C’era una volta e c’è una regina rosa 2021
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About this ebook
La Mortadella, già nota e apprezzata dagli antichi Romani, è il più sfizioso tra i salumi. Era il 24 ottobre 1661 quando il Cardinal Farnese emanò l’editto che regolamentava la produzione della Mortadella. L’editto era stato redatto per tutelare i produttori, allora tutti all’interno delle mura cittadine. I produttori di Mortadella erano raccolti nella corporazione dei Salaroli, una delle più antiche di Bologna che, già nel 1376, aveva per stemma un mortaio con relativo pestello. Dentro c’era la ricetta, ma non bastò. Nel 1720 un secondo editto ribadì chi poteva, in esclusiva, produrre la Mortadella. A chi violava tali diritti spettava una multa da 200 scudi corredata da 3 nodi di frusta. La frusta fece molto più effetto del primo editto e ancora adesso la ricetta della Mortadella è uguale. Una Regina rosa dal profumo inconfondibile, dal colore gentile e dal grasso distribuito in maniera omogenea che la rendono unica. Questi elementi sono un po’ come il coraggio, l’altruismo e la fantasia per un calciatore! Questo ebook contiene tutti i racconti finalisti del concorso letterario dedicato alla mortadella proposto all'interno della manifestazione Mortadella Please di Zola Predosa
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Book preview
C’era una volta e c’è una regina rosa 2021 - a cura di Katia Brentani e Cristina Orlandi
AA.VV.
C’era una volta e c’è… una Regina rosa
a cura di Katia Brentani e Cristina Orlandi
Prima edizione eBook 2019 © Edizioni del Loggione srl
ISBN 9788893471114
Copertina: immagine su licenza Adobestock.com elaborazione Edizioni del Loggione
Edizioni del Loggione srl
Via Piave, 60 – Modena
http://www.loggione.it – loggione@loggione.it
C’era una volta e c’è… una Regina rosa
A cura di Katia Brentani e Cristina Orlandi
INDICE
L’AUTOSTRADA… IN FUGA!
CHICCHINELLA E LA MORTADELLA
UNA DONNA PER LUIGINO
LA REGINA ROSA
IL PACCHETTINO
LA FAVOLA ROSA DI UN REGNO IN... SACCATO
STORIA DI AMORE INFINITA
UNA FETTA DI ME
LA LUNA ROSA
LA MORTADELLA DELLA IDA
AMORE AL PRIMO MORSO
AMORE DI NONNA
L’ETRUSCA
LA STIRPE DEL GUSTO
IL PRINCIPE FILIPPO E LA REGINA ROSA
I GIOIELLI DELLA REGINA
UNA GITA TRANQUILLA
MAGNA ROSA
LA PANCHINA
IO SONO MORTADELLA
QUANDO LA MORTADELLA DIVENTÒ POESIA
LA PROFEZIA
CUOR DI MORTADELLA
PROFUMO DI MORTADELLA ALL’USCITA DI SCUOLA
STORIA DELLA MORTADELLA E DEL NATALE
REGINA SEMPRE
IL ROSA È IL COLORE DEI SOGNI
SÌ, GRAZIE
L’AMORE A BOLOGNA
IL SALUME IRREPERIBILE
LA FELICITÀ
ACCADDE ALLA SAGRA
LA REGINA DI BOLOGNA
IL TOCCASANA
GIALLO E ROSA
RITORNO A CASA
LA CHIAMAVANO MORTADELLA
LA TOPOLINO… I CORTEGGIAMENTI… LA GOLIARDIA… E I PANINI
CON LA MORTADELLA
AVVOLGENTE PROFUMO
UNZIONE DI UNA PRINCIPESSA
IL FIORETTO
LE PRINCIPESSE DELLA TAVOLA
IL RAGAZZO CHE ADORAVA LA MORTADELLA
IO, LEI E GLI ALTRI
GOD SAVE THE QUEEN! ANZI… LA MORTADELLA
POLITOLOGIA AGRESTE
ALLA RICERCA DELLA MORTADELLA PERDUTA
NOTE BIOGRAFICHE AUTORI
L’AUTOSTRADA… IN FUGA!
Simona Aiuti
L’autostrada è un mondo magico è misterioso, fatto di sacrifici, grandi avventure, sogni da coltivare e un pizzico di poesia, che prende vita di notte, quando ogni colore si diluisce nel buio tra le luci dei fari, o dei mezzi di soccorso che sfrecciano spezzando il silenzio. Si scivola via tutti sul nastro nero d’asfalto, sentendosi più leggeri, là dove a volte è possibile vivere emozioni e sogni incredibili e qualche disillusione. In molti credono che ogni autista sia chiuso nella sua solitudine, ma non è affatto così. Esiste una grande solidarietà tra noi e guai a lasciare un amico in difficoltà sul nastro nero.
Io sono qui, sulla mia bestia, con un carico di mortadelle, sul mio treno di gomme a macinare chilometri in attesa di un autogrill, che sembra lontanissimo quando la stanchezza si fa sentire dopo tante ore al volante, e darei il mio braccio destro per un caffè e qualche frittella calda.
Quando il freddo si fa più pungente e magari nevica che Dio la manda, o la nebbia è come un mare di latte freddo e infido, fanno male gli occhi, la vista si sforza, ma non si può abbassare la guardia, perché bisogna portare a casa la pelle.
Ho viaggiato molto in giro per l’Europa io, e ho trovato paesaggi diversi, pessimi caffè, e lontano dall’Italia non si mangia nemmeno tanto bene, ma il cuore e la fratellanza di noi camionisti è sempre grande ovunque, non cambia mai.
Sono una donna in fuga io, con il mutuo troppo grande da pagare, un ex marito più attaccato alla bottiglia che alla famiglia, i bambini che mi mancano da morire, e questo mestiere che amo, ma che mi porta sempre lontano, tanto lontano e in fuga, appunto.
Mio nonno era camionista durante la guerra, facendola sotto il naso ai tedeschi con scaltrezza, aiutando i partigiani nascondendoli dentro un intercapedine del mezzo, e ci sapeva fare davvero il nonno Gino!
Mio padre ha speso tutta la vita su questo camion, consumando le strade in un’epoca dura, e io ho imparato a conoscerlo solo quando ha iniziato a portarmi con lui. Portava la mortadella in Francia, che combinazione! Ricordo i primi viaggi con il batticuore e le prime donne camioniste viste oltralpe, e l’odore meraviglioso che spandevamo!
La mamma non voleva che partissi con il babbo, non voleva che prendessi quella strada, ma il nastro d’asfalto nero è stato il destino prima dei miei tre fratelli più grandi e poi anche il mio, ma non lo rimpiango.
Sono sempre stata la pulce
in famiglia, la più piccola, eppure il babbo è sempre stato molto fiero di me, poiché non mi sono mai risparmiata sul lavoro. Ho imparato presto a guidare i mezzi pesanti, quando non arrivavo nemmeno ai pedali, ma credo d’aver prima appreso a guidare e a domare questi bestioni su gomma che ad aver a che fare con la gente. Lavoro più dei miei fratelli maschi, e se loro fanno un viaggio, io ne faccio due e la fatica non mi ha mai spaventata. Tuttavia io non sono un’eccezione: di donne come me è pieno l’ambiente e gli uomini ci rispettano.
È dura, è vero, ma non cambierei questa vita con un’altra, non lo farei davvero!
Questa è la mia vita, e viaggiando ho conosciuto Lilly, la mia migliore amica: gestisce un pub, ha un'enorme testa di ricci rossi perennemente scompigliati, dei vestiti a fiori appariscenti e una grassa risata contagiosa che mette allegria a tutti; sarà una deformazione la mia, ma Lilly sembra sul serio una grande mortadella!
Io dentro il camion di mio padre ho dato il primo bacio a un suo lavorante, un ragazzino come me di cui ero cotta. Dentro il camion ho quasi partorito il mio secondo figlio, e mancava poco che arrivassi in ospedale con il mezzo pesante da sola, invece mi ci portò il Bestia
, un caro amico che captò la mia disperata richiesta d’aiuto, perché mio marito era già latitante!
Dicono che dove ci fermiamo noi camionisti si mangi molto bene, e accidenti se è vero! Non dimenticherò mai quella volta dalle parti di Brescia, quando festeggiammo il matrimonio di Gianni l’orso
nel locale della Rosa, mangiando e bevendo fino all’alba con frittelle al miele, marmellate ai lamponi fatte dalla padrona e vino novello: a momenti ci portò via l’ambulanza. Si stava così bene che non saremmo mai andati via, e forse nessuno aveva il coraggio d’alzarsi per primo, perché sentivamo che stava cambiando qualcosa. Un amico ci stava lasciando per sposarsi, cambiare lavoro, e il nostro cuore si stava spezzando. È dura la vita sul camion, e alcuni cambiano lavoro, scegliendo un mestiere con meno rischi, ma che consenta di stare più a casa con la famiglia, ma poi nell’anima resta sempre la nostalgia.
È gente sana e generosa quella dell’autostrada, fatta di camionisti, pendolari, svincoli e paesi facili da raggiungere; basta poco e ci si aiuta tutti, specie nelle difficoltà, come quando nevica.
Nel ‘93 mio fratello Bruno si ritrovò bloccato con un guasto al motore, senza niente da mangiare e rischiava grosso, perché aveva un carico deteriorabile, ma io smossi mari e monti con il babbo, e i colleghi non esitarono. Con un piccolo aiuto non solo lo salvammo dal congelamento, ma aiutammo anche una mamma che era rimasta nella neve e non poteva dare la poppata al bambino, e noi eravamo là sulla strada come sempre, e come sempre un po’ in fuga; inutile dire che mangiarono tutti le nostre mortadelle!
Ci sono pure le prostitute sulla strada, però quelli che le sfruttano stanno al caldo, mentre quelle donne rischiano la pelle, si gelano d’inverno e per lo più sono povere disgraziate con dei figli da crescere, un sacco di guai e la loro autostrada non finisce mai.
Dodici anni fa su questo nastro d’asfalto ho conosciuto il mio ex marito.
Ricordo che era pressappoco la prima volta che ero scesa dal camion perché volevo essere e comportarmi da donna per entrare in una discoteca con Lilly. Mi hanno guardata dall’alto in basso, e piuttosto male perché avevo gli scarponi, e lui, quel bel tipo, faceva lo splendido con tutte: avrei dovuto capirlo subito che genere era!
Avevo poca esperienza con gli uomini, e lui riuscì facilmente a conquistare il mio cuore semplice con i suoi modi da latin lover. La testa mi girò così tanto che mi ritrovai completamente imbambolata e con le fette di salame sugli occhi. I miei mi dissero da subito che quel ragazzo dai modi da bullo non faceva per me, ma naturalmente non li ascoltai e, innamorata com’ero, ignorai che non era affidabile, che aveva poca voglia di lavorare e che non aveva la vocazione da marito e tanto meno quella da padre.
Fu una doccia gelata a farmi svegliare da quell’ubriacatura d’amore. Nonostante alcune avvisaglie a cui mi ostinavo a non dare peso, dopo tre anni di matrimonio mio marito mi lasciò il cane, il mutuo da pagare, i bambini che tanto aveva voluto ma a cui non aveva mai cambiato un pannolino, alcuni debiti che aveva fatto a mio nome, alcune multe da pagare, la vergogna per delle risse in cui si era prima ubriacato e poi fatto arrestare.
Tutto questo per via di una bionda ossigenata in tubino leopardato e zeppa trampolata dai facili costumi
!
Forse i soldi pagati per l’avvocato per separarmi sono stati tra i meglio spesi nella mia vita e non li rimpiango.
Il mio ex marito non si fa mai vedere, non cerca i figli nonostante io abbia tentato di fare da tramite e da ponte tra lui e i bimbi, non è mai servito a nulla. Solo Dio sa la fatica che ho fatto e che continuo a fare per crescerli con serenità senza mai fargli mancare nulla; forse ci sto riuscendo, ma non lo sto facendo da sola, bensì con l’aiuto della mia famiglia che non è mai mancato.
I primi tempi della separazione sono stati duri perché non ero consapevole di potercela fare. È passato tanto tempo da allora, ma i miei figli restano e resta pure questo mestiere che è sempre più difficile, specie se incontri di notte qualche giovane automobilista impasticcato e ubriaco, eppure è la mia vita. Ce la faccio da sola, e sono sempre le mortadelle a farmi sbarcare il lunario, e siano benedette!
La gente non si rende conto dei pericoli che ci sono sul nastro d’asfalto. C’è un sacco di gente che non conosce o meglio ignora il Codice della strada, che beve una birra dopo l’altra come se fosse acqua fresca, mettendo consapevolmente in pericolo gente che lavora e che ha a casa una famiglia e dei figli ad aspettare. Ci sono genitori incoscienti che mettono nelle mani di figli neopatentati automobili potenti e mi domando con quale criterio lo facciano. Le persone che non vivono la realtà là fuori non hanno idea di quanta droga ci sia. Si tratta di acidi, pasticche, cocaina e mi è capitato più volte d’andare in bagno in un autogrill e vedere ragazzine, che potrebbero essere mie figlie, farsi.
Mi domando perché a tredici o quindici anni si desideri così tanto essere considerate già donne, perché il cuore è ancora bambino e, se ti feriscono, fa ancora più male. Essere madre mi fa provare una stretta al cuore, poi leggo la cronaca locale e vedo che non tutti quei ragazzini che entrano ed escono da locali di notte, poi tornano a casa all’alba da madri come me.
Noi camionisti siamo amici delle forze dell’ordine, cerchiamo di collaborare con loro, e vediamo quanto sia duro anche il loro mestiere, forse anche più del nostro. Con quale cuore un poliziotto dopo la chiamata che non vorrebbe mai ricevere si trova costretto a raccogliere sulla strada un ragazzo che non tornerà a casa, e pupazzetti e oggetti vari che fanno pensare a bambini, da dover riconsegnare ai genitori? Eppure il nastro d’asfalto corre nonostante tutto e ingoia storie, lacrime, passioni e speranze.
Corre e corre il nastro d’asfalto, e con lui mille vite che s’incontrano e a volte non si ritrovano per anni.
La vita sull’autostrada può essere dura, ma può riservare anche delle belle sorprese, direi inaspettate.
Circa due mesi fa, mentre ero ferma a un parcheggio, quasi senza motivo mi sono messa a litigare con un collega, un tipo che davvero mi ha fatto salire il sangue alla testa, poi però ci siamo chiariti e fatti un sacco di risate davanti a una cioccolata calda che ha voluto offrirmi subito dopo al bar.
Qualche volta può servire litigare per un parcheggio.
C’ho messo un po’ a capirlo, forse perché ero in jeans, con i capelli legati e senza trucco, anche perché non ho mai imparato a truccarmi, ma quel collega mi stava proprio corteggiando.
Sarà che non sono abituata a certe cose, anche se mia madre da tempo cerca di spingermi a uscire un po’, dicendo che dovrei pensare a rifarmi una vita, ma io ho già una vita, ed è anche molto piena.
Si chiama Antonio il tale, mi è risultato simpatico e avevo bisogno di farmi due risate, e credo anche d’essere diventata rossa quando m’ha chiesto il numero del cellulare. Il bello è che poi mi ha pure chiamata e mi ha chiesto d’uscire con lui a cena, e io mi sono messa a ridere per telefono. Ho un po’ paura di rimettermi in discussione, ma è vero che ho anche voglia di vivere e di sentirmi oltre che madre e camionista, anche di nuovo donna.
Che imbarazzo se penso che mi ha vista in abiti da lavoro, senza messa in piega, anche perché io non ho mai fatto dei colpi di sole in vita mia, non sono mai andata dall’estetista e non ho idea di come si depilino le sopracciglia, ma almeno mi ha vista così come sono, senza maschere e sovrastrutture. Antonio in dieci minuti mi ha conosciuta con camion, figli, fratelli camionisti e tutto, e sembra che io gli piaccia con tutto il pacchetto formato famiglia.
Sembra un tipo a posto Antonio, ed è gentile, carino ed è un anche un buon collega che sa quanto sia dura questa vita. Lui trasporta latticini, un carico altamente deperibile, e dice d’avere degli sconti sulla merce; non so se sia vero, ma da un po’ a casa mia i fior di latte si sprecano, e io li preferisco alle rose se devo dire la verità.
Poi alla fine sono uscita con lui ed è stata anche una bella serata. Ora ci vediamo ogni tanto, mi chiama spesso, ed è diventato una presenza nella mia vita.
Io che sono sempre stata abituata a cavarmela da sola, io che devo aggiustare il lavandino se si rompe, io che devo pagare le bollette, io che devo fare il lavoro della donna e poi anche quello dell’uomo, per la prima volta ho visto un tizio
che mi ha detto: tranquilla me ne occupo io
!
Non credevo alle mie orecchie, giuro che per uno così potrei imparare a fare le torte di mele, e forse lo farò sul serio.
Tuttavia il momento in cui Antonio mi ha conquistata è stato quando è venuto a trovarmi a casa mia una sera. Ero nervosa, non ero sicura che i miei figli fossero pronti per conoscere un amico della mamma
, però dovevo tentare. Finalmente ha conosciuto i bambini e quando ha visto che il grande, Marco, stava facendo i compiti di matematica con scarso successo, si è messo là a spiegargli le espressioni: un uomo così si merita l’applauso! Non batte ciglio se la merenda è pane e mortadella che per me costa poco, e ragazzi, non è poco!
Antonio mi ha proposto di fare un fine settimana fuori e io ci sto pensando e sto rimuginando molto sulla cosa, perché non m ricordo cosa sia una vacanza o un fine settimana fuori. Preferisco passare più tempo che posso con i miei figli, ma è un secolo che non mi prendo un po’ di tempo per me, davvero tanto tempo, quindi ci penserò.
Non so ancora se ho voglia di mettermi di nuovo in gioco con gli uomini, ho qualche timore, ma la vita continua, i bimbi crescono e io ho tempo di riflettere, di pensare a mia madre che vorrebbe vedermi serena accanto a un uomo che mi ama e che io possa riamare, di riflettere sulle bollette, su Marco che ha bisogno della macchinetta per i denti e il piccolino che forse soffre d’asma e ha bisogno di mare, insomma i pensieri e le questioni da risolvere non mancano mai.
La mamma ha alzato gli occhi al cielo quando gli ho detto che anche Antonio è camionista, ma credo che sia comunque rassegnata, e poi l’importante per lei è vedermi felice e da un po’ forse lo sono o almeno comincio a vedere un pizzico di sereno in fondo al tunnel. Probabilmente sto iniziando a vivere di nuovo come donna, anche se lo sto facendo timidamente e soppesando le mie azioni e le mie emozioni.
Magari potrei prendere un appuntamento dal parrucchiere, e magari farmi la manicure e comprarmi un paio di scarpe con il tacco, chissà!
Già, ho tempo di riflettere quando guido, specie di notte, quando i pensieri si diluiscono, le storie e ogni cosa si fanno più fluide, intense, illuminate solo dai fari e io ascolto la solitudine che ho nel cuore e guido, corro sempre in fuga. Riflettevo che Antonio porta sacchi di farina, e con la farina si fa il pane, io ho la mortadella, quindi, se non è destino, non so cosa sia!
CHICCHINELLA E LA MORTADELLA
Elide Apice
«Chicchinè, come al solito!»
Era la voce di mia nonna Archina a parlare (che nomi! Certo che in quel villaggio di campagna ne avevano di originalità).
Come sempre, ogni mattina durante la raccolta di amarene e di ciliegie era obbligatoria ‘a merenna.
A tutti, dai più piccoli assoldati per gioco, agli operai e le operaie, era garantito da bere e da mangiare, a metà mattinata, quando il caldo e la stanchezza si facevano sentire.
Come sempre, prima di arrivare al frutteto, la nonna passava a ordinare pane morbido e dentro qualche fetta di mortadella, quella che vendeva Chicchina, l’unica salumiera del borgo, quella che nonostante i salami e i prosciutti che producevano tutte le famiglie, riusciva a vendere chili e chili di rosee fette.
Io ero una bambina, chissà forse 8 o 9 anni, e seguivo la raccolta mano nella mano di nonna Archina che cuntava
le storie antiche e mi raccontava dei nonni e dei bisnonni arrivando fino ad avi del Cinquecento, chissà se veri o inventati.
Una brulla collina irpina li aveva accolti provenienti dalla Spagna e quindi per mia nonna io ero di sicuro la principessa spagnola.
«La mia piccola principessa spagnola» mi ripeteva stringendomi a quegli abiti che sapevano di pulito e di sapone di Marsiglia, sempre neri, sempre a lutto per qualche morte in famiglia.
E della Spagna avevamo le tradizioni, la scura mantilla, per esempio, che anche noi bambine eravamo obbligate a indossare in chiesa, non era forse derivata dalle quelle spagnole?
Almeno la nonna così credeva e mi raccontava, cercando di convincermi a indossarla per rispetto: «‘A Maronna che si no chiagne!».
A mezza mattina, Chicchinella (quanto mi faceva ridere quel nome per un donnone tutta ciccia e grasso) arrivava nel frutteto ed era anticipata da un odore così forte che ti attraversava le narici ed esplodeva nel cervello.
Il tempo si fermava, tutti incrociavano le braccia, qualcuno beveva acqua fresca portata in quelle brocche antiche che ricordavano tante generazioni e che a me, in verità, facevano un po’ senso.
Era nonno Antonio a caricarle a dorso di un mulo dopo aver fatto scorrere acqua dal pozzo.
Un pozzo nero, chiuso a chiave da una grata sulla quale spesso mi incantavo a guardare fin dove lo sguardo poteva arrivare, a cercare la luna che nella storia antica era caduta proprio lì dentro (e poco importava se di pozzi in zona ce n’erano a decine).
Poi Chicchinella apriva ‘o mesale, una tovaglia enorme che aveva avuto certamente giorni migliori, e iniziava a tagliare fette di pane dalla scanata
, una forma che a volte superava i tre chili, e con gesti che erano ormai