Emme come: Il meraviglioso mondo di Massimo
By Mauro Scarpa
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Massimo ha undici anni ed è un bambino felice. O forse no? A volte sì e a volte no, possiamo dire. La sua vita si divide tra scuola, catechismo, amore sconfinato per i dolci e i libri, una mamma iperprotettiva molto brava a fare la pasta al forno e meno ad ascoltare, un papà che fa fatica a diventare adulto, una nonna burbera fuori e tenera dentro, grandi amicizie, il primo amore e piccole-enormi delusioni. Un giorno Massimo decide di proclamarsi Illustre Imperatore dell’Universo un po’ per gioco e un po’ perché vorrebbe davvero che il mondo girasse come dice lui, almeno qualche volta. Un racconto delicato e leggero che si legge col sorriso sulle labbra e ci ricorda una grande verità: per quanto ci sforziamo, a volte le cose che vorremmo tonde escono quadrate, ma con un pizzico di immaginazione anche così trovano l’incastro giusto.
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Book preview
Emme come - Mauro Scarpa
Pubblicato da
© 2019 Mauro Scarpa per il testo
© 2019 Read Red Road, Roma
Seconda ristampa: giugno 2019
ISBN 978-88-94-44430-8
Editing e impaginazione di Fugitive Eye e Scatterbrain Eb
Copertina di Agostino Santacroce (Agenzia Estrogeni)
Edizione digitale a cura di WAY TO ePUB
Al mio babbo
CAPITOLO UNO
M. ha 11 anni e da qualche mese ha iniziato a scrivere una Costituzione tutta sua. La sua vita è bella, ma a volte anche brutta. Ha deciso che ne vuole una tutta solo felice. Per farlo si è allontanato dagli altri, specialmente dai grandi che, a dirla tutta, sono il vero motivo per cui ha deciso di cambiare la situazione, e di perdersi nella fantasia. Molte cose non gli piacciono, ed è anche normale visto che non le capisce, o forse, sarebbe meglio dire, nessuno le ha spiegate. Ci sono molti errori in questa storia ma non è questo il punto. Non è mai semplice, per nessuno. M. sa cosa sono le emozioni, ha visto un bel documentario in cui le spiegavano benissimo. Il suo cuore però va in confusione – questo il documentario non lo spiegava molto bene –, e neanche come mai le persone fanno le cose brutte, le nascondono sotto il tappeto e vanno avanti, senza chiedere scusa.
Tornando alla confusione, a volte M. è triste eppure inizia a urlare come quando uno si arrabbia fortissimo e, al contrario, quando è arrabbiato veramente, invece di prendere a pugni un cuscino, inizia a piangere e si vergogna perché ormai è grande e i grandi nascondono le lacrime in bagno o dietro la porta chiusa della camera. È bello conoscere le emozioni ma sarebbe ancora più bello non farsene schiacciare. O meglio, se ti schiaccia la gioia puoi anche arrenderti ma se la tristezza, lo schifo e la rabbia si mettono in mezzo e ti bloccano il respiro, allora sarebbe meglio correre ai ripari. Ci vorrebbe un interruttore.
Immaginate quanto sarebbe bello saper urlare al momento giusto, piangere davanti a tutti senza vergognarsi, provare vergogna quando si fanno cose cattive, annoiarsi senza lamentarsene.
Di una cosa M. è sicuro, ora sa che c’è una legge non scritta, l’ha imparato a sue spese: non si resta bambini a scapito dei bambini. Che cosa significa? Leggete la sua storia per scoprirlo.
Dobbiamo fare un piccolo viaggio indietro nel tempo per conoscere tutti i dettagli della vita di M. e scoprire come, quando e perché, a un certo punto, si è autoproclamato Illustre Imperatore dell’Universo. Tutto ha inizio nel 1974, quando il nostro eroe (ma solo perché è il protagonista di questo racconto) viene al mondo in una clinica privata. Sua madre si rifiuta di farlo nascere in ospedale perché la sua vicina di casa, che all’epoca faceva l’infermiera, le dice che in quel postaccio il brodo di carne lo preparavano in realtà con i dadi scaduti. Anche in clinica forse non va tutto liscio con il cibo perché il piccolo M. rifiuta il latte della mamma, piange, fa le puzzette più puzzolenti della storia dei neonati. Quando tornano a casa, la mamma pensa che sia allergico al latte e perciò decide di non darglielo più e riempie il biberon di strani frullati di erbe che compra in farmacia.
M. e la sua famiglia vivono in una casa di quattro stanze, collegate da un corridoio lunghissimo. Quando si è piccoli tutto sembra grande e quando si è grandi tutto sembra stretto. Comunque, il piccolo M. ha tre anni e gioca con il suo orsacchiotto giallo vicino al camino, in sala da pranzo, accovacciato ai piedi della mamma che prepara maglioni, sciarpe e cappellini di lana. Il papà è spesso in viaggio. Fa un lavoro straordinario che alla mamma non piace proprio. È il primo ballerino della compagnia amatoriale Il cigno allagato e viaggia in lungo e in largo per lo stivale. Ogni tanto invia una cartolina dalle città in cui si esibisce e quando torna a casa ha sempre una scatola di cioccolatini per il piccolo M.
«È allergico al latte, come te lo devo dire?»
«Ma ce n’è poco».
«Tu non vuoi bene a tuo figlio».
M., a quel punto, inizia a piangere. Piange per la delusione di non poter aprire la sua scatola di cioccolatini e anche perché i suoi genitori litigano a causa sua. È piccolo ma già lo sa.
«Ecco, l’hai fatto piangere» urla stizzita la mamma, puntando contro il padre i ferri che sta usando per lavorare a maglia. La sua mamma confeziona maglioni per la proprietaria di un negozio di abbigliamento ed è molto esperta.
«È colpa tua, lo tratti come un malato!» urla il papà cercando di schivare quell’arma impropria.
«È malato. Ho letto ieri una rivista in cui il dottor Maccherone dice che le allergie alimentari saranno la piaga del futuro. Vedi quanto è magro? E poi ha avuto la febbre per dieci giorni di fila. Ma che ne puoi sapere tu, sei sempre in giro e non ti preoccupi di niente».
«Tu sei pazza, questo bambino sta benissimo. Smettila di piangere, figliolo. Sei un ometto e gli ometti non piangono».
Poi, rivolto alla mamma: «Lo stai crescendo come un mammone piagnucolone».
In genere continuano a urlarsi accuse per una mezz’oretta mentre M. tira su col naso. Poi, tutti e tre stanchi, se ne vanno a letto. M. però non riesce a dormire.
La mamma gli legge la storia di Cenerentola, poi quella del Brutto anatroccolo, Pollicino, Biancaneve e i sette nani, La bella addormentata nel bosco. Niente da fare, M. ha gli occhi sbarrati e vorrebbe che la mamma continuasse a leggere tutta la notte.
«Dormi tesoro» gli dice «se i fantasmi ti trovano sveglio ti ruberanno l’orsacchiotto». Capite bene come la paura dei fantasmi non permetta a M. di dormire. Stringe forte a sé Peo, il suo orsacchiotto, il suo miglior amico. Si nascondono tra le lenzuola, trattengono il fiato (be’, Peo è più bravo) e si mettono in ascolto dei rumori che arrivano dalla strada. La camera di M. dà proprio sulla via principale del paese. È abbastanza grande. Ha un tappeto colorato su cui è disegnato un uomo con i pantaloni stretti e luccicanti che agita un mantello rosso davanti a un toro. M. ha un’idea: invece di contare le pecore, inizia a contare i tori che scappano dall’uomo con i pantaloni stretti e la giacca che sbrilluccica. Ne conta millecentotrentotto prima di addormentarsi.
«Alzati dormiglione» – gli dice la mamma – «Sono le sette e un quarto e oggi inizi l’asilo».
M. apre gli occhi ma ha il cuore addormentato. Però è felice. All’asilo ci è già stato a giugno, per la recita di suo cugino Alfredo. All’asilo ci sono i chiodini di plastica di tutti i colori e puoi disegnare usando una lavagnetta bianca piena di buchi. Ci puoi fare i fiori e il mare.
«Com’è andata tesoro?»
La mamma abbraccia M. che trascina la cartella di Superman sui mattoni rossi del grande atrio. Ha una faccia scura.
«L’asilo fa schifo. Due bambini hanno pianto per sempre perché volevano la loro mamma e le maestre gli davano le caramelle e a me no. E poi siamo andati in giardino e abbiamo fatto un gioco brutto. Dovevamo stare appiccicati al muro e poi correre per prendere una palla sgonfia. Basta. Non ci voglio venire più».
Non male come primo giorno.
C’è però una cosa che M. impara piuttosto in fretta. Se qualcuno più grande di te ti dice che il tuo posto è lì, tra banchi ottagonali bassi, per quanto tu possa ribellarti, finirai per accettare quello che ti sta capitando. E alla fine ti piacerà, perché non c’è altro che puoi fare.
Il secondo giorno M. è più sereno, il terzo è rassegnato. Felice. La felicità e la rassegnazione non sono la stessa cosa ma a volte si confondono. Ha scoperto che esistono i pastelli a cera e con la sua amica Alessandra si diverte a sbriciolarli. La mamma di Alessandra è una pasticciera e prepara dei bignè buonissimi. M. non sapeva che la crema è come un piccolo paradiso. Sta bene attento a non sporcarsi il grembiule perché la mamma non deve scoprire che mangia i dolci che sono pieni di latte e di burro e di altre cose grassose.
La maestra ha un’enorme parrucca, così pensa M., perché non ha mai visto nessuno con i capelli rossi. L’asilo è un posto fantastico e puoi disegnare farfalle, topi e altri animali inventati, come il topospugna, un topo che beve immergendo il dorso nelle pozzanghere. Il tempo passa in fretta. M. adesso ha cinque anni e mezzo e dopo l’estate andrà in prima elementare.
CAPITOLO DUE
«Ho preso in affitto una casetta di legno al mare. Lido Esmeraldo».
«Sei pazzo? Con quali soldi la pagheremo?»
Eccoli che litigano e sono solo le otto del mattino. La famiglia è seduta a tavola per la colazione. L’aria è umida e sulla tovaglia a quadri c’è una macchia di caffè. M. la fissa e mastica lentamente la sua fetta di pane abbrustolito. La intinge nel suo tè deteinato ma fa schifo uguale. Vorrebbe burro e marmellata. Ma il burro è fatto col latte e la marmellata con lo zucchero che rovina i denti.
«Ho già dato l’anticipo».
Il papà si alza e chiude la questione.
«Non ti preoccupare. Il Teatro delle scarpette ha comprato sei spettacoli. Possiamo permettercelo».
La mamma sospira.
E così M. trascorre l’estate nella casetta, e per fortuna riesce a dormire perché i fantasmi sono rimasti a casa. Si sveglia molto presto, con l’odore del caffè, e si precipita nel letto dei suoi genitori. È l’ora più bella di tutta la giornata, c’è ancora il calore di mamma e papà tra le lenzuola. Sogna cose bellissime. Montagne di gelati, e amici che gli dicono: «Vieni a giocare con noi, abbiamo un pallone nuovo».
«Non puoi fare il bagno adesso, l’acqua è freddissima, può venirti una congestione».
Sono le nove e mezzo del mattino, la mamma ha già dettato le regole e M. si annoia.
«Posso andare al bar?