I topi del cimitero
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Incontriamo, fra queste pagine, topi che profanano la chiesa e compiono un solo, esecrando atto contro il Tabernacolo; un pensatore che con la sola forza della volontà mette gli astri in conflitto l’uno con l’altro; un misero commerciante che sfida la Morte in una bettola da quattro soldi; e così via: racconti dove l’azione lascia spesso il posto ai voli dell’intelletto e dello spirito verso l’utopistica meta di una comprensione più alta dell’esistenza. Sebbene si avvertano le colte influenze di Poe o di Huysmans, e un lirismo nella prosa quasi dannunziano, più che gotici verrebbe da chiamarli racconti esoterici e iniziatici, e siamo sicuri che l’autore approverebbe la definizione.
Completano il volume i racconti inediti inclusi nella seconda edizione del libro (Crudeltà, 1927).
Con all’interno le illustrazioni originali dell’autore.
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Anteprima del libro
I topi del cimitero - Carlo H. De’ Medici
Fantastica
4
Carlo H. De’ Medici
I topi del cimitero
Racconti crudeli
con le illustrazioni dell’autore
Include gli inediti di
Crudeltà
Prefazione di Federico Cenci
Titolo: I topi del cimitero (1924)
con i racconti Offerta
, Ogni sera
, L’idolo
e Madrigale
da Crudeltà (1927)
Autore: Carlo H. De’ Medici
Illustrazione di copertina e illustrazioni interne di Carlo H. De’ Medici
Progetto grafico di Cristina Barone
Lettering di copertina di Vittoria Bulzomì e Cristina Barone
isbn: 9788899729301
Prima edizione: dicembre 2019
L’editore non è riuscito in alcun modo a rintracciare eventuali titolari dei diritti dei testi e delle illustrazioni qui pubblicate; rimane a disposizione per l’assolvimento di quanto occorra nei loro confronti.
© 2019 Cliquot edizioni srl – Roma
www.cliquot.it | cliquot@cliquot.it
Carlo Hakim De’ Medici: storia di una riscoperta
Mais le saint homme
Prend un chenet, frappe & l’assomme.
C’est où l’attendoit Belzébut.
A. Piron
Quando una copia di Gomòria di Carlo H. De’ Medici, nell’edizione originale Facchi del 1921, fu recapitata all’indirizzo di Cliquot alla fine del 2017, nessuno in redazione poteva sospettare che stava per avere inizio la nostra più affascinante e rocambolesca avventura editoriale.
Ancora oggi, infatti, la nebbia di mistero che avvolge questa sfuggente figura d’autore non accenna a diradarsi: non solo perché sulla vita di Carlo H. De’ Medici c’è ancora tanto, tantissimo da scoprire, ma anche perché le poche e contraddittorie notizie di cui siamo entrati in possesso si sono spesso modificate inspiegabilmente davanti ai nostri occhi, come animate da forze imperscrutabili, mentre altre continuano con ostinazione a negarsi alla nostra conoscenza.
Se a decidere quali informazioni renderci più o meno accessibili sia, a un secolo di distanza, la volontà sovrannaturale dello scrittore stesso – che fu studioso di scienze esoteriche e alchemiche – o se si tratti semplicemente dell’accanimento del caso, è una questione che lascio alla sensibilità di ciascun lettore. Quel che è certo è che una serie di fortunate coincidenze (l’inatteso suggerimento di un nostro cliente proprio quando era disponibile una sola copia originale su eBay, il prezzo contenuto per un libro di tale rarità, e non ultimo, a ripensarci, una curiosa urgenza interiore che mi indusse a premere il pulsante dell’acquisto) portò sulla scrivania della nostra redazione l’unica copia di Gomòria disponibile in quel momento su tutto il mercato dell’antiquariato.
Il libro fu una folgorazione. Conteneva una serie di xilografie di diabolica potenza evocativa, firmate con le iniziali chm, e ricordo con chiarezza che mi bastò la lettura delle prime pagine per capire che avevo tra le mani un testo carico di una forza magnetica oscura, in cui si fondevano affanni divini e terreni, misticismo e concretezza materiale, spirito e carne. Fra tanti scrittori gotici del primo Novecento – perlopiù artigiani indulgenti con la propria scrittura, lesti fabbricanti di intrattenimento facile – ne avevo finalmente trovato uno che, oltre ad aver letto Poe, Villiers de L’Isle-Adam e Huysmans, inseriva nelle sue storie elementi inediti e personali, frutto delle sue ricerche interiori, del suo cammino iniziatico, del lungo studio di antichi testi di occultismo. E, soprattutto, uno che scriveva bene: una prosa raffinata, ponderata, mai banale, degna del miglior Decadentismo italiano.
In redazione decidemmo subito che il libro andava ripubblicato. Tuttavia, la ricerca di informazioni biografiche sull’autore si rivelò fin da subito incredibilmente difficoltosa. Inizialmente sembrava che fosse nato nel 1877, e così abbiamo scritto nella nostra prima edizione di Gomòria; nuove fonti ci inducono però a credere che la sua data di nascita sia in realtà il 29 agosto 1887. La data di morte, al contrario, è ignota (…se l’autore è in effetti morto, verrebbe lugubremente da pensare sapendolo studioso di alchimia!), e rimane uno dei tanti misteri di cui non siamo ancora venuti a capo.
Ci mettemmo in contatto con l’esperto di avanguardie artistiche Guido Andrea Pautasso, l’unico studioso che, a nostra conoscenza, avesse mai messo per iscritto il nome di Carlo H. De’ Medici. Pautasso ricostruì lo strano intreccio libresco intercorso fra l’autore e due notevoli esponenti della letteratura triestina dell’epoca, Anita Pittoni e Italo Svevo, raccontando poi le sue scoperte nella postfazione alla nostra edizione di Gomòria, alla fine del 2018.
Ma oltre a quella che potremmo definire la pista triestina
, seguimmo – e stiamo seguendo tuttora – anche una pista gradiscana
. Gradisca d’Isonzo è un comune in provincia di Gorizia che attualmente conta circa seimila abitanti e dove De’ Medici, stando alle sue stesse indicazioni nelle ultime pagine di Gomòria, scrisse parte del romanzo nel 1921.
Ci giunse prestissimo la conferma che alcune lettere autografe dell’autore erano conservate negli archivi della biblioteca civica comunale di Gradisca. Incredibilmente, cosa ci sia scritto non ci è ancora dato saperlo: una serie di scogli burocratici ci impedisce da due anni di posare gli occhi su quelle lettere. Un altro scherzo del caso o, per chi lo preferisce, di qualche volontà ultraterrena…
D’altro canto, scoprimmo che a Gradisca esiste un’imponente abitazione denominata ancora oggi Villa De’ Medici, su cui solo di recente abbiamo ottenuto alcune notizie grazie all’aiuto del gradiscano Furio Gaudiano, gestore di un b&b e appassionato ricercatore di storia locale.
Villa De’ Medici è situata in una zona abbastanza centrale dell’attuale Gradisca, ma è in posizione molto discreta, e dalla strada, quasi, non si vede. Una volta varcato il cancello e percorso il vialetto ghiaioso circondato da una fitta vegetazione che nasconde la casa agli sguardi curiosi, l’edificio principale a tre piani, con sei finestre sul lato lungo, compare alla vista in tutta la sua solida maestosità. Più discosti, altri stabili che un tempo erano adibiti a stalle e rimesse per le carrozze.
Sopra il portone è conservato ancora, miracolosamente, lo stemma dei De’ Medici, che ha poco a che vedere con quello dell’omonima casata fiorentina (se non per la comune presenza di qualche bisante) e contiene invece, dentro uno scudo più piccolo, un animale rampante sovrastato da un cane accucciato simile a quello di p. 79.
L’interno della villa è oggi molto diverso da come doveva essere agli inizi del Novecento: gli enormi saloni di un tempo hanno lasciato il posto a stanze di dimensioni più ridotte, come se la mutevolezza degli spazi fisici volesse testimoniare simbolicamente il labirintico affanno del nostro percorso verso la conoscenza di Carlo e dei suoi scritti.
In passato, inoltre, l’architettura della casa era organizzata intorno a una scala a chiocciola, posizionata in modo tale – stando a certe voci – da dare all’intera struttura un significato esoterico; purtroppo, è difficile fare supposizioni al riguardo. Si racconta però che una volta, entrando in casa, una sensitiva si arrestò improvvisamente sulla soglia, come percependo influssi sinistri…
Stando alle informazioni in nostro possesso (ma anche qui le fonti sono parzialmente discordi), la villa fu costruita proprio nell’anno di nascita di Carlo, letteralmente sulle ceneri di un’antica fabbrica di surrogati di caffè, che andò in fiamme – si disse per ‘incendio doloso’ – e la proprietà venne acquistata dal ricco banchiere parigino De’ Medici
.¹
Sull’incendio doloso sarebbe interessante indagare, se fosse mai possibile. Finora abbiamo appurato che il padre di Carlo, Giovanni Hakim (che con regio decreto del 1889 fu autorizzato a chiamarsi De’ Medici, con il diritto di estendere il cognome ai figli), era davvero un ricco banchiere ebreo parigino, mentre il nonno Giuseppe Hakim era stato amministratore della sinagoga Eliyahu Hanavi ad Alessandria d’Egitto.
Che cosa abbia portato la famiglia Hakim a spostarsi da Alessandria d’Egitto a Parigi, per poi stabilirsi in una piccola località di provincia come Gradisca, allora facente parte dell’Impero austro-ungarico, è un altro mistero. A chi si accontentasse di una risposta semplice potrei dire che Gradisca, all’epoca, ospitava una piccola comunità ebraica, residuo di un antico ghetto. A chi fosse invece più sensibile alle suggestioni sovrannaturali (e dato che questa è una raccolta di racconti gotici, mi auguro che siate in tanti) dirò invece che, secondo alcuni, Gradisca sarebbe un importante punto di snodo tra varie correnti energetiche: forze arcane che si incrociano e confluiscono sotto l’antico castello, edificato su un atipico sperone carsico isolato nella pianura noto come Sperone degli spiriti.
Poco altro è quello che abbiamo scoperto: probabilmente Carlo