Io resto a casa. Come eravamo, come stiamo cambiando
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Info su questo ebook
Gli autori rinunciano ai proventi derivanti dalla vendita del libro che verranno devoluti ad uno dei tanti ospedali italiani coinvolti nella gestione della pandemia.
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Anteprima del libro
Io resto a casa. Come eravamo, come stiamo cambiando - Francesco Maria Provenzano
Francesco Maria Provenzano
Elena Cartotto
IO RESTO A CASA
Come eravamo, come stiamo cambiando
Proprietà letteraria riservata
© by Pellegrini Editore-Cosenza-Italy
ISBN 978-88-6822-899-6
Edizione eBook marzo 2020
Via Camposano 41 (ex via De Rada) - 87100 Cosenza
Tel. (0984) 795065-Fax (0984) 792672
Sito internet: www.pellegrinieditore.it-www.pellegrinieditore.com
E-mail: info@pellegrinieditore.it
I diritti di traduzione memorizzazione elettronica riproduzione e adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.
Ai nostri veri Eroi
che indossano
i camici e le mascherine
PREFAZIONE
Andrà tutto bene: è la frase che in questi giorni si sente ovunque, dai social alla televisione; sicuramente andrà tutto bene per la stragrande maggioranza dei cittadini, ma non per la totalità. Quanti dei più deboli di noi, dei più sfortunati, non ce la faranno? E a chi toccherà? Forse non molti in termini di valori assoluti, ma sarà comunque un’immane tragedia. Con le prime notizie dell’arrivo in Italia del virus e dei contagi a catena non si pensava che tutto questo avrebbe potuto seriamente modificare la nostra vita quotidiana, ma, con il dilagare dell’epidemia, la popolazione ha capito che era divenuto indispensabile adottare misure straordinarie ed ha accettato di buon grado di chiudersi in casa, auto isolandosi. Per noi medici ospedalieri la sensazione è stata inizialmente di un’inquietudine diffusa, come l’attesa di un qualcosa di sconosciuto e pericoloso, pronto ad attaccare di nascosto e a sfruttare ogni nostra normale azione quotidiana per colpirci alle spalle. La cosa peggiore è il fatto di non essere in grado di accorgersi subito che l’infezione è avvenuta.
Con l’arrivo delle notizie dal nord Italia, dai colleghi che si sono trovati in prima linea ad affrontare questa ondata improvvisa di polmoniti, quasi fosse uno tsunami, l’inquietudine è diventata ansia; ansia di conoscere meglio il virus e la polmonite che provoca, ansia di farsi trovare prepararti nel miglior modo possibile per non prestare il fianco al nemico commettendo errori strategici per quanto umani. Non potete immaginare le riunioni fatte per determinare le procedure di isolamento dei pazienti, per la sanificazione delle cose e degli ambienti, per la protezione individuale. Abbiamo dovuto imparare quali mascherine, guanti, camici, visiere, cappellini usare e in quali condizioni, come ricavare un adeguato numero di posti letto per accogliere l’ondata dei malati in arrivo, come organizzare le nostre limitate forze. In questo flusso di informazioni continuo, siamo arrivati a chiudere tutte le attività non urgenti fino a trasformare l’ospedale in una sorta di fortino in attesa della guerra: mi è sembrato di rivivere l’atmosfera descritta mirabilmente da Dino Buzzati nel libro Il deserto dei Tartari
: una calma piatta, irreale, in attesa dell’attacco.
Poi l’attacco è arrivato sul serio. Per noi medici la cura dei pazienti viene prima di tutto: infatti la preoccupazione più grande non è stata quella di dover lavorare su turni infiniti con un numero elevato di pazienti critici, anche perché in parte, purtroppo, ci siamo già abituati; e nemmeno il timore di rimanere contagiati: pur pienamente consapevoli dell’elevato rischio di contagio fatichiamo a immaginarci a terra, colpiti, feriti, infettati, addormentati in un letto di rianimazione, intubati e collegati ad un ventilatore meccanico. Per noi la priorità è la dedizione al lavoro: non abbiamo il tempo di pensare a noi stessi, di fantasticare sulle malattie che curiamo. La principale preoccupazione è stata, invece, quella di proteggere i nostri cari a casa: come rendere compatibile il lavoro in ospedale e l’isolamento casalingo? Qui la maggiore apprensione: non portare negli ambienti privati il virus preso inconsapevolmente durante il turno di lavoro in ospedale.
Al ritorno in famiglia saluto i miei da lontano e vado dritto in bagno: mi lavo e mi cambio. Ma poi, posso fare una carezza ai ragazzi? Posso dare un bacio a mia moglie? Forse è meglio restare a distanza, non si sa mai.
Adesso devo andare a riposare; domani, domenica, avrò il turno di giorno, 12 ore di intenso lavoro, sempre concentrato sui miei movimenti con il pensiero fisso di non contagiarmi, con la paura di toccarmi inconsapevolmente la bocca o il naso, o ancora di non avere manovrato bene la mascherina nel toglierla. Ripenserò, forse, a quel paziente appena ricoverato e che ha tossito mentre gli ascoltavo i polmoni. Forse a breve verrò a sapere che era infetto dal virus. Nel frattempo, però, voglio pensare che andrà tutto bene.
Dr.
Fabrizio D’Andrea
Medico ospedaliero a Roma ai tempi del coronavirus
Parte I
Francesco Maria Provenzano
Dalla peste al coronavirus, le epidemie e
le pandemie più gravi nella storia
e nella letteratura
"Mai come nella malattia,
si vede quel che vale un uomo"
Vicenzo de’ Paoli
Il Coronavirus
Cosa dire, cosa fare e ed esattamente che cos’è questo virus chiamato Coronavirus
? Facciamo chiarezza. I coronavirus sono una grande famiglia di virus e possono causare diverse infezioni, dal comune raffreddore a malattie più gravi come la sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS) e la sindrome respiratoria acuta grave (SARS). I sintomi dipendono dal virus, ma i più comuni che colpiscono l’uomo includono problemi respiratori e febbre. Nei casi più gravi, l’infezione può portare a polmonite, sindrome respiratoria acuta grave (SARS) e insufficienza renale. Il coronavirus sta facendo tremare il mondo intero: classificato prima come epidemia, poi come pandemia, in futuro difficilmente dimenticheremo quando il Governo, nella giornata di lunedì