Cercando l'Umanesimo
By Luisa Gulli and Pasquale Mistretta
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Cercando l'Umanesimo - Luisa Gulli
Pasquale Mistretta, Luisa Gulli
Cercando l’umanesimo
tra gli intellettuali e i popoli del mondo
Prima Edizione - novembre 2019
ISBN 978-8868512293
© arkadia editore
INTRODUZIONE
Questo nostro mondo ormai è impazzito e diventa sempre più volgare popolato da un assurdo mito che è il potere. Questo nostro mondo è avido e incapace sempre in corsa e sempre più infelice popolato da un bisogno estremo e da una smania vuota che sarebbe vita se ci fosse un uomo. Allora si potrebbe immaginare un umanesimo nuovo con la speranza di veder morire questo nostro medioevo col desiderio che in una terra sconosciuta ci sia di nuovo l’uomo al centro della vita.
Giorgio Gaber, Se ci fosse un uomo
1. Prima di affrontare questo studio ci siamo chiesti quanto sia ammissibile che un gruppo di studiosi di urbanistica possa riflettere, elaborare strumenti di discussione e poi scrivere sul tema dell’Umanesimo che per vocazione è materia di filosofi, studiosi di lettere e arti, storici ed esperti delle religioni.
Tuttavia ci siamo fatti convincere perché la nuova dimensione assunta, su scala mondiale, dalla voce Umanesimo, anzi meglio Nuovo Umanesimo, offre momenti di conflitto intellettuale
per chiunque sia impegnato, o sia semplice spettatore negli avvenimenti felici e drammatici che si verificano in tutte le aree del pianeta, ed in particolare nelle grandi metropoli sulle quali noi urbanisti più direttamente dovremmo impegnarci. Che l’argomento sia vasto lo dimostrano le tesi sostenute dai diversi filosofi e uomini di cultura, in una platea
di discussione nella quale trovano argomentazione molti indicatori di sostanza e di lessico tra i quali, come vedremo, la conoscenza, i valori, l’etica, la libertà e l’arte.
In questa ricerca, i lineamenti delle epoche sono testimoniati dagli esponenti più significativi (letterati, filosofi, artisti, architetti, musicisti) attraverso una scelta dettata dall’esigenza di cogliere le affinità con l’obiettivo prefissato, e una sintesi delle specificità culturali all’interno dei diversi contesti storici, per rendere leggibile la complessità del concetto di Umanesimo in una visione organica, che non escluda ulteriori approfondimenti. Nello studiare le situazioni datate e i personaggi, abbiamo cercato di cogliere gli spunti provenienti da tutto il mondo, riservando però alla scena
italiana il maggior numero di pagine. Il lavoro, per rendere immediate tutte le analisi e le notazioni a margine, segue un percorso lineare con deviazioni e soste
per consentire al lettore di estrapolare con elasticità gli appunti sulla storia, i giudizi critici e le diverse interpretazioni del concetto. A tal proposito nel testo sono importanti le citazioni di altri autori, perché consentono di trattare il tema in modo più documentato.
2. Incominciamo col chiederci quanta storia c’è dietro i primi secoli della filosofia occidentale, greco-romana, che erano per una filosofia della natura, con l’origine dei quattro elementi (aria, acqua, terra, fuoco). Però Platone piuttosto che insistere sull’origine della natura, approfondiva la sua filosofia per capire l’uomo e come si organizzava e viveva nel mondo. Anche Aristotele, che dapprima si era occupato della classificazione della natura, delle specie, dei generi, nei primi libri dell’Organon (IV sec. a.C.), poi si concentra sull’uomo e sulla classificazione delle costituzioni sociali, politiche, organizzative del mondo greco. In sintesi, con l’uomo al centro delle riflessioni si aprono le molte finestre
della filosofia occidentale.
A noi però interessa capire se la cultura greca e latina possa ancora rivestire nella società di oggi, altamente informatizzata e molto diversa anche per gli strumenti di formazione e di conoscenza, qualche affinità con quel modello culturale. Come vedremo più avanti la nuova natura tecnologica
ha comportato nell’Umanesimo grandi cambiamenti, fino a considerarla alleata sinergica o generatrice di conflitti.
3. Per la vastità dell’argomento è d’obbligo un riferimento immediato al Rinascimento che prende il nome dalla rinascita della cultura classica dopo il Medioevo, per diventare l’età in cui si consolidano le monarchie nazionali e il principio del libero esame, e non soltanto nella religione, ma più in generale nelle altre categorie di pensiero. È l’epoca in cui la borghesia manifesta la propria potenza economica superando i confini dell’Europa, oltre l’Atlantico.
Nei secoli successivi la discussione sulla vitalità
dei classici ha lasciato il posto ad altri aspetti della vita politica ed economica più pertinenti, anche se non bisogna dimenticare che l’imperialismo europeo è nato dal presupposto ideologico della superiorità culturale rispetto al resto del mondo e che «la cultura greco-latina fu segnacolo in vessillo di quella grande operazione di sviluppo politico ed economico».
Con queste premesse, la domanda che ci poniamo è se si può trovare un filo conduttore con il quale avvicinare
l’Umanesimo della città ideale di Leon Battista Alberti e della Città del Sole di Tommaso Campanella alle metropoli estremamente complesse e confuse, dove coesistono enormi insediamenti slum privi delle essenziali necessità del vivere.
4. Infatti oggi – dove la scienza e la tecnologia hanno radicalmente trasformato il nostro modo di vivere e di confrontarci con gli altri, per privilegiare modelli culturali più aperti alla contaminazione
globale dei popoli – nei paesi europei le attenzioni alle proprie radici identitarie sono ormai sfumate, e non soltanto perché datate, ma anche perché è difficile, soprattutto per i giovani, distinguersi in chiave culturale dai messaggi uniformanti dei social di poca durata. In questo quadro evolutivo e interessato perlopiù dalle notizie e dalle relazioni internazionali, lo spazio
per gli intellettuali che vogliono ragionare anche in termini universali è quasi inconsistente.
5. Pertanto con il presente libro vogliamo capire se l’espressione Umanesimo – che viene usata in modo abbastanza ricorrente in questo inizio di secolo XXI – è leggibile con riferimento ai contesti d’origine che risalgono all’epoca medievale e rinascimentale, nei quali più che di Umanesimo si parlava di Umanisti usando la radice humanitas letteraria e filosofica.
Ma questo non bastava, perché ogni aspetto della cultura umanistica e delle concrete manifestazioni sulla vita dei cittadini non poteva prescindere da un excursus finalizzato dell’Umanesimo nella storia e nei luoghi per prendere atto delle correlazioni tra i fattori politici, sociali, religiosi e, più che mai, economici che attraverso i secoli hanno poi trovato nei luoghi la giusta dimensione, e non soltanto filosofica ma anche urbanistica. Però confrontare i periodi storici così distanti tra loro senza tener conto dei fattori evolutivi che caratterizzano nel continuum della storia le applicazioni
del termine Umanesimo non avrebbe alcun senso, se non valutando la gamma molto estesa che già costituiva nell’espressione un coacervo di attività letterarie, filosofiche, architettoniche e dell’arte in generale. Bisogna tener conto che nella società dell’epoca il trattare questi argomenti era assolutamente elitario, in quanto riservato a persone dotte (in grado di leggere e scrivere) che vivevano prevalentemente protette dal potere
oppure nei monasteri.
6. Il messaggio colto veniva mediato e trasmesso alla gente comune attraverso le prediche e le immagini religiose adatte a produrre il massimo del proselitismo, prima ancora della divulgazione più ampia che fu possibile con la scoperta della stampa. Oggi la diffusione della cultura – e quindi delle componenti letterarie, filologiche, dell’arte e soprattutto sociologiche – consente di visualizzare
tutti i fattori che compongono le espressioni come Umanisti e Umanesimo: la prima riservata a uomini e donne di cultura letteraria e socioeconomica (nelle università il recapito sono le facoltà umanistiche), la seconda con un riferimento planetario che si riferisce ai comportamenti etici tra le genti e soprattutto a una particolare attenzione di chi ha ruoli di responsabilità nei confronti di chi fa parte della società comune, dando maggiore rilievo alle classi sociali più disagiate o a quelle che vivono nelle aree di conflitto etnico, religioso ed economico.
7. Tipica del periodo medievale e del Rinascimento, con proiezioni anche nei secoli successivi (San Filippo Neri, San Vincenzo De’ Paoli, e altri ancora), è la formazione di comunità religiose, che venivano fondate da frati o preti e in taluni casi anche da laici come San Francesco, per creare forme di socializzazione operativa finalizzata al bene comune come si poteva intendere nelle diverse epoche a cui si fa riferimento. Il motivo per il quale sembrano tanti i monasteri e tante le aggregazioni conventuali era dovuto al fatto che ogni realtà urbana che avesse in sé una cultura religiosa e comunque una voglia di affrontare
in modo diverso la quotidianità spesso violenta e ingiusta nei confronti dei poveri, sviluppava la sua influenza su un ambito abbastanza circoscritto, ovvero quello dello Stato
, o Signoria
, o Comune
imperanti. In questo contesto bisogna tener conto che il confronto tra realtà diverse e lontane era piuttosto difficile perché non esistevano altre forme per comunicare in tempo reale le linee di discussione e i metodi di preghiera, e dunque soltanto attraverso la autonoma responsabilizzazione di altri leader religiosi
si poteva diffondere il messaggio evangelico. È evidente che questo sistema di iniziative, diffuse in modo discontinuo nel territorio italiano ed europeo, dovesse produrre non soltanto i luoghi di incontro per esprimere le adesioni e le vocazioni, senza la contaminazione della società corrotta
(dal potere, dal denaro, dalle invidie, dalle differenze di classe) come i monasteri e i conventi (vere comunità autosufficienti), ma anche le regole sulle attività giornaliere nelle comunità (le ore della preghiera, del pranzo, del ritiro, del lavoro) che dovevano essere riconosciute e certificate con bolla papale. Naturalmente il successo di ogni iniziativa dipendeva dalla qualità del leader
e dal fascino, non soltanto mistico, che sapeva trasmettere. Questo era altresì importante per la credibilità del messaggio tra le istituzioni civili e religiose ed inoltre poteva diventare lievito
per fondare nuove comunità derivate dalla stessa matrice.
8. Altrettanto importante per la nostra ricerca è capire in che misura sia esistito un "contro Umanesimo" in grado di agire nell’economia, nel potere, nello sfruttamento e nella schiavitù, nelle guerre di religione, nella vita urbana, nelle famiglie, nel lavoro, nei rapporti di genere. Realtà oggettive e riferimenti intangibili che oggi, più di allora, creano conflitti ideologici e destano preoccupazioni per i rischi sul futuro di molti popoli nelle diverse aree del mondo.
9. In altra parte della ricerca proveremo a leggere e ad approfondire quanto l’Umanesimo sia stato momento della riflessione e del silenzio, della parola e della comunicazione, e attualmente del mondo digitale che disegna le coordinate insostituibili dei rapporti umani e della progettualità di sistema.
PARTE PRIMA
CAPITOLO I
RIFERIMENTI E TESI INTERPRETATIVE
Questo deve dare la scuola: il senso, il significato. Non solo Umanismo, ovvero essere usati o semplicemente aiutati dalla scienza, ma anche Umanesimo, cioè capire il senso, avere il fine.
Roberto Vecchioni
10. Quando si parla di Umanesimo, viene subito da chiedersi se bisogna fare assoluto riferimento al XV secolo e alle motivazioni che hanno giustificato questa espressione (grecità, latinità culturale) oppure ad altre esperienze che possono avere avuto nel tempo diversi contenuti rispetto alla vocazione
dell’Umanesimo del Quattrocento (Box 1). È più ricorrente nel glossario consolidato parlare di Umanistica, di Umanismi, di Umanisti con questi esempi: le facoltà universitarie sono umanistiche quando i fondamenti dei corsi di laurea sono incentrati sulle discipline greco, latino, italiano e filosofia; si definiscono Umanisti i professori, i cultori, i saggisti che adoperano il linguaggio, gli strumenti della scrittura per aprire le intelligenze e le coscienze sulle tematiche della riflessione filosofica e letteraria; l’Umanismo è quell’«atteggiamento che consiste nel riservare tutta la propria attenzione all’uomo e a lui soltanto, escludendo, addirittura negando decisamente, la preoccupazione di tutte le altre cose eccetto lui, sia che si tratti della natura o di Dio».
11. Oggi l’espressione Umanesimo è usata dalla Chiesa cattolica e da pochi altri soggetti per identificare un contesto qualitativo in cui la società e i popoli si possono e si dovrebbero ritrovare.
«Cittadini è una categoria logica. Popolo è una categoria storica e mitica. […] Popolo non può spiegarsi solo in maniera logica. Contiene un plus di significato che ci sfugge se non ricorriamo ad altri modi di comprensione, ad altre logiche ed ermeneutiche. La sfida di essere cittadino comprende il vivere ed esplicitarsi nelle due categorie di appartenenza: appartenenza alla società e appartenenza a un popolo. Si vive in società e si dipende da un popolo» (Papa Francesco).
Il contesto è fondato sull’attenzione verso la persona uomo-donna e la sacralità della sua missione
nel mondo. Le tre parole chiave sono: riconciliazione con gli avversari vincenti o sconfitti; responsabilità civile e tolleranza nei confronti di chi professa altre identità, religioni, politiche per favorire i processi di intercultura e di integrazione; pace come strumento-obiettivo per migliorare la qualità della vita nel mondo e, tenendo conto delle diversità etniche, geografiche, economiche per attivare processi di crescita compatibili. Pace inoltre come obiettivo irrinunciabile per abolire le guerre spezzettate
e per dare una risposta concreta alla fame nei paesi del sottosviluppo.
12. Purtroppo i fatti del XX secolo e quelli di questo XXI sono poco confortanti perché lo scenario mondiale mostra realtà opposte rispetto ai buoni propositi che esprimono le tre chiavi di lettura citate. Questo va tenuto presente, non solo per evitare utopie evangeliche
di affermazione e di condivisione dei beni comuni di scala universale (specialmente quelli dell’ambiente), ma più in particolare quando si affrontano le questioni che confliggono a livello locale con l’accoglienza nei confronti dei diversi (anche immigrati), con la carità verso i poveri e con il divario sociale che produce marginalità.
BOX 1
Che cos’è l’Umanesimo
«L’Umanesimo si afferma anzitutto con la chiara consapevolezza di vivere un momento di rinascita
e di distacco dal mondo medievale che si esprime attraverso la riscoperta e l’imitazione dell’antico, dei classici greci e latini, soprattutto nel campo dell’arte e delle lettere. […] Da questo nuovo punto di vista il linguaggio, le lettere
sono anzitutto il mezzo propriamente umano di comunicazione e di rapporto. Di qui l’accento posto sulle humanae litterae come essenziali per la formazione dell’uomo, la celebrazione della dignitas hominis e della vita civile
in cui l’uomo storicamente si afferma. È qui il valore non meramente letterario dell’Umanesimo: nella riscoperta e nel restauro del mondo antico, l’Umanesimo vede lo strumento per affermare quella nuova filosofia dell’uomo che assume una posizione centrale ed emblematica nel Rinascimento, dal quale l’Umanesimo è stato solo fittiziamente distinto. […]
L’Umanesimo vuole riscoprire i classici nella loro autenticità, ascoltare il loro messaggio, intenderli nella loro storica verità. […] La dimensione storica con cui si coglie l’antico è uno dei frutti maturi della filologia umanistica. […] La filologia e la critica storica, nel momento in cui si pongono come autentiche vie d’accesso alla verità
di un antico messaggio scritto da altri uomini, alla comprensione della storia passata nella sua autenticità, diventano arma polemica contro l’autorità della tradizione, strumento di battaglia contro fittizi privilegi; alla nuova metodologia critica non potrà sottrarsi neppure la Sacra Scrittura. […] Il punto d’incontro delle esperienze diverse che si intrecciano nel Rinascimento e che salda insieme indagini e scritti apparentemente diversi, sta sempre nella comune ricerca di una misura umana, nell’affermazione dei compiti mondani dell’umano sapere. Tale sapere viene organizzandosi secondo forme autonome e metodi diversi, fuori dagli schemi generalizzanti di una filosofia che sostituiva parole a cose e fuori dall’orizzonte teologico. Quest’uomo, di cui il Rinascimento celebra la dignità
, si pone di fronte al mondo storico e fisico con la precisa volontà di conoscerlo secondo i suoi interni principi, di ridurlo entro leggi che permettano, conoscendolo, di dominarlo».
Riferimento: Adorno F., Gregory T., Verra V., Storia della Filosofia con testi e letture critiche, volume II, Bari, Editori Laterza, 1979, pp. 3, 4, 7.
CAPITOLO II
LE RADICI DELL’UMANESIMO ATTRAVERSO
GLI INTERPRETI PIÙ SIGNIFICATIVI
Per quanto un albero possa diventare alto, le sue foglie, cadendo, ritorneranno sempre alle radici.
Proverbio cinese
13. In questo lavoro, per noi, la difficoltà più immediata è stata quella di selezionare non soltanto i contenuti straordinari e infiniti che la storia dell’Umanesimo ha tramandato, ma quella di individuare, attraverso i soggetti
più rappresentativi del fenomeno culturale del Rinascimento e delle epoche successive, estrapolando dalla loro cultura umanistica, letteraria, politica e architettonica (per noi finalizzata), la sostanziale connessione tra quelle epoche in cui hanno manifestato il loro carisma con altrettanti esempi di questa nostra età complessa. Prima di selezionare gli argomenti, ci sembra istruttivo il pensiero di Michele Ciliberto che analizza il Rinascimento attraverso la dimensione utopica e il suo rapporto con il disincanto (Box 2).
BOX 2
Utopia e disincanto
«Il Rinascimento, a differenza di quelle che sono state le interpretazioni correnti, è stata un’epoca di crisi, per molti aspetti, un’epoca profondamente tragica. È stata pensata come un’epoca di equilibrio, di armonia, di contrasti risolti, mentre invece è stata un’epoca profondamente segnata dal tema della crisi, dell’apocalisse, dell’utopia in un rapporto complicato con il disincanto. […]
Siamo abituati a pensare al Rinascimento come ad un’epoca senza religione, come ad un’epoca mondana. Ma non è così. La cultura rinascimentale (fine 400) – basti pensare a Savonarola – è profondamente intrisa di motivi religiosi, profetici, apocalittici, spinta alla ricerca di un mondo nuovo: la renovatio, grande tema utopico, il tema della rinascenza di un nuovo mondo che si può costruire muovendo dalla crisi. […] Un’epoca quindi fortemente proiettata nella dimensione dell’utopia, continuamente in tensione con un altro elemento tipico di questa cultura che è il disincanto. […]
Allora che cos’è l’utopia? Considerata in rapporto a questa concezione generale dei contrari, della vicissitudine, del movimento continuo di luce e di tenebre, di vita e di morte, l’utopia è un grande stato d’eccezione. Il Principe di Machiavelli è uno stato d’eccezione politica, l’Eroico Furore di Bruno è uno stato d’eccezione filosofica conoscitiva. L’utopia è un grande stato d’eccezione per questo tipo di cultura, perché l’equilibrio fra i contrari è precario e perché trovare un punto di equilibrio fra i contrari che spingono nello stesso soggetto, l’uno contro l’altro, è estremamente complicato e comunque non è duraturo, è fragile, è momentaneo.
Dobbiamo riuscire a far venir fuori un’immagine diversa da quella tradizionale del Rinascimento, fondata sul principio dell’armonia, e valorizzare invece il punto della contrarietà. […]
Quindi il Rinascimento va riassunto in questo elemento tragico, in questo elemento di disincanto. Però se noi facessimo questa operazione commetteremmo un errore, perché il disincanto, proprio per quella dinamica dei contrari, non si risolve mai in ripiegamento: gli uomini del Rinascimento non sono disincantati e ripiegati su se stessi, non sono disincantati e disillusi; sono disincantati ma spinti alla vita activa, che è uno dei grandi modelli teorici della cultura rinascimentale, ovvero il rapporto fra vita activa e vita contemplativa; sono uomini della vita attiva, sono pensatori.
Alberti fa tutte le grandi opere architettoniche che sappiamo, non si ripiega nella consapevolezza che l’uomo è limitato, costruisce il tempio Malatestiano; così anche Bruno costruisce l’Eroico Furore, e così Michelangelo: in questi autori c’è l’impulso al fare.
Questo è un grande tratto della cultura italiana del Rinascimento, è una cultura del fare, della vita activa, è strutturalmente una cultura dell’utopia, consapevole della fine di qualunque civiltà, della fine di qualunque eroico furore, della fine di tutto, ma, dalla consapevolezza che l’eroico furore finisce, che la civiltà finisce, non si ripiega nel nichilismo.
La vita di Bruno non ha nulla di nichilista e neppure quella di Machiavelli: è una vita che si esprime continuamente in grandi utopie, l’utopia della renovatio, della rinascenza, l’utopia che nasce dalla consapevolezza della crisi e va oltre la crisi, che in questa dinamica col disincanto diventa più forte, più potente.
I grandi autori del Rinascimento sono tutti grandi autori al tempo stesso di un mondo disincantato e limitato, ma di un mondo che si proietta continuamente oltre il suo limite, nella consapevolezza del limite ma infinitamente oltre il suo limite. Nel De infinito di Giordano Bruno troviamo una straordinaria apologia della vita quando dice sono cadute le muraglie, sono cadute le barriere, finalmente il mondo è infinito
. Anche l’infinito nei discorsi di Bruno assume una dimensione utopica come una rottura di barriere, come un andare in un altro luogo, come porsi in un altro luogo. […]
Questa cultura della dissimulazione, del disincanto, della tensione tra disincanto e utopia, è diffusa attraverso l’Italia in tutta Europa; il tema della dissimulazione è presente in Timone d’Atene, in cui tutto è obliquo, nulla è diretto, niente è al giusto livello. […]
La cultura rinascimentale italiana è una grande cultura europea. Siamo abituati ad avere un’immagine misera dell’Italia e della cultura italiana, un’immagine provinciale, ma non è così. Nei secoli moderni (500-600-700) la cultura italiana non solo è stata una grande cultura europea, ma è stata all’avanguardia della cultura europea. Guicciardini, Machiavelli, Alberti, Bruno, Giannone, Verri, Beccaria, rappresentano una grandissima cultura europea, e dopo semmai la cultura italiana si ripiega su se stessa. Ma in Italia nei secoli moderni si fondano le libertà dei moderni: è in Italia che nasce la libertà di parola, di religione, la critica della religione, la libertas filosofandi. Sono tutte grandi acquisizioni della cultura italiana e in modo particolare di quella rinascimentale.
Una grande cultura europea, all’interno della quale c’è il tema del disincanto accanto al tema dell’utopia che si situano all’interno di una concezione circolare della storia e della realtà.
Concezione vicissitudinale della realtà e della storia, la vicissitudine e il circolo; il mondo degli uomini e della storia è inscritto in un cerchio che è quello della vicissitudine.
La vicissitudine ci porta dalla morte alla vita e dalla vita alla morte, dalla civiltà alla barbarie e viceversa (Machiavelli). Questo tema della vicissitudine in cui si inscrivono sia le utopie che le sconfitte e il disincanto, è tipico della cultura rinascimentale. E da chi la derivano i grandi autori del Rinascimento? Quali sono i grandi modelli culturali e filosofici? Sono due, il modello astrologico, come si muovono le stelle e il cielo, così si muovono anche le cose del mondo e la religione. E poi il modello biologico che è piuttosto presente in Machiavelli, dalla vita alla morte, dalla morte alla vita, ma sempre all’interno di un circolo. Questo riguarda tutti gli aspetti della realtà, anche la religione. […]
Altrettanto importante è il tema del limite. Siamo abituati a pensare alla cultura rinascimentale come a una cultura che cancella e dissolve il tema del limite; invece se volessimo andare a individuare quello che è un tema filosofico comune fra Alberti, Machiavelli, Guicciardini, Pomponazzi, Bruno, lo potremmo proprio individuare nella percezione che l’uomo è limitato, sta in un limite, ne può eccezionalmente uscire qualche volta, ma che dal limite non può uscire mai una volta per tutte. […]
Il Rinascimento è l’epoca della contrarietà, della vicissitudine, della simulazione e della dissimulazione, è l’epoca che batte sul limite dell’uomo, ma è allo stesso tempo l’epoca delle grandi utopie che nascono dal disincanto, l’utopia del Principe, l’utopia di Michelangelo, l’utopia dell’Eroico Furore: le grandi utopie della cultura rinascimentale.
Perciò se vogliamo capire qualcosa della cultura rinascimentale, anche quando si tratta di utopie, abbiamo bisogno di intrecciare sempre la scrittura e la pittura, l’immagine e la parola, perché quella rinascimentale non è soltanto una cultura della parola, ma è contemporaneamente sempre anche una cultura dell’immagine. […]
Il Rinascimento è stato un capitolo centrale per l’autobiografia dei moderni, quindi se vogliamo capire come i moderni hanno pensato il Rinascimento, dobbiamo capire come hanno pensato la loro autobiografia. […]
Gli illuministi avevano una loro idea su se stessi, l’idea della ragione illuministica e della verità illuministica e non avevano nessuna simpatia per l’astrologia, per l’alchimia o per la magia. Pertanto quando dicono siamo figli del Rinascimento
, fanno una grande battaglia culturale e quindi reinterpretano il Rinascimento alla luce delle loro categorie, e se nelle loro categorie non c’è magia o alchimia, la buttano via. Ma così rappresentano un Rinascimento privo di alcuni elementi fondamentali. Infatti il concetto di Rinascimento che ci è stato consegnato fino a non molto tempo fa era il Rinascimento dei moderni, degli illuministi, dei romantici; era il modo in cui il Rinascimento era stato pensato: limitato, organizzato, ritagliato, era diventato un momento centrale dell’autobiografia dei moderni. Per riafferrare il Rinascimento, dobbiamo andare oltre la dimensione dei moderni, dobbiamo uscire dall’autobiografia dei moderni. Dobbiamo aspettare il Novecento per una reinterpretazione del Rinascimento che è il secolo in cui