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Lilith o La città dei demoni
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Lilith o La città dei demoni

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Cosa accadrebbe se il mondo fosse un mero artificio e la realtà e la verità risiedessero altrove? Una crepa spacca il mondo dall’alba della sua creazione, un lotta impari rischia di sovvertire l’ordine. A difendere il pianeta, vessati oltre ogni dire, i demoni. I quali dal basso della loro condizione negletta, sfidano oltre ogni convenzione lo status quo in attesa di emergere e possibilmente ristabilire la verità.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJan 30, 2020
ISBN9788831655101
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    Lilith o La città dei demoni - Alessio Salerno

    perché.

    Capitolo 1 - Amon – La notizia

    Un sommesso mugolare, un tossicchiare gorgogliante, rumore di liquidi che si riversano al suolo: poi, nuovamente silenzio.

    - Signore – fece la piccola figura seduta a gambe incrociate a terra, avvolta in una scura tunica, cercando di richiamare l’attenzione del suo padrone, assiso sul colossale scranno poco lontano.

    - Ho sentito – dichiarò il potente marchese Amon in risposta, spalancando gli occhi grandi e dal taglio obliquo. Sedeva a gambe incrociate, un gomito sul poggiamano, il volto premuto contro il pugno chiuso.

    - Perdonatemi – si scusò l’altro chinando il capo, - quasi m’era parso che dormiste. –

    - In effetti credo d’essermi assopito, seppur per poco – ammise Amon, fissando le fiamme che si alzavano dal braciere al centro della stanza ovale, unica fonte d’illuminazione dell’ambiente. -Mi pare d’aver sognato … o forse il mio spirito s’è separato dal corpo e allontanato per un po'. –Rise sommessamente per poi proseguire: - Ho rivisto una pazza donna che un tempo scaldò le mie notti in riva al mare, investita dai raggi di una luna splendente, le acque che le lambivano i piedi nudi. Subito dopo però s’è parato allo sguardo il volto ghignante del mio antico nemico, non più in catene, nuovamente libero. –

    Fu la volta dell’altro di ridere. – Sarebbe arduo stabilire – disse – se si sia trattato effettivamente di visioni o di immagini prodotte dalla vostra mente a riposo, ma giurerei di conoscere ambedue i nomi di coloro cui vi riferite. E, perdonate l’ardire, com’è vero che mi chiamo Xaphan, temo che entrambi potrete reincontrarli, per l’appunto, solo in sogno. –

    -Dici bene – fece Amon compiaciuto. – Del resto, se non apprezzassi tanto il tuo acume, non ti avrei designato mio primo consigliere. –

    Ciò detto il marchese si sollevò in piedi mentre Xaphan mormorava qualche parola di ringraziamento. Fissò ancora qualche istante le fiamme attraverso cui vedeva gli ultimi stralci di visioni balenargli allo sguardo, poi, scrollando il capo, ne scacciò i residui. Da tempo non aveva notizie di Lilith, ma riconosceva come ognuno fosse padrone e artefice del proprio destino e non dovesse necessariamente renderne partecipi gli altri. Quanto ad Abaddon…al momento non gli era possibile, ma prima o poi l’avrebbe avuto tra le mani: e quel giorno gliel’avrebbe fatta vedere.

    Sollevò il capo scrutando le informi e danzanti ombre che si producevano tra le scabre superfici delle pareti e del soffitto della sala, scavata lungo tempo addietro nella viva roccia, così come buona parte dell’intero suo palazzo, poi avanzò a passo deciso portandosi presso l’antico braciere, seguito a breve distanza da Xaphan, nel frattempo rizzatosi. Postosi dinnanzi le fiamme, Amon sollevò lo sguardo e, plaudendo debolmente, fece: - I miei complimenti, Addayo, stai dimostrando una tempra degna dei più valorosi! Poco fa m’è parso di sentirti mugolare qualcosa… desideravi forse comunicarmi alcuni degli illuminati pensieri che certo avranno solcato la tua mente in queste ore di riflessione? Parla pure, ma bada – proseguì mutando l’intonazione da apparentemente affabile a dura e tagliente, - fa’ che le tue parole giungano al mio orecchio come il suono dell’acqua che scorre, o troverò nuovi e più appropriati sistemi per castigarti. –

    In alto, si poteva scorgere un corpo appeso alla parete. Le fiamme sfioravano appena i suoi piedi, giungendo solo di rado a gettare luce sull’intera figura. Chi fosse entrato nella sala certo non l’avrebbe notato, se non dopo che i suoi occhi si fossero abituati all’oscurità o avesse alzato il volto… a meno che non si fosse scorta la pozza di sangue prodottasi giusto sotto di lui.

    Questo perché Addayo non si trovava lassù per diletto, ma perché due grosse sbarre di metallo, una a metà della clavicola sinistra, l’altra tra le ultime costole sulla destra, perforavano il suo torace andando a conficcarsi in profondità nel muro di pietra alle sue spalle. Una stringa di cuoio serrava il collo dello sventurato: da questa si dipartivano due corte catene terminanti in stretti anelli metallici che bloccavano i suoi polsi, in modo che questi non potesse lasciare ciondoloni le braccia senza rischiare il soffocamento, né tentasse di estrarre le spranghe.

    Dopo aver parlato, il marchese pose i pugni sui fianchi aspettando una risposta, e così il suo consigliere, entrambi i volti sollevati in direzione di Addayo. Amon era molto alto e possedeva una figura massiccia, dalla muscolatura ben sviluppata, la pelle bruna ricoperta di cicatrici di ogni foggia e dimensione. Era totalmente privo di peluria sul torace e sulle braccia come pure sul volto, benché dalla vita in giù fosse interamente ricoperto da un vero e proprio vello scuro ed ispido che avvolgeva pure buona parte della sua coda, lunga tre quarti della sua altezza e costantemente in movimento. Al contrario del suo padrone, Xaphan era minuto e sottile, di bassa statura. Quasi a voler indicare che il suo ruolo alla corte del marchese fosse più di strategia che d’azione, il capo era sproporzionatamente grande in rapporto alle dimensioni del corpo e il suo volto campeggiava su un’enorme sfera quasi completamente glabra e chiazzata qua e là da macchie di color rosso vermiglio.

    Dopo interminabili secondi, Addayo sollevò di poco il capo. Il volto risultava celato dalla folta e scarmigliata criniera scura, ma Amon avrebbe giurato di poter scorgere ugualmente gli occhi dell’uomo appeso, stretti e lucidi per dolore, ma vigili e attenti.

    - Sì, signore – disse lamentandosi Addayo, gocce di sangue che stillavano dalle sue labbra andando ad alimentare la pozza. – Credo d’aver capito… ho sbagliato, lo ammetto… non dovevo disubbidirvi, merito questo tormento… ma temo di non poter resistere oltre… sono allo stremo… perciò vi imploro, se avete intenzione di lasciarmi in questo stato ancora a lungo… siate clemente e portatemi la morte… voi, con le vostre mani…-

    Amon sollevò perplesso le sopracciglia incrociando le braccia – Che dici, Addayo? – fece. – Preghi che ti uccida? Perché dovrei? Ho fatto in modo che le tue mani fossero sufficientemente libere, affinché potessi squarciarti la gola nel caso non riuscissi a sostenere il giusto prezzo per le tue colpe… nel caso il trattamento non fosse di tuo gradimento– concluse sorridendo maligno.

    - Comprendo, signore. – riprese affannosamente Addayo. – Vi sono grato per tanta magnanimità… ma i membri delle legioni al vostro servizio non si uccidono… cadono in battaglia, o finiscono giustiziati… non posso togliermi la vita… significherebbe oltraggiarvi… ma spirare per vostra mano… quello sarebbe un onore!-   

    Amon scosse contrariato il capo, prendendo poi a ridacchiare. – Vedi Addayo – disse, – il dolore deve averti reso folle, eppure le tue parole hanno avuto il potere di farmi tornare alla memoria diverse cose. Ti va di ascoltarmi? Ma che dico… tempo ne hai a sufficienza!–

    - Sarà un piacere, signore – riuscì a farsi strada l’esile risposta d'Addayo attraverso la derisoria risata del marchese.

    - Bene allora – fece questi – mi piacerebbe ricordarti come, lungo tempo fa, io e i miei fratelli si sia presa parte alla Ribellione che ci condusse, semisconfitti, a riparare in questo freddo regno, dove la luce quasi non arriva. Al tempo credi forse che sia strisciato ai piedi di qualcuno dei nostri avversari implorando clemenza, o che abbia tentato di filarmela alla chetichella pur di mettere al sicuro la pelle? Ah! Giammai! Sono un guerriero, di nome e di fatto! Non sono mai indietreggiato dinnanzi il pericolo, né ho mai formulato pensieri di resa: solo così ho potuto raggiungere sempre la vittoria. Durante la Ribellione ho proseguito fino allo stremo a menare colpi su colpi, le ali strappate, le braccia spezzate e le gambe martoriate, brani di carne che penzolavano dal mio corpo come lingue, il sangue che scendeva sugli occhi dalle ferite che avevo sul capo impedendomi di scorgere distintamente mentre proseguivo nel vibrare fendenti! Dopodiché sono stato scaraventato quaggiù, in questa spelonca che come saprai ho personalmente contribuito a scavare nella roccia.

    "Non puoi farti neppure una vaga idea di quanti valorosi abbia visto cadere… Compagni! Tanti di loro spirarono, mentre con tutte le energie difendevano il loro diritto a vivere contro colui che per lungo tempo ci aveva mentito e irretito con le sue false parole! E' anche grazie a loro se sono qui oggi. Mi affligge terribilmente il pensiero che i loro nomi non saranno mai tramandati al pari di quelli degli altri eroi, solo perché le loro gesta si sono svolte in un’era così remota che i più ne hanno perso memoria. Pochi contro tantissimi, una strage, e la chiamano Ribellione, quando essi intesero massacrarci! E sono uno dei superstiti di quell’epoca a poterlo testimoniare…Ma io non ho scordato nessuno e loro è come se mi sostenessero nel cimento, quasi posso vederli fiancheggiarmi, mentre avanzo sul campo di battaglia: essi mietono ancora oggi trionfi, perché ogniqualvolta prevalgo, a loro dedico la vittoria! A quel tempo dov’eri tu? Nel pensiero d’una cagna e d'una bestia in fregola, sicuramente.

    - Signore – fece debolmente Xaphan poco discosto dal marchese, ma questi volse solo il palmo della mano al consigliere senza distogliere lo sguardo da Addayo.

    - Non ho finito – disse riacquistando apparentemente la calma dopo lo sfogo di prima. – Mi rendo però conto, forse, di non riuscire a spiegarmi perfettamente. Tentiamo un nuovo approccio a quanto desidero illustrarti, Addayo. Vediamo… certo ti sarà noto il nome di Abaddon, vero? Beh, attualmente è impossibile raggiungerlo, poiché si dà il caso che sia stato imprigionato, per volere dell’Imperatore, nel più nefando recesso di questo regno: come te si è macchiato di disobbedienza, in più di un’occasione, e per questo andava severamente punito. Quella bestia! Privo d’un qualsiasi rango, di stile o portamento…eppure si dice che la sua forza e la sua ferocia siano seconde solo a quelle dell’Imperatore!

    - Signore – tentò nuovamente Xaphan, ma stavolta Amon non diede segno d’averlo udito.

    - Dimmi, Addayo – domandò il marchese, - credi forse di poter sopravvivere ad uno scontro con Abaddon?

    - Naturalmente no – si affrettò a dichiarare l’interpellato.

    - Ovviamente! – tuonò Amon . – Non serbo più alcun ricordo sui reali motivi dell’astio che corre tra noi eppure, nonostante si sia ai due opposti poli, entrambi siamo guerrieri ed il nostro destino è combattere! Combattere e vincere! Dubito che esistano catene in grado di immobilizzarlo: dunque ritengo che a frenarlo dal sottrarsi alla sua prigionia ci sia unicamente il giustificato timore che nutre nei confronti di Sua Eccellenza, che ha così per lui decretato. Non mi sognerò neppure lontanamente di essere sopraffatto da chicchessia prima d’averlo sistemato per sempre e certamente anche lui la pensa allo stesso modo. Più che annientare il mio nemico di sempre, però, desidero piuttosto conoscere chi tra noi sia il più forte… dopo la sua scomparsa temo non mi resterà che attendere l’Ultima Battaglia, Il Giorno del Giudizio, per mettermi alla prova. Questa è la mia unica ambizione! Superare me stesso, eccellere in ogni prova, trionfare sempre e comunque! Ed ugualmente è ciò che esigo da tutti coloro su cui governo! Dimmi ora: come potrai sostenere la lotta, quando verrà il tempo della Sfida Finale, se osi implorare l’eterno oblio per tanto poco dolore che ora ti riserbo? Tu, il mio membro migliore, il mio braccio destro, il mio luogotenente! Proprio tu mi hai tradito! Rispondi, miserabile verme!-

    - Signore – fece per l’ennesima volta Xaphan, stavolta alzando un poco la voce.

    Salito in collera al pensiero delle disavventure passate e a quello del suo vecchio nemico, oltre che profondamente adirato per l’insubordinazione e la dimostrazione di debolezza di Addayo, il marchese Amon scattò fulmineo artigliando il consigliere per una spalla e ringhiando: - Rischi grosso, Xaphan…!-

    Solo allora il marchese scorse una figura inginocchiata poco oltre l’unica entrata della stanza. Quel tale non faceva parte delle sue fila: ma gli stemmi che decoravano elmo e coprispalla gli suggerirono ben presto a quale seguito appartenesse.

    -Chi è costui? – fece Amon aggrottando la fronte, pur conoscendo la risposta, mollando al contempo Xaphan. Questi mosse qualche barcollante passo all’indietro e stringendosi la spalla spiegò: - Signore, ho provato ad informarvene, ma eravate troppo infervorato. Il suo nome è Baltos e come certamente avrete notato è uno degli uomini al servizio di Lilith. Pare abbia informazioni d’estrema importanza da comunicarvi, così ho pensato fosse vostro desiderio ascoltarlo subito.-

    -Molto bene, Xaphan – fece Amon, poi, secco: - Ebbene, Baltos, son tutt'orecchi.-

    Il tale si sollevò con slancio e con pochi passi decisi si parò dinnanzi al marchese: non raggiungeva la sua stessa altezza, ma era comunque di elevata statura. Aveva torace, spalle, avambracci, stinchi e capo protetti da una lucida e leggera corazza. Piegò devotamente il ginocchio di fronte al marchese, seguitando però a fissarlo con sguardo vagamente malinconico.

    - Potente marchese Amon – disse, - gloria e onore a voi! Grande è il vanto di potervi conoscere, ma infelice l’occasione che oggi mi conduce al vostro cospetto. Non ve ne terrò a parte un secondo di più, non potrei. Dovete sapere: il destino ha decretato la morte per la mia padrona.-

    Vi fu un istante di silenzio ed immobilità totali, poi la mano di Amon saettò, afferrando Baltos alla gola e sollevandolo in aria.

    - Sono proprio curioso di sapere – fece Amon quasi a se stesso, - se facendoti schizzare le cervella dalle orecchie potrei venire a capo dei reali motivi che ti conducono qui…Parla! Chi sei realmente? Cosa volevi dimostrare con questa stupida farsa? Bada di rispondere in fretta, o non ti resterà fiato a sufficienza per farlo!-

    -Signore, dico il vero – ansimò Baltos, strabuzzando gli occhi e tentando inutilmente di liberarsi dalla stretta, scrollato come un burattino. – Sono incredulo quanto voi, ma non sto mentendo…è la verità…Io e i miei compagni abbiamo condotto qui le sue spoglie…temevamo che lasciandole in pasto ad altri…non sarebbero state trattate col dovuto riguardo…-

    Amon spalancò di scatto le dita e Baltos cadde malamente al suolo, tossendo ed aspirando grandi boccate d’aria, paonazzo in volto. Amon non lo degnò della minima considerazione: aveva lo sguardo perso nel vuoto, mentre quasi disperatamente tentava di ricostruire in ogni suo minimo dettaglio l’apparizione della donna avuta pochi minuti prima.

    -Lilith… è morta?! – si chiese, incapace di credervi.

    Capitolo 2 - Agrath – La proposta

    Avanzava ancheggiando lungo il viale principale della città, conscia degli sguardi che attirava. L’illuminazione abbondante delle vetrine traboccanti merce che si susseguivano l’una all’altra disegnavano sul suo volto e sul suo corpo sfumature di ogni colore, quasi che lei fosse una modella di prim’ordine e i riflettori puntassero, meglio, anelassero a lei.

    Non cercava di distinguersi: sapeva benissimo di riuscire a spiccare al primo sguardo. Che dire di quei lunghi e lisci capelli corvini, scarmigliati e selvaggi, del delicato nasino all’insù, delle labbra rosse, carnose e seducenti e degli occhi verdi brillanti, incastonati come preziose gemme sotto le sopracciglia sottili e decise? Ogni uomo che potesse ritenersi tale provava desiderio nello scorgerla; qualunque donna con un minimo di gusto estetico restava soggiogata dal suo fascino.

    Le sue attrattive non erano però unicamente dovute alla regolarità dei lineamenti o alla perfezione nelle proporzioni: quella donna era astuta ed ingegnosa. Un occhio attento avrebbe certo potuto convincersene dallo sguardo vispo e vigile, o dalle labbra atteggiate a metà tra l’arrogante e il divertito. Quando parlava, lo faceva con poche e brevi frasi, usando termini appropriati, senza quasi lasciar intravvedere i denti piccoli e ben serrati.

    Quella sera vestiva semplicemente: una giacca in pelle nera chiusa da una zip, blue-jeans e scarpe a punta con poco tacco. Sotto gli abiti si intuivano membra sì minute, ma ben proporzionate. Nonostante l’aspetto fragile emanava da lei una straordinaria forza e sicurezza. Benché molti ambissero ad avvicinarla, Agrath – questo il suo nome, in voga presso le popolazioni che anticamente occuparono il Medio Oriente – non gradiva troppo il contatto col prossimo. Se interpellata, rivolgeva sempre qualche pronta parola in risposta, benché, con consumata maestria verbale, ponesse bene in chiaro come la presenza di chi le si rivolgeva, uomo o donna, non le fosse particolarmente gradita.

    Questo perché nel profondo se ne infischiava di chiunque, ad eccezione di se stessa. Nella sua esistenza, molto probabilmente, non aveva stretto un solo rapporto disinteressato, né l’aveva mai desiderato. Aveva sempre ottenuto quanto si prefiggeva, si trattasse di fama, denaro, favori o possedimenti, il più delle volte a scapito degli altri.

    Per le proprie mire Agrath si era servita di tutti i mezzi a disposizione, sovente macchiandosi di innominabili colpe: per via delle sue macchinazioni non pochi erano spirati senza neppure conoscerne il motivo e vari di questi vennero privati della vita dalla sua stessa mano. Aveva venduto il suo corpo prostituendosi più di una volta, senza per questo sentirsi mai violata. Aveva intinto le mani nel sangue e in malaffari. Eppure, si trattasse del più riprovevole crimine, nulla avrebbe potuto suscitare in lei minima perplessità, poiché riteneva facesse tutto parte d'una sorta di gioco, il suo gioco. Ed in effetti, da qualunque parte si

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