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Oltre le onde del Nord
Oltre le onde del Nord
Oltre le onde del Nord
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Oltre le onde del Nord

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About this ebook

Reidar vive a Mezza Quercia, un villaggio di tradizione odinista assoggettato dai cristiani. Un giorno viene costretto ad arruolarsi dagli occupanti per invadere le terre oltre le onde del nord, dove la religione norrena è ancora viva. Il luogo, tuttavia, si rivela dilaniato da una guerra civile e fortemente ostile a quanti non si siano opposti al cristianesimo. Nella capitale Reidar scopre di condividere la stessa fonte dei poteri delle divinità, il makt, e di esser sempre stato manipolato da essi. Improvvisamente deciderà di viaggiare verso est, nei suoi occhi solo rabbia e un obiettivo oscuro.

Nel frattempo comincia il Fimbulvetr, una notte lunga 3 anni che anticipa la fine della vita…
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateDec 10, 2019
ISBN9788831642729
Oltre le onde del Nord

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    Oltre le onde del Nord - Gerardo Dalena

    Preludio: la luce rossa

    Accecato, si ritrovò nuovamente davanti la luce rossa. Il vecchio gli parlava:

    «Osservami. Immagina che io disegni un cerchio con la spada, e che divida questo cerchio in otto parti. È questo il fondamento della nostra tecnica, lo ricorderai?»

    Nel giro di pochi istanti vide la luce rossa modellarsi fino a diventare un rogo. Non ne vedeva un'origine o una fine. Ne rimase accecato, l'unica ombra gli risaltava come uno strano scherzo di dualità. Si concentrò su quella, una figura umana che se ne stava immobile, col capo chino, le mani legate dietro la schiena e i piedi sollevati a mezz'aria. I contorni vaghi della vittima non potevano appartenere ad una persona viva, eppure il suono veniva da lì. La voce del vecchio proseguiva:

    «Sorridi Reidar, e dimenticami. Il passato è finito. L'epoca della tradizione è finita. Se mai un giorno tu dovessi decidere di combattere...

    Non udì più nulla. Chiuse gli occhi per un istante, e tutto ciò che ritrovò fu una luna piena a sovrastare gli alberi. Era ai bordi di una foresta di pini, a malapena distingueva i tronchi più esterni dai rami e dalla neve. Cominciava subito a correre verso il buio più totale. Non si curava del fluido rossastro che colava lungo le braccia. Era certamente consapevole della presenza densa ad accarezzargli i gomiti e scivolar via fino alla punta delle dita. Ciò nonostante correva nel nero.

    «Uccidimi, ti prego uccidimi.» gli sussurrava l'aria «Uccidimi e poi vendicami.»

    «Oltrepasserò quella foresta.» dichiarò lui

    «Reidar... sei sicuro?» chiedeva lei

    «Si.»

    «Allora corri.»

    E lui correva a testa bassa, senza curarsi dei tronchi e delle pietre. Si muoveva dritto, urtava ogni forma di pianta e riprendeva la direzione. Non vedeva o udiva più nulla, unica eccezione era il suono della neve sotto i piedi e il suo stesso affanno. Poi, una luce lontana appariva tra gli spiragli della pineta imbiancata. Si agitava come le fiamme, brillava nel color sangue. Si allargava fino a toccare i margini dell'orizzonte. Diventava sempre più intensa, proiettava raggi per tutto il bosco e in breve diveniva così forte da accecare. Lui però insisteva, incurante o forse ignaro che il fenomeno era aumentato d'intensità. Un arco di tempo indefinito, quindi rimase senza fiato. Piegò il busto con le mani alle ginocchia per riprendersi. La luce era diventata fioca, la foresta era scomparsa. Dietro tutto nero, dinanzi un muro di cristalli rossi. Un cumulo di diamanti appuntiti, scheggiati e mal lavorati, erano fusi assieme in un unico minerale. Da destra a sinistra non si vedeva la fine, come pure non si distingueva il pavimento dal soffitto. La luce rossa veniva da lì, da un piano infinito posto davanti un punto. Nel nulla lievitava un'altra figura scura. L'immagine era statica, dai bordi confusi. La diffrazione forse giocava strani scherzi disegnando un equino ad otto zampe. Sul dorso un uomo con i gomiti ai fianchi sembrava reggerne le redini. Una voce maschile risuonò improvvisa:

    «Solca i mari del nord, poi va ad est, sempre verso est.»

    Fu così che Reidar si destò dal giaciglio, nel cuore della notte. L'indomani sarebbe partito.

    Uno: il volo del drago sulle onde

    Secondo il calendario cristiano correva il mese di ottobre. L'aria era gelida e il cielo grigio. Un'orgia di silenzio accompagnava la cospirazione di pace su Usynlige. L'unico suono udibile era il sospirare della fredda brezza del nord. Un uomo era lì, sulla riva scogliosa, a osservare un mare inquieto. Il vento lo batteva con violenza, scavava attraverso le pieghe della fonte e agitava ciocche di capelli neri, ma nemmeno con l'aiuto della polvere riusciva a mutarne lo sguardo statico. Gli occhi puntavano alle onde e all'orizzonte. I lunghi capelli lasciati all'incuria si mischiavano con la barba che da qualche mese ricopriva le guance. In realtà, gli occhi neri riflettevano un'età non molto adulta. In quel di ottobre, il giovane uomo indossava una pesante giacca in pelle d'orso marrone, rattoppata sulla schiena e scucita sotto un'ascella. L'abito lo copriva degnamente fino alla vita; al di sotto spuntavano pantaloni neri ricavati dalla pelle di qualche canino. A legare i pezzi vi era una cinta che nel frattempo reggeva un lungo arnese nel suo fodero di cuoio. Era una spada, la cui lama sembrava un tutt'uno con l'elsa crociata in acciaio. Lì si scorgevano rune in bassorilievo disposte a forma di spirale. In quella parte dell'arma, che normalmente sta nel palmo e non viene mai mostrata a nessuno, i creatori avevano evidentemente prestato tempo e talento. Non sembrava però una meraviglia di quelle terre meridionali.

    Dopo un lungo quantitativo di tempo, distoglieva lo sguardo dalle entità marine per osservare attorno. Si trovava in una città molto grande. La squadrava dall'alto delle locande sulle colline al basso del viavai di persone. Tutto in quell'arrocco di case tendeva al grigio, lo stesso colore della pietra impiegata nelle costruzioni e nel cielo invernale. Era la città di Usynlige, grosso centro portuale per i commerci marini verso ovest. L'osservatore gustava lo scenario senza mutare emozione. Una volta sazio, col mare alla sinistra cominciava a marciare a capo chino. In pochi minuti raggiungeva una larga banchina in legno che si allungava verso il mare. Notava sul lato della costa che un gruppo nutrito di persone era riunito inquieto; alcuni parlavano a bassa voce, altri camminavano nervosi senza allontanarsi, altri semplicemente stavano lì con le mani conserte a non far nulla se non osservare mare e cielo. Li avvicinò e provò a cercare volti familiari. Non ne trovò immediatamente, ma dopo essersi mischiato tra la folla si sentì chiamare:

    «Reidar? È lui?»

    «Reidar! Reidar, alla tua sinistra!»

    L'interessato si voltò verso due ragazzi quasi coetanei, biondi e con occhi rubati al mare. Il primo a parlare era decisamente più alto e robusto della media, con spalle larghe e lineamenti tipici delle genti del nord. L'altro era più basso e dall'aspetto gracile, probabilmente era anche il più giovane del gruppetto. Anch'egli biondo e con occhi azzurri, in realtà aveva uno sguardo vispo e divertito. Entrambi vestivano pelli dello stesso animale marroncino ma non portavano alcuna arma. Reidar li raggiunse immediatamente e li salutò senza particolari emozioni:

    «Salve.»

    «Visto? Non siamo gli unici di Mezza Quercia!» disse il più grosso dei due abbozzando un sorriso «Visto Joost? Avremo qualcuno che ci guarda le spalle!»

    «Accidenti! Sono felice Reamon!» rispose il piccolino «Reidar, tu sei davvero forte! Ti ho visto con la spada!»

    «Nessun altro?» interrompeva l'ultimo arrivato

    «No.» sbuffò secco il gigante, ficcandosi le mani in tasca e tirando fuori una lettera «Ci siamo solo noi. Questa parla chiaro.» chiarì con voce acuta mentre chinava il capo per leggere un estratto «Tutti e soli i giovani senza moglie hanno l'obbligo di presentarsi al cospetto dei Cavalieri Portaspada per contribuire all'evangelizzazione degli infedeli oltremare. Essi verranno vestiti e armati con materiali benedetti provenienti... tante stronzate... I peccatori che rifiuteranno di partecipare verranno accusati di eresia e perseguiti con l'attuale norma vigente.»

    Tra la folla, qualcuno osservava Reamon carico di rabbia. Sentimento che probabilmente aleggiava in tutti i presenti lì riuniti, semplici ragazzini strappati alle famiglie per motivi ignoti. Il lettore intanto risistemava il foglio dal luogo in cui l'aveva reperito e proseguiva inviperito:

    «Ci siamo solo noi. Dobbiamo lasciare i nostri genitori per quelle carogne bastarde!» strinse i pugni «Per cosa poi? Ammazzare altri odinisti?»

    «Smettila!» esclamò Joost a denti stretti «Lo sai che è pericoloso parlare così.»

    «Lo so maledizione!»

    «Calmati... non possiamo ribellarci a questi signori!»

    «Sai cosa avrebbe detto mio padre?» strillò l'interlocutore più grosso, rosso in faccia e sudato nonostante le temperature «Che dobbiamo morire! Noi abbiamo l'obbligo di morire! Il compito di combattere e ribellarci!» sollevò i pugni al cielo «E se moriremo, lo faremo con onore e dignità, così che Odino ci apra le porte del Valhalla!»

    La folla cominciava a disporsi attorno sollevando schiamazzi. Nessuno si sentiva offeso dalle grida. Sembrava che l'omaccione avesse interpretato lo spirito e la volontà dei riuniti. Tuttavia, quella che poteva sembrare una scintilla pericolosa si dileguò subito. Dalle retrovie, un ignoto presente per gli stessi motivi urlava:

    «Se non la pianti bruceranno le nostre famiglie e i nostri villaggi!»

    Nuovamente, un'orgia di silenzio accompagnava la cospirazione di pace su Usynlige. L'unico suono udibile era il sospirare della fredda brezza del nord. Reidar osservava stavolta il cielo scuro. L'umore dei presenti mutava in apatia, mentre i più tornavano a strani e inquieti atteggiamenti.

    Joost era uno dei pochi a voler ancora parlare. Chiedeva informazioni a amici e sconosciuti circa i luoghi che si estendevano al di là del mare. Voleva sapere perché si chiavano terre del ghiaccio e del fuoco, e domandava se le storie sulle notti lunghe quanto una stagione fossero veritiere. Pochi però rispondevano, unicamente per ammettere la propria ignoranza su quanto stavano per visitare e vivere.

    I minuti passavano lenti mentre i più prendevan posto sulla strada. Poi, d'un tratto, un gruppetto di persone armate cominciava a spingere e farsi largo tra i presenti. Era un'unità di fanteria corazzata, gente completamente nascosta da usbergo e armatura a scaglie. Le gambe e le braccia sembravano di proporzioni più piccole rispetto al resto della struttura, forse erano anche più leggere. Le vestigia mostravano sembianze umanoidi allungate artificialmente con spade e scudi. Gomiti e ginocchia erano rivestiti da punte un tempo affilate, ma a parte questo dettaglio non si notavano decorazioni o lavorazioni particolari. Unico segno di riconoscimento era stampato sullo strumento di difesa, una croce rossa che divideva la superficie del piatto a ricordare inequivocabilmente il regno più grande, quello cristiano. L'unità armata in realtà circondava costantemente un frate cristiano con l'abito consueto in evidenza, indossato sicuramente sopra le pellicce necessarie a quelle latitudini. Egli sembrava avere mezzo secolo sulle spalle. Calvo, basso e tozzo, a malapena si riusciva a notare. Si dirigeva tranquillo verso la banchina di legno. Poi, raggiunto un punto qualunque, prendeva a parlare mentre i guerrieri di metallo si disponevano ai fianchi:

    «Valorosi abitanti delle terre settentrionali, come tutti voi sapete le terre oltre il mare sono infestate da malvagi barbari infedeli che hanno voltato le spalle alla nostra giusta fede.» avvicinò i due palmi come un santo e prese a guardare i presenti negli occhi «Essi rinnegano il creatore, rinnegano la giusta carità con la quale li abbiamo trattati nel momento del bisogno, e hanno preferito abbracciare divinità pagane violando i nostri nobili insegnamenti. Come recita il primo e il più importante dei comandamenti incisi sulle tavole di Mosè, Non avrai altro dio all'infuori di me. È pertanto nostro obbligo e nostra gioia combattere questi infedeli villani che insozzano le terre con abominevoli concetti profani, ignare pecorelle guidate da un pastore di nome Satana, un pastore dalla forma di lupo.» spalancò gli occhi e avvicinò un pugno al petto «Il santissimo confratello Giovanni, battezzato cristiano convertito e portato alla luce, si è diretto in quelle terre per evangelizzare gli oscuri abitanti. Lo ha fatto senza paura e senza remore, senza esitazione alcuna, poiché quello è il nostro obbligo e la nostra gioia. Noi, i Cavalieri Portaspada, ordine fondato molti anni or sono dal santissimo Alberto di Buxthoeven, abbiamo il grandioso e glorioso compito di domare questi infedeli e proteggere i nostri devoti emissari.» apriva quindi le mani «Ed è dunque lì che ci dirigeremo, con la benedizione del signore nostro Gesù Cristo e di tutti i santi del paradiso! Gloria e virtù eterna nel paradiso del signore per quanti odono la sua chiamata! Dannazione eterna ai vili che rinnegano la luce per l'oscurità di Satana!» il vecchio parlava ora con molta energia «Adesso, miei fedeli, vi benedirò per l'eroica traversata che vi accingete a compiere. Pregherò con voi nel tragitto, e vi guiderò fino alla costa, dove ognuno di noi riceverà le sacre vestigia della santa sede.»

    Il religioso quindi cominciava a recitare strani versi in latino. Parlava e blaterava senza badare a quanti erano intorno. Reamon di tanto in tanto sbatteva un colpo per terra, con le sopracciglia incurvate e i pugni stretti. Molti altri condividevano i suoi sentimenti, senza però esternarli come il gigante. Mentre la maggioranza rimaneva calma, priva di entusiasmo, Joost bisbigliava al compaesano più nervoso:

    «Ma che dice? Spera veramente che ci crediamo?»

    «Bruciasse in Hel.» pronunciava l'altro inferocito, ma comunque senza attirare attenzione

    «Non dovresti più dire quelle parole, ormai sono proibite. Se ti sentono, i signori armati ti attaccheranno.»

    «Non ci proveranno nemmeno. Siamo in troppi.»

    «Ma siamo disarmati!» esclamava

    «No, non tutti. C'è Reidar, e c'è pure qualcun altro.» sbuffò «Le armi dovrebbero restare proprietà della famiglia, come vuole la tradizione, non smarrite in terre lontane.»

    Reidar ascoltava senza dir nulla. Apatico, continuava a osservare il divino imbanditore recitare formule dal sapore arcano. Con la coda nell'occhio studiava i suoi compagni di avventura. Tanti ragazzi che non superavano i due decenni di vita riunivano una piccola armata per motivi religiosi.

    In pochi minuti i suoni del pio missionario raggiungevano l'epilogo. L'uomo quindi cominciava a muoversi verso la banchina, facendo cenno alla massa di seguirlo. All'altro capo della lingua di legno giaceva una gigantesca drakkar. Immersa nel mare, una grandiosa nave da guerra era in attesa di salpare. Un'imbarcazione lunghissima, con lo spazio sufficiente per ospitare due file di marinai. Niente passeggeri o stive, solo resistenti uomini di mare seduti su bauli normalmente utilizzati per i propri effetti personali. La costruzione era bassa, quasi al livello del mare; il legno con cui era realizzata pareva quercia. Sulle punte e sui fianchi le vecchie decorazioni erano state cancellate con colpi di scalpello; ove possibile gli antichi simboli erano contaminati con croci cristiane e improbabili rappresentazioni di Gesù. Mentre i guerrieri con le armature restavano a terra, i giovani di una popolazione dominata prendevano posto nel veicolo marino. Alla punta, il monaco ancora senza nome osservava ammutolito gli addetti ai remi. Così, nel silenzio, la nave lasciava una Usynlige cristiana per dirigersi oltre le onde del nord. Un centinaio di uomini si preparava alla guerra.

    Non passò molto prima che la terra divenisse ricordo. Nelle ore seguenti infiniti oceani d'acqua descrivevano l'orizzonte in tutte le direzioni. Grigio su e azzurro giù, separati da una linea impalpabile. Il mare Jormungandr appariva sterminato. Agitato da un vento più forte di quello di riva, vedeva la propria superficie costantemente increspata da entalpiche evoluzioni. La drakkar proseguiva col sole alla destra, tagliando le onde e facendosi largo in un universo ostile ai terrestri. La nave oscillava, tentennava, ma non rallentava. Il religioso di tanto in tanto dettava i ritmi delle remate, ma era ovvio quanto un forestiero non avesse nulla da insegnare alle popolazioni autoctone sui propri strumenti. Raramente qualche ragazzo puntava lo sguardo oltre la barriera di legno, gesto che doveva esser fatto in piedi. Lo facevano tutti per lo stesso motivo: guardare l'orizzonte. Mare, mare e soltanto mare. Nient'altro che distese sterminate di acqua salata, magneticamente interessanti ma al contempo pericolose. Durante tali pause il ritmo di remata veniva perso, e per qualche minuto i distratti restavano fermi con i remi in mano. Il vecchio comandante gridava allora:

    «Seguite la fede e ignorate il vostro eretico folklore! Nessun mostro è in agguato là fuori, solo Satana e il mare stesso! Se non remate in fretta non arriveremo a destinazione! Tenete il ritmo e date impegno! Dobbiamo arrivare prima del crepuscolo!»

    Gli interessati tornavano agli incarichi senza protestare. In alcuni era quasi tangibile il terrore dell'ignoto o di una traversata che probabilmente nessuno aveva fatto. Joost, seduto dietro a Reamon, una volta aveva chiesto a quest'ultimo:

    «Ma tu ci credi? Ai mostri marini, al serpente Jormungandr...»

    «Credo al culto dei miei genitori.» rispondeva con sforzo per le remate «Credo al fatto che in pochi siano riusciti a toccare le terre di Nordland. E credo che solo pochissimi siano tornati per raccontarlo. Nessuno può affondare le nostre drakkar.» sbuffava per la fatica, ma non esitava «Su queste navi, i nostri genitori sono sopravvissuti a temporali e tempeste, tormente di neve e infinite avversità. Drakkar significa drago. Sono forti e resistenti come quelle creature. Solo gli dei potrebbero incrinarle. Oppure mostri come Jormungandr.»

    «Ma allora...» prendeva una pausa per respirare «Allora noi non riusciremo a tornare a casa?»

    «Se dovesse succedere qualcosa, afferra il remo come arma e combatti fieramente. A noi mortali non è consentito sfidare creature epiche e immense, ma non possiamo essere codardi.» azzittiva per un po’, quindi proseguiva a pieni polmoni «È il nostro credo. È il credo di Odino e il Valhalla. Se moriremo, lo faremo da eroi. Vero Reidar?»

    «Non ci credo.» chiariva pronto l'altro uomo, seduto alla sinistra di Reamon «Non credo a nessuna di queste idiozie. Odino, Dio, Thor, Gesù, Satana o la regina di Hel, non esiste niente.» sbuffò per lo sforzo «E non esistono neppure i serpenti marini.»

    La risposta placò gli animi dei marinai per diverse ore. Solo verso mezzogiorno, quando il sole splendeva forte oltre una volta piena di nubi, le voci dei ragazzi riaffioravano ancora. In lontananza, verso nord, delle lunghe strutture verticali si stagliavano nel nulla più assoluto. Partivano da un punto non precisato del mare e sparivano inghiottite dai nembi della pioggia. Apparvero quasi dal nulla, come una visione dopo il diradamento della nebbia. Oggetti piccoli come un dito, o forse anche meno, tuttavia capaci di incutere timore.

    «Cos'è quello?»

    «Mio Dio! Non è possibile! Gesù mio, ti prego!»

    «Il serpente! Il serpente Jormungandr!»

    «Il mostro dei mari!»

    «Il mostro che ha ammazzato mio padre!»

    Il frate faticò parecchio per tranquillizzare gli animi adolescenziali. Con molta fatica spiegò che quanto vedevano in lontananza era noto come Colonne Runiche, un segnale eretto dagli uomini per mostrare l'ingresso a una insenatura nota come Fiordo Thyrfing. La presenza di quelle grosse colonne piantate nel mare significava dunque l'avvicinarsi della costa.

    Nonostante la fatica e l'assenza di pasti, la nave cristiana continuava la traversata. Le successive remate però cominciavano a rendere i sospiri molto pesanti. Diverse ore dopo la stanchezza era evidente in tutti. Le strane strutture verticali all'orizzonte si facevano intanto più spesse. Prima grandi quanto un dito, poi quanto un palmo di mano. D'un tratto però, durante un istante non ben precisato, il mare diede un muto sussulto. I marinai sentirono la superficie dell'acqua sottostante sollevarsi leggermente; la drakkar seguì di conseguenza per sbattere successivamente sulle onde. I marinai smisero di remare. Tra i brusii, una nuova collina nacque sotto l'imbarcazione. Stavolta vennero sbalzati più in alto, e l'imbarcazione subì gli effetti della gravità con maggior fragore. Alcuni remi scivolarono in mare. L'uomo col saio prese a incitare i ragazzi, esortandoli a remare con tutte le proprie forze. Un marinaio nel frattempo gridava:

    «Il mostro! Il serpente! È sotto di noi!»

    L'equipaggio, tiratosi in piedi, ignorava adesso il religioso per scrutare il fondo del mare. Reidar era tra questi. Qualcosa effettivamente nuotava lì sotto. Una figura filiforme, scura, strisciava in profondità. Si muoveva dritta, perpendicolare alla nave. Le grida venivano inevitabili:

    «Cos'è quello?»

    «No, non è possibile!»

    «Jormungandr! È Jormungandr!»

    La scura sagoma aveva preso a ingigantirsi. Rapida, si inspessiva come un'ombra partita dal basso senza l'ausilio del sole. Pochi istanti e gli orrori leggendari tramandati da padre in figlio guadagnarono credibilità. A pochi metri dalla barca l'acqua cambiò colore tra le urla degli umani. In quel punto il livello del fluido si abbassò per un attimo. L'istante successivo una enorme creatura lasciava il mondo marino per respirare aria. Enorme, l'orrore verdastro gettava un'ombra talmente grande da inghiottire l'imbarcazione. Pochi istanti per ammirare un serpente con una lunga cresta e tantissimi occhi sollevarsi verso il sole e discendere. Il dorso si schiantò sull'imbarcazione. In mille frantumi, essa disperse l'equipaggio nelle fredde acque del nord.

    Due: Nordland

    Reidar riapriva gli occhi steso per terra, avvolto in una pelliccia nera. In un gesto impulsivo si rimetteva in piedi con gli occhi a quanto aveva attorno. Era giorno, probabilmente prima mattina. A pochi passi ardeva legname circondato da pietre disposte a circonferenza; il colore vivido stonava col paesaggio. La vegetazione non contemplava erba, bensì strane muffe dello stesso colore verdastro alternate a sporadici spazi di marrone incontaminato. Poco più in là del focolare si ergevano pini secolari a formare un fitto bosco. Il piccolo anfratto non permetteva di vedere sentieri o segni di civiltà, il cielo stesso era celato dal fogliame sempreverde. Ovunque si puntasse lo sguardo c'erano solo ombre e polvere. L'odore era pregno di umidità e la temperatura molto bassa giustificava il fuoco. Il giovane osservava la natura con sguardo fisso, sopracciglia incurvate e pugni chiusi. Passandosi una mano tra i capelli si concentrava ora sul minuscolo incendio. Notava la fiamma oscillare, come mossa da qualcosa. Pochi minuti ancora e lo stordimento iniziale si dissipava, rivelandogli un venticello leggero a carezzargli la guancia. Altri pini erano lì, a schermargli l'origine del disturbo. Intenzionato forse a controllare il mondo che l'aveva accolto, Reidar si spostava verso l'origine. Pochi passi e il paesaggio oltre i tronchi confermava l'idea di trovarsi lontano da casa. Una gigantesca distesa d'acqua si estendeva dall'orizzonte fino ai suoi piedi; lui era in alto, in cima a un dirupo, una sorta di innalzamento roccioso. Una costa inarrivabile, un luogo dove attraccare era impossibile, troppo alto e troppo impervio per immaginare una stazione portuale. Le onde in basso si infrangevano violente; il mare agitato appariva non più azzurro ma in qualche modo ingrigito dal cielo. Enormi cumulonembi erravano spinti da un vento imponente. Meridionali e settentrionali lo conoscevano, era il vento del nord.

    «Così, sei già sveglio.»

    Una voce femminile si disperdeva nelle evoluzioni del vento. Una voce acuta, in qualche modo energica e in sintonia con l'ambiente. Proveniva da una donna. Vestiva una lunga tonaca nera che lasciava scoperte piccole scarpe marroni. L'abito pareva sottile all'inverosimile, quasi lasciava intravedere il seno piccolo e le forme di un'adolescente. Il capo della nuova arrivata era avvolto in un cappuccio attaccato al misterioso vestito. In esso si vedeva chiaramente un volto pulito poco più giovane del naufrago. Gli occhi erano azzurri e i lineamenti tipici del nord. Le guance leggermente arrossate mimetizzavano le lentiggini; dal copricapo spuntavano spesse chiome bionde, disordinate e intrecciate. La misteriosa donna non era sola. Al suo fianco vi era pure un uomo di grossa statura. Alto e robusto, indossava pantaloni grigi molto spessi, forse ricavati dalla sventura di un lupo. La giacca pareva dello stesso materiale che aveva avvolto il sopravvissuto. L'omaccione con comprensibili problemi di temperatura mostrava corti capelli e un'età avanzata, quella in cui non si va più a caccia e ci si dedica ad altre attività. Gli occhi erano chiari come il cielo privo di nubi, e nonostante le visibili rughe di mezzo secolo non si notava stanchezza. Lo sguardo era fermo e determinato, le mani incrociate sul petto. Sulla schiena si vedevano chiari faretra e frecce portate a tracolla assieme a un arco enorme, forse un longbow, lungo poco meno di due metri. Un'arma che solo in pochi sapevano usare.

    «Allora, non dici nulla?» incalzò la donna sorridente

    «Dove...» esitò per un istante, poi Reidar riprese chinando il capo «Dove sono? Ho raggiunto le terre di Nordland?»

    «Si. Immaginavo non fossi di queste parti. Non se ne vedono spesso persone con i capelli neri come i tuoi.» rispondeva con umore improvvisamente opposto

    «Nordland... così questa è la terra di Nordland.» disse forse più a se stesso; alzò lo sguardo «E degli altri, che ne è stato?»

    «Altri? Non abbiamo visto nessun altro. Ti abbiamo notato aggrappato su uno scoglio laggiù.» proseguì seccata alzando la mano sinistra «Inizialmente pensavamo fossi un pastore. Avessi saputo che sei cristiano, t'avrei lasciato crepare tra le onde.»

    Il vento del nord copriva un breve silenzio. Reidar sembrava nervoso. Stringeva i pugni e scambiava sguardi ostili con i presenti. Rapido si passò una mano sul fianco.

    «Cerchi questa?» chiese a quel punto la ragazza tirando un fodero di cuoio dalla faretra del compagno.

    L'elsa crociata descriveva la spada che il giovane aveva portato con sé dall'altro lato del mare. La bionda gettò l'oggetto ai piedi del proprietario e riprese:

    «È l'unica ragione per cui non ti abbiamo ammazzato. Anche tu sei figlio di Odino. Allora? Hai una spiegazione?»

    «Vengo da stirpe odinista.» rispondeva immobile osservando le decorazioni sull'elsa «Le nostre genti sono state assoggettate dai cristiani anni fa. Alla mia nascita mio nonno li combatteva ancora, e pochi giorni dopo il mio terzo compleanno egli giaceva su una pila di legna per ardere vivo. Non abbiamo scelto questo dio per fede.»

    «Vieni dall'altra parte del mare?»

    «Si.»

    «La natura dei cristiani dunque si rivela. Così da quelle parti hanno conquistato tutto, eh?» si accarezzò una guancia «Gli anziani e i mercanti lo sostenevano già: i predicatori sono solo osservatori di un regno più scaltro. Peccato che la loro gloria si infrangerà come le onde sui nostri fiordi.» scambiò per pochi istanti uno sguardo col compare più anziano, poi proseguì «E quindi, cosa ci fa qui un uomo dominato che preferisce vivere in catene anziché morire con onore?»

    «Abbiamo spinto una drakkar.» rispose fissando l'interlocutrice senza però mostrare emozioni particolari, come se le offese non lo toccassero «Un centinaio di uomini e un cristiano senza capelli. Dovevamo cercare un suo fratello scomparso.»

    «E poi? Come sei finito in mare? Chi ti ha attaccato?»

    L'interessato a quel punto alzava la testa ai rami. Pensava forse, provava a mettere in funzione la macchina dei ricordi. Rimaneva però in silenzio.

    «Allora, dove eravate diretti di preciso?» incalzò lei

    «Non lo so. Andavamo in contro a delle grosse colonne piantate nell'oceano. Il cristiano diceva fossero un segnale per i navigatori.»

    «Le colonne runiche?»

    «Si, le chiamò così.»

    «Sono ad almeno tre giorni di cammino di qui, e per giunta in mare aperto.» esclamò fissando il compagno più anziano «Come ti trovi

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