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Oltre l'infinito
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Ebook99 pages1 hour

Oltre l'infinito

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About this ebook

Elian è un giovane ingegnere con una vita difficile, un carattere chiuso, una madre eccessivamente apprensiva. Sarah è una fotografa affermata, con un carattere solare e sola al mondo. Il loro amore travolge ogni cosa, ma non può essere vissuto alla luce del giorno.
Quale segreto si nasconde dietro il loro sentimento, vero, profondo e infinito? 

Copertina creata da: Angel Graphics- cover your book
LanguageItaliano
PublisherPubMe
Release dateApr 23, 2020
ISBN9788833665092
Oltre l'infinito

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    Oltre l'infinito - Anita Cainelli

    Oltre l’infinito

    di

    Anita Cainelli

    Pubblicato da Pubme © – Collana rosa Un cuore per capello

    Prima edizione 2020

    Copertina creata da: Angel Graphics- cover your book

    Sito web: http://uncuorepercapello.pubme.me/

    Pagina facebook: https://www.facebook.com/Un-cuore-per-capello-218110230877…/

    Email: uncuorepercapello@gmail.com

    Questa è un'opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti, luoghi o persone è puramente casuale.

    È vietata la riproduzione completa o parziale dell’opera ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile (Legge 633/1941)

    Sinossi:

    Elian è un giovane ingegnere con una vita difficile, un carattere chiuso, una madre eccessivamente apprensiva. Sarah è una fotografa affermata, con un carattere solare e sola al mondo. Il loro amore travolge ogni cosa, ma non può essere vissuto alla luce del giorno.

    Quale segreto si nasconde dietro il loro sentimento, vero, profondo e infinito?

    Preludio

    A volte la vita è veramente strana. Il destino poi ci mette del suo ed è subito un romanzo. Quella di Elian e Sarah non è una storia d’amore qualsiasi. Il loro sentimento avrebbe potuto sconfiggere qualsiasi ostacolo, tanto era profondo e puro. Il tempo che hanno avuto insieme è stato magico. Ma, come spesso accade, si è concluso. È rimasto l’amore. Solo quello è infinito e non si piega al trascorrere degli anni, ai pregiudizi, ai condizionamenti sociali. Neanche alla morte. L’amore infinito vive per sempre.

    SETTEMBRE 1995

    Le increspature dell’acqua sul lago si facevano più rapide ogni volta che un soffio di vento le agitava. Gli alberi ondeggiavano le fronde con un ritmo lento e incessante. I colori dell’autunno erano ovunque: sulle foglie ancora appese ai rami e su quelle cadute sul terreno umido, sul cielo grigio a sfumature dorate del tramonto, sul maglione della donna che fotografava il paesaggio.

    Era intenta nell’inquadratura di un gruppetto di anatre che avanzava dal lago verso la riva, probabilmente pensando di ricevere cibo dalla visitatrice o dal suo osservatore. Io.

    Me ne stavo un po’ distante per non disturbarla, sotto un albero, con una mano appoggiata al tronco. Guardavo i suoi gesti sicuri, la destrezza con cui selezionava apertura obiettivo ed esposizione, il modo in cui controllava gli scatti effettuati, sorridendo quando era soddisfatta o scuotendo la testa quando invece non lo era abbastanza. Osservavo il suo profilo, i capelli biondi che fluttuavano mossi dal vento, le dita snelle che impugnavano la macchina fotografica cogliendo attimi di presente e fissandoli nell’infinito.

    Ero andato al lago a trovare una coppia di amici che gestivano un piccolo ristorante con una terrazza sul canneto dove d’estate si poteva mangiare all’aperto. Era un locale semplice, dalla cucina casalinga e con le tovaglie a fiori, le pareti foderate in legno d’acero e gli arredi un po’ vissuti, ma con un assortimento di vini pregiati personalmente curato dal mio amico Steven. Lui e sua moglie Dora avevano aperto il Sul lago dorato dieci anni prima, ispirandosi al film con Henry Fonda di cui avevano sentito tanto parlare e che avrebbero voluto vedere da fidanzati.

    Ma non potevano. Entrambi ciechi dalla nascita, avevano sviluppato incredibili capacità alternative che consentivano loro di gestire il locale con abilità e professionalità. Avevano un aiuto, certo: il cuoco Raphael, la cameriera Joana e suo marito Vincent, che curava l’orto e si occupava dei piccoli interventi di manutenzione. Al resto pensavano loro. Li andavo a trovare quando in città l’aria si faceva pesante e il lavoro, o la vita stessa, sembravano soffocarmi. Dora mi faceva preparare l’arrosto con le patate, Steven sceglieva una bottiglia speciale ed entrambi sedevano a tavola con me, ascoltando i miei sfoghi e dispensando consigli, il tutto con grande affetto. Quello di cui avevo bisogno e che più mi mancava.

    Avevo perso mio padre quando avevo solo dieci anni, ero cresciuto con una madre possessiva e soffocante che, rimasta vedova in giovane età, aveva riposto tutte le sue aspettative nell’unico figlio e viveva con il costante terrore di perderlo. Non vedevo l’ora di diventare economicamente autonomo e di togliermi da questa libertà vigilata, dal suo affetto malato, dalla sua totale dipendenza da me e dalla mia presenza, cosa che ho fatto ben prima di finire gli studi in Ingegneria Edile.

    Dora e Steven mi avevano accolto un giorno che si era messo improvvisamente a piovere e avevo cercato rifugio nel locale. Ero andato al lago a raccogliere i pensieri ed ero sopraffatto dalla rabbia e dalla tristezza. Gocce di pioggia e lacrime si erano mescolati sulle mie guance, ma entrambi non potevano vederle. Le hanno sentite nella mia voce e nei miei racconti. Da allora sono stati loro la mia famiglia. Ogni tanto Dora mi chiedeva se avevo trovato una ragazza, ma io non mi fidavo dell’amore e non volevo legare nessuno al mio carattere insicuro e tormentato. Le poche avventure che avevo avuto già avevano dimostrato la mia scarsa indole all’innamoramento. Forse avrei trovato quella giusta, come diceva Dora, forse no. Ero ancora nella fase in cui, in realtà, non m’importava affatto. Avevo un lavoro in un’impresa edile piccola e mal gestita, dove lo sfruttamento era quotidiano e la puntualità dello stipendio un optional. Non mi aspettavo di rimanervi a lungo, ma la crisi nel campo dava poco spazio ad ambizioni, così ingoiavo malcontento e straordinari e restavo. Vivevo in un monolocale dall’affitto troppo alto e i muri troppo umidi,

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