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Giulio Pastore (1902-1969): Rappresentanza sociale e democrazia politica
Giulio Pastore (1902-1969): Rappresentanza sociale e democrazia politica
Giulio Pastore (1902-1969): Rappresentanza sociale e democrazia politica
Ebook383 pages5 hours

Giulio Pastore (1902-1969): Rappresentanza sociale e democrazia politica

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Il libro evidenzia nel profilo biografico di Pastore (1902-1969) uno dei temi centrali e permanenti del suo impegno civile: assicurare l’emancipazione delle lavoratrici e dei lavoratori rendendoli partecipi protagonisti dei processi di formazione delle decisioni socio-economiche. Il maturare di questa aspirazione accompagnò l’itinerario di Pastore, uomo del Novecento, nelle sue principali esperienze pubbliche: giovane operaio autodidatta, militante del cattolicesimo sociale, attivista del PPI, giornalista antifascista, organizzatore della Gioventù cattolica, leader sociale nella DC, innovatore del sindacato italiano e internazionale, ministro per il Mezzogiorno e per le aree depresse del Paese. Come fondatore della CISL egli promosse una rappresentanza sindacale in grado di dare un apporto positivo allo sviluppo della democrazia in Italia e come uomo di governo della giovane Repubblica Italiana sostenne il pieno riconoscimento del sindacato quale attore sociale di fronte al sistema dei partiti. Per consentire di ripercorrere agevolmente la riflessione di Giulio Pastore intorno alle relazioni tra rappresentanza sociale e rappresentanza politica in uno Stato democratico, il volume offre ai lettori un’ampia scelta di interventi e di articoli proposti in diverse occasioni tra il 1925 e il 1969.
LanguageItaliano
Release dateApr 21, 2020
ISBN9788838249372
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    Giulio Pastore (1902-1969) - Andrea Ciampani

    Andrea Ciampani

    Giulio Pastore (1902-1969)

    Rappresentanza sociale e democrazia politica

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Copyright © 2020 by Edizioni Studium - Roma

    ISSN della collana Cultura 2612-2774

    ISBN 978-88-382-4937-2

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838249372

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    INTRODUZIONE

    I. AZIONE CATTOLICA, SOCIALE E POLITICA (1902-1949): L’IMPEGNO CIVILE DALLA FINE DELL’ITALIA LIBERALE ALLA COSTRUZIONE DI UN REGIME DEMOCRATICO

    II. L’INNOVAZIONE (1950-1958): IL SINDACATO DEI LAVORATORI COME CLASSE DIRIGENTE

    III. UN PROBLEMA APERTO (1959-1969): LA RAPPRESENTANZA SOCIALE NELLA REPUBBLICA DEI PARTITI

    BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

    ARTICOLI E INTERVENTI DI GIULIO PASTORE

    AVVERTENZA

    Farisei

    Per una nostra cultura

    Cinque mesi d’unità sindacale

    Dello sciopero politico

    La CGIL unitaria e la politica dei comunisti

    La stampa e i sindacati

    L’esperimento unitario

    Il settarismo nel sindacato

    Sindacato e azione politica

    Le ACLI e l’unità sindacale

    Le attività ricreative

    Governo e CGIL

    Un sindacato centralizzato

    La formazione dei quadri

    Politica sociale e sindacalismo libero

    Un assurdo

    Il sindacato nella vita del paese

    La nostra posizione

    L’unità Europea

    La mentalità padronale

    Forza della CISL

    Per il Paese

    L’impostazione economica fatta dalla CISL è valida per la libertà e il benessere del mondo

    La posizione del lavoratore italiano

    La politica del pieno impiego

    Il salario dei lavoratori

    La congiuntura economica internazionale

    Perché la CISL è contraria al progetto di legge sindacale

    La divisione dei lavoratori

    Il diritto di sciopero

    Sindacati e partiti

    L’autonomia del sindacato

    Un fatto e tre conferme del sindacalismo democratico

    No al paternalismo, sì al dibattito interno

    No al paternalismo

    Il problema dei giovani e l’incidenza sulla cultura

    Il solidarismo

    La collaborazione col PSI

    Per uno Stato democratico

    Sul distacco dell’Iri dalla Confindustria

    Sul Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

    Classi nuove e sviluppo del Mezzogiorno

    I quadri meridionali

    I contratti di lavoro

    Il ruolo del sindacato e la volontà politica

    Fiat: il significato di una vittoria. W i lavoratori di Torino!

    Il sindacato leva principale per una politica di sviluppo economico

    Politica di programmazione, Stato, società e democrazia

    Centro-sinistra, partito e pa rtecipa zione sociale

    Vuoti giuridici o vuoti politici?

    Progresso industriale, riequilibrio territoriale, impresa e persona

    Potere, governo e partiti

    Azione sindacale e intervento legislativo

    Far parlare gli iscritti

    La ripresa del discorso

    INDICE DEI NOMI

    CULTURA STUDIUM

    CULTURA

    Studium

    208.

    Storia

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    È vietata e perseguibile a norma di legge l'utilizzazione non prevista dalle norme sui diritti d'autore, in particolare concernente la duplicazione, traduzioni, microfilm, la registrazione e l’elaborazione attraverso sistemi elettronici.

    A Fausto Fonzi e Vincenzo Saba

    INTRODUZIONE

    UN PROTAGONISTA DEL CATTOLICESIMO SOCIALE NEL PANTHEON DELLA DEMOCRAZIA ITALIANA

    Sono trascorsi cinquant’anni dalla morte di Giulio Pastore, un evento che appare lontano nel tempo e quasi relegato nel secolo passato, cui appartiene la sua novecentesca vicenda personale. La stessa percezione di un’impressionante accelerazione nel mutare dei tempi sembra porre tra quella esperienza storica e le dinamiche socio-politiche attuali una distanza ulteriore. L’estraneità della figura di Pastore dal tempo presente, peraltro, viene accentuata talora dalla commemorazione retorica o dal suo recupero in vuota forma apologetica per iniziativa di classi dirigenti che l’avvertirono a lungo con fastidio. Tuttavia, non troppo paradossalmente, oggi è proprio la ricerca storica che ci riconsegna, sfrondato da letture e interessi contingenti, il profilo di Giulio Pastore come quello di un protagonista fondamentale per la società italiana all’interno della storia nazionale ed europea.

    Già alla sua morte nell’ottobre 1969 – nato nel 1902 Pastore aveva vissuto tutte le maggiori trasformazioni sociali, politiche ed economiche che segnarono il secolo breve – si potevano valutare i risultati raggiunti dalla sua azione. Se l’autunno sindacale di quell’anno si caratterizzò per il definitivo riconoscimento della dignità della persona che lavora, della centralità dell’esperienza del lavoro e dell’esigenza di rappresentanza sociale in uno Stato democratico, non è possibile ignorare il contributo decisivo che Pastore aveva dato per conseguire tali obiettivi. Nondimeno, dopo aver partecipato al percorso di edificazione politica dell’Italia repubblicana, al processo d’intensa industrializzazione e alla realizzazione di effettive relazioni industriali nel Paese, in quell’anno cruciale anch’egli aveva potuto considerare le molte ombre che ancora incombevano sull’opera da lui avviata. La prevalente cultura politica nazionale, nella sua tradizione istituzionale novecentesca e nelle componenti ideologiche che costituivano la repubblica dei partiti, mostrava ancora difficoltà a comprendere l’emergente esigenza di soggettività di un’ampia fascia di popolazione che, introdotta in un cammino di emancipazione economica, culturale e sociale, stava faticosamente ritrovandosi nel sindacato come attore sociale. Mentre la vasta mobilitazione popolare e l’ampio consenso alle rivendicazioni contrattuali delineavano un volto pubblico del lavoro organizzato, non più oscurabile nello sviluppo della vita socio-economica dalle paternalistiche attitudini dell’impresa privata o dall’intervento statale nelle dinamiche sociali, così, l’autunno 1969 ripropose nel dibattito pubblico una riflessione d’ampio respiro sui rapporti tra partecipazione sociale e rappresentanza politica [1] .

    Ad impostare correttamente tali dinamiche si era sempre dedicato Giulio Pastore nei diversi ambiti della sua esperienza civile. Dopo aver avvertito il problema irrisolto nel periodo della formazione giovanile a Borgosesia e Varallo e messa a fuoco la questione durante il fascismo tra Monza, Novara e Roma, egli coltivò nella riscossa delle libertà sociali e politiche la ricerca di un loro corretto equilibrio nella costruzione dell’Italia repubblicana. Poco dopo Pastore non esitò ad assumere la responsabilità di iniziative determinanti per congiungere protagonismo sociale e riformismo politico in Italia. Prima impostò l’audace opera di emancipazione del sindacato dalla tutela dei partiti, che venne, infine, avviata dando vita alla Cisl nel 1950; poi pose al centro della sua azione istituzionale e politica l’apporto positivo degli attori sociali nel laboratorio democratico italiano, continuando la sua opera come ministro per il Mezzogiorno e per le aree depresse del Paese presenti nell’Italia centrale e settentrionale. Insistentemente nel secondo dopoguerra Pastore richiese alla politica di non isolarsi dalle dinamiche trasformazioni della vita collettiva collegate al mondo del lavoro e di riconoscere la rappresentanza sociale che da quella veniva sempre più rivendicata con consapevole emergenza. Anche grazie alla sua innovativa iniziativa in molteplici campi d’azione, in Italia riuscì a radicarsi una diffusa soggettività sociale del mondo del lavoro che, a lungo misconosciuta da gran parte degli imprenditori e dei politici nell’avvio della democrazia repubblicana, alla fine degli anni Sessanta non poteva più essere negata, ormai congiunta ad una potente istanza di partecipazione di vecchie e nuove generazioni di lavoratrici e di lavoratori. Restavano presenti, al momento della morte di Pastore, le difficoltà a trasferire quella partecipata esperienza in un maturo attore sociale, capace di promuovere con responsabilità collettiva la crescita civile del Paese.

    A buon diritto, dunque, la personalità di Pastore ha meritato di essere inserita nel «monumento storico dell’identità civile» dell’Italia qual è il Dizionario Biografico degli Italiani [2] . In modo più nitido di ieri, la figura di Pastore può richiamare l’attenzione di giovani classi dirigenti che intendono offrire un loro contributo a processi di partecipazione sociale nel tempo presente, nel ripensare e nel realizzare la rappresentanza sociale in una democrazia politica. Per cogliere, tuttavia, il lascito di Pastore nella realtà d’oggi come «preziosa eredità per tutti» [3] – non solo dunque per il sindacato da lui fondato e per il mondo politico a lui vicino – occorre evitare di «fissare la figura di Pastore in alcuni schemi precostituiti», confinandolo in una agiografia tale da giungere «quasi a sterilizzare i rapporti reali» da lui coltivati con la continua trasformazione sociale, da cui prendeva spunto la sua iniziativa. D’altra parte, l’azione di Pastore trovava alimento nella «coscienza che animava la sua personalità»; coloro che l’avvicinarono potevano avvertire «dietro quello che diceva sul piano operativo» un’affermazione sicura di convincimenti etici «che non scendeva mai nella predica: tutti percepivano che quello era un uomo che credeva nelle cose che diceva» [4] . Libertà d’iniziativa misurata sulla conoscenza dei processi in movimento e fermezza di profondi convincimenti consentirono a Pastore un profondo rispetto per uomini e imprese sociali e politiche coinvolte nel positivo cambiamento di un Paese sviluppatosi tra pressanti contraddizioni.

    Dalla sua permanente immersione nel tessuto popolare italiano, a partire dagli ambienti di lavoro e dalla vita delle comunità locali, Pastore trasse alimento per un’opera dal respiro nazionale, europeo e internazionale, grazie al consapevole maturare di una visione socio-politica dagli ampi orizzonti, perseguita con una determinazione talora considerata ingenua, precoce o illusoria. Egli riuscì a conseguirla attraverso una continua ricerca di personalità in grado di illuminare la strada e di compagni di cammino con i quali confrontarsi.

    Nel suo procedere tre fattori principali, tra loro strettamente connessi, emergono come caratteri decisivi della sua azione. In primo luogo, la comprensione della realtà: il riconoscimento della centralità della dimensione culturale e dei processi formativi necessari per operare riforme sociali e politiche alimentò una leadership sicura, la tensione all’ascolto, un dialogo aperto quanto serrato. In secondo luogo, il rischio innovativo: misurando i limiti derivanti dalle condizioni di difficoltà che egli affrontava, Pastore seppe indirizzare un continuo ripensamento (anche nei confronti delle scelte da lui effettuate) per delineare radicali interventi per la crescita del lavoro e della sua rappresentanza in una società democratica. Infine, la capacità realizzativa: egli intese orientare le aspettative di emancipazione personale e collettiva, grazie alle doti organizzative coltivate nel tempo, all’attuazione concreta di continui interventi di progresso civile in diversi campi d’azione sociale e politica.

    Per facilitare la conoscenza e la comprensione del lascito di Giulio Pastore, dunque, può essere utile ancora oggi soffermarsi a rileggere alcuni dei suoi interventi offerti in diverse occasioni e momenti, collocando in un contesto storico le considerazioni personali o quelle maturate assieme ai suoi collaboratori nei differenti campi d’azione. Le pagine che seguono, perciò, ripercorrono la biografia di Pastore, senza pretesa di esaustività, per sollecitare un’ulteriore riflessione sull’orizzonte della sfida da lui assunta, comunque centrale per il riformismo contemporaneo: assicurare la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori ai processi di formazione delle decisioni socio-economiche attraverso una rappresentanza sociale in grado di dare un apporto positivo, in un contesto di libertà associativa, allo sviluppo della democrazia.


    [1] Cfr. L’autunno sindacale del 1969, a cura di A. Ciampani, G. Pellegrini, Rubbettino, Soveria Mannelli 2013; A. Ciampani, Profili storici e snodi socio-politici del 1969, in «Economia & Lavoro», LI, 2017, 3, pp. 39-54; A. Ciampani, L’Autunno caldo. Settembre 1969, in Istituzioni politiche e mobilitazioni di piazza, a cura di A. Ciampani, D.M. Bruni, Rubbettino, Soveria Mannelli 2018, pp. 185-212.

    [2] Oltre a V. Saba, Giulio Pastore sindacalista. Dalle leghe bianche alla formazione della CISL (1918-1958), Edizioni Lavoro, Roma 1989, per un rapido profilo ora A. Ciampani, Pastore, Giulio, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 81, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2014, pp. 685-689, anche http ://www.treccani.it/enciclopedia/giulio-pastore_%28Dizionario-Biografico%29/.

    [3] Cfr. la testimonianza di mons. F. Fasola (nel 1929 assistente diocesano di Azione cattolica e dal 1954 vescovo in Sicilia) in «Il Nuovo Osservatore», 84/85, novembre-dicembre 1969, pp. 332-336.

    [4] Cfr. l’intervista del 2009 a V. Saba, Giulio Pastore: le salde ragioni di un leader sindacale, ora in «Sindacalismo, Rivista di studi sull’innovazione e sulla rappresentanza del lavoro», 39, gennaio-aprile 2019, pp. 9-10.

    I. AZIONE CATTOLICA, SOCIALE E POLITICA (1902-1949): L’IMPEGNO CIVILE DALLA FINE DELL’ITALIA LIBERALE ALLA COSTRUZIONE DI UN REGIME DEMOCRATICO

    La Valsesia, incastonata nel versante meridionale del Monte Rosa del Piemonte orientale, nel Novecento è stata terra di emigrazione. Anche la famiglia operaia di Pietro e Teresa Pastore conobbe questa drammatica esperienza sociale, così che il figlio Giulio nacque a Genova il 17 agosto 1902. Tuttavia già nel 1905 il nucleo familiare era dovuto tornare nella sua valle. Il padre invalido e la madre assunta per lavorare a cottimo per la fabbrica Manifattura Lane, il bambino trascorse la sua infanzia tra il greto del fiume Sesia, la scuola di Aranco e il circolo educativo cattolico di Borgosesia. Era un cattolicesimo quello della diocesi di Novara che, sotto la guida di mons. Giuseppe Gamba, perseguiva l’indirizzo di Leone XIII di restituire a Cristo la vita dei popoli e delle nazioni, sollecitando un ampio spettro di associazioni religiose e sociali, sostenute con enti economico-sociali ed animate da proprie iniziative editoriali. Nel 1912 si istituì a Varallo la Federazione dei circoli cattolici valsesiani; nello stesso anno Giulio Pastore compiva la sua prima formazione religiosa ricevendo la cresima dalle mani del vescovo.

    Poco dopo, i continui mutamenti del mercato del lavoro e lo sviluppo dell’associazionismo operaio nel travaglio sociale dell’Italia giolittiana giunsero ad investire l’ambiente cattolico della famiglia Pastore, che si trovò a difendere nel maggio 1914 la libertà associativa accanto alle leghe socialiste: anche la mamma di Giulio venne licenziata durante la protesta sociale, per essere riassunta nell’estate seguente. Nel drammatico frangente, appena compiuti dodici anni, lo stesso ragazzo fu assunto nel reparto filatura della fabbrica. Seguirono i tempi di lavoro scanditi dall’economia di guerra dopo l’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale: nello stesso periodo la vivace aspirazione di emancipazione del ragazzo iniziò a segnalarsi al clero locale. Con l’elezione di Benedetto XV il progetto del papa della Rerum novarum ebbe nella diocesi una rinnovata spinta: nella riorganizzazione del mondo cattolico dell’agosto 1917 un incontro dell’Unione popolare a Varallo ospitò l’intervento di Giuseppe Toniolo in vista dell’opera da impostare nel dopoguerra. In contatto con l’associazionismo cattolico valsesiano giungevano all’ombra del Sacro Monte di Varallo anche importanti figure del cattolicesimo lombardo, come Guido Miglioli, Francesco Olgiati e Agostino Gemelli. È in tale contesto che Pastore iniziò a segnalarsi per la sua entusiastica partecipazione nel giugno 1918 alla fondazione del circolo Giosuè Borsi di Borgosesia con altri cinque studenti. La conclusione della guerra introdusse nuovi processi economici e tensioni sociali, nei quali il giovane Giulio si trovò ad operare scelte decisive, sulle quali incise anche la morte del padre nel 1919: dopo aver accettato di essere riassunto nella fabbrica dalla quale era stato licenziato all’inizio dell’anno, nell’aprile 1920 lasciò il posto per assumere a tempo pieno l’incarico di ‘propagandista di plaga’ della federazione giovanile cattolica, alla vigilia del primo convegno dei giovani novaresi dedicato a commemorare la Rerum novarum.

    Non fu quella di Pastore una scelta impulsiva, ma coerente con l’impegnativa attività svolta negli anni precedenti, nei quali aveva anche assunto la presidenza del circolo che aveva contribuito a fondare: una scelta accompagnata e sostenuta dal clero valsesiano che aveva individuato un’energica risorsa nel carattere limpido e deciso del giovane. La costituzione della Confederazione italiana dei lavoratori nel 1918 (CIL) e del Partito popolare italiano (PPI), che aveva aperto una sezione a Varallo nel febbraio 1919, costituirono anche per l’associazionismo cattolico in Valsesia un impegno organizzativo fuori dall’ordinario. La proposta di riconquista cattolica della società nel periodo post-bellico, d’altra parte, venne osteggiata dalle locali oligarchie liberali di tradizione massonica, così come dall’anticlericale mobilitazione socialista che vedeva nel cattolicesimo organizzato nella valle un pericoloso concorrente alla penetrazione nei ceti operai e contadini del conflitto di classe. Pastore ne fece dolorosa esperienza nel 1919: mentre al lago d’Orta il vescovo organizzava una settimana sociale per i giovani militanti cattolici, questi si trovavano ad affrontare la violenza socialista che non risparmiò pubbliche cerimonie religiose [1] .

    Contemporaneamente, la percezione dell’azione politico-sociale come riflesso nella dimensione pubblica dell’apostolato religioso, sostenuta dalla solidale cultura cattolica e confermata dalla stessa opposizione esterna, sollecitò una sempre maggiore polarizzazione nel mondo cattolico valsesiano e novarese tra personalità di formazione clerico-moderata ed esponenti del cristianesimo sociale, come presto emerse anche nelle dinamiche organizzative del locale PPI, cui aderirono nel maggio 1920 le Unioni del lavoro del novarese. La formazione sociale e civile di Pastore, che curava da autodidatta il completamento della propria istruzione, continuò all’interno di questo movimento sociale cattolico. Mentre procedeva la riorganizzazione dell’Azione cattolica del vescovo secondo le linee del pontificato, si iniziava a porre in diocesi la questione dell’autonomia della organizzazione sindacale bianca e dell’azione pratica del laicato, che la dirigeva, rispetto alla guida del clero. Per Pastore, peraltro, tale dibattito doveva apparire ancora lontano, impegnato com’era a percorrere in bicicletta la vallata per conferenze di propaganda nelle parrocchie e per la fondazione di nuovi circoli cattolici.

    L’accendersi nel 1921 in chiave anticlericale della lotta contro il «partito di sagrestia» – nella quale al mondo liberale e socialista ora si aggiungeva il movimento fascista, sorto nel 1920 anche nel novarese – mirava ad indebolire il Partito popolare ed incrinare lo stretto legame tra azione sindacale e presenza organizzata dell’Azione cattolica (AC). I militanti cattolici risposero serrando le fila, rafforzando la stampa, moltiplicando occasioni di formazione spirituale e di devozione pubblica, sostenuti dalla lettera pastorale del vescovo Ritorniamo a Dio. Così nell’aprile 1921 Pastore aveva costituito la zona Alta Valsesia tra undici circoli cattolici, assumendone la presidenza, e seguiva come commissario l’organizzazione dell’Unione del lavoro di Borgosesia; quando in giugno partecipò attivamente al primo congresso della Gioventù cattolica (GIAC) del novarese, entrò nella nuova presidenza federale. Nei mesi seguenti, anche per tale incarico, egli promosse l’«Avanguardia cattolica» deliberata al congresso, in un clima di «spiritualità bellica», che il contesto socio-politico della vittoria mutilata e del biennio rosso aveva contribuito a mantenere viva. Si trattava di raccogliere e formare i migliori giovani cattolici, come modello di fortezza e di pratico sostegno organizzativo alle cerimonie religiose e d’apostolato pubblico. Nell’agosto 1921 il lavoro dell’ardente militante cattolico fu notato da Achille Grandi che coinvolse Pastore in un breve periodo di formazione sindacale nella sua Monza, per affidargli la segreteria della sezione valsesiana dell’Unione del lavoro della CIL nel settembre seguente. Alla fine dell’anno iniziarono a comparire i primi articoli di Pastore su «Il Monte Rosa», giornale sostenitore di un cattolicesimo sociale che, secondo l’invito di Leone XIII, doveva uscire dalle sagrestie. Alla fine dell’anno, così, Pastore si trasferì con la mamma da Borgosesia a Varallo, dove arrivava con gravi responsabilità a compimento della scelta compiuta due anni prima.

    Avanguardista cattolico, sindacalista bianco e giornalista diocesano, la personalità del giovane Pastore doveva rafforzarsi nella coscienza d’un apostolato che costituiva il centro unificante delle sue attività. Nei due anni seguenti egli rafforzò il suo legame col cattolicesimo sociale lombardo, perfezionando la sua preparazione di tecnica sindacale, in un ambiente particolarmente attento alla formazione educativa e culturale. Pastore lo riprodusse nel suo lavoro di animatore dei circoli della gioventù cattolica novarese che raggiunsero quota 100 nel 1923.

    Intanto la vita religiosa, sociale e politica della Valsesia doveva confrontarsi con l’ascesa del fascismo che, dopo gli scontri cruenti del luglio 1922 nel novarese, iniziò a collegarsi più strettamente con le classi dirigenti locali intenzionate a normalizzarlo. Pastore, schieratosi con l’ala sociale del Partito popolare che respinse l’ingresso nel governo Mussolini seguito alla marcia su Roma, si contrappose al progressivo affermarsi del fascismo in Valsesia. Al solenne e ordinato svolgimento del Congresso eucaristico a Novara, Vercelli e Biella del 1923, seguì il riaccendersi della polemica anticlericale nelle valli del Piemonte orientale, accompagnata dalle istruzioni prefettizie per ridimensionare le organizzazioni delle ‘avanguardie cattoliche’; infine, dopo un crescendo di violenze e intimidazioni contro i militanti cattolici, nel luglio 1923 gli squadristi assaltarono la tipografia de «Il Monte Rosa», nel quale Pastore stava assumendo un ruolo sempre maggiore. Si giunse, infine, nel luglio di quell’anno ad una pacificazione tra cattolici e fascisti, che si impegnarono a rispettare le iniziative dell’Azione cattolica per la diffusione della dottrina religiosa e dell’azione spirituale anche in ambito pubblico. L’azione di Pastore, così, continuò a dispiegarsi incessante nell’ambito della Federazione dei circoli cattolici e nell’opera di rappresentanza sociale. Infatti, se la riforma degli statuti dell’AC aveva dato motivo di una ripresa della polemica sulla apoliticità dell’associazione, dopo le polemiche sull’autonomia delle organizzazioni professionali si strinsero i contatti tra militanza cattolica e la CIL, a seguito dei rinnovati attacchi del sindacalismo fascista. In tale dinamica, indebolitasi la mediazione politica del Partito popolare, la gerarchia cattolica continuò sulla strada di un rapporto diretto con le istituzioni locali, come evidenziò un accordo che sanò nel febbraio 1924 un’annosa controversia giuridico-amministrativa sul Sacro Monte di Varallo.

    Dopo le successive elezioni politiche e l’assassinio di Matteotti, tuttavia, nell’estate seguente la situazione tra i cattolici sociali e il fascismo novarese precipitò. Mentre nella polemica pubblica denunciava i limiti dell’interventismo repressivo dello Stato nella vita sociale e i miti dei «falsi nazionalisti», nel dicembre 1924 Pastore fu chiamato a Monza per dirigere «Il Cittadino», giornale della direzione delle Opere cattoliche, allora tornato nella sua sede dopo la distruzione della tipografia per opera della violenza fascista. Accanto ad Achille Grandi, per due anni il giovane direttore completò la sua formazione politica, popolare e antifascista, in una città centrale per lo sviluppo di un cattolicesimo sociale impegnato nella fattiva organizzazione di opere e associazioni dove far vivere l’anelito religioso e di libertà civile che l’animava. Qui Pastore continuò la ‘buona battaglia’ di una fede in grado di dare giudizi sulla vita pubblica, stigmatizzando il moralismo clericale distante dal perseguire una giustizia sociale e incline all’ipocrisia di fronte all’ordine fascista. Dalle pagine de «Il Cittadino», nel 1925 egli richiamò una visione del cattolicesimo che rispecchiava tutta la sua formazione giovanile:

    Il cattolicesimo è, anzi tutto, vita vissuta; religiosamente: ossequiando Dio col frequentare i suoi templi e coll’accostarsi ai S.S. Sacramenti; pubblicamente: conformando la propria vita ai dieci comandamenti della legge di Dio, nessuno escluso; socialmente rispettando i canoni di amore al prossimo, di giustizia, di carità e di libertà, sì anche di libertà [2] .

    Questo sovrapporsi tra dimensione religiosa, profilo sociale ed impegno civile per la libertà nell’iniziativa del laicato cattolico costituirà anche il tessuto umano dei successivi vent’anni di vita di Pastore. Vivere il cattolicesimo per lui significava essere portatori di una morale e di una cultura irriducibili ai modelli proposti dal regime fascista: nel suo operare il laicato cattolico non aveva bisogno di una qualifica o di un attributo assegnategli dalla polemica politica, spesso con l’intento di colpirlo e di isolarlo. Uno stile di vita così delineato, peraltro, necessariamente era frutto di una educazione approfondita che sembrava a Pastore trascurata dai giovani coetanei, che proprio per fragilità culturale sembravano cedere alle sirene della propaganda del regime e del disimpegno:

    Ecco un problema che fa sovente capolino nei dibattiti e nelle discussioni di casa nostra. La cultura, questa dea, che già in altri tempi era la chiave di volta di ogni attività, poiché nessuno osava avanzarsi sulla scena della vita pubblica, sia nel campo dell’arte, che della letteratura, che della politica, senza che possedesse metà dello scibile [...]. E la contestazione tocca specialmente i giovani; i vecchi, gli anziani, per la verità, c’insegnano che in altri tempi, i libri, i convegni di studio, erano la fonte inesauribile a cui si ricorreva frequentemente [...]. Quanto oggi si trova di formulato in ordine ai problemi sociali, ai programmi politici, e alla stessa azione cattolica strettamente intesa, tutto si deve alle menti vissute allora; menti che ebbero il loro massimo travaglio nel discutere e nel selezionare, in confronto alla dottrina fondamentale della Chiesa, quanto da altri campi, liberalismo, socialismo e nazionalismo era portato nell’agone [3] .

    La sottolineatura sulla formazione culturale resterà un tratto tipico della prospettiva organizzativa e d’azione del ventenne Giulio Pastore. Egli iniziò ad avvertire la debolezza di un mondo cattolico condotto ad enfatizzare solo l’istruzione religiosa. In tale quadro si colloca la sua critica ai «neocattolicisti», ai «farisei», a coloro che facevano solo mostra d’ossequiare la gerarchia cattolica ed i suoi interventi, proponendo «la religione come qualcosa al di fuori e al di sopra di tutta la materialità della vita» [4] . D’altra parte, se la pressione del regime politico poteva facilitare la riduzione dell’azione cattolica all’intimismo dell’esperienza di fede o viceversa provocare la confusione di diversi piani d’azione, era percepibile la preoccupazione apostolica di una Chiesa attenta ad evitare che una militanza cattolica condotta nel campo socio-politico introducesse nella vita comunitaria dinamiche politiche tali da provocare divisioni interne [5] . Pastore ne aveva ben presenti gli effetti nel novarese. Proprio per sottrarre l’azione dei cattolici alla visione della vita sociale imposta da un ambiente incubatore di dinamiche totalitarie, egli tornò a insistere sulla necessaria preparazione culturale:

    Vi è una cultura minuta, prettamente religiosa, che forse più che cultura è opera di integrazione nella formazione spirituale delle anime; questa è data in quei semenzai miracolosi e provvidi che sono gli Oratori; riconosciamo che di qui ci sono sovente forniti i capitani per le più vaste e generali conquiste; ma questa non è bastante, gli orizzonti aperti all’Azione Cattolica, alla Chiesa stessa sul terreno sociale e politico esigono, nei militi e nei dirigenti, un possesso completo e perfetto della dottrina in rapporto a tutta la vita dell’uomo, a tutte le attività del medesimo [6] .

    Questo approccio di Pastore al ruolo sociale e politico della cultura costituisce un elemento essenziale per comprendere la profonda coerenza con la quale egli restò disponibile a riconsiderare nel tempo la sua opera: certezze sullo scenario di riferimento e continuo riesame critico delle prospettive d’azione. Si comprende meglio, così, anche la visione unificante della vita con la quale egli attraversò il difficile passaggio che seguì immediatamente la costituzione di una famiglia, col matrimonio con Maria Marchino nel maggio 1926: nel novembre seguente, infatti, i suoi richiami alle libertà politiche e alla difesa della legalità istituzionale contro il regime fascista provocarono la sospensione de «Il Cittadino» e Pastore fu costretto a tornare in Valsesia. Per superare la disoccupazione e trovare un sostentamento ai figli che vennero tra il 1927 e 1930 (Pierfranco, Mario e Teresa), a Novara accettò un lavoro di fattorino al Piccolo Credito Novarese, poi acquisito dall’Istituto S. Paolo, dove lavorò come impiegato [7] . Poteva riprendere, nel frattempo, la sua

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