati di Gandhi-governo sulle leggi del Transvaal; il 10 novembre risponde a Tolstoj, gli manda la sua biografia di Doke. Il 13 novembre lascia l’Inghilterra per il Sudafrica; scrive Hind Swaraj a bordo della motonave Kildonan CasIle; il 30 novembre arriva in Sudafrica; il 29 dicembre il Congresso a Lahore adotta la risoluzione che loda la lotta degli indiani in Sudafrica, sollecitando il bando o la registrazione.

    1910. Il 4 aprile manda a Tolstoj una copia di Indian Home Rule, chiedendogli un parere. L’8 maggio Tolstoj gli risponde che la questione della Resistenza passiva è della massima importanza non solo per l’India, ma per l’umanità; il 30 maggio fonda la Fattoria Tolstoj; il 4 dicembre, omaggio commemorativo a Tolstoj.

    1911. A gennaio comunica con Smuts a proposito degli emendamenti sul Restriction Bill per gli Immigrati; Smuts lo rassicura: nessuna discriminazione di colore nelle leggi; il 27 marzo intervista Smuts a Città del Capo; il 22 aprile Smuts acconsente alle garanzie richieste dagli indiani in cambio della sospensione del movimento della Resistenza Passiva; il 3 maggio incontra Smuts: «Accordo Provvisorio» sulla promessa di Smuts di abrogare gli Atti di Registrazione degli Asiatici e di Limitazione per gli Immigranti; il 24 giugno promette lealtà al re-imperatore all’incoronazione; l’8 dicembre invita Gokhale in Sudafrica.

    1912. Il 16 marzo loda i tentativi di Gokhale di abolire il sistema di registrazione. Il 12 settembre: creazione del Phoenix Trust. Il 22 ottobre accompagna Gokhale, in visita in Sudafrica, a Lauren§o Marques, nel Mozambico e a Zanzibar, rinuncia all’abito europeo e al latte e si limita alla dieta di frutta fresca e secca.

    1913. Il 18 gennaio accenna su «Indian Opinion» alla possibilità di rientrare in India per la metà dell’anno; il 14 marzo la Corte Suprema di Searle invalida i matrimoni indiani in Sudafrica; il 30 marzo gli indiani in raduno di massa protestano contro la sentenza di Searle; il 12 aprile evidenzia su «Indian Opinion» il mancato rispetto nell’Immigration Bill dei termini dell’Accordo Provvisorio del 1911; Kasturba decide di unirsi alla lotta della Resistenza passiva; il 19 maggio annuncia al governo una sicura ripresa del movimento, se mancherà di tener fede al cambiamento promesso; il 7 giugno rinvia il progetto di ritorno in India in previsione della stretta applicazione delle leggi di discriminazione e della probabile ripresa di Satyagraha; il 28 giugno esprime disponibilità ai negoziati; il 13 settembre annuncia che i negoziati «si sono rivelati abortivi». Il 15 settembre: ripresa della Resistenza passiva; il 16 settembre: arresto di Kasturba; il 17 ottobre visita NewcasIle; sollecita gli indiani registrati a sospendere il lavoro fino all’abrogazione della tassa di 3 sterline; sciopero di 3000 minatori; il 24 ottobre propone la Marcia nel Transvaal; il 28 ottobre inizia la Marcia da NewcasIle; il 30 ottobre raggiunge Charlestown. Il 3 novembre annuncia la Marcia nel Transvaal per sollecitare l’arresto; il 5 novembre telefona a Smuts per farsi confermare l’abrogazione della tassa di 3 sterline; il 6 novembre guida la Grande Marcia; viene arrestato a Palmford; il 7 novembre a Volksrust, è rilasciato su cauzione; raggiunge i marciatori; l’8 novembre è arrestato a Standerton; rilasciato su cauzione; la Marcia prosegue. Il 9 novembre è arrestato a Teakworth, portato a Balfour; il 10 novembre si impegna a «un pasto al giorno» fino all’abrogazione della tassa; l’11 novembre è condannato a 9 mesi di carcere duro; il 13 novembre è trasferito alla prigione di Volksrust; il 14 novembre è condannato a tre mesi in base a un nuovo capo d’accusa a Volksrust; il 18 dicembre è rilasciato senza condizione; dal tempo della scarcerazione fino all’accordo consuma solo un pasto al giorno e indossa un abito da lavoratore registrato.

    1914. Il 13 e 16 gennaio intervista Smuts, presenta proposte. Il 22 gennaio sospende Satyagraha in seguito all’accordo con Smuts; digiuno penitenziale di quattordici giorni per il contegno immorale dei compagni alla Fattoria; a giugno passa l’Indian Relief Act; il 18 luglio si imbarca per l’Inghilterra, en route per l’India; il 4 agosto arriva a Londra; fonda i Corpi di Volontari Indiani; a ottobre: i Corpi dei Volontari all’opera; offre Satyagraha per l’interferenza burocratica nei corpi; il 19 dicembre si imbarca per l’India.

    1915. Il 9 gennaio arriva in India; gli è assegnata la Medaglia d’Oro Kaiser-i-Hind per i servizi d’Ambulanza; il 20 maggio fonda l’Ashram Satyagraha (poi noto come Sabarmati Ashram, dal nome del fiume) ad Ahmedabad.

    1915-16. Gira in India e Birmania, viaggiando per ferrovia in terza classe.

    1917. Protesta con successo contro la registrazione degli emigranti indiani; l’idea del filatoio a mano per produrre tessuto su vasta scala mette radici nella sua mente; in aprile va a Champaran (Bihar) per indagare sulle condizioni dei lavoratori nelle piantagioni di indaco; arrestato e poi rilasciato; designato dal governo del Bihar membro della commissione istituita per indagare sui reclami dei fittavoli.

    1918. In gennaio-marzo abbraccia la causa dei lavoratori tessili di Ahmedabad e digiuna per garantire una composizione amichevole della disputa; inizia Satyagraha nel Distretto di Kaira (Bombay) per garantire la sospensione delle imposte sul reddito in caso di mancato raccolto; il 27 aprile partecipa alla Conferenza di Guerra del Viceré a Dehli a parla in indostano; successivamente visita il distretto di Kaira per reclutare uomini per l’esercito.

    1919. Il 28 febbraio sottoscrive l’Impegno di Satyagraha per assicurare il ritiro dei Rowlatt Bills; il 6 aprile inaugura il Movimento Satyagraha Panindiano; hartal in tutto il Paese; dall’8 all’11 aprile è arrestato mentre si reca a Delhi per aver contravvenuto all’ordine di non entrare nel Punjab; ricondotto a Bombay sotto scorta; violenze in parecchie città; il 13 aprile: tragedia del Jallianwala Bagh ad Amritsar, le truppe fanno fuoco su una folla inerme e uccidono oltre 400 persone; parla a una pubblica riunione vicino al Sabarmati Ashram e dichiara tre giorni di digiuno per penitenza; il 14 aprile confessa a Nadiad il suo «errore himalayano» a proposito della dichiarazione della legge marziale contro Satyagraha nel Punjab; il 18 aprile sospende Satyagraha; a settembre assume la direzione del mensile in Gujarati «Navajivan», poi pubblicato settimanalmente anche in Hindi; a ottobre assume la direzione del settimanale in inglese «Young India»; si unisce alla commissione non ufficiale di inchiesta sugli eccessi degli ufficiali nel Punjab; il 24 novembre: presiede la Conferenza panindiana di Khilafat a Dehli; a dicembre consiglia l’accettazione delle Riforme Montagu-Chelmsford da parte del Congresso ad Amritsar.

    1920. A gennaio guida la delegazione dal Viceré per far pressione sul governo inglese affinché non privi il sultano di Turchia (e Khalifa dei musulmani) della sovranità sui Luoghi Sacri dell’Islam; il primo agosto invia una lettera al Viceré, restituendo la medaglia Kaiser-i-Hind, la medaglia della guerra zulu e la medaglia della guerra boera; a settembre, la sessione straordinaria del Congresso Nazionale Indiano a Calcutta accetta il suo programma di non collaborazione per assicurare la riparazione dei torti del Punjab e a Khilafat; a novembre fonda il Gujarat Vidyapeeth ad Ahmedabad; a dicembre la sessione del Congresso di Nagpur adotta la sua risoluzione che dichiara obiettivo del Congresso il perseguimento di Swaraj da parte del popolo indiano con ogni mezzo legittimo e pacifico.

    1921. In aprile lancia il programma di arruolamento di dieci milioni di membri del Congresso, raccogliendo dieci milioni di rupie per il Fondo del Tilak Swaraj e l’approntamento di 2 milioni di charkhas nel Paese in favore del movimento di costruzione nazionale; in agosto guida la campagna per il boicottaggio totale del tessuto straniero e accende un immenso falò di tessuti stranieri a Bombay; a dicembre è investito dei pieni poteri dalla sessione del Congresso di Ahmedabad.

    1922. Il primo febbraio dà notizia al viceré dell’intenzione di lanciare la campagna di Satyagraha a Bardoli (Gujart); il 5 febbraio, in seguito alla tragedia di Chauri Chaura (U.P.) in cui la folla ha bruciato vivi 21 poliziotti e un viceispettore, digiuna per cinque giorni e abbandona il progetto del movimento di Satyagraha; il 10 marzo è arrestato per sedizione a Sabarmati; il 18 marzo è condannato a sei mesi di prigione.

    1924. In gennaio-febbraio è operato all’appendice nell’ospedale di Sassoon, Poona (12 gennaio) e dimesso il 5 febbraio. In aprile riassume la direzione di «Young India» e «Navajivan». Il 18 settembre comincia il digiuno di 21 giorni per l’unità indo-musulmana; a dicembre presiede la sessione del Congresso di Belgaum.

    1925. A settembre fonda l’Associazione dei Filatori di tutta l’India; a novembre digiuno delegato di sette giorni per i misfatti dei compagni dell’Ashram; comincia a scrivere la propria autobiografia, The Story of My Experiments with Truth.

    1927. A novembre visita Ceylon.

    1928. A dicembre presenta alla sessione del Congresso di Calcutta la risoluzione in favore dell’Indipendenza se non verrà garantito lo Stato di Dominion per la fine del 1929.

    1929. A dicembre su sua istigazione la sessione del Congresso di Lahore dichiara che Swaraj, nel credo del Congresso, significherà Purna Swaraj (completa indipendenza).

    1930. A febbraio è designato all’A.I.C.C. Capo del Congresso per lanciare il movimento della Disobbedienza Civile; il 2 marzo invia una lettera al Viceré per avvisarlo della sua intenzione di infrangere la legge sul sale se le richieste del Congresso non verranno esaudite; il 12 marzo inizia la marcia verso la spiaggia di Dandi, dove raccoglierà ritualmente il sale (6 aprile); il 5 maggio è arrestato e imprigionato senza processo; hartal per tutta l’India; oltre 100.000 imprigionati prima della fine dell’anno.

    1931. Il 26 gennaio e rilasciato senza condizioni; in febbraio-marzo ha una serie di colloqui con il Viceré, che sfociano nel Patto Irwin-Gandhi; il 29 agosto salpa per l’Inghilterra come solo delegato del Congresso per la Conferenza della Seconda Tavola Rotonda; in settembre-dicembre partecipa alle sessioni della Conferenza; il 5 dicembre lascia l’Inghilterra per l’India; il 28 dicembre sbarca a Bombay.

    1932. Il 4 gennaio è arrestato e imprigionato senza processo; il 20 settembre comincia «il digiuno fino alla morte» in galera per assicurare l’abolizione degli elettorati separati per gli harijans nelle Elezioni Comunitarie; il 26 settembre rompe il digiuno all’accettazione da parte del governo dell’India della sua richiesta a favore degli Harijans.

    1933. L’11 febbraio fonda il settimanale «Harijan», pubblicato in inglese e in hindi; l’8 maggio comincia a mezzogiorno un digiuno di 21 giorni per l’autopurificazione; rilasciato senza condizioni alle 9 di sera; il 9 maggio annuncia la sospensione del movimento della Disobbedienza Civile per sei settimane e chiede al governo di ritirare le sue Ordinanze; il 20 rompe il digiuno; il 26 luglio scioglie l’Ashram Satyagraha; il 30 luglio informa il governo di Bombay della sua decisione di marciare da Ahmedabad a Ras con 33 seguaci per ridare vita al movimento della Disobbedienza civile; il 31 luglio è arrestato e imprigionato senza processo; il 4 agosto è rilasciato e riarrestato per aver violato un’ordinanza restrittiva; il 16 agosto entra in digiuno quando gli vengono negate le strutture per portare avanti la propaganda antiintoccabilità; il 23 agosto è rilasciato senza condizioni; a novembre comincia il giro per il riscatto degli harijans.

    1934. Il 17 settembre annuncia la decisione di ritirarsi dalla politica dal primo ottobre e di impegnarsi per lo sviluppo delle Attività di Villaggio, il servizio degli harijans e l’educazione attraverso i mestieri di base; il 26 ottobre inaugura l’Associazione Panindiana delle Attività di Villaggio.

    1936. Il 30 aprile si stabilisce a Sevagran, un villaggio vicino Wardha nelle Province Centrali, facendone il suo quartier generale.

    1937. Il 22 ottobre presiede la Conferenza Educativa a Wardha e traccia il piano dell’educazione attraverso i mestieri di base.

    1939. Il 3 marzo comincia il «digiuno fino alla morte» a Rajkot per assicurare il rispetto da parte del governatore della promessa fatta di riformare l’amministrazione e lo termina il 7 marzo per intervento del Viceré.

    1940. A luglio e settembre incontra il Viceré su suo invito in merito alla situazione di guerra; in ottobre sanziona la disobbedienza civile individuale; sospende «Harijan» e i settimanali affini in seguito alla richiesta ufficiale di censura preventiva degli articoli e degli scritti su «Harijan» in materia di Satyagraha.

    1941. Il 30 dicembre, su sua stessa richiesta, la Commissione di Lavoro lo solleva dalla guida del Congresso.

    1942. Il 18 gennaio riprende la pubblicazione di «Harijan» e dei settimanali affini. Il 27 marzo incontra Sir Stafford Cripps a New Delhi; in seguito definirà le proposte di Cripps un «assegno post-datato»; a maggio si appella al governo inglese perché abbandoni l’India; l’8 agosto parla della sessione dell’A.I.C.C. a Bombay sulle implicazioni della Risoluzione «Via dall’India»; il 9 agosto è arrestato e internato nel palazzo dell’Aga Khan in Poona; il 15 agosto morte di Mahadev Desai, segretario personale di Gandhi, per attacco di cuore, nel palazzo dell’Aga Khan; in agosto-dicembre corrisponde col Viceré e il governo dell’India sui disordini.

    1943. Il 10 febbraio comincia un digiuno di 21 giorni, che romperà il 3 marzo.

    1944. Il 22 febbraio Kasturba Gandhi muore nel palazzo dell’Aga Khan; il 6 maggio è rilasciato senza condizioni; dal 9 al 27 settembre porta avanti i colloqui con M.A. Jinnah sul Pakistan; il 2 ottobre offre una borsa di 110 lac [1 lac: 100.000 rupie, n.d.t.] per il Kasturba Memorial in occasione del suo 75esimo compleanno.

    1945. Il 17 aprile in una dichiarazione sui risultati della Conferenza di San Francisco definisce la pace impossibile senza l’uguaglianza e la libertà dell’India. Chiede anche una giusta pace per la Germania e il Giappone. Il 19 dicembre posa la pietra di fondazione del C.F. Andrews’Memorial Hospital a Santiniketan.

    1945-46. In dicembre-gennaio gira il Bengala e l’Assam.

    1946. In gennaio e febbraio gira il Sud dell’India per la propaganda antintoccabilità e per l’indostano. Il 10 febbraio: riprende la pubblicazione di «Harijan» e del gruppo dei settimanali affini; in aprile partecipa ai colloqui politici con la Missione del Gabinetto a Delhi; il 5-12 maggio a Simla partecipa alla sessione della Conferenza di Simla; le deliberazioni si dimostrano infruttuose; il 16 maggio la missione di Gabinetto annuncia il Piano. Il 18-19 maggio discute il Piano con la Missione di Gabinetto; il 26 maggio considera il Piano il miglior documento prodotto dal governo inglese, date le circostanze; il 6 giugno; a Mussoorie; il 7 giugno ritorna a Delhi; il 10 giugno si rifiuta di entusiasmarsi per la vittoria degli Alleati, non trattandosi della «vittoria della verità sulla menzogna»; l’11 giugno il Viceré intervista Gandhi; mette in discussione la proposta di governo di Coalizione Centrale; il 16 giugno: interrotte le trattative della Missione di Gabinetto; il Viceré propone un governo ad interim; il 18 giugno la Commissione di Lavoro del Congresso decide di accettare la proposta del governo ad interim; il 20-21 giugno partecipa alla riunione della Commissione di Lavoro; Cripps fa visita a Gandhi; il 23 giugno Gandhi consiglia al Congresso di non entrare nel Governo Provvisorio, ma solo nell’Assemblea Costituente; il 24 giugno incontra la Missione di Gabinetto; il 28 giugno lascia Delhi per Poona; tentativi di far deragliare il treno en route; il 7 luglio parla della riunione dell’A.I.C.C. di Bombay; il Congresso accetta il piano della Missione di Gabinetto del 16 maggio; il 31 luglio: Jinnah minaccia sanzioni di «Azione Diretta»; il 12 agosto il Viceré annuncia l’invito al Congresso a formare un governo provvisorio; il 16-18 agosto: la «Grande Strage di Calcutta»; il 24 agosto il Viceré Wavell trasmette il Piano; il 27 agosto Gandhi mette in guardia con un cablogramma il governo inglese da una ripetizione della «tragedia del Bengala»; scrive anche a Wavell; il 4 settembre si costituisce il governo ad interim; il 26 settembre incontra Wavell; il 9 ottobre: invio al Congresso delle richieste di Jinnah in 9 punti; il 10 ottobre: massacro di Noakhali; il 15 ottobre: la Lega Musulmana d’accordo nell’entrare nel governo provvisorio; il 28 ottobre parte per Calcutta; disordini nel Bihar; il 6 novembre parte per Noakhali; rende pubblica la dichiarazione sul «Digiuno Parziale»; inizia il giro di Noakhali; il 20 novembre inizia il giro senza seguaci; il 20 dicembre completa il soggiorno di un mese a Srirampur; il 25 dicembre, a Noakhali, afferma: «Vengo controllato continuamente...»; il 30 dicembre, Jawaharlal Nehru visita Gandhi, che dice: «Il mio cuore è completamente sostenuto dalla mia ragione».

    1947. Il 2 gennaio dice: «Tutt’attorno a me c’è buio completo»; lascia Srirampur per un giro a piedi; il 3-29 gennaio: nel Bihar, zone afflitte da disordini; il 30 gennaio lascia Patna per Delhi; Mountbatten, nuovo Viceré, arriva a Delhi; il primo e il 2 aprile Gandhi parla alla Conferenza per le Relazioni Asiatiche a Delhi; il 15 aprile lancia con Jinnah un appello per la pace fra le comunità; il 29 aprile è nel Bihar; il primo maggio la commissione di Lavoro del Congresso accetta la Divisione in linea di principio; il 5 maggio Gandhi, intervistato, nega che la divisione delle comunità dell’India sia inevitabile; il 24 maggio lascia Bihar per Delhi ; il 31 maggio dichiara che la pace deve precedere la Divisione; che non parteciperà alla vivisezione dell’India; il 2 giugno: il Piano di Divisione del Viceré viene reso pubblico; la Commissione di Lavoro del Congresso comunica l’accettazione; il 3 giugno: i leaders indiani discutono per radio sul Piano di Mountbatten; il 6 giugno Gandhi scrive a Mountbatten, accettando il Pakistan, perché persuada Jinnah a comporre amichevolmente tutti i punti insoluti col Congresso; il 12 giugno parla alla Commissione di Lavoro del Congresso; a luglio passa «l’Atto di Indipendenza dell’India». Il 27 luglio si appella ai principi perché considerino la preminenza del popolo un privilegio; il 14 agosto saluta il giorno seguente come un giorno di rallegramento per la liberazione dalla soggezione britannica ma deplora la Divisione; nasce il Pakistan; il 15 agosto, induisti e musulmani fraternizzano a Calcutta; il 16 agosto saluta il «Miracolo di Calcutta»; il primo settembre considera la pace di Calcutta un fuoco di paglia, decide per il digiuno; il 2 settembre è assalito dalla folla alla Calcutta House; rinuncia all’idea della visita a Noakhali; si intensificano gli sforzi per la pace; il 4 settembre rompe il digiuno; il 7 settembre lascia Calcutta per Delhi; comincia visite giornaliere alle aree travagliate dai disordini; il 24 settembre incursori pakistani invadono il Kashmir; il 25 settembre il Kashmir è annesso all’Unione Indiana; il 26 settembre critica la dichiarazione di Churchill «Olocausto in India»; il primo novembre truppe indiane entrano a Junagadh; l’8 novembre il Junagadh è annesso all’India; parla all’A.I.C.C.; l’11 novembre difende l’annessione all’India di Junagadh; il 25 dicembre implora una composizione amichevole tra India e Pakistan; il 30 dicembre l’India riferisce sulla disputa del Kashmir alle Nazioni Unite.

    1948. Il 12 gennaio decide di digiunare per la pace delle comunità a Delhi; Mountbatten non riesce a dissuaderlo; il 15 gennaio entra in «zona di pericolo», saluta la decisione del Gabinetto indiano di annullare al Pakistan il debito di 550 milioni di rupie; continua il digiuno per la pace comunitaria; il 17 gennaio i dottori avvertono che il digiuno dovrà terminare; formato il Comitato Centrale per la Pace, decide l’impegno per la Pace»; il 18 gennaio il Comitato per la Pace firma e presenta l’«Impegno per la Pace» a Gandhi, che rompe il digiuno; il 17 gennaio visita la Fiera musulmana di Mehrauli; il 29 gennaio rifugiati infuriati chiedono a Gandhi di ritirarsi sull’Himalaya; il 30 gennaio abbozza la costituzione di un Congresso trasformato in Lok Sevak Sangh; viene assassinato sulla via della preghiera serale.

    Ritratto del Mahatma Gandhi.

    La mia vita per la libertà

    A cura di Bianca Vittoria Franco

    RINGRAZIAMENTI

    La traduttrice ringrazia per il cortese aiuto l’Ambasciata dell’India a Roma.

    Ringrazia inoltre per l’aiuto prestato e i numerosi suggerimenti le signore Loredana da Schio e Rossana Martignoni e il signor M. Ganju.

    Introduzione

    Quattro o cinque anni fa, dietro sollecitazione di alcuni fra i miei più stretti collaboratori, accettai di scrivere la mia autobiografia. Mi misi all’opera, ma non avevo nemmeno riempito il primo foglio che scoppiarono i moti di Bombay e dovetti interrompere il mio lavoro. Seguirono una serie di avvenimenti che culminarono con la mia incarcerazione a Yeravda. Il Sjt.¹ Jeramdas, mio compagno di prigionia, mi chiese di accantonare tutto il resto e di finire la stesura della mia autobiografia; gli risposi che mi ero prefisso un programma di studi al quale volevo attenermi, e che prima di averlo terminato non mi potevo dedicare ad altro. In verità, se avessi scontato tutta la condanna a Yeravda, la mia autobiografia l’avrei terminata lì; fui rilasciato, infatti, quando mi mancava ancora un anno per completare il lavoro. Lo Swami² Anand mi ha rinnovato ora la proposta di scrivere un’autobiografia, e dato che ho terminato la storia del Satyagraha³ in Sudafrica, potrei scriverla e darla al «Navajivan»⁴. Lo Swami voleva che la tenessi da parte per farne un libro, ma io ho poco tempo; avrei potuto scriverne solo un capitolo alla settimana, e mi ero impegnato a consegnare ogni settimana qualche cosa al «Navajivan»; perché non fare pubblicare da loro l’autobiografia? Lo Swami accettò, e così mi sono messo al lavoro.

    Un mio amico timorato di Dio nutriva però dei dubbi, che mi comunicò durante il mio giorno di ritiro: «Cosa ti ha spinto a scrivere?», mi chiese. «Un’autobiografia è una cosa da occidentali, e io non so di nessun orientale che ne abbia scritta una, salvo alcuni di quelli che hanno subìto l’influenza dell’occidente. E cosa scriverai? Se domani dovessi ripudiare le cose che per te oggi sono verità, o dovessi mutare le tue idee, non ne verranno tratti in inganno coloro che si basano sull’autorità del tuo verbo, della tua parola e della tua scrittura? Non credi che faresti meglio a non scrivere nulla di simile a un’autobiografia, per ora?».

    Queste parole, in parte mi convinsero; comunque io non intendo scrivere una vera e propria autobiografia, voglio solamente narrare i miei numerosi esperimenti con la verità e dato che la mia esistenza è tutta imperniata su tali esperimenti, la storia assumerà effettivamente l’aspetto di un’autobiografia; ma a me non importa anche se ogni pagina sarà piena solo dei miei esperimenti perché credo, o meglio, mi cullo nell’illusione, che un resoconto dettagliato di tutti i miei tentativi non potrà non essere utile al lettore. Quelli che ho compiuto in campo politico sono ora notissimi non solo in India, ma anche un po’ nel mondo «civilizzato», anche se per me non valgono molto; e ancora meno stimo perciò il titolo di Mahatma⁵ che mi hanno procurato; spesso questo appellativo mi ha profondamente addolorato e non ricordo che mi abbia mai rallegrato. Mi piacerebbe certamente molto narrare i miei esperimenti in campo spirituale, che sono noti solo a me e dai quali ho tratto la forza necessaria per operare nella sfera politica: se tali esperimenti hanno realmente un valore spirituale, non c’è ragione di compiacersene, anzi devono accrescere la mia umiltà, dato che più rifletto e ripenso al passato, più chiaramente avverto i miei limiti.

    Ciò che voglio raggiungere - e che faticando e soffrendo ricerco da trent’anni - è l’autopercezione, trovarmi faccia a faccia con Dio, arrivare al Moksha⁶. Io vivo e agisco e sono a questo scopo, tutto ciò che dico e che scrivo, tutti i miei sforzi in campo politico, hanno questo fine ultimo. Ma avendo sempre sostenuto che quello che è possibile a uno, è possibile a tutti, i miei esperimenti non li ho effettuati in segreto, ma apertamente, e non credo che questo diminuisca in alcun modo il loro valore spirituale; certe cose le sappiamo solo noi ed il nostro Creatore, sono assolutamente incomunicabili, ma gli esperimenti che sto per narrare, no. Essi sono spirituali, anzi morali; perché l’essenza della religione è moralità.

    Racconterò solo di esperienze religiose che possano essere capite sia dai bambini che dagli adulti e se riesco a narrarle in modo spassionato e umile, molti altri ricercatori ne trarranno aiuto per proseguire il cammino. Lungi da me il voler pretendere che tali esperimenti siano perfetti, non attribuisco loro più valore di quanto farebbe uno scienziato, il quale, pur lavorando con la massima accuratezza, premeditazione e minuzia, non considera mai definitivi i risultati ottenuti, ma li ritiene passibili di nuovi sviluppi. Ho fatto molto lavoro di introspezione, mi sono autocriticato a fondo e ho esaminato e analizzato tutte le situazioni psicologiche, eppure non asserisco che le conclusioni da me raggiunte siano definitive o infallibili, ma sostengo una cosa, ed è questa: che a me sembrano del tutto giuste o, oggi come oggi, anche definitive, perché se così non fosse non le prenderei a modello. Comunque, ad ogni passo ho fatto la prova dell’accettazione e del rifiuto e ho agito in modo conforme, e finché le mie azioni soddisfano la mia ragione ed il mio cuore, devo rimanere scrupolosamente fedele alle conclusioni che ho raggiunto in origine.

    Se avessi da esaminare solo principii accademici, non mi metterei certo a scrivere un’autobiografia, ma dato che mio scopo è fare un resoconto delle varie applicazioni pratiche di questi principii, ho intitolato i capitoli che sto per buttare giù Storia dei miei esperimenti con la verità. Descriverò naturalmente esperimenti che trattano di non violenza, celibato e di altre regole di condotta che sembra non abbiano nessun rapporto con la verità, perché secondo me la verità è il principio supremo che ne sottintende molti altri: la verità non è solo verità di parola, ma anche di pensiero e non è solo la verità relativa che noi concepiamo, ma la Verità Assoluta, il Principio Eterno, che è Dio.

    Vi sono innumerevoli definizioni di Dio, perché Egli si manifesta in modi innumerevoli, che mi riempiono di meraviglia e di riverenza e sul momento mi sconcertano. Ma io adoro Dio solo come Verità. Non l’ho ancora trovato, ma continuo a cercarlo, a questa ricerca sono disposto a sacrificare le cose che mi sono più care; e se anche si trattasse di dare la vita, spero che saprei accettare. Ma finché non avrò raggiunto la Verità Assoluta, mi dovrò accontentare della verità relativa così come l’ho afferrata. Intanto questa verità parziale sarà il mio faro, il mio scudo, la mia protezione e benché il cammino sia arduo e faticoso e pericoloso come il filo del rasoio, a me è apparso spedito e facile. Anche i miei errori cosiddetti Himalayani mi sono sembrati poca cosa, perché ho proceduto sempre sulla retta via, regola che mi ha salvato dalle sventure, e ho ascoltato la voce della mia coscienza. Cammin facendo ho intravisto spesso la Verità Assoluta, cioè Dio, e ogni giorno sono maggiormente convinto che solo Lui è verità e che tutto il resto è illusione. Che coloro che vi si interessano afferrino come sono giunto a queste conclusioni; che mi seguano nelle mie esperienze e condividano anche i miei principii se ci riescono; mi sono convinto inoltre, e non a caso, che ciò che posso fare io lo può fare anche un bambino: i sistemi per raggiungere la verità sono semplici e ardui nel contempo, possono sembrare difficilissimi ad una persona arrogante e facilissimi invece ad un innocente.

    Colui che ricerca la verità dovrebbe essere meno che polvere, la gente calpesta la polvere, ma l’umiltà di colui che ricerca la verità dovrebbe essere tale da indurlo a lasciarsi schiacciare anche dalla polvere. Allora e non prima riuscirà a scorgere la verità. Il dialogo fra Vasishtha⁷ e Vishvamitra⁸ lo dimostra chiaramente e ne sono prova anche il cristianesimo e l’Islam.

    Se secondo il lettore certe cose che scrivo peccano di immodestia, egli supporrà allora che sono in errore e che la mia saggezza altro non è che illusione: ebbene, periscano a centinaia coloro che sono simili a me, purché trionfi la verità; non travisiamo nemmeno in infima parte la verità nella sua essenza per giudicare dei mortali fallaci come sono io.

    Spero e mi auguro che nessuno trovi presuntuosi i consigli che dispenso nelle pagine seguenti. Gli esperimenti che cito vogliono essere esempi, ognuno potrà poi fare esperienze personali secondo le proprie tendenze e capacità, e spero che la mia guida possa servire almeno a questo; perché mi propongo di non nascondere o sminuire nessuna nefandezza che va rivelata. Spero di riuscire a dare al lettore un’immagine completa degli sbagli ed errori da me commessi. Il mio scopo è descrivere esperimenti fatti in osservanza del Satyagraha, non di mettere in luce le mie virtù. Nel giudicare me stesso cercherò di essere inflessibile come lo è la verità, e voglio che gli altri seguano il mio esempio. Conformandomi a questo modello devo esclamare, come è scritto nella Surda⁹:

    Dove trovare un mascalzone

    iniquo e odioso quanto me?

    Ho rinnegato il mio Creatore,

    questo è stato il mio tradimento.

    Perché per me l’essere ancora tanto lontano da Colui il quale, lo so bene, guida ogni mia azione, e di cui sono la creatura, è una tortura incessante. So che a tenermi lontano da Lui sono le passioni malvagie che mi travagliano, eppure non riesco a liberarmi.

    Ma devo concludere. Nel capitolo che segue inizierò il racconto.

    M. K. GANDHI

    Nell’Ashram, Sabarmati, 26 novembre 1925

    ¹ Sjt.: abbreviazione di Shrijut, signore.

    ² Swami: santone, uomo saggio.

    ³ Satyagraha: resistenza non violenta. «L’uomo», diceva Gandhi, «non ha la capacità di conoscere la verità assoluta e perciò non può permettersi di punire».

    Navajivan: periodico in lingua gujarati.

    Mahatma: asceta, maestro.

    Moksha: libertà dalla nascita e dalla morte, cioè redenzione.

    Vasishtha: sant’uomo.

    Vishvamitra: idem.

    Surda: scritture sacre.

    Parte prima

    1. Nascita e famiglia

    I Gandhi appartengono alla casta dei Bania¹ ed in origine sembra fossero speziali. Ma per tre generazioni, cominciando con mio nonno, essi furono primi ministri in vari Stati del Kathiawad². Utamchand Gandhi, alias Ota Gandhi, mio nonno, deve essere stato un uomo tutto d’un pezzo: per intrighi di Stato fu costretto a lasciare Porbandar³ dove era Diwan⁴ per rifugiarsi a Junagadh; quando lì egli salutò il Nawab⁵ con la mano sinistra, qualcuno, rilevando l’apparente scortesia, gli chiese una spiegazione, che fu la seguente: «La mano destra l’ho già impegnata a Porbandar».

    Ota Gandhi si risposò una seconda volta, essendogli morta la prima moglie, ed ebbe quattro figli dalla prima moglie e due dalla seconda. Durante la mia infanzia non credo di aver mai sospettato o saputo che i figli di Ota Gandhi non fossero tutti figli della stessa madre. Il quinto dei sei fratelli era Karamchand Gandhi, alias Kaba Gandhi, ed il sesto Tulsidas Gandhi. Ambedue questi fratelli furono primi ministri a Porbandar, in successione; Kaba Gandhi era mio padre. Faceva parte della Corte del Rajasthanik⁶ che ora non esiste più, ma a quei tempi era un organismo molto autorevole nel comporre dispute fra i capi e la loro gente. Kaba Gandhi fu per qualche tempo primo ministro a Rajkot e poi a Vakaner; morì pensionato dello Stato di Rajkot.

    Si sposò quattro volte essendogli sempre deceduta la moglie, ebbe due figli dal primo e dal secondo matrimonio. L’ultima moglie, PuIlibai, gli diede una figlia e tre maschi, di cui il più giovane ero io.

    Mio padre amava la sua gente, era onesto, coraggioso e generoso, ma facile alla collera; entro i dovuti limiti, deve aver apprezzato i piaceri della carne, infatti si risposò per la quarta volta a più di quarant’anni. Ma era incorruttibile ed era noto per la sua scrupolosa imparzialità sia nell’ambito della famiglia che fuori. La sua fedeltà allo Stato era risaputa: quando un assistente politico inglese parlò in maniera offensiva del Thakore Saheb⁷ di Rajkot, suo capo, mio padre lo affrontò coraggiosamente, il funzionario si arrabbiò e gli disse di chiedere scusa, mio padre si rifiutò e fu perciò messo agli arresti per qualche ora. Ma quando il funzionario constatò che Kaba Gandhi non si piegava, ordinò che venisse rilasciato.

    Mio padre non ebbe l’ambizione di arricchirsi e ci lasciò molto poco. Non aveva educazione, se non quella dettata dall’esperienza, al massimo sarà arrivato fino alla quinta classe gujarati; di storia e geografia era digiuno, ma la sua vastissima esperienza di cose pratiche gli fu di grande aiuto per risolvere le questioni più complesse e per guidare centinaia di uomini. Disciplina religiosa ne aveva pochissima, aveva quel tipo di istruzione basata su frequenti visite ai templi e sull’ascolto di dibattiti sacri, comune a molti indù. Negli ultimi giorni di vita cominciò a leggere, su suggerimento di un dotto bramino amico di famiglia, la Gita⁸ e quotidianamente usava ripeterne dei versetti ad alta voce all’ora della preghiera.

    L’impressione predominante che mi ha lasciato nella memoria mia madre è quella della sua santità. Era profondamente religiosa, non le sarebbe venuto in mente di sedersi a tavola senza aver prima recitato le preghiere quotidiane, e recarsi all’Haveli - il tempio Vaishnava⁹ - era un suo rito giornaliero. Per quanto io possa sforzarmi di tornare indietro con la memoria, non mi ricordo che essa abbia mai mancato al Chaturmas¹⁰. Faceva i voti più severi e li manteneva senza vacillare, la malattia non essendo considerata una scusa sufficiente per mitigarli. Ricordo che una volta si ammalò mentre osservava il Chandrayana¹¹, ma non interruppe l’osservanza; per lei rispettare due o tre digiuni consecutivi era cosa da nulla, fare un solo pasto al giorno durante il Chaturmas le era abituale, e non paga, durante un Chaturmas digiunò a giorni alterni. Durante un altro Chaturmas fece voto di non nutrirsi se non dopo aver visto il sole. Noi bambini durante quei giorni fissavamo intenti il cielo, ansiosi di annunciare a nostra madre l’apparizione dell’astro, ma tutti sanno che in piena stagione delle piogge il sole spesso non si degna di far capolino; ricordo certi giorni quando, alla sua improvvisa apparizione, ci precipitavamo ad annunciarla a mia madre: lei correva a constatare con i suoi occhi, ma già il fuggitivo era sparito, privandola così del suo pasto. «Non fa niente», diceva allegra, «oggi Dio non ha voluto che mangiassi». E tornava alle sue solite occupazioni.

    Mia madre aveva un gran buon senso, era al corrente di tutti gli affari di Stato e le dame di corte stimavano molto la sua intelligenza. Spesso andavo in giro con lei, grazie ai privilegi concessi ai bambini, e ricordo ancora le numerose vivaci discussioni che faceva con la madre, rimasta vedova, del Thakore Saheb.

    Da questi genitori io nacqui a Porbandar, altrimenti chiamato Sudamapuri, il 2 ottobre 1869. Trascorsi la mia infanzia a Porbandar, ricordo che mi mandarono a scuola, e che non senza difficoltà imparai a fare le moltiplicazioni. Che di quei giorni io non rammenti niente, se non che imparai, in compagnia degli altri ragazzi, ad affibbiare ogni sorta di appellativi ai nostri insegnanti, fa seriamente supporre che la mia mente fosse indolente e la mia memoria immatura.

    2. Infanzia

    Avrò avuto sette anni quando mio padre lasciò Porbandar per andare a Rajkot alla Corte del Rajasthanik. Fui mandato alle elementari e ricordo bene quel periodo, anche i nomi dei miei maestri e altri particolari che li riguardano; anche qui, come per Porbandar, sui miei studi non c’è da dire quasi niente, devo essere stato uno scolaro proprio mediocre. Da questa scuola passai ad una scuola periferica e poi alle medie, avendo già compiuto i dodici anni; non ricordo di aver mai detto una bugia, durante quel breve periodo, né ai miei insegnamenti né ai miei compagni; ero molto timido ed evitavo tutti. Il mio solo interesse erano i miei libri e le lezioni, ed avevo l’abitudine d’arrivare a scuola con la massima puntualità e di tornare a casa di corsa appena terminava la scuola; tornavo a casa proprio correndo, per evitare di dover parlare con qualcuno; avevo anche paura che mi prendessero in giro.

    Capitò un episodio durante l’esame alla fine del mio primo anno alle medie che vale la pena ricordare. Il signor Giles, ispettore agli studi, era venuto a fare una visita di ispezione, e come prova di ortografia, ci aveva dato da scrivere cinque parole, fra le quali pentola, che io scrissi sbagliata. Il maestro cercò di attirare la mia attenzione toccandomi con la punta della scarpa, ma io non gli badai, non riuscivo proprio a capire che mi voleva far copiare l’ortografia dalla lavagnetta del mio vicino, perché ritenevo che il maestro fosse lì per controllare che non copiassimo. Risultò che tutti i ragazzi, eccettuato me, avevano scritto giuste le parole, dunque l’unico scemo ero stato io. Più tardi il maestro cercò di spiegarmi quanto ero stato stupido, ma fu inutile, non riuscii mai ad imparare l’arte di copiare.

    Tuttavia l’incidente non diminuì affatto il rispetto che nutrivo per il maestro, gli sbagli commessi dagli adulti mi rendevano naturalmente cieco; venni a sapere dopo anche di molte altre debolezze di questo maestro, ma la mia considerazione per lui non ne fu scossa, perché avevo imparato ad ubbidire agli ordini dei miei superiori, non a vagliarne il comportamento.

    Mi sono sempre rimasti impressi altri due episodi occorsi nello stesso periodo. In genere avevo in uggia qualsiasi lettura al di fuori di quella dei libri di testo; i compiti giornalieri bisognava farli, perché non mi piaceva farmi rimproverare dall’insegnante così come non mi piaceva ingannarlo, perciò i compiti li facevo, ma spesso con mente distratta. Non riuscendo dunque a far bene nemmeno i compiti, non era proprio il caso che mi mettessi a leggere altri libri, ma gli occhi mi caddero per caso su un volume acquistato da mio padre, Shravana Pitribhakti Nataka (una commedia sulla dedizione di Shravana ai suoi genitori), che lessi con enorme interesse. Più o meno in quel periodo vennero dalle nostre parti degli attori ambulanti, e in una delle scene alle quali assistetti, Shravana portava in pellegrinaggio i suoi genitori ciechi reggendoli sulle spalle con delle cinghie: il libro e la scena mi lasciarono un’impressione incancellabile nella mente. Ecco un esempio che devi seguire, dissi a me stesso, e mi risuonano ancora oggi nelle orecchie i lamenti atroci dei genitori, quando muore Shravana; anche la melodia struggente mi commosse profondamente, la suonavo su una piccola fisarmonica che mio padre aveva comperato per me.

    Dopo un’altra rappresentazione successe un fatto simile. Pressapoco in quel periodo avevo ottenuto da mio padre il permesso di assistere ad uno spettacolo recitato da una compagnia drammatica, e quella rappresentazione - Harishchandra - mi prese il cuore, non mi stancavo mai di rivederla. Ma quante volte mi avrebbero permesso di tornarci? Ne ero ossessionato e devo aver recitato l’Harishchandra per conto mio un’infinità di volte. "Perché tutto non può essere verità, come nell’Harishchandra?", mi chiedevo giorno e notte; ricercare la verità e subire tutte le prove che aveva subito Harishchandra diventò il mio ideale supremo, credevo letteralmente alla storia di Harishchandra, quando ci ripensavo spesso scoppiavo in lacrime. Oggi il mio buonsenso mi dice che Harishchandra non sarà stato un personaggio storico, eppure sia Harishchandra che Shravana sono per me esseri realmente esistiti, e sono certo che mi commuoverei come allora se rileggessi quelle storie.

    3. Sposo bambino

    Vorrei tanto poter fare a meno di scrivere questo capitolo, ma so bene che in questo racconto avrò da ingoiare molti altri bocconi amari, e non posso esimermene; se affermo di essere un adoratore della verità è mio penoso obbligo, a questo punto, parlare del mio matrimonio all’età di tredici anni. Quando mi vedo intorno i giovanetti della stessa mia età che mi sono affidati, e ripenso al mio matrimonio, sono portato ad impietosirmi su me stesso ed a rallegrarmi con loro per essere sfuggiti alla mia sorte, dato che non esiste secondo me nessuna ragione morale che giustifichi delle nozze così assurdamente premature.

    Che il lettore non mi fraintenda: io fui sposato, non fidanzato, perché nel Kathiawad ci sono due diversi riti, il fidanzamento ed il matrimonio. Il fidanzamento è la promessa preliminare fatta dai genitori del ragazzo e della ragazza di unirli in matrimonio, e non è inviolabile: la morte del ragazzo non impone alla ragazza la vedovanza, si tratta solamente di un accordo stipulato fra i genitori, e non impegna i figli, i quali spesso non ne sono nemmeno informati. Pare che io sia stato fidanzato tre volte, anche se non ne ho saputo niente, ma mi hanno detto che due ragazze scelte per me erano morte una dopo l’altra, ne deduco dunque di essere stato promesso tre volte. Ricordo però vagamente che il terzo fidanzamento avvenne durante il mio settimo anno, ma non rammento di esserne stato informato. In questo capitolo parlerò del mio matrimonio, del quale ho un ricordo nettissimo.

    Come ho detto, eravamo tre fratelli. Il primo era già sposato, gli anziani decisero dunque di accasare il mio secondo fratello, maggiore di me di due o tre anni, un nostro cugino, che aveva forse un anno più di me, e me, tutti insieme, così facendo, non preoccupandosi del nostro benessere e ancora meno dei nostri desideri essendo in gioco solo i loro comodi e le loro finanze.

    Il matrimonio per gli indù non è cosa semplice. Spesso i genitori della sposa e dello sposo per farvi fronte si rovinano. Sprecano tempo e denaro. I preparativi durano mesi - si confezionano vestiti e ornamenti e si stanziano somme per i ricevimenti, si cerca di superarsi a vicenda nella quantità e diversità delle pietanze; le donne, che siano intonate o no, cantano fino a sgolarsi, fino ad ammalarsi, e disturbano la tranquillità dei vicini, i quali però sopportano pazientemente l’agitazione, lo scompiglio e lo sporco ed il disordine che rimangono dopo la festa, perché sanno che verrà un giorno in cui anche loro si comporteranno così.

    Era meglio, pensarono i miei, affrontare tutte queste seccature in un’unica e sola volta, meno spese e più éclat. I soldi si sarebbero potuti spendere più allegramente se si trattava di tirarli fuori una volta sola, invece di tre. Mio padre e mio zio erano vecchi tutti e due, eravamo gli ultimi figli rimasti da accasare: probabilmente volevano l’ultima, più bella festa di tutta la vita. Per queste ragioni si decise per un matrimonio triplo, e come ho detto, i preparativi durarono per mesi. Fu solo da questi preparativi che capimmo quale avvenimento si stava avvicinando; non credo che per me significasse altro che la prospettiva di indossare bei vestiti, e i suoni di tamburi, le processioni nuziali, i pasti succulenti e una ragazza sconosciuta con la quale giocare. Il desiderio carnale sopravvenne dopo. È mia intenzione gettare un pietoso velo sulla mia onta, se non per alcuni dettagli che meritano di essere ricordati e ai quali arriverò in seguito, ma anche quelli c’entrano poco con l’idea fondamentale che è argomento di questa storia.

    Così mio fratello ed io fummo condotti da Rajkot a Porbandar. Dai preliminari al dramma finale avvennero alcuni episodi divertenti - per esempio il fatto di spalmare completamente i nostri corpi di pomata alla curcuma - ma li devo omettere.

    Mio padre era un Diwan, ma era pur sempre un dipendente, tanto più che godeva dei favori del Thakore Saheb, il quale non volle lasciarlo partire fino all’ultimo istante, e quando si decise, ordinò per mio padre delle speciali diligenze, che ci mettevano due giorni di meno. Ma il destino aveva deciso altrimenti: Porbandar si trova a poco meno di 200 chilometri da Rajkot - in carrozza un viaggio di cinque giorni - mio padre percorse la distanza in tre giorni, ma durante la terza tappa la vettura si rovesciò, ed egli subì gravi lesioni. Arrivò tutto bendato. Il suo ed il nostro entusiasmo per l’avvenimento in programma subì un duro colpo, ma ormai la cerimonia doveva aver luogo. Infatti come sarebbe stato possibile cambiare la data del matrimonio? Comunque, nella mia gioia infantile per le nozze dimenticai il mio dolore per le ferite di mio padre.

    Ero attaccatissimo ai miei genitori, ma ero anche schiavo delle passioni che suscita la carne, non avevo ancora imparato che al rispettoso servizio dei propri genitori bisognerebbe sacrificare la felicità ed il piacere. Ebbene, quasi a punirmi per il mio desiderio di piaceri, capitò un fatto che da allora non cessa di turbarmi la memoria e che narrerò più avanti. Canta Nishkulanand: «Rinunciare alle cose, se non si rinuncia anche al desiderio di esse, è cosa vana, per quanto si tenti di riuscirvi», e ogni volta che canto questa canzone o la sento cantare, mi torna alla memoria quell’amaro infausto incidente che mi riempie di vergogna.

    Malgrado le sue ferite mio padre si fece forza e partecipò in pieno alle nozze. Se ci ripenso, riesco anche oggi a rivedere con gli occhi della memoria i posti dove si mise a sedere mentre prendeva parte alle diverse fasi della cerimonia: ero ben lontano allora dall’immaginare che un giorno avrei severamente criticato mio padre per avermi sposato bambino, tutto mi sembrava giusto e ben fatto e piacevole. Io stesso ero impaziente di sposarmi, e dato che allora tutto ciò che faceva mio padre mi sembrava al di sopra di ogni critica, il ricordo di quelle cose mi è rimasto fresco nella memoria: ancora oggi ci rivedo, quando sedemmo sul trono matrimoniale, quando eseguimmo il Saptapadi¹², quando noi, i novelli marito e moglie, ci ponemmo in bocca a vicenda il dolce Kansar¹³, e quando cominciammo a vivere insieme, e oh! quella prima notte, due bambini innocenti si tuffavano del tutto ignari nell’oceano della vita. La moglie di mio fratello mi aveva istruito esaurientemente su come mi dovevo comportare la prima notte, non so chi avesse istruito mia moglie, non gliel’ho mai chiesto, né ho voglia di farlo ora, il lettore sia pur certo che il nervosismo ci impediva di affrontarci, eravamo sicuramente troppo timidi. Come le dovevo parlare, e cosa le dovevo dire? I consigli non mi aiutavano molto. Ma in realtà in queste cose le istruzioni non servono, le impressioni lasciateci dalla esistenza precedente sono abbastanza potenti da renderle inutili. Cominciammo a conoscerci a poco a poco, e a parlarci liberamente; dopotutto avevamo la stessa età. Ma ben presto assunsi l’autorità del marito.

    4. Giocare a fare il marito

    Intorno all’epoca del mio matrimonio, circolavano piccoli opuscoli che costavano un pice¹⁴, o un pie¹⁵ (ora non ricordo esattamente), nei quali si parlava di amore coniugale, di economia, di nozze fra bambini e di altri argomenti del genere. Ogni volta che mi capitava in mano uno di questi opuscoli, lo leggevo da capo a fondo, ed era mia abitudine dimenticare ciò che non mi garbava e mettere in pratica quello che approvavo: la fedeltà per la vita alla moglie, che era, inculcavano gli opuscoli, dovere del marito, mi rimase impressa per sempre nel cuore; oltretutto la passione della verità era innata in me, il tradirla sarebbe stato perciò fuori questione, e poi a quella tenera età avevo ben poche occasioni di esserle infedele. Ma la lezione di fedeltà ebbe anche un effetto malefico. Se io devo impegnarmi ad essere fedele a mia moglie, anche lei deve impegnarsi ad essermi fedele, dissi a me stesso, e questo pensiero mi rese un marito geloso, in men che non si dica trasformai il suo dovere nel mio diritto di esigere fedeltà da lei, e per poter esigere, dovevo difendere tenacemente le mie prerogative. Non avevo assolutamente nessun motivo di sospettare della fedeltà di mia moglie, ma la gelosia non ha bisogno di motivi, mi sentivo in dovere di stare sempre all’erta a sorvegliare i suoi movimenti, perciò lei non poteva andare in nessun luogo senza il mio permesso. Ne nacque un’acerba lite, in realtà la mia sorveglianza si traduceva virtualmente in una specie di reclusione, e Kasturbai non era tipo da sopportare una cosa simile, ci teneva ad andare dove le pareva e quando le pareva. Appena esercitai un controllo ancora più severo, lei si prese ancora maggiori libertà, e io mi arrabbiai sempre di più. Il rifiuto di parlarci diventò perciò una cosa normale per noi sposi bambini. Credo che fosse in tutta innocenza che Kasturbai infrangeva le mie proibizioni: infatti come poteva una ragazza senza colpa sopportare che venissero limitate le sue visite al tempio o agli amici? Se avevo il diritto di imporle restrizioni, non godeva di uguale diritto anche lei? Oggi tutto questo mi appare evidente, ma a quei tempi ci tenevo a far valere la mia autorità di marito.

    Comunque, il lettore non creda che la nostra fosse una vita di continue amarezze, perché le mie severità erano sempre ispirate all’amore, io volevo fare di mia moglie una moglie ideale, il mio scopo era di obbligarla a vivere una vita pura, di insegnarle quello che imparavo io e di fondere le nostre vite ed i nostri pensieri.

    Io non so se Kasturbai condividesse queste mie ambizioni: era analfabeta, di natura semplice, indipendente, perseverante e, almeno con me, reticente; la sua ignoranza non le pesava e non ricordo che i miei studi l’abbiano mai spinta a tentare anche lei una simile avventura, perciò immagino che la mia ambizione non fosse condivisa. Ma dato che la mia passione era completamente concentrata su di lei, volevo essere corrisposto - anche se non vi era reciprocità, non poteva esservi solo monotona infelicità, dato che almeno da una parte vi era un amore vivo.

    Devo dire che l’amavo appassionatamente, pensavo a lei anche quando ero a scuola, e il pensiero della sera e del nostro prossimo incontro non cessava di ossessionarmi. La separazione mi era insopportabile, poi la tenevo sveglia fino a notte alta con le mie chiacchiere. Se oltre a questa passione divorante non avessi avuto anche un fortissimo senso del dovere, sarei caduto in preda alla malattia e alla morte prematura, o sarei sprofondato in una triste vita. Ma ogni mattina c’erano da sbrigare le consuete mansioni, ed esimermene con delle bugie mi era impensabile. Fu il mio amore della verità che mi salvò da molti guai.

    Ho già detto che Kasturbai era analfabeta; io ero molto desideroso di istruirla, ma il mio amore sensuale non mi dava requie. E poi dovevo impartirle gli insegnamenti suo malgrado, e per giunta di notte; non osavo incontrarmi con lei in presenza degli anziani, e ancora meno parlarle, dato che allora vigeva nel Kathiawad, ed entro certi limiti è così ancora oggi, una speciale, bizzarra, inutile e barbara forma di Purdah¹⁶. Dunque, le circostanze ci erano avverse. Devo confessare che la maggior parte degli sforzi da me compiuti durante la nostra gioventù per istruire Kasturbai finirono nel nulla, e quando mi destai dal sonno concupiscente mi ero già lanciato nella vita pubblica e non mi rimaneva molto tempo libero. Non sono neanche riuscito a farla istruire da insegnanti privati, perciò Kasturbai oggi riesce a mala pena a scrivere una modesta letterina e a capire il gujarati parlato semplicemente. Sono certo che se il mio amore per lei non fosse stato macchiato di sensualità, sarebbe oggi una signora istruita; perché allora sarei riuscito a vincere la sua avversione per gli studi: so che nulla è impossibile a chi ama d’amore puro.

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