Le congetture di Bonelli
()
Info su questo ebook
Thriller - romanzo (149 pagine) - Un thriller senza fiato, in cui nessuno è come sembra...
Stadio Bonelli finge di essere un investigatore privato, mentre in realtà è un pirata informatico. Quando il figlio di un noto gioielliere scompare, è lui che viene chiamato dalla famiglia a indagare, nella speranza che il fatto non diventi di dominio pubblico e non venga allertata la polizia. In un crescendo di eventi, il ruvido Bonelli si troverà a far coppia con la giovane moglie dello scomparso, la bella Annelise, fortemente determinata a scoprire cosa sia accaduto al marito. I colpi di scena si susseguono, così come la scia di sangue, in quello che diventa un gioco pericoloso. Il caso, in apparenza semplice, sfugge al controllo e nessuno è ciò che sembra. Nascosto nel buio, qualcuno infatti cova vendetta. Fino all’inaspettata resa dei conti.
Cristina Biolcati è ferrarese, ma padovana d’adozione. Laureata in lettere, ama molto leggere. Scrive poesie e racconti brevi. Fra le sue passioni: gli animali, l’arte e la filosofia. Collabora con alcune riviste digitali, dove scrive recensioni di libri e articoli letterari.
Opere pubblicate: Nessuno è al sicuro (Edizioni Simple, 2013), un saggio sugli attacchi di squalo in Italia dal 1926 a oggi; Ritorna mentre dormo (DrawUp Edizioni, 2013), una silloge poetica; L’ombra di Luca (Leucotea Edizioni, 2014), una raccolta di racconti brevi; Allodole e vento (Pagine srl, 2014), una seconda raccolta di poesie; Balla per me (Youcanprint, 2017), un romanzo breve; Se Robin Hood sapesse (Delos Digital, 2017), racconto rosa; Ciclamini al re, racconto lungo (Delos Digital, 2018); L’uomo di marmellata (Delos Digital, 2019).
Partecipa spesso a concorsi, ed è presente coi suoi racconti e poesie in molte antologie collettive
Leggi altro di Cristina Biolcati
Il suono delle sue ferite Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniTalia, la figlia del fabbricante di bambole Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniL'uomo di marmellata Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniUna mano negli abissi Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniCome zombie al Madame Tussauds Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniDove dormono le fate Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniPiccole lucciole Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniSe Robin Hood sapesse Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniLà qualcuno è morto Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
Correlato a Le congetture di Bonelli
Categorie correlate
Recensioni su Le congetture di Bonelli
0 valutazioni0 recensioni
Anteprima del libro
Le congetture di Bonelli - Cristina Biolcati
A papà: a lui Bonelli sarebbe piaciuto.
Prologo
– Sarà meglio che ti sbrighi. Stai facendo tardi!
La voce di Annelise era suadente. Risoluta, sebbene contraddittoria. Avrebbe voluto trattenerlo, nonostante dicesse altro. Le mani avvinghiate a quel corpo, di cui non era mai sazia.
– E perché mi dovrei preoccupare? – chiedeva lui, fintamente stupito. – Là dentro il capo sono io.
Ma anche le mani dell’uomo non lasciavano le sue. Anzi, lui si protendeva, la baciava tutta.
– Umiltà e sacrificio, caro il mio signor si può fare sempre tutto. Non è forse quello che insegniamo ai nostri figli? E allora devi dare l’esempio. Avanti, in ufficio!
Suo marito si alzò dal letto, dove fino a quell’attimo era stato in intimità con lei. La baciò sulla bocca in modo lento e appassionato. Annelise sapeva che voleva imprimersi nella mente l’odore di lei. Un’essenza di muschio bianco che usava da anni ed era diventata come la sua seconda pelle.
– Tu mi farai morire, lo sai? – confessò il marito guardandola negli occhi.
Annelise sorrise deliziata e gli scompigliò i capelli. Le foto del loro matrimonio e quelle dei figli li contemplavano, disposte in bell’ordine sul mobile a fianco.
– Devi attendere soltanto poche ore – gli disse, passandogli la valigetta di pelle dalla quale lui non si separava mai.
Coi grattacapi che avevano in ufficio, sapeva che per lui la sera sarebbe giunta in fretta. E lei aveva promesso di preparargli una buona cenetta. Solo loro due, come non succedeva da tempo immemore. Ne avevano proprio bisogno.
– A che ora passa a prendere i bambini, mio padre? – chiese lui.
– Ha detto verso le sette. Così avrò tutto il tempo di mettermi in ordine. Luca è entusiasta e ha già messo da parte dei giochi. Mattia invece ha pianto. Credo sia ancora troppo piccolo per stare a dormire fuori casa.
Il marito abbozzò una smorfia, minimizzando quelle parole con un gesto spiccio della mano.
– Stai tranquilla, si abituerà – azzardò persuaso.
Si infilò il giubbotto blu e la baciò ancora una volta. Lei che, col pigiama di seta, sarebbe rimasta a poltrire qualche altro minuto in camera da letto, prima di iniziare la sua giornata.
– E io che volevo chiederti di fare un altro figlio! – furono le parole di lui, mentre lasciava la stanza.
Annelise lo guardò lusingata, ma con la stessa intensità di chi intende scongiurare un pericolo.
Ti prego, dammi tregua
pensò. Anche se non lo disse a voce alta.
E fu un peccato che non avesse esternato alcun altro pensiero, perché quella fu l’ultima volta che vide suo marito.
Capitolo 1
La giornata era stata lunga, come possono esserlo quelle delle donne che hanno dei figli piccoli, una grande casa da gestire e nessuno che le aiuti. Per il fatto di essere rimasta ad accudire i suoi bambini, Annelise, che un tempo aveva fatto la commessa in un negozio d’abbigliamento, si sentiva in dovere di occuparsi personalmente delle faccende domestiche e, al momento, non intendeva delegare il compito a nessun altro. La loro abitazione era una villetta disposta su due piani, con tante vetrate e porte da lavare; due camere da letto, due bagni, cucina, soggiorno e un piccolo studiolo dove il marito teneva le sue carte. Con l’aggiunta di due bambini, rispettivamente di cinque e tre anni, se la cavava in maniera piuttosto egregia.
La mattina quindi, dopo aver rassettato, era andata a fare un po’ di spesa e in seguito aveva portato i bambini al parco. Non mancava mai di farli distrarre all’aria aperta e lì, oramai, aveva una consolidata cerchia di amiche con cui perdeva ore a parlare del più e del meno. Quando era venuto il momento del pranzo, aveva cucinato un piatto di pasta al pomodoro per sé e per i suoi figli. Questi ultimi, sebbene si stuzzicassero a vicenda tutto il santo giorno e fossero oltremodo impegnativi, a tavola non le davano grossi problemi, mangiando un po’ di tutto. Verso le tre, mentre Luca e Mattia guardavano un cartone animato alla tv, l’aveva chiamata suo marito, per ricordare che quella sera avrebbero avuto la loro cenetta speciale
. Dopo la telefonata, Annelise era di buonumore. Lui riusciva sempre a farle desiderare che fosse arrivata l’ora d’incontrarlo. Ci sapeva fare: conosceva l’arte di ammaliare una donna.
Mentre i bambini giocavano con alcune costruzioni, giù in salotto, Annelise era salita al piano di sopra, nella sua camera da letto, e aveva aperto l’armadio. Avrebbe messo, per la cena, un abito nero, corto e con un ampio scollo sulla schiena. Non aveva avuto tempo di andare dal parrucchiere, ma avrebbe raccolto i capelli in uno chignon all’apparenza improvvisato. Solo all’apparenza, però. Le scarpe dal tacco alto, che il marito adorava, avrebbero fatto il resto.
Alle sette in punto, Aron, suo suocero, suonò il campanello.
I bambini si misero a saltellare e accolsero con entusiasmo l’arrivo del nonno. Quest’ultimo era un uomo molto affascinante, nonostante i suoi sessantacinque anni compiuti. Annelise lo aveva sempre pensato, fin da quando lo aveva conosciuto, tanto che suo marito ci era pure rimasto male quando lei glielo aveva rivelato. Per un po’ si era finto geloso, ma poi aveva capito che avere un padre di fascino, anziché un vecchio derelitto, non era affatto una punizione. Al pari di Sean Connery ne Il nome della rosa, Aron Malaspina affrontava la vita a testa alta. Come il vino, era migliorato con l’età. Annelise infatti aveva visto alcune foto di lui da giovane, ma non gli aveva riconosciuto il medesimo carisma.
Dopo avere fatto fare due o tre voli radenti a Luca, in stile aeroplano, e avere preso a cavalluccio il piccolo Mattia, Aron chiese se i due pargoli fossero pronti.
– Noi andiamo – disse alla nuora. – Così tu ti prepari e fai con comodo, cara.
Annelise li seguì fin sulla porta, col borsone con dentro alcuni giochi e i pigiami dei bambini.
– Ci ciono anche i pazzolini da enti? – chiese alla madre Mattia, tutto interessato.
– La nonna Luisa ve ne ha già comperato di nuovi, bambini – anticipò con solerzia il nonno. L’informazione fu accolta da un entusiasmante coro di approvazione, poiché quei due furbetti si erano messi in testa di battagliare per la scelta del colore. Al solito, come facevano anche a casa.
Aron le riservò un saluto incoraggiante, in uscita con le due piccole pesti. – Ti chiamo domani, cara. I ragazzi staranno benone, non aver pensieri! Io e Luisa siamo a loro completa disposizione. Trascorrete una buona serata.
E si allontanò, mentre discuteva coi nipoti sul cartone animato da vedere una volta arrivati a destinazione. I bimbi, prima di salire in auto, rivolsero uno sguardo complice alla madre che era rimasta sul vialetto a guardarli partire. Le fecero ciao e Mattia, il più audace dei due, le mandò anche un bacio, nonostante gli si fosse impigliata la piccola mano nella maglia del fratello.
Aron allacciò diligentemente i seggiolini, andò a sedersi al posto di guida e partì.
Annelise rimase a guardare i nasi schiacciati contro il vetro dei suoi figli, prima di decidersi a rientrare. Col suocero erano al sicuro. Lui era un uomo prudente e poteva contare sull’aiuto anche di nonna
Luisa. Che la loro vera nonna non era, ma lo era diventata. La donna se ne occupava sempre con piacere, essendo anch’essa una persona estremamente affidabile.
Ma verso le otto, orario in cui solitamente suo marito tornava dall’ufficio, di lui non si vide traccia. Annelise sedeva in soggiorno, tutta agghindata. I bicchieri per l’aperitivo, sistemati su un tavolino poco distante. La cena, in caldo nel forno. Lui di norma era puntuale, e lei pensò che fosse rimasto imbottigliato nel traffico, Chissà, magari in un incidente.
Attese ancora una buona mezz’ora, prima di chiamarlo al cellulare. Che, stranamente, era spento. Una fastidiosa voce metallica glielo confermò. Allora Annelise contattò l’ufficio, per sapere se era almeno partito. Ma anche lì, nessuno rispose. Erano andati a casa tutti?
Alle nove e venti si decise a chiamare Aron, senza riuscire a nascondere la sua preoccupazione. Lui la informò che i bambini stavano bene e che si divertivano. E, stando alle grida che si udivano, doveva essere vero. Le raccomandò anche di stare tranquilla. Suo figlio poteva avere avuto un contrattempo qualsiasi. Annelise però sentiva che gli era successo qualcosa. Erano sposati da sei anni e mai che lui avesse ritardato una volta senza avvertire.
Rimase sulle spine fino alle dieci, incerta se chiamare la polizia e allertare tutti gli ospedali. Poi, finalmente il telefono si mise a squillare. Ma non era suo marito.
Era suo suocero.
– Stai calma – esordì. E a lei sfuggì un grido soffocato.
L’uomo riprese fiato, in sottofondo le voci di bambini, ma più smorzate rispetto al pomeriggio.
– Renato è stato rapito..
Una rivelazione lapidaria che ad Annelise si conficcò nel petto come fosse stata un pugnale.
Balbettò qualcosa. Chiese come, cosa? In modo sconnesso.
– Ci hanno appena chiamato i rapitori. Non vogliono assolutamente che venga avvertita la polizia, altrimenti lo uccidono. Esigono due milioni di euro entro domani sera. Dicono anche che se facciamo tutto per bene, lo rilasceranno e non gli faranno alcun male.
Annelise sentì la stanza roteare e inghiottirla. Avrebbe voluto dire tante cose. Ma come era potuto accadere? Dove era successo? Chi aveva potuto fare una cosa simile?
I rapimenti erano in voga negli anni Ottanta dello scorso secolo. Adesso parevano eventi così lontani! E poi, suo marito dirigeva uno studio di commercialisti, non erano di certo ricchi, loro.
Ma d’un tratto le fu chiaro. Anche il motivo per cui avevano chiamato il padre e non lei, sua moglie. Aron Malaspina era proprietario di una catena di gioiellerie che portavano il suo nome. Era lui quello ricco.
– Non voglio che tu rimanga da sola, cara. Vengo subito a prenderti – le fece sapere. E prima che Annelise potesse ribattere, lui aveva già riattaccato.
E prima che Annelise potesse ridestarsi e tornare un minimo cosciente, lui era già lì, nel suo salotto. Con una donna elegante, dal vestito sexy e i tacchi alti, col viso tutto impiastricciato di trucco, che gli piangeva addosso.
– Ti porto via – le disse. – Adesso non pensare a niente: tutto andrà bene.
Come la protagonista di un incubo, Annelise seguì Aron in macchina. L’unica consolazione era che presto avrebbe almeno riabbracciato i suoi figli.
Capitolo 2
Erano passate da poco le due del pomeriggio quando Stadio Bonelli giunse alla villa. Era stato chiamato dal suo datore di lavoro, Aron Malaspina, davvero con poche ore di preavviso. Il suo unico figlio Renato, di anni trentaquattro, era stato rapito. Almeno, così aveva detto il vecchio al telefono, quando lo aveva pregato di fare dei controlli per lui e poi di raggiungerlo nella sua abitazione. Bonelli era solito lavorare con Malaspina, perché reputandosi una sorta di investigatore privato, lo aiutava con le truffe e le denunce che chi dirige una catena di gioiellerie prestigiose si trova di continuo a dover affrontare.
Stadio Bonelli non possedeva alcuna vera e propria licenza, era innegabile. Dal punto di vista delle credenziali, era come se avesse fatto un corso per corrispondenza, ma era un informatico di prim’ordine e con un fiuto micidiale. Aveva agganci e appoggi ovunque: la rete per lui non conosceva segreti. Riusciva magicamente a penetrare dappertutto.
Aron Malaspina era rimasto conquistato. Anche perché, in più di un’occasione, il quarantenne Bonelli gli aveva evitato di cadere vittima di raggiri che lo avrebbero spremuto come un limone.
Difficile, su tutti, era stato dimostrare che il brillante acquistato da una coppia vietmanita, dall’uomo come regalo per il compleanno della donna, non fosse falso come sosteneva il marito. Con un abile lavoro di analisi della telecamera interna, accurato nei minimi dettagli, Bonelli era riuscito a individuare il punto esatto della registrazione in cui la signora, distinta e tutta in ghingheri, sostituiva gli anelli. Probabilmente aveva studiato l’effetto per anni, perché era stata talmente abile che nessuno dei presenti in negozio se ne sarebbe mai accorto. Così come della modalità d’ingoiare quello vero. Qui però, per la risoluzione, c’era voluto più tempo. Ventiquattr’ore, almeno! Malaspina, alla fine, non ci aveva rimesso niente. Anzi, aveva denunciato i truffatori che erano stati messi al fresco, nell’attesa che il tempo facesse il suo corso e venisse recuperata la pietra. E così Bonelli era stato assunto.
La villa di Aron Malaspina appariva imponente. Il giardino che la costeggiava era ben curato, ma entrare lì a Stadio aveva sempre dato un po’ i brividi. Chissà perché? Come una nota stonata. Un’allegria che si finge soltanto, ma che non è reale.
Il padrone di casa venne a riceverlo con una vestaglia di velluto rosso. I capelli grigi pettinati di lato e un bicchiere in mano. Era vero che assomigliava a Sean Connery, glielo doveva riconoscere.
L’uomo lo scrutò in volto e gli fece un breve cenno di assenso. Poi si portò il dito alle labbra, in un inutile gesto di metterlo a tacere.
– Luisa sa tutto – gli disse, alludendo alla donna anziana che sedeva sul divano del soggiorno e che lui qualche volta aveva già incrociato. – Con mia nuora invece lascia parlare me.
Bonelli entrò e si accomodò sulla poltrona di fronte alla signora. Era quest’ultima una donnina dagli occhi vivaci, che vestita in modo austero, coi capelli di un incredibile (o terribile) colore rosso. A dir poco caricaturali.
Aron si allontanò e ritornò subito dopo con una giovane aggraziata, che doveva essere bella, di norma, ma in quel frangente era molto scossa e in disordine. La vestaglia a fiori copriva malamente il pigiama che ancora indossava; i capelli scuri erano arruffati e aveva gli occhi rossi.
– Questa è Annelise, la moglie di Renato – disse Aron. Mentre ci pensò lei ad andargli vicino e a tendergli una mano sorprendentemente vigorosa.
Aron Malaspina ebbe cura di far accomodare la nuora accanto alla signora Luisa, ed entrò subito nel merito della questione.
– Il tempo purtroppo non è dalla nostra – esordì, guardando Annelise. – E i rapitori ci vogliono da soli ad affrontare il tutto. Pretendono i soldi entro le sette di questa sera. Così ho chiamato ad aiutarci Stadio Bonelli, un mio collaboratore. Lui non è della polizia, ma ci potrà essere utile. È un investigatore privato –