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Perchè peccando ho meritato i tuoi castighi: Un teologo davanti al coronavirus
Perchè peccando ho meritato i tuoi castighi: Un teologo davanti al coronavirus
Perchè peccando ho meritato i tuoi castighi: Un teologo davanti al coronavirus
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Perchè peccando ho meritato i tuoi castighi: Un teologo davanti al coronavirus

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«Mio Dio mi pento e mi dolgo dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi». Queste sagge parole ispirate alle Scritture ed alla più genuina ascetica cristiana sono  messe a repentaglio, per non dire respinte dall’ondata fangosa del buonismo, che minaccia di sommergerci tutti, con la sua falsa carità, e invece è un virus ancora più pericoloso del coronavirus, perché questo è stato inventato dalla natura, mentre quello è un invenzione del demonio.
Diciamo allora che nei momenti di pubblica calamità, come questo del coronavirus, momenti nei quali gli animi sono spaventati ed angosciati, momenti che vedono nella natura una dea crudele, dubitano della bontà e dell’onnipotenza divina, pensano che Dio non s’interessi di loro, o si interrogano su quale messaggio Dio vuol darci con questa sventura, i pastori, da buoni medici dello spirito, sono più che mai chiamati, insieme con i medici del corpo, ad approntare ai fedeli e a tutti gli uomini di buona volontà, adeguate cure mediche ricavate dalla prassi di Gesù Cristo, Medico celeste, e da quella meravigliosa e miracolosa farmacia, che è la Sacra  Scrittura.
Hanno pertanto l’obbligo di conoscerla e interpretarla bene, respingendo le false interpretazioni, e facendo attenzione a non scambiare farmaci per veleni e veleni per farmaci. È un compito delicato, perché alcuni farmaci biblici sembrano veleni e alcuni apparenti veleni sono in realtà farmaci; certe cure dolorose in realtà fanno bene, mentre certi palliativi piacevoli o apparentemente saggi lasciano il malato com’è o addirittura peggiorano il male.
LanguageItaliano
PublisherChorabooks
Release dateMay 3, 2020
ISBN9789887999348
Perchè peccando ho meritato i tuoi castighi: Un teologo davanti al coronavirus

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    Perchè peccando ho meritato i tuoi castighi - Giovanni Cavalcoli

    oggi

    Introduzione

    Oggi, se udite la sua voce, non indurite il vostro cuore

    Sal 95,8

    Occorre rinnovare la predicazione in questo momento di calamità

    «Mio Dio mi pento e mi dolgo dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi». Queste sagge parole ispirate alle Scritture ed alla più genuina ascetica cristiana sono messe a repentaglio, per non dire respinte dall’ondata fangosa del buonismo, che minaccia di sommergerci tutti, con la sua falsa carità, e invece è un virus ancora più pericoloso del coronavirus, perché questo è stato inventato dalla natura, mentre quello è un invenzione del demonio.

    Diciamo allora che nei momenti di pubblica calamità, come questo del coronavirus, momenti nei quali gli animi sono spaventati ed angosciati, momenti che vedono nella natura una dea crudele, dubitano della bontà e dell’onnipotenza divina, pensano che Dio non s’interessi di loro, o si interrogano su quale messaggio Dio vuol darci con questa sventura, i pastori, da buoni medici dello spirito, sono più che mai chiamati, insieme con i medici del corpo, ad approntare ai fedeli e a tutti gli uomini di buona volontà, adeguate cure mediche ricavate dalla prassi di Gesù Cristo, Medico celeste, e da quella meravigliosa e miracolosa farmacia, che è la Sacra Scrittura.

    Hanno pertanto l’obbligo di conoscerla e interpretarla bene, respingendo le false interpretazioni, e facendo attenzione a non scambiare farmaci per veleni e veleni per farmaci. È un compito delicato, perché alcuni farmaci biblici sembrano veleni e alcuni apparenti veleni sono in realtà farmaci; certe cure dolorose in realtà fanno bene, mentre certi palliativi piacevoli o apparentemente saggi lasciano il malato com’è o addirittura peggiorano il male.

    In queste circostanze, pertanto, i pastori sono chiamati, insieme con i medici del corpo, ad un sommo impegno nelle opere della misericordia, i medici in quella corporale, i pastori in quella spirituale. E in particolare sono chiamati a istruire con la Parola di Dio circa le medicine da assumere e gli espedienti da adottare, per istruire coloro che non capiscono che cosa sta succedendo o si illudono di poter risolvere tutto con mezzi semplicemente umani.

    Sono chiamati a consigliare i dubbiosi, che dubitano della divina Provvidenza, o addirittura della stessa esistenza di Dio, o comunque si sentono abbandonati da Dio, sono tentati di maledirLo e alla disperazione, facendo loro capire che in realtà Dio è sempre presente con la sua misericordia, anche se la sua giustizia esige che ci purifichiamo dai nostri peccati col sangue di Cristo.

    Sono chiamati altresì ad ammonire i peccatori, a far loro presente che Dio castiga il peccato, esortandoli quindi a tornare a Lui, con l’approfittare di questo periodo di sofferenza, per scontare i loro peccati, unendosi alla croce di Cristo, ed avvertendoli che se non si convertono, capiterà loro anche qualcosa di peggio ed anzi finiranno nel fuoco eterno.

    Sono chiamati altresì a consolare gli afflitti con una medicina che a tutta prima sembra fatta apposta per suscitare l’indignazione contro Dio piuttosto che a favorire la rassegnazione e la confidenza in Lui. Ricordare infatti a chi è già sotto il peso della sventura che essa è un castigo divino dei peccati, può essere troppo per chi, innocente già sofferente, può ricevere l’impressione che ciò che egli patisce è il castigo per i suoi peccati. I predicatori devono avere allora cura di precisare che Dio punisce i peccatori e non gli innocenti e che, se li fa soffrire, è per unirli alla croce di Cristo. La medicina consolatrice è allora appunto la coscienza di patire con Cristo.

    Occorre che i predicatori spieghino ai fedeli sofferenti, ma bisognosi di conversione, che Cristo, Medico delle anime e dei corpi, offre a loro per mezzo dei sacerdoti, medici dello spirito, una cura, che a somiglianza di quella del corpo, potrebbe essere chiamata «terapia di supporto», così come in medicina viene chiamata una cura formata da una composizione di più farmaci, tutti finalizzati alla cura di una medesima patologia.

    Noi diciamo che un medico è un buon medico non quello che lascia il malato com’è per non somministragli una cura dolorosa, ma quello che lo guarisce con una cura dolorosa. Ebbene, Dio con la presente pandemia, si sta comportando come buon medico, in un modo simile. Dio ci parla e ci cura per mezzo della Scrittura; ed essa, infatti, mediata dalla dottrina della Chiesa, ci offre un insieme organico di farmaci, che sono concetti di fede, i quali, assunti e messi in pratica dal fedele, costituiscono una cura dello spirito, tale da consentirci di superare la prova presente, senza che ciò debba affatto escludere l’adozione di tutti i mezzi umani possibili per sconfiggere il male.

    Questa terapia di supporto è costituita dalla composizione logica e consequenziale dei seguenti concetti: bontà divina – giustizia e misericordia divine - concetto di peccato - peccato originale – castigo del peccato – pentimento – penitenza - sacrificio di Cristo - perdono divino – salvezza.

    Basta la corruzione di un concetto per scompaginare tutto l’insieme. È purtroppo il guasto che ha fatto Lutero, affermando che è perdonato anche chi non si pente e crede che Dio non lo castiga, ma lo salverà. Lutero, quindi, ha introdotto nella Chiesa il concetto che Dio, essendo misericordioso, non castiga, se no non sarebbe buono. Ma ciò valeva solo per lui e per i suoi seguaci. Invece coloro che non seguivano le sue idee, sarebbero andati all’inferno.

    A Lutero ha fatto seguito Rahner, il quale, male interpretando la volontà divina di salvezza universale, allarga all’umanità la certezza di futura salvezza, che Lutero riservava solo a coloro che condividevano la sua fede fiduciale ( sola fides), continuando però ad ammettere l’esistenza di dannati, ma solo quelli, come per esempio il Papa, che non condividevano la sua fede fiduciale.

    Ora, per rendere efficace la «terapia di sostegno», occorre mettere a posto il concetto di castigo divino, all’interno del plesso concettuale, del quale fa parte, perché la sua corruzione rende vano l’intero plesso. Tutti gli articoli contenuti in questa raccolta di articoli già pubblicati nel mio blog sviscerano l’argomento nei suoi aspetti e i suoi agganci.

    Cominciamo dunque col dire che il concetto di castigo discende necessariamente dal concetto stesso di peccato. Si dimostrerà che Dio vuole il castigo, ma non il peccato, e vuole il castigo proprio perchè non vuole il peccato, perché il timore del castigo distoglie dal peccato e induce il peccatore a liberarsi dal peccato.

    Diciamo dunque che il peccato è un compiere volontariamente il male. Il peccato è il male che il peccatore fa a se stesso peccando. Non punire il peccatore che pecca contro l’innocente equivale ad approvare il male che il peccatore fa all’innocente e lasciare questi in balìa del peccatore.

    Se il peccato non arreca dolore al peccatore, cioè se non merita punizione, il peccato perde sotto questo aspetto la sua essenza di peccato, pur continuando a far del male, ed assume l’aspetto di un bene. È la teoria luterana del peccato «coperto dal perdono divino, ma non cancellato», del quale parla Lutero.

    In tal caso il peccato diventa un qualcosa di contradditorio e di impossibile: è peccato perché fa del male; non è peccato perchè non è punito. In pratica si apre la strada ad una comoda ipocrisia, che dà il permesso di peccare nella certezza di non essere puniti, ma sempre «perdonati» senza essere pentiti e senza scontare i peccati.

    Ma se Dio non punisce chi pecca, allora vuol dire che approva il peccato, se è vero che il peccato dev’essere punito. È così che il Dio di Lutero e di Calvino vuole tanto il bene che il male, tanto la virtù che il vizio. E la conseguenza logica sarà la doppia predestinazione: Dio predestina tanto al paradiso che all’inferno.

    Osserviamo però che certo Dio può annullare il castigo, ma solo rimettendo la colpa è tolto il castigo del peccato mortale, che è l’inferno. Temporale invece è la pena del peccato veniale. Ma essa può essere anche uno stimolo divino a togliere la colpa mortale. Ora, una convinzione che si è diffusa oggi tra teologi e vescovi, decisamente contraria all’insegnamento biblico, è che Dio non castiga. Siccome il punire procura dolore al punito, si crede che un Dio buono non può procurare dolore, sennò sarebbe malvagio. Si confonde il male di pena col male di colpa e si pensa che il procurare una qualunque pena, anche se giusta, sia una colpa.

    Così Marcione nel sec. II intendeva il Dio dell’Antico Testamento come un Dio malvagio, perché è un Dio punitore. Invece per lui il Dio buono era il Dio del Nuovo Testamento, che, a suo dire, è solo misericordioso e non punisce. Marcione però fu condannato come eretico.

    Nel sec. III Origene pensò che non fosse conveniente alla bontà e all’onnipotenza divine punire eternamente. Per questo credette che anche le pene dell’inferno, anche quelle irrogate ai demòni, avessero un termine. Ora, è vero che la bontà divina è portata a mitigare o ad abbreviare la pena – si pensi alle pene del purgatorio -, ma ciò non può essere a scapito della giustizia, che richiede per i dannati una pena eterna. E così anche Origene fu condannato.

    Questa falsa convinzione che Dio non sarebbe buono se punisse produce per la verità gravi inconvenienti sia nella concezione di Dio che in quella del peccato. Infatti l’opposizione di Dio al peccato tende ad attenuarsi e scomparire. Viene fuori un Dio che vede il peccato non come un nemico da annullare, ma come un altro da Sé col quale coesistere.

    Il peccato, dal canto suo, tende a confondersi e ad assimilarsi al bene. Dio perde la purezza della sua bontà e si avvicina al male. Castigando il peccato invece Dio mostra di volerlo distruggere, perché mostra al peccatore che cosa comporti il peccato, affinchè il peccatore si penta e si liberi del peccato. Occorre allora dire che Dio mostra di essere buono e provvidente proprio nel punire il peccato e quindi non sarebbe buono se non punisse.

    Come mai e perché allora questo grave equivoco? Per un falso concetto della bontà divina. Infatti, il castigo divino rappresenta l’odio che Dio ha per il male [1] ed è appunto l’opposizione di Dio al peccato. Se Dio non castigasse il peccato vorrebbe dire che lo approva. Dio dunque diventerebbe connivente col peccato.

    Si potrebbe però forse obbiettare: ma come può un Dio buono far soffrire? La pena non è mandata da Dio al peccatore, ma sorge dall’interno stesso del peccato come effetto del peccato. Nel punire Dio non vuole far soffrire, perché per quanto sta in Lui, Egli non vuole la sofferenza di nessuno. Però vuole che sia rispettato l’ordine della giustizia, che esige che il peccato sia castigato, affinché il peccatore si penta e chieda pietà e misericordia.

    P.Giovanni Cavalcoli

    Fontanellato, 25 marzo 2020


    [1] Segnalo due opere importanti e molto illuminanti sul problema del rapporto di Dio col male, con la sofferenza e col peccato: C.Journet, Il male. Saggio teologico, Edizioni Borla, Torino 1963; J.Maritain, Dieu et la permission du mal, Desclée de Brouwer, Paris 1963. C’è però da notare che il tema dei castighi di Dio, così importante per la Scrittura e la Tradizione, è trattato con una stringatezza che allora era sufficiente, perché nessuno li metteva in dubbio. Oggi, che persino certi Vescovi, mostrando una sorprendente ignoranza dell’insegnamento biblico, persino davanti a una calamità come questa, dicono che Dio non castiga, rischiando di apparire dei buffoni, e si fanno mille vane o speciose obiezioni al concetto di castigo di Dio, occorre con urgenza ampliare il discorso e rispondere alle obiezioni, sempre ovviamente sviluppando i princìpi dei due esimi Autori, eminenti discepoli di S. Tommaso.

    Prima parte: La pandemia è un castigo divino?

    Chi conosce l’impeto della tua ira,

    il tuo sdegno col timore a Te dovuto?

    Salmo 90,11

    Il fango che guarisce

    Nell’omelia della Messa del 22 marzo 2020 trasmessa a RAI Uno Mons. Gianpiero Palmieri, Vescovo Ausiliare della diocesi di Roma, ha detto che Dio non punisce con la pandemia il peccato degli uomini. Ma la cecità, la malattia e anche la pandemia, ci ricordano che siamo Luce e fango, Luce impastata nel fango.

    Egli dunque sembra voler spiegare l’origine e il diffondersi della pandemia col fatto che «siamo Luce e fango, Luce impastata nel fango». Che noi siamo luce è una verità certamente bella e consolante, è il ricordare che siamo stati creati ad immagine di Dio e che dobbiamo essere «figli della luce», illuminati da Cristo.

    Ed anche che noi siamo fango, purtroppo è

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