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101 gol che hanno fatto grande l'Inter
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101 gol che hanno fatto grande l'Inter

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Il vero interista non resta impassibile neanche davanti a un gol ininfluente segnato durante un’amichevole o un allenamento alla Pinetina. Ogni rete, purché segnata da un giocatore con la maglia nerazzurra, è un brivido. Tutte sono importanti, ma alcune rimangono nella memoria più di altre. Certe sono semplicemente indimenticabili. Gol capolavoro, gol decisivi, gol storici, gol rocamboleschi. L’Inter, in oltre cento anni di storia, ne ha segnati più di seimila. Qui ce ne sono 101, ognuno con una leggenda da raccontare e un calciatore da celebrare: Meazza, Altobelli, Mazzola, Milito, Ronaldo, Corso… Ma anche gregari, meteore e veri bidoni che, magari proprio grazie a un gol, si sono ritagliati un posto nel firmamento nerazzurro. Attese, sacrifici, speranze, sogni: tutti gli ingredienti di questa grande passione chiamata calcio ruotano intorno a un unico, magico, indimenticabile attimo. Quello in cui la rete si gonfia e l’urlo esplode dallo stomaco, dai polmoni, dal cuore e, infine, dalla gola del tifoso. Certamente la storia dell’Inter potrebbe essere raccontata in tanti altri modi, ma questo libro propone senza dubbio quello più emozionante.


Dante Sebastio

nasce a Taranto il 21 luglio 1971. A 18 anni, nella sua città, intraprende la carriera di giornalista sportivo. Si trasferisce nel 1996 a Milano, dove comincia a collaborare con «La Gazzetta dello Sport» occupandosi di Fantacalcio (oggi Magic Cup). Nel 2002 crea il sito internet blunote.it, quotidiano d’informazione sportiva e culturale, di cui è direttore. Vive a Milano con la moglie Flora e i figli Sofia e Filippo. Con la Newton Compton ha pubblicato il bestseller 101 motivi per odiare il Milan e tifare l’Inter e 101 gol che hanno fatto grande l'Inter.
LanguageItaliano
Release dateDec 16, 2013
ISBN9788854126787
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    101 gol che hanno fatto grande l'Inter - Dante Sebastio

    1. Il primo gol in campionato della storia dell’Inter

    10 gennaio 1909; Milan-Inter 3-2

    Achille Gama Malcher

    Dopo un rodaggio fatto di allenamenti e partite amichevoli, nel 1909 l’Inter si iscrisse al suo primo campionato. Significativamente la prima partita ufficiale dell’Internazionale Football Club fu un derby contro il Milan. Quasi un marchio di fabbrica, un dolce tormento tatuato sottopelle che segna in modo indelebile le due squadre fin dagli albori.

    Certo è improbabile che agli occhi degli spettatori dell’epoca questa prima gara ufficiale fra Inter e Milan (le due squadre si erano già fronteggiate due volte: nella finale della Coppa Chiasso e in amichevole) rivestisse una particolare importanza. D’altra parte, in un campionato concentrato in sole quattro città (Milano, Genova, Torino e Vercelli) i derby erano all’ordine del giorno. Nel capoluogo lombardo era da tempo attiva anche l’Unione Sportiva Milanese, mentre proprio in quegli anni si faceva conoscere l’Ausonia. Così, nel campionato 1909/10, su nove squadre si arrivò a contarne ben quattro di Milano.

    Eppure, quelle fra Inter e Milan furono fin da subito sfide accese, dal sapore particolare. Non era tanto l’appartenenza alla stessa città a dare sale ai confronti, quanto il fatto che l’Inter fosse nata da una scissione avvenuta in seno al Milan. Una scissione tutt’altro che pacifica e consensuale, ma motivata invece da una profonda diversità di vedute sul modo di interpretare il calcio e da vivaci contrasti personali. Gli ex compagni, insomma, si ritrovavano su due parti opposte della barricata: vincere era una questione di orgoglio, e il responso del campo aveva quasi il sapore di un verdetto.

    Il 10 gennaio 1909 si giocava la prima giornata del girone eliminatorio lombardo a cui prendeva parte, oltre a Inter e Milan, l’Unione Sportiva Milanese. Tempo da lupi e pubblico scarso al campo del Milan in via Bronzetti, ma spettacolo ugualmente gradevole. «Si ebbe un bel match, notevole per l’animazione del gioco che fu sempre viva da entrambe le parti», così commentava «La Gazzetta dello Sport».

    L’Inter era appena nata, il Milan aveva già più di un decennio di esperienza, eppure i nerazzurri si mostrarono all’altezza della situazione: «Un bel gioco si ebbe anche dagli halfbacks ed in special modo dal Fossati che va diventando sempre più ottimo...».

    Passa in vantaggio il Milan. Treré segna l’unico gol del primo tempo. «Malgrado ciò l’Internazionale dimostra una certa superiorità mantenendosi quasi costantemente sotto il goal avversario».

    Ma a complicare le cose arriva l’infortunio del capitano Marktl che, violentemente caricato da Scarioni, deve abbandonare il campo dopo trenta minuti, lasciando i suoi in inferiorità numerica. Il portiere nerazzurro Cocchi para un rigore, poi arriva il pareggio. Eccolo, il primo gol ufficiale dell’Inter. Purtroppo la stringata cronaca de «La Gazzetta» non si attarda nella descrizione dell’azione ma, forse conscia del suo valore storico, ne fissa l’orario: «Alle 16:39 è l’Internazionale che per merito di Gama pareggia la partita».

    Achille Gama Malcher è un brasiliano, uno dei tanti stranieri che hanno fondato l’Inter. Ha appena compiuto diciotto anni. Attaccante, avrebbe giocato nell’Inter, dal 1909 al 1914, 46 partite ufficiali, segnando 19 gol. Sarebbe poi stato arbitro (fu guardalinee nella finale olimpica di Amsterdam del 1928), dirigente accompagnatore dell’Inter e allenatore (sedette sulla panchina del Bologna per due spezzoni di campionato fra il 1932/33 e il 1933/34).

    Il Milan poi segna due gol, ma a pochi minuti dalla fine Schuler accorcia le distanze. «A questo punto il gioco si fa più accanito. L’Internazionale vorrebbe pareggiare la partita, ma i rossi e neri vegliano e rispondono con egual foga all’attacco degli avversari. E il match termina colla vittoria del Milan Club con 3-2».

    Il Milan si impose, ma il giovane club nerazzurro dimostrò di aver già quasi colmato la distanza che lo separava dai titolati avversari: «L’Internazionale ha dimostrato di aver di molto migliorato la propria forma. Abbiamo potuto vedere discrete combinazioni da parte della sua linea d’attacco». Per contro il Milan veniva segnalato «assai a corto di forma».

    Come ogni derby che si rispetti, anche questo primo confronto ufficiale ebbe il suo strascico di polemiche. L’Inter infatti a fine partita sporse reclamo sostenendo che il milanista Mädler non avrebbe potuto giocare in quanto aveva già preso parte a gare del campionato svizzero. Il Milan replicò denunciando la mancata iscrizione ai campionati del nerazzurro Niedermann. Astuzie, complotti e recriminazioni nel calcio italiano non mancavano neanche cent’anni fa. Fra i due litiganti comunque a godere fu il terzo: le eliminatorie lombarde furono infatti vinte dall’altra compagine meneghina, l’Unione Sportiva Milanese, la stessa società che nel 1928 si sarebbe fusa proprio con l’Inter dando vita all’Ambrosiana.

    MILAN: Radice G., Sala M., Colombo A., Meschia, Scarioni II, Barbieri, Mariani E., Laich, Trerè II A., Mädler, Lana.

    INTER: Cocchi, Kaeppler, Marktl, Niedermann, Fossati I, Kummer, Gama, Du Chene, Wipf, Woelkel, Schuler.

    Reti: Trerè II A., 69’ Gama, 74’ Lana, 86’ Laich, 88’ Schuler.

    2. Il biscione, il diavolo e... la capra: il primo derby vinto

    6 febbraio 1910; Milan-Inter 0-5

    Giovanni Capra

    Il 6 febbraio 1910 è una domenica di gelo e di fango a Milano. È passata solo una settimana dai giorni della merla, i più freddi dell’anno secondo la tradizione meneghina, e un timido sole invernale rischiara il campo senza scaldarlo.

    Sono in programma due partite in successione. Alle 13:30 aprono le danze l’Ausonia e l’Andrea Doria. Pochi minuti prima Franz Calì, il capitano dei liguri, si era lamentato dello stato del terreno, a suo dire «assai sdrucciolevole causa lo sgelo e affatto diverso dal loro di Genova». Comprensibile la sorpresa di Calì il quale, non essendo ancora nato Paolo Conte, ignora che da queste parti «abbiamo il sole in piazza rare volte e il resto è pioggia che ci bagna». Questo per dire che le condizioni del campo non possono certo turbare interisti e milanisti anche se, precario già a inizio giornata, il terreno di gioco dopo la prima partita deve versare in condizioni davvero pietose.

    Per le due squadre milanesi peraltro la cosa non rappresentava una novità. Soprattutto l’Inter aveva una certa familiarità con le situazioni ambientali estreme. Il suo primo campo sorgeva all’altezza del 115 di Ripa Ticinese: un grande spiazzo brullo poco lontano dal Naviglio Grande. Troppo poco lontano. Tralasciando la nebbia e l’umidità che si alzavano dal canale, il vero problema era rappresentato dal rischio assai concreto che il pallone finisse in acqua e venisse rapidamente trascinato dalla corrente fino alla Darsena. Si ovviò con un rimedio empirico ma efficace, sebbene non troppo comodo per chi avrebbe dovuto metterlo in pratica: nel naviglio fu sistemata una barchetta, nella quale si alternavano vari soci dell’Inter pronti a ripescare il prezioso attrezzo con un rudimentale retino.

    Presto la situazione divenne insostenibile, e l’Inter ottenne dal Comune il permesso di utilizzare per il periodo invernale la monumentale Arena napoleonica, il che indispettì non poco i cugini milanisti, che fino a quel momento avevano potuto usufruire della struttura in esclusiva.

    Se l’Arena offriva una cornice prestigiosa e coreografica, dal punto di vista idrico-meteorologico non è che le cose migliorassero molto. La nebbia in questo caso arrivava dall’adiacente parco Sempione e, quanto all’acqua, basti dire che al terreno dello storico stadio – già messo a dura prova dalle abbondanti piogge nelle stagioni fredde – in estate capitava di venire allagato per ospitare delle naumachie. Ecco ad esempio con quali parole un ispirato cronista raccontava un’amichevole fra Inter e Ausonia: «Un tempo orribile aveva reso la pelouse¹ un vero laghetto: la pioggia non ha cessato per un istante di disturbare in dose abbondante i 22 audaci giuocatori [...]. La partita si svolse come Dio volle».

    È da simili situazioni che per il giovane sodalizio nerazzurro nacque il soprannome di squadra anfibia. Il simbolo del biscione avrebbe poi spostato l’Inter nella classe dei rettili.

    Il campionato 1909/10 rappresentò un punto di svolta per almeno due motivi. Innanzitutto fu il primo a girone unico, in cui cioè tutte le squadre concorrevano insieme. Fino ad allora infatti si era sempre proceduto sulla base di confronti a eliminazione diretta o di gironi eliminatori. Questa novità aumentò notevolmente il numero di partite giocate da ciascuna squadra: sedici contro il massimo di sei dell’anno precedente. In secondo luogo per la prima volta la competizione si svolse a cavallo di due anni, introducendo così la suddivisione temporale tuttora in uso.

    Di quel secondo derby di campionato ci restano le stringate note de «La Gazzetta dello Sport», vergate in una lingua che oggi ci appare obsoleta. Si apprende così di un inizio all’arma bianca del Milan («I suoi uomini scorrazzano pel campo senza posa e si contrappongono con foga talvolta anche un po’ esagerata alla virtuosità avversaria») e di un’Inter che, forte della sua migliore posizione di classifica, riesce presto a imporre il suo valore: «L’Internazionale è superiore in modo indiscutibile al Milan, e dopo aver mancata qualche facilissima occasione di segnare, chiude il tempo con due punti a zero». Il secondo tempo serve solo ad arrotondare il risultato, fino a fargli assumere dimensioni da goleada: «La ripresa convince ancor più di tale superiorità. Infatti son altri tre punti segnati senza discussione, mentre il Milan non riesce a salvare l’onore». L’onta della sconfitta di un anno prima è lavata. E se cinque gol non fossero sufficienti, poco più di un mese dopo, nella partita di ritorno, ne arrivano altri cinque (questa volta però il Milan riesce almeno a segnare la rete della bandiera).

    Mattatore di quella partita fu Giovanni Capra, giocatore che disputò due campionati con la maglia dell’Inter concentrando però tutti i suoi gol (12) nell’anno del primo scudetto. Le cronache dell’epoca non riportano dettagli sulla sua tripletta, che comunque rimane nella leggenda per aver determinato la prima vittoria in un derby della storia dell’Inter.

    MILAN: Barbieri L., Ott, Moda I, Scarioni II, Cevenini I, Colombo A., Carrer, Brioschi, Mayer, De Vecchi R., Mariani E.

    INTER: Campelli, Zoller, Streit, Fronte, Fossati I, Peterly II, Payer, Capra, Engler, Moretti, Schuler.

    Reti: Capra, Capra, Peterly II, Capra, Payer.

    ¹ Il termine francese, che significa terreno erboso, veniva all’epoca usato frequentemente per descrivere i campi da gioco. Che, ironia della sorte, come si è visto, di erboso avevano spesso ben poco.

    3. I due squilli di Zizì Cevenini

    10 novembre 1912; u.s. Milanese-Inter 0-2

    Luigi Cevenini III

    Ci vuole solo una settimana perché Luigi Cevenini, detto Zizì, e passato alla storia come Cevenini III, vada in gol con la maglia dell’Inter. Lo fa il 10 novembre 1912, segnando una doppietta all’Unione Sportiva Milanese – la squadra protagonista di tante sfide stracittadine che nel 1927 si fuse proprio con l’Inter dando vita all’Ambrosiana (poi ribattezzata Ambrosiana Inter e infine nuovamente Internazionale).

    Dopo quei primi due gol Luigi Cevenini ne realizzò altri 156, in 189 partite, numeri che ne fanno il quarto miglior marcatore della storia dell’Inter nella classifica dei gol totali (a pari merito con Mazzola) e il secondo, dietro all’irraggiungibile Meazza, in quella dei gol segnati in campionato.

    Curiosamente la prima e l’ultima partita con l’Inter di Cevenini III furono due Inter-Genoa, giocate a distanza di quasi quindici anni ma terminate entrambe col medesimo risultato, 2-3.

    Potere dei numeri, come è giusto per l’esponente più famoso di una vera stirpe di fratelli: ben cinque, tutti giocatori dell’Inter. Il più grande, Aldo, era un centrocampista, che giocò 91 partite segnando 46 gol. Cevenini II si chiamava Mario, era un difensore e giocò 39 volte andando in rete in un’occasione. Meno presenze contano i due fratelli più piccoli, Cesare (difensore, 12 apparizioni e tre gol) e Carlo (attaccante, 16 partite ma ben 15 gol).

    L’Inter prelevò in blocco i fratelli Cevenini dal Milan, e il loro acquisto rappresentò una svolta, potenziando il club nerazzurro a tal punto che molti da quel momento lo considerarono il principale rivale della grande Pro Vercelli. Luigi, poi, ebbe un ingaggio che fece scalpore: ben 500 lire al mese, in un’epoca in cui quasi tutti pagavano per giocare.

    Rapido con la lingua quasi quanto con le gambe nei campi di gioco, Zizì mise a segno 37 gol nel campionato 1913/14 e 24 in quello 1914/15. Poi arrivò l’interruzione per la Grande Guerra. Nelle occasionali partite che si giocarono in quegli anni bui, Cevenini III tornò a militare nel Milan, ma nel primo campionato del dopoguerra era di nuovo nerazzurro, e con 23 gol nel 1920 contribuì alla conquista del secondo scudetto (ma la definizione è impropria, perché la consuetudine del triangolino tricolore fu istituita solo a partire dal 1923/24). La sua storia nell’Inter durò fino al 1927 con una sola interruzione nel 1921/22, anno in cui si assistette a una scissione fra due diversi campionati e in cui Zizì vestì la maglia della Novese, portandola fra l’altro a vincere il suo storico scudetto.

    Cevenini III giocò anche 29 partite in nazionale, segnando 11 reti. La sua carriera proseguì per tre anni nella Juventus e successivamente, come allenatore-giocatore, nel Messina, nella Comense e nell’Arezzo, dove giocò le sue ultime quattro partite all’età di 44 anni. Morì nel 1968.

    Con la maglia dell’Inter, Cevenini III segnò tra l’altro 17 reti nei derby contro il Milan: anche in questo primato venne poi superato dal solo Meazza.

    U.S. MILANESE: De Simoni, Pizzi, Boldorini, Carrara, Soldera I, Burba, Bruciamonti, Soldera II, Boiocchi, Pizzi II, Frigerio.

    INTER: Campelli, Viganò, Schleider, Engler, Fossati V., Caimi, Crotti, Bontadini, Cevenini L., Aebi, Gama U.

    Reti: Cevenini L. (2).

    4. L’ultimo gol di Virgilio Fossati

    11 ottobre 1914; Inter-Modena 8-0

    Virgilio Fossati

    L’ultimo gol della sua vita Virgilio Fossati lo segna l’11 ottobre 1914. È la seconda giornata di campionato e l’Inter si impone sul Modena con il rotondo punteggio di 8-0. Un risultato neanche troppo insolito per i tempi, visto che viene bissato solo una settimana dopo (la vittima questa volta è il Brescia).

    E non furono le goleade più clamorose dell’annata: nel corso delle ventuno giornate l’Inter si rese fra l’altro protagonista di un 12-1 all’Unione Sportiva Milanese e di un 16-0 al Vicenza.

    Punteggi che la dicono lunga sul calcio che si giocava a quell’epoca: un calcio allegro, sfrontato, dilettantistico nel senso migliore del termine. In una parola, un gioco. Ma un gioco non era la Grande Guerra, che al momento del gol di Fossati stava già insanguinando mezza Europa e che dal successivo maggio avrebbe coinvolto anche l’Italia, causando fra l’altro l’interruzione del campionato. Al calcio si sarebbe tornati a pensare, dopo anni di sofferenze e di lutti, solo nel 1919. Ma allora Virgilio Fossati, e tanti suoi compagni e avversari, non c’erano più.

    Fossati fu la prima grande bandiera nerazzurra. Presente fin dalla fondazione della squadra, fu protagonista di una lunga e gloriosa militanza, e fu tra l’altro il primo interista a venire convocato in nazionale.

    Di lui scrivevano già nel 1908: «I suoi mezzi fisici sono tali che uniti a una buona dose di quella che si dice scuola, faranno di lui uno dei migliori fullbacks italiani». Ma forse ancora più eloquente di questo giudizio lusinghiero è l’appassionata difesa di un anonimo giornalista dalle critiche che parte del suo pubblico (che già allora non faceva sconti ai propri beniamini...) gli riservò durante un derby. «Abbiamo udito qualche bellimbusto urlare il modesto e valoroso Fossati per aver questi sbagliato qualche pallone e per non essersi impegnato come al solito. Ciò è vergognoso se si pensa che il bravo giuocatore si trovava in condizioni di salute tutt’altro che buone. Via, un po’ più di educazione non guasterebbe!». L’esortazione finale trasuda signorilità d’altri tempi. Ma guai a idealizzare il passato. Risse, intimidazioni e invasioni di campo facevano già allora parte del gioco.

    Dopo aver iniziato come difensore, Fossati passò presto a fare il centromediano, il ruolo cioè attorno a cui ruotava tutta la squadra. Fossati difendeva, attaccava e ispirava il gioco offensivo dei compagni. In questo era supportato da una tempra eccezionale e da un fisico fuori dal comune, soprattutto considerando l’epoca: era infatti alto ben 188 centimetri. Migliore interprete del suo ruolo insieme al vercellese Milano I, vestì la maglia (all’epoca bianca e non ancora azzurra) della nazionale italiana fin dalla prima partita della sua storia, il 15 maggio 1910 a Milano contro la Francia. I nostri vinsero per 6 a 2, e Fossati segnò persino un gol. In nazionale collezionò dodici presenze e presto diventò anche capitano. Una bellissima foto lo ritrae all’inizio del confronto contro l’Austria, in casacca azzurra con enorme colletto abbottonato e uno stemma di Casa Savoia se possibile ancora più grande sul petto. Tiene in mano un gagliardetto, ma mai diminutivo fu meno opportuno visto che il pezzo di stoffa è lungo non meno di settanta centimetri. Al suo fianco il capitano austriaco, con tanto di aquila bicipite sulla maglia, tiene in mano un vessillo di simili dimensioni.

    Era l’11 gennaio 1914, e le due squadre non si fecero male: la partita finì infatti 0-0. Fa male invece pensare che due anni dopo, sull’Isonzo, in un confronto infinitamente meno civile e cavalleresco, sia stata proprio una pallottola austriaca a mettere fine alla carriera e alla breve vita di Virgilio Fossati.

    INTER: Campelli, Monetti, Bavastro, Engler, Fossati V., Cevenini A., Schleider, Aebi, Cevenini L., Agradi, Asti.

    MODENA: Borgetti, Roveri, Secchi, Capelli, Roberts, Rota, Tosatti, Minchio, Perin, Forlivesi, Zorzi.

    Reti: Cevenini L. (2), Aebi (2), Agradi (2), Asti, Fossati.

    5. Il gol scudetto di Aebi, l’uomo internazionale

    20 giugno 1920; Livorno-Inter 2-3

    Ermanno Aebi

    Se c’è un calciatore che più di altri è legato ai primi due scudetti della storia dell’Inter, e più in generale ai motivi stessi che portarono alla nascita del club nerazzurro, è senz’altro Ermanno Aebi.

    Nato a Milano da padre svizzero e madre italiana, nel 1910 venne reclutato nel giovane club nerazzurro, che già contava al suo interno numerosi giocatori stranieri, in particolare svizzeri. D’altronde, lo stesso nome scelto per la nuova squadra, Internazionale appunto, dice chiaramente quali fossero i princìpi ispiratori. La scissione in seno al Milan che aveva portato alla nascita dell’Inter affondava le sue origini nei malumori nati in seguito alla decisione della Federazione di ammettere al campionato 1908 squadre formate da soli calciatori italiani. Una decisione che aveva determinato la rinuncia di Milan, Genoa e Torino e la vittoria dell’autarchica Pro Vercelli. Ma già al primo derby di campionato fra Milan e Inter, nel 1909, i rossoneri scesero in campo con soli due stranieri e i nerazzurri con otto. Un particolare che conferma, se ce ne fosse bisogno, quale dei due sodalizi avesse fatto sua la vocazione cosmopolita.

    Aebi si accodò alla squadra all’ultima giornata del campionato 1909/10. Giocò nella partita che l’Inter vinse 7-2 contro il Torino, un roboante successo che però non servì a sbloccare la parità fra Inter e Pro Vercelli in testa alla classifica. Si rese necessaria una partita di spareggio, che la Federazione fissò a Milano il 24 aprile. Immediate arrivarono le rimostranze delle bianche casacche, non solo per la sede ma anche per la data, visto che in quel giorno molti vercellesi sarebbero stati impegnati in partite di rappresentative studentesche e militari. La Federazione accolse in parte le richieste dei piemontesi, spostando la partita a Vercelli ma confermando la data. Il presidente dei campioni in carica per protesta decise di mandare in campo una squadra fatta di ragazzini e così l’Inter, con Aebi in campo, poté vincere facilmente per 10-3.

    Il campionato ebbe un ulteriore strascico polemico: la Pro Vercelli presentò reclamo per la presenza nelle ultime due partite di Aebi, un giocatore di nazionalità svizzera fatto passare per italiano. Ma il reclamo venne respinto e anzi la Federazione passò al contrattacco punendo la Pro Vercelli con una squalifica, una multa e con l’esclusione dei suoi giocatori dalla partita della nazionale in programma da lì a poco.

    Aebi successivamente acquisì la cittadinanza italiana e fu anche il primo oriundo a militare nella nazionale italiana, in cui giocò due partite. Nel frattempo diventò una colonna dell’attacco nerazzurro: al momento del ritiro il suo invidiabile score fu di 142 presenze e 106 gol, un bottino che ne fa a tutt’oggi il nono marcatore della storia interista.

    Ma prima del ritiro, avvenuto nel 1922, Ermanno Aebi volle lasciare un altro segno, quello che portò al secondo scudetto. Del campionato 1919/20 fu uno dei protagonisti assoluti, con 19 gol in 21

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