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Passeggiate mangerecce per Roma. 344 luoghi dove mangiare e godere delle bellezze della capitale, senza spendere troppo
Passeggiate mangerecce per Roma. 344 luoghi dove mangiare e godere delle bellezze della capitale, senza spendere troppo
Passeggiate mangerecce per Roma. 344 luoghi dove mangiare e godere delle bellezze della capitale, senza spendere troppo
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Passeggiate mangerecce per Roma. 344 luoghi dove mangiare e godere delle bellezze della capitale, senza spendere troppo

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About this ebook

L’autore è convinto che le bellezze di Roma si apprezzino meglio seduti a una buona tavola, soprattutto perché in nessun altro luogo come nelle sue trattorie si può conoscere la straordinaria vitalità del “popolo romano”. Per questo, dopo una quarantennale esperienza diretta, ha creato 344 schede di altrettanti esercizi gastronomici della capitale, descrivendone i menù, le particolarità e attribuendo a ognuno un “voto prezzo” e un “voto qualità”. Gli esercizi sono suddivisi in base alla loro localizzazione per quartieri. Condizione essenziale per essere inclusi nella presente guida gastronomica: il prezzo che non deve mai superare i 30 euro per i menù di terra, i 35 per quelli di mare e i 20 per le pizzerie. Anche il voto qualità è stato attribuito in base a criteri oggettivi. Ma agli eredi di Romolo è sempre piaciuto mangiar bene e ciò è la miglior garanzia.
LanguageItaliano
Release dateApr 24, 2020
ISBN9788855129008
Passeggiate mangerecce per Roma. 344 luoghi dove mangiare e godere delle bellezze della capitale, senza spendere troppo

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    Passeggiate mangerecce per Roma. 344 luoghi dove mangiare e godere delle bellezze della capitale, senza spendere troppo - Federico Bardanzellu

    Leggere attentamente prima dell’uso

    La materia

    È certo che agli eredi di Romolo sia sempre piaciuto mangiar bene e ciò è una garanzia. Nel XXI secolo, poi, la globalizzazione ha integrato la cucina locale con menù di scuole differenti, provenienti da tutte le regioni d’Italia e dal resto del mondo. Oggi, quindi, ce n’è per tutti i gusti.

    Al lettore vogliamo far presente che nella Capitale si può non solo mangiar bene, ma anche farlo a buon mercato. Questa è la filosofia della presente guida che include soltanto esercizi gastronomici di qualità che non vanno oltre a limiti di prezzo ben precisi. Inoltre, si vuole dimostrare che, dopo aver percorso i suoi straordinari itinerari artistici, archeologici e religiosi, le bellezze di Roma si apprezzano meglio seduti a una buona tavola; in particolare, se si ha la fortuna di trovare un tavolino all’esterno. Soprattutto siamo assolutamente convinti che in nessun altro luogo come nelle trattorie si possa conoscere la straordinaria vitalità della gente di Roma.

    Ma veniamo all’aspetto gastronomico. Base della cucina romana sono sempre stati i prodotti del territorio. La transumanza ha fornito la città di carne ovina e di cacio pecorino, in entrambi i casi oggi compresi nei prodotti DOP o IGT; le paludi e i boschi circostanti l’hanno provveduta di bovini e di suini allevati allo stato brado e di cacciagione (ora quasi del tutto estinta). Il vino proveniva principalmente dai Castelli Romani e l’olio d’oliva dalla Sabina o dai colli vulcanici della Tuscia. Tali ingredienti hanno consentito la formazione di una scuola culinaria gustosa e varia che ancora oggi resiste egregiamente all’assalto dei grandi chef dell’Italian Cuisine.

    Tre sono i primi piatti principali della cucina romana, tutti abbondantemente conditi con pecorino romano: i bucatini all’amatriciana (con pomodoro, pancetta o guanciale e pecorino), gli spaghetti (o meglio, i rigatoni) alla carbonara (pancetta, uovo, pecorino, pepe) e gli spaghetti cacio e pepe (con parmigiano, pecorino e pepe in abbondanza). I primi due piatti sono debitori alla scuola dei panettieri medioevali, detti grici, dal colore grigio del loro grembiule tradizionale, inventori del condimento alla gricia (solo pancetta e pecorino) tuttora presente nei vari menù locali.

    A questi piatti possiamo aggiungere le penne all’arrabbiata (con aglio, olio, pomodoro, prezzemolo e abbondante peperoncino) per un primo più leggero ma forse ancora più gustoso, grazie al sapore particolarmente piccante.

    È evidente l’influenza culinaria dei pastori della transumanza appenninica, tranne nel caso delle penne all’arrabbiata, elaborate con il peperoncino forse introdotto dagli immigrati dalla Calabria. I bucatini all’amatriciana (o Matriciana), provengono da Amatrice, paese appenninico compreso, fino agli anni Venti, nei confini abruzzesi e, prima del 1860, in quelli del Regno delle Due Sicilie. I romani, però, hanno variato la ricetta originaria, preferendo i bucatini agli spaghetti e non formalizzandosi se, al posto del prescritto guanciale, si utilizzi la più volgare pancetta. Non dimentichiamoci, infine, della pasta all’uovo o fatta in casa, introdotta – forse – dall’Emilia-Romagna grazie alla disponibilità di uova delle galline che ruspavano libere nei vicoli della città papalina o tra i campi circostanti. La versione locale delle tagliatelle emiliane sono le fettuccine. Altre versioni di pasta fatta in casa: i tonnarelli, spaghettoni in pasta di acqua e farina e gli strozzapreti (grossi cannelli lunghi un pollice).

    La pastorizia ha fornito per millenni i romani di carne di agnello e di abbacchio, anch’essa oggi compresa tra i prodotti DOP. Il consumo di carne bovina ha invece avuto diffusione grazie a una straordinaria istituzione dell’Italia Unita: il mattatoio di Testaccio, in funzione sino al 1975.

    La vendita al minuto dei prodotti della macellazione – soprattutto quelli di scarto – ha avuto come conseguenza l’elaborazione di una serie di piatti di taglio povero, che sono alla base della cucina romana: la coda alla vaccinara, i rigatoni alla pajata (sugo preparato utilizzando l’intestino dell’agnello da latte), la coratella e l’immancabile trippa, il bollito alla Picchiapò (bollito di manzo con patate, cipolla, pomodoro, aromi vari), gli involtini (di vitello o vitellone, ripieni di manzo tritato e con sugo) senza dimenticare i più pregiati saltimbocca alla romana (fettina di vitella, salvia, prosciutto e farina). La ricetta dell’ossobuco, di scuola milanese, è rivisitata alla romana (con piselli, carote, sedano e cipolla). Il pollame è altresì cucinato alla romana (con aglio, pomodoro, prosciutto, aromi e poi sfumato nel vino), con i peperoni o alla cacciatora (con cipolla, sedano, carote, pomodoro e sfumato nel vino); quest’ultima ricetta è attinente anche al coniglio.

    Il rifornimento di verdura e frutta fresca era garantito dai carrettini a mano che provenivano giornalmente dalla campagna e stanziavano in piazza, dove si faceva la spesa. Con l’avvento dell’amministrazione comunale civile furono realizzati i mercatini rionali, che ancor oggi rappresentano una fonte di approvvigionamento economico e genuino, nonché il Mercato generale all’ingrosso di Via Ostiense, da alcuni anni trasferito in comune di Guidonia. Specialità romane sono il cazzimperio (misto di ortaggi crudi con salsa a pinzimonio) e le puntarelle in salsa d’alici; dalle campagne attorno a Sezze e a Ladispoli provengono i carciofi romaneschi DOP, da lessare con aglio e mentuccia, cosparsi di limone e poi conditi con olio, sale e pepe (alla romana). Attualmente, nei menù, sta prendendo piede un trittico di verdure cotte composto da spinaci, cicoria e broccoletti.

    Il pesce del Tevere era smerciato alla Pescheria in Ghetto, da tempo scomparsa. Successivamente la città veniva approvvigionata del prodotto tramite i barconi che risalivano il fiume sino al porto di Ripetta. Specialità locale è il baccalà in guazzetto (pinoli, uvetta e pomodoro fresco). Oggi i commercianti e i ristoratori si riforniscono a Fiumicino o al Centro Ingrosso Pesce, anch’esso trasferito da Via Ostiense a Guidonia. La cittadina alla foce del Tevere inoltre è, soprattutto, meta per grandi abbuffate di pesce da parte dei romani di oggi (senza trascurare il Lido di Ostia o altre località del litorale).

    Abbiamo già citato il contributo dato dai prodotti della transumanza alla cucina romanesca e ai piatti da ciò derivati; è, sostanzialmente, un contributo abruzzese e laziale-appenninico. L’immigrazione interna che, tra il 1900 e il 1970 ha accresciuto la popolazione residente da 500.000 a 2.700.000 abitanti, ha importato anche altre specialità gastronomiche della cucina regionale, in particolare siciliana, sarda, calabrese e pugliese. I ristoratori forestieri, tuttavia, si sono quasi completamente convertiti alla cucina romana o genericamente nazionale, introducendovi qualche prodotto tipico della loro terra d’origine ma inserendo pochi piatti regionali nel menù.

    Tra i prodotti principali introdotti dal resto d’Italia, sono citabili la mozzarella di bufala campana (o della pianura pontina), i pomodorini pachino e i salumi calabresi, tutti utilizzati soprattutto nelle pizzerie.

    La tradizione pizzaiola romana proviene, naturalmente, da Napoli. Tuttavia, il tipo di pizza che a Roma è detta napoletana (con pomodoro, mozzarella e acciughe) a Napoli è detta romana. La differenza principale tra le due scuole è che a Roma la pizza è bassa e croccante mentre a Napoli ha il bordo alto e, forse, maggiormente condita. Per chi preferisce quest’ultima, comunque, le pizzerie specializzate, anche a Roma, non mancano. Gli altri tipi di pizza che non mancano mai sono la margherita (pomodoro, mozzarella), la marinara (pomodoro, aglio, origano), la capricciosa (pomodoro, mozzarella, funghi, carciofini, uovo e prosciutto) e ai funghi (pomodoro, mozzarella, funghi). La novità del XXI secolo è stata la riscoperta (o l’introduzione?) della pinsa, cioè il tipo di pizza che si mangiava a Roma, prima di essere contaminata dalla scuola partenopea. È una tipologia a elevata digeribilità, legata a una diversa idratazione dell’impasto e a tempi di lievitazione più lunghi.

    I butteri della Tolfa o della Maremma, inoltre, hanno introdotto il consumo della carne bovina alla brace, oggi possibile in numerose griglierie che si sono anche aperte all’importazione di carni danesi, argentine ecc.

    Cucina etnica. A Roma sono presenti comunità provenienti da tutto il mondo, in omaggio al suo carattere ecumenico. La scuola gastronomica più antica è quella di tradizione ebraica, con centro nell’antico Ghetto. Oltre alle specialità tradizionali, gli ebrei romani hanno introdotto nella cucina locale soprattutto le fritture, come i carciofi alla Giudia o i filetti di baccalà. La scuola cinese è ampiamente rappresentata ma da alcuni anni, per non cedere alla concorrenza, ha dovuto inserire nel menù i piatti della arrembante cucina giapponese e di quella thailandese.

    Negli ultimi trent’anni, anche l’India ha guadagnato numerosi spazi, per poi stabilizzarsi.

    Il Far West nordamericano è presente nelle griglierie e nelle bracerie con le tipiche T-bone beef steaks. Non mancano gli esercizi latino-americani (soprattutto peruviani o le churrascarie brasiliane), arabi, medio-orientali e dell’Europa mediterranea (Spagna e Grecia). La scuola francese – purtroppo – è quasi completamente assente, quanto meno a livello di cucina economica.

    Nel 1864 la Peroni di Vigevano impiantò uno stabilimento di birra in Via Brescia che ha prodotto birra per oltre cent’anni. Ciò ha favorito l’apertura di numerose birrerie, di cui alcune ancora in funzione.

    Nelle birrerie romane non hanno mai prevalso i menù bavaresi o genericamente anglosassoni. Anche qui, ieri come oggi, è forte l’offerta di pietanze della cucina romana e, in molti casi, è previsto il reparto pizzeria. Le osterie di una volta si sono trasformate in enoteche (solo degustazione) e poi in wine bar (anche sfizi e pietanze calde e fredde, spesso di raffinata fattura).

    Ultimi arrivati nella Babilonia della Capitale, sono stati i fast food anglosassoni. Molto economici, li abbiamo però scartati, in questa rassegna, non considerandoli idonei sotto il profilo qualitativo. Recentissimamente, però, la gastronomia romana ha reagito a questa degenerazione culturale, applicando il concetto di cibo da consumare velocemente ad alcune specialità locali e anche etniche afro-mediterranee. Tra quelle locali, l’ultima arrivata è il trapizzino: un simpatico triangolo di pizza bianca a forma di tasca, farcito con specialità della cucina romana. Tale moda va incoraggiata e, per questo motivo, non abbiamo tralasciato di citare i fast food più interessanti.

    Il principe del mangia e fuggi a Roma, però, rimane il supplì: una riedizione dell’arancino siciliano ma confezionato soltanto con riso, sugo di pomodoro e mozzarella. Va mangiato quasi bollente e la mozzarella deve filare, come il filo di un telefono dell’era pre-cellulari; tanto che i romani lo hanno battezzato supplì al telefono.

    È evidente, quindi, che la cucina economica sia una cucina popolare. In queste poche righe ci sono frequenti richiami alla cultura e alle tradizioni di quando Roma aveva un popolo, senza trascurare di menzionare alcuni eventi dell’ultima grande epopea vissuta dal popolo romano: i nove mesi di resistenza all’occupazione tedesca.

    La cultura popolare romanesca, per nulla intaccata dal ventennio fascista, è andata sbiadendo e in parte scomparendo con gli anni del boom economico. Fortunatamente, come già accennato, l’immigrazione centro-meridionale, prima ed extracomunitaria poi, ha provveduto e sta provvedendo a irrobustirla, anche sotto il profilo gastronomico.

    I luoghi

    Quando gli Etruschi di Re Tarquinio Prisco si insediarono in quello che poi fu chiamato il Vicus Tuscus, la città era già divisa in sette colli (o meglio: villaggi), tre occupati dai Latini e tre dai Sabini, con il settimo (il Campidoglio), in eterna contesa. Poi venne la suddivisione in regiones (Rioni); in seguito furono costruiti i quartieri (alti e bassi), le borgate, infine la città si espanse sul litorale e nell’agro romano. Insomma, da sempre, Roma è stata una summa di insediamenti e di esperienze diverse che hanno contribuito alla formazione di variegate atmosfere, culturali ma anche gastronomiche, che si trascinano tuttora. Da secoli non c’è più un solo centro storico, con la sua piazza principale (quello che un tempo era il Foro) ma, dal secondo dopoguerra, vi sono anche tante periferie, con la loro storia e le loro culture.

    Non si è potuto rinunciare, perciò, alla differenziazione degli esercizi in base alla loro localizzazione, anche perché, data l’estensione ormai raggiunta dall’abitato, la domanda: cosa vogliamo mangiare? oggi, è preceduta da quella, forse più appropriata: dove si va a mangiare? Non a caso il titolo stesso di questa guida gastronomica richiama la sana abitudine della passeggiata che, oltre a essere salutare e a contribuire ad apprezzare meglio le bellezze romane, mette anche appetito.

    Gioco forza, quindi, si è dovuto procedere a una suddivisione geografica degli esercizi. Non si è seguita, però, la toponomastica ufficiale, risalente all’età liberale ma la terminologia attualmente più comune, condizionata dalle realizzazioni stradali e architettoniche operate dalle amministrazioni piemontesi (1870-1915), nel ventennio fascista e nel secondo dopoguerra. In molti casi, per miglior comprensione dell’avventore profano o forestiero, è stata specificata la delimitazione dell’area. Talvolta le zone sono state accoppiate, per comodità di lettura, specificando – se necessario – la loro differenziazione socio-culturale.

    Regola principale, però, è quella di affidarsi alla saggezza della folla: se vedete locali vuoti o semivuoti, non vi ci avvicinate. Preferite, al contrario quelli affollati, anche restando qualche minuto in attesa o magari prenotando in anticipo, perché il loro affollamento è sicuramente dovuto all’ottimo rapporto qualità/prezzo.

    Nella descrizione degli esercizi si segue il senso orario, a partire, grosso modo, dal Vaticano, come segue:

    Centro Storico: Navona; Campo de’ Fiori; Ghetto; Trastevere; Borgo; Prati; Spagna; Pantheon; Trevi; Veneto; Termini; Esquilino; Monti; Fori-Colosseo; Testaccio.

    Quartieri: Flaminio-Parioli; Salario; Monte Sacro e dintorni; Nomentano; Pietralata-San Basilio; San Lorenzo; Pigneto-Centocelle; Appio-Tuscolano; Tor Pignatara; Quadraro; Cinecittà; Appio Latino; Colombo; Garbatella; Ostiense; EUR; Portuense-Magliana; Monteverde Vecchio e Nuovo; Pisana-Bravetta; Aurelio; Boccea-Primavalle; Trionfale; Monte Mario; Mazzini; Ponte Milvio.

    Litorale: Ostia; Fiumicino; Fregene.

    Hinterland: Lunghezzina; Finocchio; Borghesiana; Romanina; Acilia-Palocco; Selva Candida; Palmarola; Isola Farnese.

    La terminologia

    Tipologia degli esercizi

    Ristorante: Dizione generica che indica il luogo ove è possibile ristorarsi con specialità mangerecce e bevande, dietro pagamento di una mercede, a Roma detta volgarmente conto. Il ristorante deve rispettare alcuni standard di igiene e pulizia. Nella guida si specifica se specializzato in cucina di pesce o vegetariana e, comunque, se il menù prevede anche pesce o soltanto molluschi, baccalà, crudo ecc.

    Trattoria: Versione alternativa della dizione precedente che implica la presenza della maggior parte delle caratteristiche seguenti: gestione familiare, cucina locale e/o tradizionale, standard più bassi di igiene e pulizia, servizio non particolarmente curato. Anche in tal caso si specifica la specializzazione e/o la presenza di menù a base di pesce. È il luogo principale di formazione della gastronomia romana.

    – Etnico: Versione delle tipologie precedenti con menù della cucina straniera; in taluni casi a integrazione del menù principale. Abbiamo utilizzato tale dizione anche per indicare la cucina francese o le griglierie texano-messicane. Data la particolarità dei menù si è ritenuto inopportuno specificare se a base di pesce, sempre presente, tranne rari casi.

    Pizzeria: Luogo ove si serve principalmente una particolare schiacciata di pasta di farina condita e cotta al forno (detta pizza) e specialità affini. Generalmente, a Roma, quasi tutti i ristoranti e alcune trattorie sono anche pizzerie.

    – Griglieria: Esercizio caratterizzato principalmente da offerta di carne alla brace o alla griglia; alle tradizionali salsicce e all’abbacchio scottadito si sono progressivamente affiancate le carni bovine e la loro offerta è oggi preminente.

    – Birreria: Commercia principalmente birra, con una notevole offerta di etichette. Le pietanze sono tradizionalmente omogenee al consumo della bevande; spesso, sono rappresentate da un robusto reparto pizzeria.

    – Wine Bar: Una volta erano detti osteria e cucina ma tale specie, anziché estinguersi del tutto, ha subito una mutazione genetica. Vi si consuma principalmente vino in bottiglia etichettata o altri tipi di alcolici; il menù, inizialmente scelto in funzione integrativa degli alcolici, ha preso poi spazio, in risposta alla crescente domanda di pietanze mordi e fuggi della pausa pranzo lavorativa.

    – Snack Bar: La crescita esponenziale della pausa pranzo ha imposto anche ai bar-caffè di trasformarsi negli anglosassoni snack, dove è possibile anche consumare uno spuntino, con il passare degli anni sempre più consistente e vario.

    – Fast Food: È l’ultima tipologia arrivata d’oltreoceano che fornisce per la quasi totalità panini all’olio contenenti hamburger, conditi con ketchup, cipolla e spezie di vario tipo. La percentuale di grasso e la qualità dei prodotti sono stati criticati ampiamente dalla stampa specializzata e dalle autorità sanitarie. Di conseguenza, nella presente guida, tale tipologia è stata inserita, soprattutto, con riferimento alla letterale dizione cibo veloce, estendendola alle tipologie più originali ma senz’altro più sane, come già spiegato in premessa.

    Vegetariano: Per chi non gradisce di mangiare carne o pesce. La tipologia non riscuote particolare successo nella Capitale, ma è presente.

    Info

    – Riposo settimanale

    È indicato con l’iniziale maiuscola del giorno in cui l’esercizio è chiuso (Me=mercoledì). Quando l’indicazione è seguita dalla lettera c (minuscola), significa che il locale è chiuso a cena; se è seguita dalla p, è chiuso a ora di pranzo. In mancanza dell’indicazione il locale è aperto sette giorni su sette.

    – Riferimenti Internet

    Con il simbolo è indicato l’indirizzo web (http://www...), con il simbolo è indicata la pagina Facebook.

    Votazioni

    Dovendo riassumere in un’unica cifra le caratteristiche principali dei locali e onde evitare l’influenza delle impressioni soggettive, sono stati individuati parametri standard, al fine di ottenere il risultato il più possibile vicino alla realtà, con strumenti che definiamo scientifici.

    (€) – Voto Prezzo

    Dovendo esprimere un’unica votazione, la presenza di differenti tipologie di menù può comportare l’espressione di un voto medio con numero decimale.

    Non sono stati ammessi esercizi con voto prezzo inferiore a 6 o se la somma prezzo + qualità sia inferiore a 13. Il voto 10 non lo abbiamo assegnato a nessuno, perché – come si dice a Roma – se lo merita solo chi te fa magnà gratis!

    Voto / Qualità

    Come da tabelle allegate, si è

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