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Operazione Saba
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Operazione Saba

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Spionaggio - racconto lungo (55 pagine) - La Guerra Fredda la si combatte in tutto il mondo...


Colton Bryce non è il classico agente che si associa alle storie psicologiche sulla Guerra Fredda. Veterano, deciso, seduttore. Ma sa anche ragionare e tendere trappole. Dovrà farlo perché in Africa l’aspetta una missione più complessa di quella che ha immaginato.


Franco Luparia, classe 1964, è nato a Casale Monferrato, dove attualmente risiede e svolge la sua attività di Agente di Commercio.

Da sempre appassionato di libri e film di avventura, con il tempo si è sempre più indirizzato su generi specifici: action, spy-stories, intrighi internazionali. La lettura di decine di classici lo ha spronato a cercare la propria dimensione di narratore in tali nicchie. Un suo racconto, pubblicato con lo pseudonimo di Jason Hunter, è apparso sul nr. 1623 di Segretissimo Mondadori, nel mese di maggio 2015. Con tale pseudonimo pubblica per Edizioni della Goccia i romanzi del ciclo “Wildguy”. Per Delos Digital sono usciti sette racconti della serie Dream Force e uno nella collana Delos Passport.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateMar 24, 2020
ISBN9788825411720
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    Operazione Saba - Franco Luparia

    9788825407235

    Capitolo 1

    New York, Stati Uniti d’America, primavera 1978

    Sono un solitario. Da sempre. E come tutti coloro che condividono tale condizione di tanto in tanto cresce dentro l’esigenza di godere della vicinanza di qualcuno. Uno stimolo momentaneo ma prepotente, il bisogno di qualche attenzione. Nel caso specifico si fa sentire feroce la voglia del tocco gentile di una carezza femminile che, in qualche modo, riesca ad alleggerire una misantropia alla quale non riuscirò mai a rinunciare.

    Questa sera sono in caccia, deciso a fare conquiste, attorniato da una folla variopinta. Una pazza immersione tra luci cangianti e ritmi indiavolati sparati a tutto volume.

    La musica, compagna di vita da sempre, unica, immancabile, irrinunciabile. Ho scoperto di recente la disco music che, porcherie troppo commerciali a parte, trova massima espressione nelle varie declinazioni del funk, genere suonato da artisti che stanno diventando delle vere icone a livello mondiale. I miei pochi conoscenti avevano ragione: quale posto migliore di questo studio televisivo dismesso all’interno del quale è stata strutturata la sala da ballo più famosa della Grande Mela? Così ho raggiunto Harry, Joe e la loro combriccola: stupiti dal vedere arrivare l’aiutante del loro meccanico di fiducia mi hanno presentato a un sacco di gente, tra cui un discreto numero di intriganti fanciulle tra i venticinque e i trent’anni.

    Ho perso ben presto il conto delle bevute e ora sono schiacciato da una calca che ondeggia come grano maturo al vento. In uno dei tavoli riservati, sulla sezione sopraelevata, fa la sua comparsata un giovane attore di nome Sylvester Stallone. Sono in tanti a ronzargli intorno per scroccare una foto o farsi firmare un autografo. Tuttavia una moltitudine notevole ha deciso di rimanere sulla pista principale dello Studio 54, quella dove mi dimeno lanciatissimo e sudato marcio.

    Instant Funk, Earth Wind & Fire, Chic, Kool & The Gang, uno sballo! E, davanti a me, lei, la tipa bionda che mi pare di ricordare come Sally: si muove sinuosa senza staccarmi lo sguardo di dosso dal momento in cui ci siamo conosciuti. Minigonna, gambe lunghissime, scarpe con i tacchi, camicietta aperta sul seno generoso. Rossetto strappabaci e occhi lucidi. Ci siamo puntati per tutta la serata, sappiamo entrambi come andrà a finire. So di potermelo permettere: l’alcol mi ha sciolto la parlantina e, senza false modestie, sono un bell’esemplare. Immagino i suoi pensieri mentre giudica ciò che offro: oltre un metro e ottanta di muscoli abbronzati e definiti da intensi allenamenti, mascella squadrata, capelli castani corti, occhi verdi come ce ne sono pochi in circolazione. Camicia bianca dal colletto sovradimensionato aperta sul torace scolpito, aderenti pantaloni neri a zampa di elefante dalla riga perfetta, stivaletti a punta e orologio d’oro al polso.

    È proprio il caso di dirlo: Tony Manero al mio confronto era statico e imbranato!

    Mi avvicino, le accosto la bocca all’orecchio: – Andiamo a bere qualcosa.

    Non è una domanda. Di nuovo mi accorgo che la mia voce rauca, carica di bassi, la fa rabbrividire.

    – Cristo, ma che ti è successo? – Il frastuono la costringe a urlare. – Non sarai un maniaco del cazzo, vero?

    – Una bronchite mal curata – le mento io. Inutile che perda tempo a spiegarle della pallottola in zona di guerra che a momenti fermava per sempre la mia corsa.

    Le prendo la mano e, intanto che la porto appresso, il cinghiale selvatico che è in me si fa da parte per un attimo. Dio santo, mi ritrovo a pensare a che stile di vita impareggiabile sia quello occidentale e, fattore assai inquietante, a come certi figli di buona donna possano contestarlo o addirittura desiderare distruggerlo. La dannata minaccia comunista, i russi del cazzo per primi. Sempre incombente come un’ombra malvagia.

    Ci sediamo su quelle che sembrano trespoli piuttosto che sedie. Ordino le bevute al nero dietro al banco, una versione di Sidney Poitier più bassa e meno tonica dell’originale: Coca Bacardi per me, lei ha preferito una correzione a base di Jack Daniels. Ci da dentro la squinzia, spero non mi sbocchi addosso sul più bello. Improvviso il sospetto: la luce negli occhi e il fatto che rabbrividisce di continuo dal freddo in un ambiente simile a una sauna, mi fanno sorgere il dubbio che non sia solo piena di alcol. Maledizione, spero proprio di non essere incappato in una tossica!

    Non faccio tempo e riflettere che si sporge dalla trappola per piccioni che le contiene il sederino per infilarmi la lingua in bocca. Se mai aveva avuto qualche inibizione deve averla lasciata a casa prima di uscire: la mano scivola sul mio petto e prende a dirigersi con lentezza studiata verso i basso.

    – Hai la macchina? – mi ansima all’orecchio. – Magari riusciamo a farne una nel parcheggio e a tornare dentro per divertirci ancora un po'…

    Quasi mi vien da piangere. Accidenti a me che sono venuto in taxi!

    Non faccio in tempo a dirmi che forse è un bene. Noto un tizio appoggiato al bancone poco più in là che ci sta guardando con un’espressione ironica stampata sul faccione largo. Agghindato in abito e cravatta neri, con

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