Ti sparo i Deep?: Vita, cover e miracoli di convintissime rock band di paese
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"Ti sparo i Deep?" racconta con sarcasmo e cinismo la travagliata storia di una di queste band in varie fasi della sua mutevole esistenza, creando attraverso le sventure dei protagonisti degli esempi di presunto vittimismo e di pochezza di idee che contraddistinguono l'Italia degli anni Duemila, nella musica e non solo.
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Anteprima del libro
Ti sparo i Deep? - Francesco De Giorgi
Bradburry
2005 Adolescenti
A sedici anni, quando con un gruppo di amichetti brufolosi provano a metter su la loro prima rock-band, avvertono la necessità di essere democratici. L’unica cosa che sanno del mondo del lavoro è che il capo è sempre un perfido stronzo. Lasciano così a qualunque componente la possibilità di decidere quale canzone provare, tanto i gusti sono più o meno simili e non si corre il rischio di dover suonare qualcosa di ributtante. In genere, si parte da canzoni già strimpellate, quelle accennate nei corridoi della scuola durante le occupazioni. Knockin’on heaven’s door, ad esempio, è un grande classico degli inizi, però rigorosamente nella versione dei Guns N’Roses; Bob Dylan, questo sconosciuto, potrebbe non risultare abbastanza maledetto per l’idea di rock che ne hanno le ragazzine. E loro, malgrado l’acerba età, si considerano già nel giusto in fatto di musica. Per cui, ciao Bob, sarà per un’altra vita!
La selezione dei brani avviene per pigrizia. Ci sono dei pezzi, infatti, che qualunque giovane chitarrista attaccherebbe lo stesso durante la prova per mettere in mostra le sue qualità e le sue conoscenze. Parlo di Smells like teen spirit dei Nirvana, di Whole lotta love dei Led Zeppelin, di Basket case dei Green Day, di Smoke on the water dei Deep Purple. Tutte rigorosamente suonate con imprecisioni, però, data l’età e l’inesperienza di chi le suona, si chiude un occhio e li si perdona per non fare la parte degli esigenti fuori luogo. Ad esempio, se il ritmo del giro iniziale di Smoke on the water viene fuori un pochino frammentato, ma il giovane chitarrista mette il petto in fuori con orgoglio dopo averlo eseguito, si tende a non essere così fiscali da farglielo notare. Si deve annuire con la testa dicendogli «Bravo!». Coloro che sanno vivere al meglio riescono a fingere anche un pizzico di meraviglia in volto. Come a dire: «Non ti avrei dato due lire, invece sei un portento della natura… Noi ci inchiniamo a te, fantastico talento!».
Dopo tre mesi di sporadiche e superficiali prove, accumulata una scaletta di una decina di canzoni, è tradizione che il batterista del gruppo, non curante delle molteplici andate fuori tempo di tutti i componenti e dello scarso sincronismo esistente tra lui e il bassista, attiri l’attenzione su di sé, in un momento di pausa, per rendere pubblica una sua acuta osservazione: «Ragazzi, secondo me siamo già pronti per fare serate!». Olè! Al diavolo le minuziose attenzioni su ogni pezzo, i costosi corsi di musica, le quotidiane prove. I ragazzi sono pronti, e adesso non ce n’è più per nessuno! Lo sottolinea proprio lo stesso batterista: «Ho sentito i gruppi che ci sono in giro e devo dire che non sono migliori di noi!». Se lo dice lui, un saccente batterista minorenne, amen.
In qualche modo riescono a mettere in scaletta altri due o tre