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Tramonto a Oriente
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Tramonto a Oriente

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About this ebook

Minako, discendente della nobile famiglia Fa, si è ritirata in monastero, dove spera di poter dimenticare il passato, ma lì verrà raggiunta dal fratello Shuǐlóng, poiché entrambi convocati nella capitale delle Tre Province. Sono passati più di 2000 anni da quando l’Imperatore di Giada ha sottomesso i draghi tramite l’Incanto, potente incantesimo che ne determina ancora oggi la sottomissione, ma la ragazza è chiamata a impossessarsene.  Riuscirà a mettere da parte l’orgoglio e obbedire agli ordini dello shōgun?
LanguageItaliano
Release dateJan 7, 2020
ISBN9788898585816
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    Tramonto a Oriente - Federico Galdi

    rappresentazione.

    Capitolo 1

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    Sonomi, antica capitale della Provincia di Chung Ryong,

    Provincia dell’Est

    2581 anni dopo l’Incanto, Primo giorno di Primavera

    ###

    Fa Minako sbuffò. La veste rituale da kodama la stringeva troppo in vita, rendendole difficile respirare in quelle condizioni. Era al suo terzo tentativo di sistemare la fascia, quando un sordo rumore di battimano la costrinse a sbrigarsi nel realizzare il nodo.

    Tenetevi pronte, piccole miko! gridò una voce alle sue spalle. Min si voltò verso il fondo del padiglione dove una monaca bassa, con i capelli grigi acconciati nella crocchia rituale e il volto coperto di rughe avanzava indossando gli abiti bianchi e azzurri dell’Ordine del Chi Curativo. Usciremo tra poco! annunciò la sacerdotessa, riservando a Fa Minako uno sguardo a metà tra il condiscendente e il preoccupato. Giovane Fa, sei sicura di poter prendere parte al Corteo?

    Min sentì dentro di sé una punta di irritazione. Ma forse era più rammarico. Era passato un anno dalla morte della sua famiglia, ma tutti la trattavano ancora come una bambolina di porcellana. Sì, venerata madre confermò, cercando di apparire risoluta.

    La sacerdotessa annuì con un solo gesto perentorio della testa, senza aggiungere altro. Mentre andava via, Min si chiese il perché di tanta fretta.

    I primi a sfilare sarebbero stati i bambini vestiti da akki, piccoli demoni che vomitavano fiamme di diversi colori. Le novizie destinate a partire per il Monastero, a cui spettava da tradizione il compito di interpretare i kodama, sarebbero uscite solo dopo i pargoli, appena fossero state certe di avere una buona distanza da loro. I piccoli correvano eccitati, agitando le armi di legno che erano state date loro per prendere parte al corteo. Minako riuscì a schivarne uno per un soffio, inciampando però nell’abito lungo da cerimonia e crollando addosso a una bambina. La piccola, nella caduta, aveva perso la sua maschera, finendo prona sul legno del padiglione a loro destinato. Min, sconsolata, la aiutò a rimettersi in piedi, sorridendole. Era molto giovane a giudicare dall’altezza. Questo è il tuo primo corteo? domandò, nella speranza di tranquillizzarla.

    La piccola annuì, prendendo di nuovo in mano la maschera da akki che Minako le porgeva. La bambina sembrava tuttavia in soggezione. Anch’io ho fatto l’akki, sai? le disse Min. Ero poco più piccola di te quando presi parte al mio primo Corteo della Redenzione.

    La bambina sgranò gli occhi. Hanno vestito da akki anche te? domandò. Ma ora sei un kodama!

    Min annuì, mentre un nuovo battito di mani richiamava tutti all’ordine. La sacerdotessa anziana sfilò nel padiglione: Bambini! Fuori, adesso!

    Minako sorrise un’ultima volta alla piccola, prima che lei si mettesse a rincorrere gli altri bambini. Tornò a concentrarsi sulla fascia, stringendola sulla vita mentre la sacerdotessa finiva di distribuire le maschere. Adesso andate! esclamò. Devo controllare gli oni e i draghi!

    Alcune ragazze emisero delle risatine, forse pensando ai giovani che nel tendone accanto si stavano preparando. Min ebbe un lieve capogiro. Provava una sensazione di netta ostilità verso le sue nuove consorelle, oche giulive che emettevano versi striduli all’idea di un uomo. Ma subito il pensiero che nessuna di loro si fosse rassegnata al voto di castità mitigò il suo sentimento.

    Ora! esclamò la monaca. Fuori!

    Una alla volta le novizie uscirono dal padiglione. Min riusciva ancora a intravedere davanti a sé i bambini che sciamavano per la viuzza che li avrebbe condotti nella strada principale, mentre rivolgevano versi e boccacce ai cittadini che guardavano divertiti lo spettacolo.

    Un modo molto diverso di fare rispetto a Min e alla consorelle, che avrebbero rappresentato i kodama come narrato nelle leggende, mostrandosi fiere e altezzose. Iniziarono a camminare, quasi in punta di piedi, lanciando sguardi freddi ai cittadini che le osservavano con un misto di ammirazione e astio. Min percorse le strade levigate fino alla piazza antistante il portone d’ingresso, dove avevano posto le bancarelle gli ambulanti che erano giunti a osservare la fiera. Fu a quel punto che lo sentì: il grido di guerra della prima metà degli uomini, gli oni. Il frastuono provocato dai tetsubō battuti contro gli scudi di bronzo cresceva dietro di lei, proprio mentre arriva a varcare l’arco d’ingresso che conduceva alla via principale.

    Ancora una volta percepì alle spalle l’urlo della folla, segno che i dragoni erano appena partiti. Il corteo raggiunse rapidamente, al punto d’arrivo davanti al palazzo, l’ancestrale dimora della sua famiglia. Davanti a sé vide i bambini prendere posto sulla sinistra dello slargo, senza smettere di agitare le armi giocattolo e facendo sberleffi alla gente divertita. Venne quindi il suo turno con le consorelle, con cui raggiunse il fondo, per poi disporsi una accanto all’altra, mentre i soldati scelti per rappresentare gli oni si avvicinavano di corsa. Di fronte ai giovani col torso nudo dipinto di pigmento rosso, alcune ragazze non trattennero delle risatine. Min scoccò loro occhiate condiscendenti che si placarono solo quando i soldati presero il loro posto.

    Fu a quel punto che avvenne. Un lungo squillo di tromba, un momento di silenzio prima che i draghi di cartapesta giungessero. Come ogni anno il loro arrivo rappresentava il momento di maggior spettacolo del corteo: ogni corporazione della città partecipava per realizzare il fantoccio migliore. Min vide dragoni rossi, azzurri, verdi e bianchi danzare davanti a lei, venendo additati dalla folla con stupore e divertimento. Quando infine giunsero nella piazza, la tradizione fece il suo corso. Lei e le sue consorelle si inchinarono, imitate dai soldati e dai bambini.

    Un nuovo squillo e l’intera città ammutolì. Le porte di Sonomi vennero aperte e un carro d’argento trainato da due cavalli iniziò a farsi largo tra le due ali di folla. Sulla sua sommità c’era l’ultima persona a prendere parte al corteo, un anziano scelto tra i saggi del posto. Era vestito di verde, con un lungo bastone e una sfera di cristallo nella mano che emanava bagliori bianchi. Rappresentava l’Imperatore di Giada, colui che aveva liberato gli umani dal giogo dei dragoni, il dio e sovrano di Wa.

    Il carro si fermò al centro degli schieramenti del corteo, mentre i draghi di carta iniziavano a muoversi in circolo attorno a esso. L’imperatore batté per terra il suo bastone e i draghi si fermarono. L’anziano si girò per osservare la folla. Sorgete, fratelli! gridò. Perché oggi è il giorno della Redenzione.

    La popolazione si voltò verso il carro, dove l’uomo aveva sollevato la sfera. Più di duemilacinquecento anni fa gli umani vivevano nel terrore narrò. Erano schiavi degli avidi akki e dei lunatici kodama. I feroci oni erano i loro cani da guardia, crudeli e selvaggi oltre ogni dire! Ma tutti loro erano dominati da un padrone ancora più crudele: i malvagi draghi!

    I danzatori sotto i pupazzi dei draghi si agitarono, mentre le trombe squillavano di nuovo, imitando il verso degli animali. L’anziano alzò la mano con la sfera, sorridendo. Fu allora che gli umani si ribellarono. Ruppero le loro catene e, soli contro i mostri, lottarono per la propria libertà. Le trombe smisero di suonare, sostituite dal tamburo. Fu in quel momento che entrò l’esercito. Prima i consiglieri e i comandanti, quindi i lancieri e i balestrieri.

    Min spostò lo sguardo, cercando suo fratello. Non era alla testa dell’esercito come si sarebbe aspettata.

    Delusa, osservò i militi schierarsi attorno al palco, proteggendo il carro dell’Imperatore. L’uomo lasciò cadere il bastone. Era il segnale per lei e tutte le persone mascherate: gli akki, i kodama e gli oni iniziarono ad agitarsi attorno ai soldati. L’anziano riprese a parlare, mentre la luce del globo si faceva più intensa. La guerra fu dura. Diverse generazioni perirono nella lotta contro i mostri alleati. Ma fu solo quando io, l’Imperatore di Giada, mi unii alla lotta che le sorti dello scontro si ribaltarono. Per secoli avevo assistito alla crudeltà dei dragoni, aiutando gli umani come potevo. Io e gli altri immortali, i saggi Kami, lasciammo l’isola di Penglai, decisi a punire quegli esseri che non meritavano il dono dell’intelletto.

    Con un gesto secco il sacerdote buttò a terra la sfera, facendola esplodere in mille pezzi, mentre una luce bianca finiva per accecare i presenti. La folla esultò.

    Il mio Incanto colpì i draghi e li privò della favella e dell’intelligenza. Li ridussi allo stato di bestie, aizzandoli contro i loro stessi alleati narrò l’anziano. Akki, kodama e oni vennero respinti, sparirono dove il sole va a morire e non fecero più ritorno. E i draghi? Loro, che un tempo furono nostri padroni, una volta divenuti bestie furono addomesticati e costretti a servire l’uomo. Chi li domava otteneva il titolo di samurai! E loro divennero lo scudo e la spada che protessero i cinque shōgun, i prescelti che guidarono la ribellione! il sacerdote alzò le braccia, indicando qualcosa verso occidente. Mirate!, gridò.

    Fu a quel punto che i draghi volarono sulla città. Erano dodici, uno per ogni famiglia di samurai presente a Sonomi, guidati da uno splendido esemplare dalle scaglie bianche con corna di cervo, il cui corpo robusto spiccava in mezzo agli altri, più sinuosi e aggraziati.

    Era Kouka, il drago del nuovo daimyō di Sonomi, Fa Shuǐlóng, fratello di Min. Lei, in ginocchio, lo osservò mentre conduceva la sua cavalcatura nella piazza, vestito con la stessa armatura che fino a poco tempo prima era stata di loro padre. Uno alla volta, anche gli altri draghi la seguirono. L’uomo vestito come l’Imperatore di Giada esultò. Gioite fratelli e sorelle! Perché degli umani è ora il destino del mondo! Perché oggi è il Giorno della Redenzione!

    A quel punto le persone che avevano partecipato al corteo si tolsero le maschere e lasciarono le armi, mentre gli spettatori entravano nella piazza mescolandosi con i partecipanti del corteo. I bambini si diressero gioiosi verso Kouka e gli altri draghi per accarezzarli mentre Shuǐlóng smontava dalla sella, scompigliando i capelli di uno dei piccoli e cercando Min con lo sguardo, che nel frattempo aveva raggiunto il dragone.

    Le sorrise, mentre lei si avvicinava e lo abbracciava. Gli ultimi mesi avevano reso il pizzetto e i capelli di suo fratello striati di grigio. L’uomo appariva comunque alto e in salute, col solito sorriso cordiale che stonava con la pesante armatura laccata di bianco e rosa, i colori della loro città. Shuǐlóng le avvicinò la bocca all’orecchio: Shiokiba sta aspettando qui vicino le sussurrò. Ti va di fare una gara?

    Min sorrise, sardonica, tirando con due dita il bavero dell’abito cerimoniale. Vuoi approfittarti dei miei movimenti limitati, vero?

    Shuǐlóng fece spallucce. Paura di perdere, sorellina?

    Per tutta risposta, Minako tirò fuori la lingua, causando una reazione di forte imbarazzo nei presenti. Ti straccerò comunque promise.

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    Shiokiba era un drago nato per il volo. Il suo corpo era lungo, sinuoso e affusolato, quasi incapace di fare resistenza all’aria. Min si appiattì contro le scaglie rosa, cercando di darle la direzione con l’anca. Kiba reagì al suo comando stendendo gli arti e irrigidendo il corpo. Davanti a loro si trovava il colle che avevano scelto come traguardo. Si voltò, osservando suo fratello in groppa a Kouka, distanziato ma ancora in corsa. Nonostante fosse un massiccio drago da guerra, la cavalcatura di suo fratello era sempre stata agile.

    Allora, sorellina! gridò accarezzando il collo di Kiba, facciamogli mangiare la polvere! serrò le braccia attorno alla dragonessa, stringendo le ginocchia e dando un colpo coi talloni. Shiokiba aumentò la velocità. In un istante fu sopra al colle, iniziando la discesa e toccando il terreno quando il suo inseguitore era ancora in aria.

    Min scese dalla groppa della dragonessa lanciando un grido di festa e le abbracciò il collo, sentendo salire dalla sua gola dei versi di approvazione.

    Minako fece un passo indietro per mostrare un sorriso alla sua compagna. Le tornò in mente quando il suo uovo si era schiuso, il giorno del suo terzo compleanno. All’epoca l’aspetto glabro e rosato della cucciola le aveva trasmesso una sensazione di paura, nonostante fosse consapevole delle solennità del momento. Per i membri delle famiglie nobili la nascita del proprio drago era il momento in cui conoscevano quello che sarebbe stato un compagno fidato per il resto della vita. Con la crescita Shiokiba aveva mostrato le splendide scaglie bianco rosate della sua stirpe, attirando numerosi pretendenti e richieste di matrimonio per Min. Ma suo padre non aveva mai accettato alcuna proposta. Almeno fino a poco prima della sua morte.

    Kiba è sempre stata la più veloce della famiglia esclamò la voce di Shuǐlóng. Min si voltò, annuendo al fratello che scendeva dalla groppa del suo drago. Lo osservò accarezzare i fianchi di Kouka. Potrebbe competere nella corsa del prossimo anno le disse. Mi renderesti orgoglioso.

    Min storse la bocca. Nostro padre non voleva, lo sai gli ricordò, nonostante la tentazione di competere fosse stata forte in passato. Non sarebbe appropriato.

    Shuǐlóng annuì. Lo vide togliersi la spada di famiglia dalla cintura per poi sedersi a terra, facendo cenno alla sorella di imitarlo. Lei acconsentì, mentre Kiba li avvolgeva con le loro spire e Kouka si teneva in disparte, leccandosi le zampe.

    Per qualche momento Min rimase in silenzio, nella speranza che il fratello fosse il primo a parlare. Fu solo quando iniziò a osservare il ricamo sul fodero della spada che non riuscì a trattenere un sospiro. Pochi mesi prima lei e quel pezzo di ferro avevano lo stesso valore.

    Shuǐlóng se ne accorse, guardandola. Stai bene?

    mentì lei. Sono solo stanca. Il corteo, la gara. La giornata è stata impegnativa.

    Il fratello non parve del tutto convinto della risposta. Sai che domani dovrò ripartire, non è vero?

    Min annuì. Sapeva che suo fratello doveva raggiungere la Provincia del Sud. Così come capiva di essere lei una delle cause di quella spedizione punitiva.

    Potresti non farlo, sai? gli disse. Potresti stare a casa. Con tua moglie. So che Maiko aspetta un altro bambino.

    Shuǐlóng sorrise in maniera stanca. Nostro padre non avrebbe gradito disse. Una popolana che diventa la dama del Palazzo sarebbe stato riprovevole per lui.

    Nostro padre non avrebbe gradito tante cose mormorò Minako. Non avrebbe gradito vederti vestire la sua armatura e portare la sua spada. Tanto meno avrebbe gradito saperti suo successore. Quindi non credo sia il miglior esempio per iniziare la tua nuova vita.

    La risata di suo fratello si distese. Per qualche momento Shuǐlóng rimase a contemplare in silenzio la piana di fronte a sé. Era qualcosa che Minako non comprendeva, ma che gli aveva sempre invidiato. Quella capacità, avuta sin dall’infanzia, di cogliere qualcosa in oggetti e luoghi quotidiani che lei non percepiva. Aveva l’animo di un artista, e vederlo vestito per la guerra sembrava un ossimoro.

    Non riguarda solo nostro padre, Min. E lo sai, mormorò suo fratello, cingendole la spalla col braccio sinistro e stringendola a sé. I Suzaku hanno offeso la nostra famiglia, così come quella dello shōgun. Se io e i miei samurai ci sottraessimo al nostro dovere evitando di combattere pensi che Koryu ce lo perdonerebbe?

    Min storse la bocca. Il senso del dovere di Shuǐlóng non aveva niente da invidiare a quello di loro padre. Forse era l’unica cosa in cui si assomigliavano.

    E se anche volesse perdonarmi sarei il disonore della famiglia Fa continuò il fratello. Un uomo che non vuole vendicare la sua famiglia e l’onore di sua sorella.

    Min scosse la testa. Non sono morta. Non mi hanno violentata sbottò, a bassa voce. Non c’è alcun onore da difendere. In realtà, se ne avesse avuto l’occasione, sarebbe andata lei stessa a Sud per infilzare Suzaku Yuta con il suo naginata. Ma non spettava a lei quel compito. Non quella volta.

    Non è quello che pensa il popolo rispose Shuǐlóng. Il fatto che tu abbia scelto di ritirarti in monastero non aiuta.

    Indignata, Min si divincolò dalla presa del fratello, scattando in piedi. Quindi è questo che pensi? domandò. Si era tirata su troppo in fretta e la vista le si era appannata per un momento. Quando rimise a fuoco suo fratello sentiva dentro di sé più delusione che ira. Credi che passare mesi in gabbia come un animale e venir trattata alla stregua di un oggetto da scambiare sia meglio che essere violentata?

    Non sto sminuendo il tuo dolore, sorella replicò Shuǐlóng, senza scomporsi. Si alzò e si spolverò la mani, per poi posarle sulle sue spalle. So quanto hai sofferto e io ho sofferto con te, posso giurartelo. Ma se domani non parto, se il mio esercito non si unisce a quello di Koryu, la nostra famiglia ne pagherà un prezzo terribile. E tu hai già sofferto abbastanza. Maiko sta già soffrendo abbastanza. Non permetterò a nessuno di parlare ancora male dei Fa.

    Min abbassò il capo. Era consapevole di non poter fargli cambiare idea. Si avvicinò a lui, abbracciandolo. Cerca solo di non fare stupidaggini, va bene?

    Shuǐlóng annuì. E tu non far ammattire le monache.

    Per tutta risposta, Min mostrò un sorriso malizioso, allargando le spalle e distogliendo lo sguardo. Non posso promettertelo.

    Capitolo 2

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    Phuong-Hoàng, capitale dell’autoproclamato Regno dei Suzaku,

    un tempo Provincia del Sud

    2583 anni dopo l’incanto, secondo Solstizio

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    Kouka avanzava silenzioso verso il cancello principale del palazzo, Shuǐlóng si chinò dalla sella per accarezzare il dorso del drago, risalendo quindi alle sue ali candide. È quasi fatta, fratello mio sussurrò. Presto torneremo a casa.

    Il drago bianco parve ignorare il suo tocco. Kou era un Drago da Guerra, nato per combattere dopotutto. Il fumo e il caos della battaglia erano il suo ambiente naturale. L’esatto opposto di Shuǐlóng. Erano complementari, e questo aveva reso il loro legame ancora più forte. Il dragone si fermò a una certa distanza dalla porta, abbastanza da permettere al getto delle sue fiamme di raggiungere l’ingresso. Lì davanti a loro uno spesso strato di legno e acciaio difendeva ancora i Suzaku, ultima fragile resistenza prima della fine di una guerra troppo lunga. I soldati di Sonomi si affannavano per ammassare barili di polvere pirica contro il portone, senza essere contrastati dai partigiani dei Suzaku, ammassati in un luogo quasi privo di difese, che non era stato concepito per la guerra, ma per la bellezza e l’esaltazione dell’arte umana.

    Nell’oscurità della notte di novilunio Shuǐlóng riusciva ancora a vedere la sagoma delle dodici cuspidi dorate della struttura, realizzate con forme armoniose che spiccavano verso l’alto e coronate da statue in bronzo del Falco Rosso del Sud. Per lui che si era ritenuto da sempre più un artista che un guerriero, l’idea di dover danneggiare quel luogo era estranea. Una forma di violenza che doveva imporsi per tornare a casa, da sua moglie e suo figlio che non vedeva da due anni e da un altro figlio che non aveva ancora conosciuto.

    Il pensiero di Maiko e Tarou gli fece quasi dimenticare quello che doveva fare. Quasi.

    Scosse la testa e si impose di calmarsi. Tornò a guardare il portone, dove uno dei suoi luogotenenti gli segnalò di essere pronto.

    Riparate! ordinò, e strinse le redini del suo drago aspettando che i suoi si togliessero dalla traiettoria della fiammata.

    Quando non ebbe più nessun soldato davanti a sé sussurrò: Fuoco.

    Fu un attimo. Un getto di fiamme abbaglianti fuoriuscì dalle fauci del dragone. Shuǐlóng si protesse il volto, mentre udiva la deflagrazione seguita da una pioggia di schegge che gli piombava addosso. Riaprì gli occhi mentre Kouka emetteva un ruggito di vittoria. Poco alla volta il fumo iniziò a diradarsi e a quel punto ebbe la conferma di ciò che già sapeva: la polvere pirica aveva fatto il suo effetto e della porta del palazzo reale di Phuong-Hoàng non rimaneva nulla. Solo pezzi di legno bruciati e metallo fuso.

    Alzò la spada della sua famiglia, Tekkaben: Carica adesso! Fategli conoscere la furia del Drago Azzurro di Sonomi!

    Shuǐlóng vide i suoi soldati entrare nel portone e sciamare per ogni dove. Non sembrava esserci alcuna resistenza. Presto anche le urla cessarono.

    Una trappola? si chiese. Scese dal dorso del drago, affidando le redini a un attendente. Avanzò con la spada in pugno verso la porta del palazzo, scortato da due ufficiali. Varcata la soglia, si trovò di fronte a una scena inusuale. I soldati avversari erano una massa eterogenea di vecchi, storpi e feriti. Niente che potesse realmente costituire un’ultima difesa. C’era anche un singolo drago, un vecchio esemplare dalla scaglie di bronzo, immobile in un angolo della piazza. Solo un unico uomo si ergeva ancora fiero in quello scenario. Era anziano, ma ancora robusto e prestante. Era vestito con un’armatura coperta di pelle e portava con sé un testubo.

    Shuǐlóng lo riconobbe subito. Fece cenno ai suoi soldati di fermarsi. Non c’è pericolo disse, avvicinandosi all’uomo. Rinfoderò la sua spada, quindi si tolse l’elmo in segno di saluto. Generale Duong mormorò.

    L’uomo era invecchiato dall’ultima volte in cui si erano visti, durante la risoluzione di un duello d’onore. La barba era grigia e profonde rughe d’espressione solcavano il suo volto.

    Ringrazio l’Imperatore di Giada e benedico i Kami, Shuǐlóng figlio di Ohta affermò Duong. Che sia un uomo d’onore come te a varcare per primo le soglie di questo palazzo è un dono.

    Shuǐlóng chinò leggermente il capo e lanciò una rapida occhiata agli armati dietro al generale. Uomini e, cosa sorprendente, donne, emaciati e vestiti con pezzi di armature scompagnate. Figure che non potevano definirsi guerrieri. Non più almeno. Più logoro di loro era il vecchio drago di bronzo, ormai stremato e con un’ala squarciata. Vedo che i tuoi soldati sono allo stremo, constatò. Così come il tuo dragone. Posso chiederti la resa?

    Duong sorrise. Era nostra intenzione farlo! esclamò, senza trattenere un certo divertimento nella voce. Ma poco prima che potessimo issare bandiera bianca… indicò il portone distrutto, dietro al quale si intravedeva ancora Kouka, restio ad abbandonare il campo.

    Dopotutto non c’era bisogno di danneggiare il posto, pensò Shuǐlóng. Dove si trova Yuta?

    Nella sala del trono rispose Duong. Sostiene che si arrenderà solo a te o a Koreyasu.

    Era una notizia prevedibile. Shuǐlóng annuì, facendo un breve inchino a Duong. Che i Kami guidino la tua via.

    E che l’Imperatore di Giada illumini la tua rispose Duong ricambiando il saluto.

    Shuǐlóng si voltò e chiamò a sé un attendente di campo. L’uomo prescelto era giovane, ma mostrava già la pettinatura rituale di un comandate. Voglio che abbiate cura delle persone all’interno del palazzo, ordinò. Quando avrete finito di sistemare i prigionieri, avrete licenza di festeggiare la vittoria.

    Il volto del giovane si illuminò. Corse verso la propria squadra, prendendo con sé un gruppo di persone e iniziando a diffondere la notizia.

    Non potrai essere sempre così generoso, lo sai?, domandò Duong. Non puoi donare a due persone con una sola mano.

    Posso provarci però rispose Shuǐlóng con un ultimo sorriso, prima di avviarsi verso le scale che portavano alla sala del trono.

    Il pesante portone di bronzo era aperto. Sul fondo riusciva a vedere la figura grassoccia e rubizza di Yuta, l’autoproclamatosi re del Sud. L’uomo sedeva sul trono scolpito a forma di suzaku, lisciandosi nervosamente i sottili baffi neri con una mano e stringendo nell’altra un drappo

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