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Cura omopatica
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Ebook122 pages1 hour

Cura omopatica

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Luca, disoccupato, inizia a lavorare come cubista in una discoteca gay dal nome Omo Sapiens. Abbattendo i suoi preconcetti scopre un mondo diverso, finché una sera incontra nel locale Alberto, amico di famiglia con la passione per i ragazzi. Da quel momento Luca dovrà convincere i suoi genitori della sua verità, contro la versione di Alberto.
Paolo Varese è nato a Roma nel 1968. Collabora con i magazine online «International Web Post» e «Alganews». Dopo aver scritto diversi racconti, nel 2013 ha superato la prima fase selettiva per il talent show Masterpiece su Rai3. Nel 2017 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio Lei.
LanguageItaliano
Release dateMar 3, 2019
ISBN9788835374398
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    Cura omopatica - Paolo Varese

    Ops

    Cura omopatica

    Lavoro. Lavoro. E poi ancora lavoro. O meglio, ricerca di lavoro, esami offerte di lavoro, risposte a offerte di lavoro che poi si rivelano sempre collaborazioni per improbabili vendite di oggetti inutili. Trovare un lavoro è diventato il mio pensiero fisso e opprimente, un concetto collegato purtroppo ad altre realtà della vita, e se qualcuno cantava chi non lavora non fa l’amore, nel mio caso chi non lavora non esce nemmeno a divertirsi. Lavoro collegato alla quotidianità, alla sopravvivenza, a ciò che questo mondo ha da offrire, a ciò che posso prendere o pretendere.

    È da molto tempo che vado avanti con questi pensieri, con questo macigno pesante, cercando tra gli annunci economici e le varie offerte di impiego o lavoro manuale, sperando di trovare una inserzione seria, che sia anche per aspiranti dog sitter purché retribuita, oppure una qualsiasi possibilità per guadagnare dei soldi, non tanti, non pretendo lo stipendio di un parlamentare, ma dei soldi.

    E invece mi ritrovo a indossare ogni giorno una camicia pulita per un qualche colloquio che non porta a nulla, e ad addormentarmi ogni sera con l’ansia che mi venga la depressione.

    Che poi più temo mi venga la depressione più sale l’ansia e più mi deprimo sul serio.

    Ai colloqui è la solita commedia: le solite frasi di circostanza, le solite domande e i soliti sguardi quando le risposte non sono in linea con ciò che gli esaminatori si attendono; la solita tiritera sulla mancanza di esperienze rilevanti, i soliti sorrisi di commiato e le usuali frasi di circostanza, del tipo ci faremo sentire noi quando cominceremo a estrarre acqua dalla luna.

    Per chi come me è esperto del settore offerte di lavoro, non di rado capita di trovare la stessa inserzione posta da una società diversa, segno inequivocabile di trappola per ricercare venditori porta a porta di acquerelli fatti dai bambini del Madagascar, con cui ti chiedono di comprare il kit e poi iniziare una strepitosa carriera da imprenditore di te stesso.

    E sì, perché quando i politici dicono che i giovani italiani non vogliono lavorare, omettono di parlare dei lavori attualmente sul mercato. È sempre facile affermare che siamo costretti a reclutare stranieri per eseguire lavori che gli italiani non vogliono fare, peccato che nessuno dica quali sono questi lavori, e la paga. Che poi, io non rifiuterei nemmeno le mansioni più umili, non chiamerei i sindacati in caso di protrazioni orarie una tantum, ma molte imprese, quando vedono che sei italiano, ti congedano con un: «Grazie, ci faremo sentire».

    Ho anche pensato di specializzarmi in accento dell’est europeo, per confondere le idee.

    Ovviamente, per concludere degnamente le mie giornate, pregne di emozioni sfibranti, la sera vado in palestra ad allenarmi, grazie ai soldi dei miei genitori, perché voglio illudermi di essere comunque socialmente vivo, attivo, e l’unico modo in cui mi sento di poter frequentare altre persone è la palestra.

    Ecco, a 27 anni, la mia giornata tipo, è spulciare giornali, controllare su Internet i vari siti per la ricerca di personale, e poi vado a smaltire le mie frustrazioni pompando i muscoli.

    Chiaramente, a risorse economiche pari a zero, ragazze e vita mondana non rientrano tra i miei interessi. Sto cominciando a soffrire di una sindrome da povertà assoluta, e non ho il coraggio di uscire con nessuno, per non correre il rischio di dover pagare io visto che non ho disponibilità di soldi. Oppure, il che è anche peggio, per non dover guardare gli altri divertirsi mentre io accampo scuse mentre frugo in tasca alla ricerca di moneta che non ho. Non ho dunque la possibilità di conoscere alcuna ragazza.

    È un circolo vizioso, e la forza di andare avanti mi deriva solo dalla consapevolezza che non sono l’unico in questa situazione. Conosco tante altre persone che per sbarcare il lunario (che poi non ho mai capito cosa significhi effettivamente) si adattano a fare mille lavori occasionali, e tutte, dall’alto della loro esperienza mi dicono le solite cose: È importante iniziare a fare qualcosa, Non conta ciò che fai ma devi cominciare a fare, e via dicendo.

    E io a giustificarmi dicendo che voglio trovare la mia strada e sfruttare le mie capacità senza dovermi accontentare, mentendo, perché in quei casi la mia immaginazione mi restituisce me stesso su un marciapiede a chiedere l’elemosina.

    Ho provato, certo che ho provato a inventarmi: a ogni occasione che mi capitava ero pronto, ad esempio ho provato a fare l’agente immobiliare, rimettendoci anche perché il rimborso spese non copriva neanche i caffè.

    Ho provato di tutto, anche a fare il rappresentante di libri, un’esperienza veramente formativa, se vuoi scegliere di lavorare per non vivere. Ricordo che, dopo essere stato selezionato da una delle tante serie società che mettono annunci di ricerca personale, ho seguito un corso intensivo di due giorni, tante belle parole, lavagne e prospetti, finché non ci hanno caricati su un pulmino, a me e agli altri due ragazzi prescelti, e ci hanno portato in un casermone popolare alla periferia di Roma.

    Ci hanno fatto scendere, e ciascuno di noi è entrato in un portone diverso, con i propri cataloghi di libri per bambini, di corsi di cucina, di corsi per il bricolage, di enciclopedie mediche per gli anziani, di selezioni di romanzi rosa ed enciclopedia dei disastri aerei marittimi e fluviali.

    Dopo aver parlato con una signora extracomunitaria, credo indiana, che non capiva l’italiano, e una ragazza che mi ha invitato ad andare a lavorare sul serio, invece di rompere le scatole alla gente, mi apre la porta una signora molto gentile, con accento del sud. In quel momento ho sentito le campane pasquali, il sole che risplendeva attraverso la porta finestra sulle scale, e il mio sorriso in quel momento avrebbe fatto invidia anche a George Clooney.

    La signora mi fa entrare, chiedendo scusa per il disordine, e mi chiede di mostrarle i cataloghi. Mentre le porgo le domande di rito su figli e casa, il mio sguardo si posa su un ragazzo sopra un divano, senza una gamba, in canottiera, col telecomando in mano, gli occhi fissi sulla televisione dall’altro lato della stanza. Un gatto dorme su una montagna di panni sopra il tavolo da pranzo, e vedo la foto di due bambini in abito da comunione. La signora gentile parla, mentre i miei occhi sono invasi dalle pareti scrostate, dalle mosche in circolo sul ragazzo. Le campane smettono di suonare, un’ombra oscura il sole, e il mio sorriso si spegne mentre la signora mi parla del marito che ha perso il lavoro, del figlio che ha perso una gamba, dell’altro che ha perso due anni di scuola. Ma è gentile, e capisco che, pur leggendo i cataloghi per non offendermi, in realtà non ha il minimo interesse in ciò che le mostro. E sfoglia, e racconta i suoi problemi, e io mi sento soffocare, ragazzo senza una gamba, gatto sui panni, mosche, tutto mi gira intorno.

    Prendo i cataloghi e ringrazio in fretta la signora per la gentilezza, dicendo che ho un appuntamento con gli altri colleghi, e scusandomi mi fiondo giù per le scale, fin quando uscito dal portone respiro a stento tra le lacrime.

    Come potevo anche solo insistere? Come si fa a convincere qualcuno a spendere soldi che non ha, per qualcosa di inutile? Vago sotto il palazzone aspettando gli altri, notando i panni stesi, i muri grigi del peggior cielo autunnale.

    Quando ritrovo i miei colleghi nessuno di loro ha concluso una vendita, e hanno entrambi un’espressione confusa.

    Non sono neanche tornato in ufficio, ho mollato cataloghi e cartelline all’autista del furgoncino e sono tornato a casa in autobus. Rapidi esordi lavorativi, rapide conclusioni.

    La mia esperienza come cameriere si è conclusa dopo aver contato i soldi ricevuti per una settimana di lavoro, orario flessibile in eccesso e compenso ridotto al minimo.

    Sono stato anche cameriere a chiamata, sempre pronto a recarmi sul posto, per ricevere in cambio promesse; le mance le teneva il titolare.

    Ho avuto esperienza come facchino, per i traslochi, nessuna certezza e puntualmente venivo chiamato quando chiamava anche il ristorante. Il problema è che a questo punto ignoro cosa io sappia o possa effettivamente fare. Ho un diploma da geometra, quindi in teoria dovrei saper tirare su almeno un progettino, magari di una cuccia per cani, ma la mia esperienza nelle costruzioni è limitata a quando giocavo con i lego.

    Oh mio Dio, proprio una bella giovinezza sto passando. La depressione è sempre in agguato, la sento, forse potrei propormi come soggetto da esaminare per la psicologia moderna. Certo, posso contare sui miei genitori, i miei cari genitori che non mi negano nulla, mi comprano vestiti, mi passano soldi.

    Non posso rimproverargli nulla davvero. Mi hanno avuto in età avanzata, sono stato accolto come un miracolo, e

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