Il tempo raccontato da un curioso
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Il tempo raccontato da un curioso - Nazzareno Luigi Todarello
Eliot
I pesci e l'acqua
I pesci si chiedono che cosa è l'acqua? Prima ancora, si chiedono se l'acqua esiste? Ancora prima, sanno di essere nell'acqua? Noi, di solito, facciamo come i pesci. Meglio così. Se passassimo il nostro tempo a chiederci che cosa sono lo spazio e il tempo, e se esistono, non avremmo più tempo per occuparci d'altro. Lasciamo che alcuni se ne occupino particolarmente. Ma ogni tanto la domanda ce la facciamo. Sentiamo che il tempo passa. E che non torna indietro. Questo ci stupisce, ci spaventa. Sappiamo anche che ci sono momenti che stabiliscono delle tappe nella corsa del tempo. E li viviamo con maggiore intensità. Scienziati e filosofi si sono occupati del tempo. Nell'ultimo secolo soprattutto. Prima, molto tempo fa, se ne discuteva meno che oggi. Poi Agostino di Ippona ha scritto a proposito pagine geniali. Ma è con la moderna fisica che il tempo diventa un argomento centrale della discussione scientifica. Non siamo pesci. Nuotiamo nel tempo ma vogliamo anche capire che cosa vuol dire. La fisica moderna ci sta dando risposte straordinariamente interessanti. E strane. Incredibili. E difficili, spesso, da capire, tanto sono lontane dalla nostra esperienza quotidiana. La realtà delle cose sembra chiederci di allontanarci da quello che invece appare ovvio nella nostra vita di ogni giorno. Ovvio perché scontato, dato per conosciuto. La realtà è quella nella quale viviamo. Questa realtà è costruita dai nostri sensi, dalla nostra mente. È comoda. Ci troviamo piuttosto bene in questa realtà. Ci abbiamo messo migliaia e migliaia di anni a costruirla. La realtà è quella nella quale viviamo? Sì, l'abbiamo detto. Ma anche no, se non ci accontentiamo del comodo mondo di colori e di odori e di corpi... la vita!... e vogliamo conoscere come madre natura, o chi per lei, ha costruito l'involucro dentro il quale ci troviamo a condurre la nostra vita. Quell'involucro immenso che noi abbiamo arredato con tanta fatica. Quell'involucro che è lo spazio/tempo.
Che dicevano gli antichi?
Per duemila anni, e anche qualcosa in più, la scienza è stata minorenne. Non poteva stare da sola. Era sempre in compagnia di una sorella maggiore, la filosofia. E la filosofia, per parecchi secoli, è stata in compagnia della poesia. Facevano una bella famiglia. Una famiglia importante, quella del pensiero. A essere più precisi, la famiglia del pensiero razionale. Perché sappiamo che ci sono diverse forme di pensiero. Siamo circondati, per esempio, da esseri che usano forme di pensiero diverse dal pensiero razionale: i bambini. Non è un pensiero, quello dei bambini, inferiore, di minore dignità. È un modo diverso di vedere il mondo e di starci dentro. Il pensiero razionale (il pensiero razionale occidentale) ha duemila e cinquecento anni. La fisica solo quattrocento. La fisica sperimentale, quella che per noi è fisica
. Ma non ci sarebbe stata mai una fisica sperimentale se non ci fosse stato prima il pensiero razionale. Tutto inizia con una frase in apparenza ovvia, talmente ovvia da far cascare le braccia dicendo bella scoperta! Non bisogna essere filosofi per dire una cosa così!
. Eppure fermiamoci un po' a fare qualche ragionamento. L'essere è e il non essere non è
. L'ha detta Parmenide, un filosofo appunto. Un filosofo eleatico, da Elea, in Campania. A proposito, filosofia
vuol dire non soltanto, ovviamente, amore per la conoscenza
, ma, come avverte Emanuele Severino, soprattutto avere cura per ciò che è assolutamente vero, incontrovertibile
. Il filosofo scopre e accudisce il vero. Si racconta che Parmenide, che Platone ci descrive venerando e terribile
, non si stufava di ripeterlo, anche in una versione leggermente diversa: Ciò che è è e ciò che non è non è
. Evidentemente sentiva il bisogno di ripeterlo perché i suoi allievi non ne ricavavano in maniera sufficiente e continua un modo nuovo di ragionare. Non mettevano in atto la sua raccomandazione di tenere ben presente la differenza tra ciò che è e ciò che non è. Non ne erano ancora del tutto capaci. Nei confronti di Parmenide rischiamo di commettere lo stesso errore che commettiamo quando valutiamo come primitivo il modo di ragionare dei bambini. Ci sentiamo superiori. Sbagliamo. Ci saranno uomini allora che, secondo il nostro modo di vedere, saranno superiori a noi? Ogni epoca della vita, del singolo e della specie, ha il suo valore. E questo valore non può essere conosciuto, e di conseguenza valutato, secondo punti di vista di altre epoche. Che senso avrebbe considerare menomata la vita di Mozart per il fatto che non ha mai visto un film? Eh sì, anche in questo piccolo ragionamento entra il gioco il protagonista di questo libro, che è anche il protagonista misterioso delle nostre vite, il tempo. È proprio la storia che contribuisce maggiormente a formare quel concetto di tempo che tutti condividiamo. Il tempo come un fiume inarrestabile, con gli uomini che sono le gocce travolte. Ma torniamo a Parmenide. Il suo è un perentorio invito alla di-visione. Dividere vuol dire vedere una cosa e poi l'altra. Cioè vedere due cose dove prima se ne vedeva una. E vedere, soprattutto, che una delle due cose è e l'altra non è. È quello che si intende per analisi. Una cosa è vera se il suo contrario è falso. Dividi una volta e poi un'altra, e poi un'altra, ecc. La capacità di distinguere gli aspetti di una realtà per poterne valutare le caratteristiche una per una, sta alla base dell'indagine filosofica. Prima il pensiero si muoveva in stretto contatto con la percezione e l'emozione. Descriveva il mondo nella sua unità magica. La filosofia greca ha diviso il mondo in parti. Ha cominciato a misurare le parti. Nessun popolo è stato più in gamba dei Greci a misurare, considerando l'inesistenza, in quei tempi, di ogni strumento tecnico. Abbiamo passato molte ore della nostra adolescenza a studiare la loro geometria. E figli e nipoti continuano, perché ancora oggi è la migliore palestra per sviluppare il ragionamento razionale.
Che cosa pensava Parmenide del tempo? Ne scopriremo delle belle. Nel senso che resteremo stupiti dal fatto che questo signore di venticinque secoli fa, serio e barbuto (così ci appare nelle statue che si dice che lo ritraggano) afferma cose incredibilmente simili alle affermazioni dei moderni fisici. Essendo non generato, il tempo, è anche imperituro, tutt'intero, unico, immobile e senza fine. Non era né sarà, perché è ora tutt'insieme, uno, continuo. Difatti quale origine gli si può trovare? Come e da dove può essere nato? Dal non essere? Non ti permetterò né di dirlo né di pensarlo. Infatti non si può né dire né pensare ciò che non è. L'essere come potrebbe esistere nel futuro? In che modo mai sarebbe venuto all'esistenza?
. Sembra di capire che per Parmenide la prima grande distinzione tra ciò che è
e ciò che non è
riguarda proprio il tempo. Il presente è
. Il passato e il futuro non sono
. Una volta che Popper discuteva del tempo con Einstein, gli venne da dire, a un certo punto, visto che Einstein insisteva nell’idea che il mondo fosse un universo chiuso a quattro dimensioni, nel quale il cambiamento era un’illusione umana, o qualcosa di molto simile: Tu sei un Parmenide
. Perché Einstein non faceva distinzione tra presente, passato e futuro. La differenza però c'è, e grande, tra Parmenide e Einstein. Per Parmenide passato e futuro non sono
. Per Einstein tutti e tre i tempi sono contemporaneamente
. Nello scritto di Parmenide sembra esserci piuttosto una concezione del tempo che sarà quella di Newton. Un tempo eterno, quello di Newton, che scorre uguale in ogni luogo dell'universo, senza fermarsi mai, palcoscenico e sfondo degli eventi. Di tutti gli eventi. Palcoscenico e sfondo insieme allo spazio, anche se ben distinto da lui, altrettanto eterno e immutabile e uguale in ogni angolo dell'universo. Sembra. Tutto dipende però dal modo di intendere nel profondo le parole di Einstein e di Parmenide. Andando più dentro infatti, alle conseguenze logiche dei principi generali, i punti di contatto tra il filosofo antico e il più grande fisico del Novecento diventano rilevanti. Parmenide dice che solo ciò che è esiste. Bene. Questa affermazione comporta una conseguenza decisiva: niente muta. Perché se una cosa mutasse vorrebbe dire che una realtà che prima non c'era ora c'è e successivamente non sarà. Mutare infatti può voler dire questo: quello che io ero ieri non c'è più. Il suo posto è stato preso da quello che io sono oggi. E domani ci sarà un altro io che prenderà il posto di quello che io sono oggi. E non c'è neanche bisogno di parlare di oggi e di domani. Bastano gli attimi nella loro (apparente) successione. Questo, per Parmenide, è impossibile. Perché ciò che non è non potrà mai essere (conseguenza necessaria di l'essere è e il non essere è non è
). Anche Einstein nega la realtà del mutamento, confinandolo nel mondo fittizio dell'illusione. Il 21 maggio 1955 Einstein scrive alla vedova di Michele Besso, l'ingegnere svizzero d'origine italiana, che aveva lavorato con lui all'Ufficio Brevetti di Berna e ne era diventato amico e confidente: Michele mi ha preceduto anche questa volta. Ma per noi che crediamo nella fisica, la differenza tra passato presente e futuro è solo un’illusione, per quanto testarda
. È vero che si tratta di una lettera di condoglianze e di sicuro c'è da leggerci una volontà consolatoria, ma il pensiero c'è ed è congruo con il pensiero generale del grande fisico. Avrebbe potuto, per consolare la vedova, trovare altre parole. Allora, concludendo, sia Parmenide che Einstein sembra proprio che vogliano dire la stessa cosa, anche se i punti di partenza e i processi logici utilizzati sono del tutto differenti. C'è una sola realtà. E non è il presente, non è il passato, non è il futuro. Queste distinzioni non esistono se non nella nostra percezione. La realtà è una e ferma. Il tempo non esiste perché l'universo è immobile, non avviene
, è
.
(Io vorrei invitare il lettore a fermarsi un attimo sul verbo è
. Lo usiamo in continuazione, senza farci caso. Non ci rendiamo conto dell'atto di volontà racchiuso in semplici frasi come il cielo è grande
, il pane è buono
, la vita è dura
, ecc. Quella parolina così breve è
stabilisce una forma di realtà, un atto di volontà e di possesso. Li facciamo tutti i giorni, questi atti, e questo ce li fa sottovalutare. Siamo arrivati a dire
qualcosa di qualcos'altro attraverso un lungo tempo di elaborazione cerebrale. La più grande invenzione dell'uomo. Senza dubbio alcuno. Immerso nel mondo delle cose e dei fenomeni, dipendente da esso per la vita e per la morte, incapace di dominarlo, un po' alla volta l'uomo antichissimo ha collegato ogni cosa e ogni fenomeno a un suono emesso dal suo corpo. La sua voce. La risposta dell’uomo alla onnipresenza del dio-luce è stata la voce. Prima del linguaggio articolato e del pensiero, l’indistinto suono emesso ha consentito all’uomo di sentirsi
come unità capace di allargare se stesso al mondo. La voce, generata all’interno della glottide, porta stagna tra il dentro e il fuori del corpo, allarga la vibrazione interiore al mondo. L’aria entra nell'uomo, lo fa vivere di sé, poi esso la restituisce vibrante, stabilendo uno spazio possibile della conoscenza e dell'azione. Non è lo spazio infinito e istantaneo della luce-dio, ma lo spazio minimo, esistenziale della creatura-uomo. Vibrazione a vibrazione. Così, con il suono/parola, l'uomo ha cominciato a dividere il mondo in cose, la vita in fenomeni. Ha inventato
le cose, separandole dallo sfondo indistinto. Con le parole ha cominciato a stabilire relazioni tra le cose. Così ha cominciato a dominare le cose, a imporre loro la propria volontà. Con le parole. E la prima tra le parole è è
. Poesia è parola di origine greca. In greco si dice poiesis
, che vuol dire fare
prodotto del fare
. E in latino verbum
vuol dire parola
. Il verbo è la prima delle parole. E essere
è il primo dei verbi. Esso stabilisce, con atto creativo, che quella cosa esiste. Ed è così.)
Che cosa pensava Platone, il più grande dei filosofi, del tempo? Come sappiamo, Platone stabiliva piani di realtà precisi. Il mondo come ci appare non è la realtà vera. È destinato alla consunzione. La qualità del suo essere
non è perfetta.
(Abbiamo visto, nella parentesi precedente, l'importanza nella evoluzione dell'uomo occidentale, della parola è
. Qui aggiungiamo solo che un po' alla volta, scoprendo, tramite il linguaggio, sempre nuove qualità
, quelle che indichiamo con gli aggettivi, a un certo punto ha capito che la qualità più importante è quella di essere, di esserci nel mondo. Una pietra, prima di essere