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Maledetti dagli dei
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E-book172 pagine2 ore

Maledetti dagli dei

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Fantasy - romanzo (121 pagine) - Le abilità del capitano Lukkar Montego e di Vulco Ves Rhodaan sono richieste al Protettorato, dove numerosi omicidi hanno insanguinato i boschi a nord, territorio senza legge, conteso dagli uomini delle montagne e dai clan di orchetti.


Trovare gli assassini che seminano morte e paura nei boschi a nord del Protettorato è solo uno dei compiti affidati al capitano Lukkar Montego. In realtà i separatisti voglio un Protettorato indipendente e stanno mettendo in atto azioni sempre più eclatanti per togliere potere ai Guardiani dell’Ordine, anche alleandosi con clan di orchetti selvaggi. Lukkar non crede che i deboli orchetti possano costituire un pericolo e che le loro superstizioni possano nuocere. L’ufficiale non si sottrae e, insieme all’inseparabile camerata Ves Rhodaan, correrà sul posto dove si troverà in una situazione difficile, che rischierà d’innescare una guerra da cui il Nehar Emìon uscirà devastato.


Umberto Maggesi vive a Milano dove svolge la professione di Formatore Counselor e Mental Coach. Insegna e pratica Qwan Ki Do – kung fu vietnamita. Appassionato di lettura e scrittura fin da bambino ha pubblicato vari romanzi con case editrici quali: Stampalternativa, Delos Books, Ugo Mursia, GDS edizioni.

Redattore del periodico dell’Unione Italiana Qwan Ki Do, ha collaborato per molti anni alla rivista di settore marziale Samurai.

Ha pubblicato numerosi racconti in riviste di settore come: Tam Tam, Inchiostro, Writers Magazine, in tutte le storiche 365 racconti di Delos Books e in appendice al Giallo Mondadori.

LinguaItaliano
Data di uscita11 feb 2020
ISBN9788825411218
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    Anteprima del libro

    Maledetti dagli dei - Umberto Maggesi

    9788825410372

    1

    Periodo del Glorioso – 1355 dfc (dopo fondazione di Città)

    Caccia.

    Il pericolo respirava nelle ombre. Fiato di vittime che pretendevano giustizia. Una giustizia che faticava ad arrivare fino a quei boschi. Le cime rocciose, dove erano scolpite le dimore dei Golck Haiarack, incombevano minacciose.

    I cinque cacciatori si strinsero di più al fuoco. Tre presero i corni e ne trassero lunghi sorsi. Gli altri due afferrarono le armi portandosele un po’ più vicino.

    – Paura, camerata? – domandò Lemmon, pulendosi la schiuma di birra con la manica.

    – Meno di te a quanto sembra – replicò Pennoth, l’altro umano della compagnia. I tre nani sogghignarono spavaldi, anche se gli sguardi continuavano a perlustrare il buio e le mani cercavano il conforto del contatto con le armi.

    – La paura aiuta a vivere a lungo – sentenziò Lemmon.

    – La paura blocca la mano e congela il cervello – replicò Gahyba di Collecalvo.

    – Forse a te che non sai controllarla. Se non ricordo male in battaglia stav…

    – Ti ho salvato la cotenna più di una volta!

    – È vero – confermò Dunack Sassobianco. – Al bosco della Mestizia ti ha cavato d’impiccio più di una volta. Anche giù al Protettorato, ricordo una carica goblin e il tuo culo che non sapeva se scappare, salire su un albero, o saltare in una buca, non fosse stato per Gahyba…

    – In ogni caso è meglio stare attenti – interruppe Pennoth tastando la spada come a trarne conforto. – Sono morti troppi cacciatori ultimamente.

    – Davvero troppi. Sì – rimarcò Baud figlio di Borcat.

    – Adesso basta pensare alle sventure! È stata una giornata perfetta, ottima caccia, ottimo tempo – asserì Pennoth, emettendo un sonoro rutto a sottolineare la sua soddisfazione.

    – Tutto perfetto, anche se il cervo andrebbe spalmato di miele. – Dunnack aveva lasciato metà della sua cena.

    – Voi nani mettereste il miele anche sul pesce – rimproverò Pennoth servendosi dalla piccola botte di birra.

    – No, ma sul cervo ci sta benissimo e un po’ di erbe del Tricorno. I miei cuochi fanno faville con quelle.

    – Ottimo la prossima volta cucinerai tu.

    – Io non ho mai cucinato in vita mia – protestò il nano lanciando cenni di intesa ai due cospeciali. – I Sassobianco possono permettersi camerieri e sguatteri, al massimo potremo porta…

    – Smettila di atteggiarti! – lo redarguì Lammon. L’umano sopportava a stento i ricconi con la puzza sotto il naso. Dunack Sassobianco era un ottimo compagno di caccia e di bevute, ma quando tornava a Città ridiventava l’alto funzionario dalle frequentazioni importanti. Se cominciava a fare lo spandimmerda anche durante le loro uscite, doveva prendere in considerazione l’idea di lasciarlo a casa. – Siamo sulle montagne, abbiamo fatto un’ottima caccia. – Indicò le pelli di lupo scuoiate messe a seccare. – La carne è ottima. La birra è fredda, questi sono i piaceri della vita. Puoi tenerti il tuo oro e i tuoi privilegi!

    – Certo, certo, intanto la birra viene dalle mie botti.

    I quattro compari presero a deriderlo lanciandogli pezzetti di carne.

    – Mio lord, saremo degni di dormire con te questa notte? – domandò Ghayba.

    – Oppure preferisci che ti costruiamo un letto? – rincarò Lemmon gettando le ossa al nano.

    – Smettetela, accidenti!

    – Perché non chiami i tuoi camerieri e sguatteri a farci smettere? – intervenne Pennoth.

    – Ti preferivo in guerra! – s’intromise Baud figlio di Borcat. – Non avevi tutti questi atteggiamenti da nobilnano dei miei stivali.

    – Io non ho atteggiamenti! Io sono un nobi…

    La sparata di Dunack Sassobianco fu interrotta dal rumore di un sibilo seguita dall’impatto. Una freccia comparve nel torace del nano, uscendone dall’altra parte. Il nobilnano gorgogliò di sorpresa.

    Altro sibilo e impatto. Questa volta il Collo di Baud figlio di Borcat fu attraversato da qualcosa di bianco che proseguì la sua strada nel buio fra gli aghifoglia. Dalla gola spruzzò un fiotto di sangue che si perse nel buio.

    I tre superstiti rotolarono sul terreno mettendo mano alle armi. Non erano sprovveduti e le balestre erano pronte al tiro. Pennoth fu il primo ad afferrare l’arma, l’alzò pronto a colpire, ma il buio non mostrò alcun bersaglio. In compenso lui era un ottimo obiettivo così illuminato dalle fiamme. La freccia gli attraversò la nuca uscendo dall’altra parte, portandosi via l’occhio destro. L’uomo emise un rantolo, cercò di afferrare il fusto di legno, poi cadde a morire nella terra.

    Ghayba di Collecalvo si era attestato dietro una roccia, ascia bipenne in mano lanciava sguardi intorno, cercando di spingere la vista oltre il muro del buio. Il nulla restituì i suoi sguardi.

    Lemmon strisciò al margine del campo, cercando di fare meno rumore possibile, era arrivato al limite della luce del fuoco, quando qualcosa di freddo gli toccò la gola. Una lama! Acciaio affilato che corteggiava la sua pelle.

    – Prendete ciò che volete! Prendete tutto! – implorò disperato.

    – Certo – rispose una voce. – Prendiamo tutto.

    La lama tranciò pelle, arterie e tendini, scavò in profondità fino ad aprire la laringe. L’assassino non si prese la briga di finire l’umano, abbandonandolo a soffocare nel suo sangue.

    L’ultimo superstite della compagnia tremava, cercava di farsi piccolo dietro alla roccia, di scomparire sperando di non essere notato. Non vide l’ombra che scivolava dietro di lui. Non avvertì il leggero cigolio della corda dell’arco che veniva tesa. Sentì il sibilo e qualcosa che lo colpiva alla schiena, come un calcio che lo mandò a sbattere il grugno contro la roccia. La punta della freccia spuntava di due dita dallo sterno. Non voleva morire Ghayba, aveva così tanto da fare ancora, cercò di aggrapparsi alla pietra, tirarsi su per fuggire. Ma la vita stava già uscendo da lui, portandosi dietro pensieri e speranze, fino a lasciarlo vuoto.

    Lemmon stava morendo, lo sapeva bene e non era neppure tanto terrorizzato quanto avrebbe supposto. Vide due ombre che si avvicinarono alle pelli di lupo. Una mano accarezzò il pelo fino al muso. L’uomo non vedeva bene. La tenebra si stava chiudendo su di lui a prepararlo per la morte. L’ultima cosa che sentì fu un grido di dolore.

    No.

    Non un grido. Un ululato. Un verso bestiale che si spanse fra ogni tronco, ramo e foglia di quei boschi. Forse altri ululati risposero all’intorno, dalle cime delle montagne alle valli bagnate dai torrenti. Lemmon non lo avrebbe mai saputo, ormai la sua linh aveva cominciato il Grande Viaggio.

    2

    Il capitano Lukkar Montego entrò nell’ampia piazza d’arme del comando, con un balzo scese dal cavallo tirandolo verso le stalle per le briglie. Intorno Guardiani, sottoufficiali e ufficiali si allenavano con spade spuntate e bastoni. Il ritmo dei colpi era una musica rassicurante per lui, rappresentava l’efficienza del corpo e la garanzia di avere validi compagni al fianco.

    – Camerata i miei rispetti – salutò Vulco, mentre trascinava il sauro per le briglie.

    Il cavallo sbuffò e il sauro emise un gorgoglio di scontento. Sauri e cavalli non si sopportavano, ma quelli erano bestie da combattimento, addestrate a tollerarsi.

    – Vulco! Convocato dal gran capo?

    – Esatto, anche tu?

    – Sì, con estrema urgenza!

    – Ci sarà qualche rogna grossa come una montagna e toccherà a noi sbrogliarla – si lamentò il goblin, legando il sauro al suo posto.

    – Chiamano i migliori quando la faccenda si fa grossa – esclamò l’umano.

    – Oppure i più sacrificabili… ci vediamo nel suo ufficio.

    Il comandante in campo Tian Verimhaar li fece entrare immediatamente. Con lui c’era un uomo massiccio dalla folta barba nera. Vestiva una divisa nuova, ma del tipo pesante. Un po’ fuori luogo in quella stagione.

    – Vi presento Lothar Manneiterr maresciallo alla questura di Heasegard.

    I due capitani scattarono rigidi nel saluto. L’altro li liberò con un cenno. Poi il superiore invitò tutti a sedersi.

    – Abbiamo un problema su al Protettorato – esordì. – Anzi nelle valli di Montefalce. Ci sono stati degli omicidi, ventitré, da meno di un anno a questa parte.

    – Ribelli Haiarack? – chiese Vulco.

    – Lothar… – invitò il comandante.

    – Non credo capitani. – La voce dell’uomo era roca e profonda. – I pastori, i raccoglitori di resina e la gente di passaggio non è mai stata attaccata, sembra… sembra che gli obiettivi siano i cacciatori. Due notti fa hanno ucciso gli ultimi cinque.

    – Avete mandato qualcuno a controllare?

    – Qualcuno? Certo che abbiamo mandato qualcuno! – L’uomo divenne rosso. – Squadre insieme a esploratori nati e cresciuti in quei posti. Fino a un’intera compagnia che ha battuto tutti i boschi di aghifoglia intorno a Montefalce, … almeno fino a dove riusciamo a spingerci senza finire nelle grinfie degli Haiarack. Più di un periodo di battute! Non abbiamo trovato niente, non una traccia, non un segno di passaggio, neppure un minimo capello o pelo!

    – Come vengono uccisi? – s’interessò Lukkar.

    – Per lo più con frecce, in qualche caso finiti con lame. La maggior parte delle volte assaltano i bivacchi, ma è capitato che li sorprendessero a uno a uno mentre cacciavano.

    – Avete stabilito chi ha fabbricato le frecce?

    – Non le lasciano. Hanno cura di toglierle tutte.

    – Come attaccano i bivacchi?

    – E che ne so di come attaccano! Non sono mica lì.

    Lukkar Montego sospirò, piegando il tono a una parvenza di rispetto.

    – Se le ferite mostrano che le frecce provengono tutte dall’esterno allora vengono accerchiati. Se invece sono colpiti indifferentemente alla schiena e al petto, allora assaltano il bivacco.

    – Va bene Montego – intervenne Verimhaar. – Avrai modo di controllare personalmente queste cose. Andrete entrambi lassù.

    – Solo noi? – chiese Vulco.

    – Sì, solo voi, ma avrete tutta la collaborazione dalla questura.

    L’unico occhio del comandante si posò sul maresciallo che annuì seccamente.

    – Molto bene, maresciallo, se ci vuole scusare un attimo devo dare le ultime disposizioni ai miei.

    – Certamente comandante, io vado a preparare il cavallo, partiremo appena avete finito.

    Il comandante Verimhaar si alzò, stringendo i denti contro il nugolo di dolori che ogni movimento risvegliava nelle sue ossa.

    – Ci sono altri motivi d’interesse per noi – cominciò senza soluzione di continuità. – Il Protettorato ci sta dando molto da pensare. I separatisti sono molto forti e abbiamo ragione di credere che si siano alleati ai clan di orchetti.

    – Orchetti? – domandò Vulco. – Ci preoccupiamo degli orchetti?

    – Gli orchetti che vivono nei boschi non sono come quelli che conoscete, se poi si armano, cominciano a destare, se non la preoccupazione, almeno l’attenzione del comando. Ci sono state delle scaramucce a ovest, qualche fattoria isolata o piccolo villaggio. I piccoli bastardi avevano daghe dell’Ordine.

    – Probabilmente rubate ai cadaveri.

    – No Montego, parecchie daghe e scudi adattati ai goblin. Marchiati da armaioli della capitale.

    – Volete sapere chi li ha venduti?

    – Chi li ha venduti, chi li ha consegnati, come hanno pagato, quante armi hanno. Insomma, tutte le informazioni

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