Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Mutazione e cyberpunk: Immaginazione e tecnologia
Mutazione e cyberpunk: Immaginazione e tecnologia
Mutazione e cyberpunk: Immaginazione e tecnologia
Ebook229 pages2 hours

Mutazione e cyberpunk: Immaginazione e tecnologia

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

"Nel 1992 usai per la prima volta un browser di navigazione, nel 1994 ebbi il mio primo indirizzo email. E in quello stesso anno organizzai a Bologna un convegno internazionale che aveva il titolo Cibernauti. In quel convegno una dozzina di teorici, tra i quali Derrick de Kerkhove e Pierre Levy, presentarono per due giorni le loro ipotesi e le loro immaginazioni sul futuro della rete. In quegli anni scrissi i testi che compongono Mutazione e cyberpunk, un libro che uscì a Genova, con l’editore Costa & Nolan (una casa editrice che faceva dei libri bellissimi, ed era diretta da una donna energica e molto simpatica). Quel libro è la sintesi delle scoperte letterarie e filosofiche del decennio precedente, ma anche la mia introduzione personale e politica all’epoca nuova che si poteva condensare intorno alla parola “Internet” che aveva cominciato a circolare. Da Deleuze e Guattari avevo imparato che l’attività del filosofo è prima di tutto quella di creare nuovi concetti, e nuove parole capaci di incarnare concetti. Infosfera, psicosfera e psicochimica, ciberspazio e cibertempo, Tecnomaya, cosmovisione barocca: ecco le parole che avevo catturato nelle mie letture e che cercavo di tradurre in strumenti per l’analisi di una realtà che stava emergendo confusamente."
LanguageItaliano
PublisherRogas
Release dateMar 26, 2020
ISBN9788835393955
Mutazione e cyberpunk: Immaginazione e tecnologia

Related to Mutazione e cyberpunk

Titles in the series (17)

View More

Related ebooks

Language Arts & Discipline For You

View More

Related articles

Reviews for Mutazione e cyberpunk

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Mutazione e cyberpunk - Franco Berardi Bifo

    vitale

    Introduzione alla nuova edizione

    Nella prima parte degli anni Ottanta ero quasi sempre in viaggio.

    Dopo la fine della tempesta del Settantasette italiano, dopo l’invasione dell’eroina, dopo l’esplosione del terrorismo, decisi che volevo allontanarmi dal mio paese.

    Nei primi tre anni del decennio Ottanta passai molto tempo nella città di New York, con lunghi viaggi in Messico, e qualche breve periodo a San Francisco.

    Nell’84 mi trasferii in Oriente, e in autobus viaggiai tra Delhi Benares e Katmandou.

    Nel 1985 le tempeste si erano chetate in Italia, non temevo più di finire in carcere o di essere circondato dalla depressione e dall’eroina, e decisi di fermarmi di nuovo a Bologna. Con un gruppo di amici aprimmo il primo centro per l’ecologia mentale in un capannone poco lontano dal centro della città universitaria. Lo chiamammo Topia: l’utopia che trova il suo luogo.

    Topia intendeva riproporre a Bologna l’immaginazione visionaria di Timothy Leary, la cibercultura che avevo scoperto viaggiando in California, e che si stava diffondendo in larga parte dell’Occidente immaginando un futuro di utopia tecnologica realizzata. Organizzammo spettacoli teatrali con gruppi di artisti tedeschi e danesi, conferenze con Felix Guattari e discussioni sulla cibernetica, la telematica e la rete.

    Viaggiando nelle metropoli, in quegli anni, avevo incontrato gente molto diversa e avevo fatto nuove letture. Avevo letto i libri di Gregory Bateson, i romanzi distopici di Philip Dick, le utopie tecnofile di Pierre Levy. Mi fece molta impressione un libretto di un tal René La Valléee intitolato Network revolution, nel quale si prevedeva che la connessione tra il telefono e l’in­formatica avrebbero aperto uno scenario nuovo alla tecnologia, ma anche all’immaginazione sociologica. Avevo letto La terza onda di Alvin Toffler, un libro che anticipava concettualmente gli effetti dell’informatizzazione sui processi di produzione globale.

    Poi lessi Neuromante di William Gibson, e durante un viaggio a San Francisco ormai alla fine del decennio conobbi un gruppetto di artisti cyberpunk.

    La trasformazione tecnica e la mutazione biologica avevano ridefinito il mio campo di attenzione teorica e letteraria, e stavano modificando anche la sensibilità estetica e l’immaginazione sociale.

    Al ritorno dall’ennesimo viaggio in California pubblicai un fascicoletto che si chiamava Più cyber che punk. Dentro c’era un articolo di Jaron Lanier, che in quegli anni stava sperimentando il primo Data Glove e ragionava di comunicazione senza simboli, di scambio telematico e telepatico. C’erano un racconto di William Gibson, e dei brevi articoli di Valentina Merz.

    A Milano usciva una rivista intitolata Decoder, in cui si descriveva la relazione tra nuova produzione culturale e trasformazione tecnologica. Intorno alla vaga nozione di cyberpunk si stavano coagulando immaginazioni contrastanti di futuro.

    Il cyberpunk era infatti l’espressione simultanea di due tendenze profonde dell’evoluzione che stavano emergendo in quel finale del secolo e che investivano la sensibilità estetica e psichica: la formazione di una sfera virtuale, reticolare, legata alle tecnologie cibernetiche e al linguaggio digitale. E la rivolta punk di corpi compressi, sofferenti, rabbiosi, che resistevano all’innovazione tecnica ma al tempo stesso ne erano travolti e trasformati. Nella parola cyberpunk si condensavano insieme l’aspettativa progressiva e libertaria delle ciberculture, e la contrazione dolorosa del post-umanesimo punk.

    All’inizio degli anni Novanta il crollo del socialismo dava il via a un ciclo di guerre (la guerra del Golfo del 1990-91, le guerre jugoslave e caucasiche), ma nello stesso tempo l’utopia delle ciberculture stava evolvendo rapidamente in un processo di costruzione della rete.

    Nel 1992 usai per la prima volta un browser di navigazione, nel 1994 ebbi il mio primo indirizzo email. E in quello stesso anno organizzai a Bologna un convegno internazionale che aveva il titolo Cibernauti. In quel convegno una dozzina di teorici, tra i quali Derrick de Kerckhove e Pierre Levy, presentarono per due giorni le loro ipotesi e le loro immaginazioni sul futuro della rete.

    In quegli anni scrissi i testi che compongono Mutazione e cyberpunk, un libro che uscì a Genova, con l’editore Costa & Nolan (una casa editrice che faceva dei libri bellissimi, ed era diretta da una donna energica e molto simpatica). Quel libro è la sintesi delle scoperte letterarie e filosofiche del decennio precedente, ma anche la mia introduzione personale e politica all’e­poca nuova che si poteva condensare intorno alla parola Internet che aveva cominciato a circolare.

    Da Deleuze e Guattari avevo imparato che l’attività del filosofo è prima di tutto quella di creare nuovi concetti, e nuove parole capaci di incarnare concetti.

    Infosfera, psicosfera e psicochimica, ciberspazio e cibertempo, Tecnomaya, cosmovisione barocca: ecco le parole che avevo catturato nelle mie letture e che cercavo di tradurre in strumenti per l’analisi di una realtà che stava emergendo confusamente.

    Mutazione e cyberpunk è un libro in cui cerco di cartografare contrade a venire: elaborare una mappa del tempo che viene, della mutazione che oggi, venticinque anni dopo, vediamo largamente dispiegata.

    Fin dalle prime pagine dichiaro che la mia intenzione è descrivere l’esperienza della mutazione, ma al tempo stesso è necessario descrivere le grandi linee della mutazione dell’esperienza.

    L’espansione del ciberspazio crea le condizioni per un’intensificazione e un’accelerazione dell’infosfera, e questo non comporta unicamente un’estensione dell’esperienza ma anche una mutazione delle modalità cognitive che rendono l’esperienza possibile.

    La dimensione della temporalità è investita dall’accelerazione con effetti di sofferenza, di panico, di depressione. La mutazione contiene un potenziale psicopatogeno che oggi, venticinque anni dopo, misuriamo nei suoi effetti di catastrofe psichica e politica a livello planetario.

    L’estetica è la sfera in cui cerco di cartografare questa mutazione: le forme della percezione sono sottoposte a una tensione che si manifesta sul piano psichico, politico, ma prima di tutto sul piano estetico.

    Il libro uscì nel 1993, quando si cominciava a perlustrare quello spazio sterminato (e vuoto, e libero da ogni frontiera e di ogni recinzione proprietaria) che si chiamava Internet.

    Il 1993 forse passerà alla storia come l’anno in cui grazie al browser Mosaic potemmo tutti sbarcare sul nuovo continente www che già avevamo cominciato a chiamare Internet.

    Ma è anche l’anno in cui la guerra civile in Jugoslavia, con il bombardamento di Sarajevo e la pulizia etnica di intere regioni della Federazione, segna il ritorno di Hitler sulla scena del mondo: il principio dello stato etnicamente omogeneo, sconfitto nel 1945, torna in Europa, e vince, distruggendo un paese multietnico per creare sette paesi etnicamente puri.

    In Death of a nation, un libro scritto alla fine del decennio Novanta, Laura Silber e Allan Little scrivono: La guerra era stata combattuta per ottenere la separazione etnica, e poteva concludersi solo dopo aver raggiunto questo obiettivo. Per questo gli accordi di Dayton rappresentarono un processo di pace attraverso la pulizia etnica.

    La politica mondiale accettò questo orrore, e l’orrore naturalmente si diffuse, anno dopo anno, mentre pensavamo ad altro. E oggi l’orrore è dovunque.

    Ma io non vedevo chiaramente l’orrore in quegli anni. Lo intravedevo, sì, ma non così chiaramente come oggi, guardando all’indietro, guardando al presente, e immaginando il futuro.

    Oltre a pubblicare Mutazione e cyberpunk, infatti, in quell’an­no pubblicai anche un libretto che si chiama Come si cura il nazi, e uscì con l’editore Castelvecchi.

    La mia attenzione era attratta da questi due oggetti: la rivoluzione culturale che Internet prometteva di scatenare, e il ritorno della bestia nazista che stava riemergendo con la guerra civile in Jugoslavia.

    Erano due oggetti così distanti, due eventi così divergenti che pareva impossibile abitassero lo stesso mondo. Occorreva capire in che modo due tendenze così diverse – la deterritorializzazione virtuale e la riterritorializzazione identitaria – fossero destinate a coesistere, a convergere, a intrecciarsi.

    Dalla California, frontiera estrema della modernità, veniva la promessa di un mondo trans-reale. Ma da Sarajevo, crocevia del mondo europeo, di quello musulmano e di quello balcanico, giungevano bagliori di una guerra che appariva antica e invece annunciava il futuro.

    Se la grande rivoluzione imminente veniva dalle scintillanti tecnologie digitali, come spiegare l’oscurità che inghiottiva a un tratto le città iugoslave, e costringeva l’Europa a fare i conti di nuovo con il nazionalismo, la guerra civile, la pulizia etnica, i pogrom, le stragi, i campi di internamento, la tortura, in una parola il nazismo?

    La bestia, che avevamo lungamente dimenticato, considerandola morta e sepolta, si risvegliava e aggrediva Vukovar, Mostar, Srebreniça, Sarajevo.

    La guerra civile jugoslava, un ritorno di follia cui i governi europei guardarono con un misto di sbigottimento e di Schadenfreude anti-comunista, è stata rapidamente archiviata dalla coscienza d’Europa non appena, dopo sei anni di violenze e duecentomila morti, la federazione si è sbriciolata, e un pulviscolo di staterelli poveri e rancorosi ha preso il suo posto.

    La Germania ebbe un ruolo decisivo nello spingere la Croazia verso l’abisso, l’Europa non fece nulla per evitare lo strangolamento finanziario della Federazione iugoslava, e il successivo collasso. Ma venticinque anni dopo, la fine della Federazione iugoslava pare il canovaccio dello sbriciolamento in corso del­l’Unione europea.

    Nel 1993 vedevamo il nazismo ritornare, con i suoi simboli, con la sua ferocia, e la sua demenza brutale. In quella guerra e poi negli accordi di pace vedevamo ritornare il principio essenziale del nazismo: lo stato etnicamente puro.

    Negli anni successivi alla pubblicazione di Mutazione e ciberpunk cercai di seguire le evoluzioni e le involuzioni che la trasformazione tecnologica e comunicativa portava con sé. Poco alla volta, l’utopia ciberculturale si trasformò in una distopia cyberpunk.

    Nel 1995 scrissi Neuromagma. In quell’anno la più grande corporation del software, Microsoft, fece la prima mossa per la trasformazione della rete libertaria e aperta in uno spazio proprietario: il lancio del browser di navigazione Explorer permise a Microsoft di realizzare il suo impero proprietario che per qualche tempo dominò la rete. Poi si moltiplicarono le corporation che si proponevano di sottomettere a regime proprietario lo spazio di connessione: Google, Facebook, Apple colonizzarono progressivamente la mente globale.

    Nel 2000 scrissi La fabbrica dell’infelicità, un libro dedicato ad analizzare la mutazione psichica e sociale che stava precarizzando il mondo del lavoro e stava investendo le forme di percezione, di comunicazione e la stessa sensibilità.

    Quella mutazione ha prodotto i suoi effetti sul piano antropologico e soprattutto psicopatologico, e oggi la mutazione si sta compiendo secondo le linee distopiche che il cyberpunk aveva immaginato già negli anni Ottanta e primi anni Novanta, e che avevo presagito scrivendo i due libri pubblicati nel 1993.

    Introduzione

    L’immaginario cyberpunk nel purgatorio della mutazione

    Navigazione per associazioni in un vasto desertoceano fitto di segni mobili e sfuggenti: erranza e nostalgia, rastafari e barocco, Ermete Trismegisto e Gautama Siddharta, cyber e punk.

    Qualche carta di viaggio confesso di averla consultata.

    Gli autori di Rizoma [1] mi hanno fornito il metodo filosofico.

    William Burroughs la sensibilità per i processi formicolanti della narrazione neurochimica.

    Philip Dick la fiducia nel potere di scoperta dell’allucinazione.

    William Gibson ha suggerito la contaminazione tra neuromanzia e tecnologia digitale.

    Pierre Levy ha indicato la possibilità di creare interfacce tra creazione artistica e tecnologie informatiche.

    Cyberpunk è il punto di intreccio immaginario delle problematiche diverse (tecnologiche, epistemologiche, linguistiche, politiche) che attraversano l’epoca presente. Epoca di una grande mutazione.

    Ma cosa vuol dire mutazione?

    Mutazione: alterazione della forma dell’organismo. Adattamento dell’organismo all’ambiente attraverso una alterazione morfogenetica.

    Nell’epoca presente la mutazione investe il corpo e la mente individuale a partire da una trasformazione delle tecnologie, della produzione e della comunicazione sociale.

    L’insieme delle trasformazioni ambientali – la chimica della natura, la chimica dell’ecosfera mentale, la Psicochimica – crea intorno all’organismo cosciente condizioni alle quali l’organismo cosciente non è adattato.

    Il processo di adattamento dell’organismo cosciente all’am­biente sociale tecnologico e infosferico non è lineare né previsibile; si tratta al contrario di un processo di microadattamenti che si cristallizzano provvisoriamente in forme contraddittorie e parziali. Il processo di adattamento non è né automatico né immediato, e non si può dunque spiegare in termini deterministici. Nel complesso l’organismo vive questo passaggio con immensa sofferenza perché i suoi automatismi biologici, psichici, linguistici, sociali gli impediscono di comprendere la trasformazione dell’Infosfera, e nel mondo circostante, e lo portano a reagire in forme inefficaci, e di conseguenza a mettere in atto comportamenti rabbiosi, ripetendo ossessivamente rituali che hanno perduto forza pratica ed elasticità interpretativa.

    Il sistema-mente planetario contemporaneo si è costituito attraverso l’interazione con l’ambiente arcaico (nel quale la grande maggioranza dell’umanità è stata immersa fino al ventesimo secolo) e con l’ambiente meccanico della modernità: la stampa la scrittura la meccanica l’industria l’acciaio la guerra.

    Il processo di transizione che matura alla fine del ventesimo secolo sta provocando la dissoluzione delle forme concrete del­l’ambiente arcaico-naturale e dell’ambiente moderno-industriale. Entriamo in una fase di dissoluzione nel corso della quale si disegnano nuove costellazioni di senso.

    Ma questa dissoluzione, questo emergere di nuove costellazioni nell’ecosfera e nell’Infosfera non comportano un adeguamento automatico della mente umana, al contrario. Quello che si determina è uno squilibrio: inadeguatezza dell’organismo cosciente a interpretare i segni che lo circondano, sentimento di spaesamento e senso di panico caratterizzano il comportamento e l’affezione, la politica e la vita quotidiana del nostro tempo.

    Questo squilibrio può essere descritto come il risultato di una discronia paradigmatica.

    Che cos’è un paradigma? Paradigma è un modello interpretativo e proiettivo capace di generare infiniti processi di interazione tra l’uomo e l’ambiente. Il paradigma è la chiave di accesso alla percezione di costellazioni di senso nel caos spazio-temporale con cui l’uomo si innerva.

    Il paradigma è l’interfaccia del sistema organismo coscien­te/mondo reale.

    Che cos’è la discronia? Discronia è una sfasatura tra i tempi di maturazione dell’organismo e i tempi di sviluppo dell’am­biente.

    L’epoca moderna ha costruito un paradigma interpretativo e proiettivo modellato sulla forma sequenziale della tecnologia comunicativa grafica, e sulla forma meccanica della produzione industriale, un paradigma essenzialmente territoriale, identificante, centrico.

    Ma ora assistiamo a un proliferare di micromutazioni lungo tutte le linee di connessione della vita sociale, mentre il ventesimo secolo si decompone.

    L’intreccio tecnologico delle molecole sociali comincia progressivamente a funzionare secondo un principio che la mente collettiva non possiede. Per questo possiamo parlare di discronia paradigmatica; il paradigma dominante nell’apparato cognitivo sociale si è formato in un tempo e in un contesto passato, e non funziona più nel contesto in mutazione nel quale siamo immersi attualmente.

    Le categorie fondamentali della mente socializzata sono categorie territoriali, centrate sull’identificazione, sull’appartenenza e sul radicamento, mentre i processi che le nuove tecnologie mettono in moto producono un effetto di deterritorializzazione, di sradicamento e di de-identificazione.

    Il paradigma sedimentato nell’apparato cognitivo umano non riesce a captare adeguatamente i segnali dei mondi proliferanti che si generano per divergenza.

    Le antenne della mente sociale non sono capaci di sintonizzarsi sull’emissione infosferica.

    È questo che possiamo chiamare discronia paradigmatica, questo scarto tra paradigma dominante nella cultura e modalità reale dell’interazione mente/mondo.

    La fenomenologia di questa discronia è vastissima: essa si manifesta come inadeguatezza interpretativa, come sovraccarico informativo e, dal punto di vista psicologico, come panico, depressione, psicopatia, sofferenza, paralisi dell’immaginazione di futuri.

    Si mette in moto un processo di riadeguamento, di automodellazione paradigmatica. Ma contemporaneamente si mette in mo­to un processo contraddittorio nel quale alla spinta verso la deterritorializzazione tecnologica, comunicativa, economica reagisce una controspinta di riterritorializzazione spaventosa. Gli an­ni Novanta sono segnati da questo scontro di movimento e contromovimento. Tendenza generale verso l’omologazione degli stili di vita, delle

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1