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Era scritto nelle stelle (Bea e Tahir): Maktub, #2
Era scritto nelle stelle (Bea e Tahir): Maktub, #2
Era scritto nelle stelle (Bea e Tahir): Maktub, #2
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Era scritto nelle stelle (Bea e Tahir): Maktub, #2

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About this ebook

Il principe Tahir Al-Muhabitti non ha una buona opinione delle donne. Nel palazzo reale di Azhat ignorano la notte buia in cui la sua vita stava per finire a causa di una pazza che si era approfittata della sua adolescenza. Dopo quell'esperienza, tutte le amanti che passano tra le sue lenzuola hanno una data di scadenza. Anche se, il giorno in cui conosce la bella australiana Bea Fisher, Tahir comincia a mettere in discussione il suo modo cinico di vedere le donne. Tuttavia, l'interesse di Tahir viene bruscamente spezzato a causa dei suoi sospetti che Bea sia una cacciatrice di dote, e decide di farle pagare a caro prezzo le sue menzogne.

Bea Fisher lavora come designer di giardini a Melbourne. La sua azienda è appena agli inizi, ma le piace il lavoro e la sua vena ottimista non l'abbandona mai. Bea ha sempre negato il dono di predire il futuro ereditato dalla madre, e quando l'unica previsione che accetta di ascoltare da Ordella, sua madre, diventa un incubo, Bea si convince che il destino non può essere scritto. E ancor più si persuade di questo fatto quando l'uomo che era riuscito ad entrarle sotto la pelle, il principe Tahir Al-Muhabitti, si trasforma inspiegabilmente in un tiranno. Lei è una donna capace di difendersi da sola, ed è determinata a mostrarsi una degna avversaria del principe Tahir.

LanguageItaliano
Release dateNov 30, 2019
ISBN9781393672579
Era scritto nelle stelle (Bea e Tahir): Maktub, #2

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    Era scritto nelle stelle (Bea e Tahir) - Kristel Ralston

    Secondo della serie MAKTUB

    Kristel Ralston

    ©Kristel Ralston 2018

    Era scritto nelle stelle (Bea e Tahír)

    Serie Maktub. Libro 2.

    Titolo originale: Estaba escrito en las estrellas (2017).

    Tutti i diritti riservati.

    ––––––––

    Le opere dell’autrice sono protette dai diritti d’autore, e registrate nella piattaformaSafeCreative. La pirateria è un reato ed è punibile per legge.

    Disegno di copertina: Karolina García Rojo.

    Traduzione: Cinzia Novi.

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, memorizzata in un sistema o transmessa in qualunque forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico, fotocopia, registrazione o altro, senza previa ed espressa autorizzazione del proprietario dell copyright.

    Questa è un’opera letteraria di narrativa. Luoghi, nomi, circostanze, personaggi sono prodotti della fantasia dell’autore e il loro uso è fittizio; qualunque somiglianza con la realtà, stabilimenti industriali (negozi), situazioni o eventi è puramente casuale.

    Indice

    PROLOGO

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    CAPITOLO 5

    CAPITOLO 6

    CAPITOLO 7

    CAPITOLO 8

    CAPITOLO 9

    CAPITOLO 10

    CAPITOLO 11

    CAPITOLO 12

    CAPITOLO 13

    CAPITOLO 14

    CAPITOLO 15

    CAPITOLO 16

    CAPITOLO 17

    EPILOGO

    SULL’AUTRICE

    Il tuo dovere è scoprire il tuo mondo e poi darti a lui con tutto il cuore

    Buda

    PROLOGO

    ––––––––

    Tobrath, Regno di Azhat, Medio Oriente.

    La strada polverosa, in una zona lontana della città, era piena di giovani che incoraggiavano i loro concorrenti preferiti. La sabbia si mescolava con l’asfalto di un terreno che entro un anno si sarebbe trasformato nella zona residenziale più esclusiva di Tobrath. Mentre i lavori proseguivano durante la giornata, gli adolescenti approfittavano dell’alba per usare le strade in costruzione come piste da corsa.

    — Ai vostri posti, pronti... Via! — gridò il ventenne dalla linea di partenza, sventolando una bandiera a quadri bianchi e neri.

    Tahír premette a tutta forza l’acceleratore della Ferrari e il suo corpo fu spinto indietro dall’accelerazione della macchina da corsa. L’adrenalina gli scorreva nelle vene, mentre manteneva lo sguardo concentrato.

    Doveva vincere quella gara a due giri. Sentiva le gocce di sudore sulla fronte. Il suo corpo era teso. In testa aveva solo il pensiero di vincere. La scommessa non era più di una sciocchezza per il suo portafoglio, ma stava gareggiando contro Bassil Ashummi, suo rivale al liceo e in altri ambiti.

    L’estate precedente, Bassil era riuscito a portarsi a letto la ragazza che Tahír aveva intenzione di conquistare. Questa cosa aveva distrutto il principe. Durante le lezioni di dibattito politico, il biondo dagli occhi azzurri era solito perdere sul podio davanti agli argomenti eloquenti di Tahír, tranne nelle ultime tre settimane, quando era mancato alle lezioni. Era figlio di un diplomatico canadese e ogni tanto si assentava, specialmente quando suo padre doveva fare dei viaggi che richiedevano di rafforzare l’immagine del Canada come paese unito e dalle famiglie forti. I due ragazzi avevano in comune solo questo: preservare un’immagine. Fingere davanti ad altri.

    — Maledetta macchina!—gridò Tahír dando dei colpi sul volante quando la Ferrari sembrò surriscaldarsi e perdere velocità.

    Era sul punto di girare a destra per uscire dalla strada e mettersi al sicuro, quando un altro dei partecipanti alla gara illegale andò a sbattere contro di lui. Tahír si aggrappò al sedile mentre laFerrari capottava e ricadeva sul tetto. Quando il suo cervello registrò l’odore di benzina, ammaccato e stordito picchiò forte contro la portiera. Non si apriva.

    — Al fuoco! Prendete gli estintori! — gridò qualcuno nei dintorni, ma il principe aveva già visto le fiamme che iniziavano ad aumentare.

    Disperato frugò nel vano portaoggetti, dov’era solito tenere un’arma e un coltello per autoprotezione, trovò un piccolo martinetto idraulico. Lo tirò fuori rapidamente e iniziò a colpire il vetro del finestrino fino a quando non si ruppe.

    Cercò di togliere la cintura di sicurezza per strisciare e salvarsi. Aveva le mani graffiate e probabilmente una ferita alla fronte perché non era normale la quantità di liquido che sentiva scivolare sulla guancia. Si passò il dorso della mano. Rosso. Di sicuro era gravemente ferito. Si girò su sé stesso e si lamentò per il dolore. Maledetta costola.

    — Al-Muhabitti! — gridò l’inequivocabile voce di Bassil. — Le tue guardie del corpo sono qui! Ci aiuteranno a tirarti fuori.

    «Dannazione.» L’ultima cosa che Tahír voleva era vedere il suo principale avversario che gli salvava la pelle. Non lo avrebbe permesso per nessun motivo. Con la coda dell’occhio vide diverse paia di scarpe. Era circondato e la gente urlava. Sentiva come la Ferrari si muoveva per le spinte della gente che tentava rdi addrizzarla per facilitargli l’uscita. Se ci fossero riusciti, molto probabilmente gli avrebbero fatto ancora più male, perché era ferito.

    — Ce la faccio da solo. Allontanatevi da questa maledetta Ferrari! — gridò con prepotenza, cercando di strisciare sull’asfalto sporco.

    Bassil non gli diede retta, lo afferrò per le braccia e lo aiutò ad alzarsi in piedi. Tahír lo allontanò con una spinta guardandolo con rabbia.

    — Sarà che sei stupido, Al-Muhabitti — disse il ragazzo passandosi le mani tra i capelli spessi del colore dei raggi del sole.

    — Vai al diavolo, Ashummi. Siamo pari.

    Bassil aggrottò la fronte, e quando capì a cosa si riferiva contenne la voglia di dargli un pugno.

    — Ascolta bene, principino da strapazzo — disse puntandogli addosso l’indice davanti allo sguardo attonito della gente, principalmente ragazze in fila per essere, anche solo per pochi minuti, al centro dell’attenzione di un ragazzo popolare e di classe. —La vita di un essere umano non vale una corsa d’auto. Sei al sicuro. Vuoi rompere l’accordo? Perfetto. Avremo una sfida in sospeso in un prossimo futuro.

    —Idiota— mormorò Tahír a bassa voce, togliendo la giacchetta di cuoio nero.

    La corsa era stata interrotta. E se prima c’erano duecento persone che urlavano e facevano il tifo, ora ne rimanevano appena trenta.

    Un incidente era la cosa peggiore che poteva capitare durante una corsa illegale perché questo richiamava irrimediabilmente le autorità. Tutti i partecipanti facevano parte della crema dell’alta società di Tobrath. Nessuno avrebbe voluto perdere i privilegi nelle loro case di lusso per uno scandalo.

    Tahír era solito aggirare la sicurezza reale, le sue guardie del corpo, per andare alle feste organizzate dai suoi compagni del liceo d’élite che frequentava. All’alba scivolava con discrezione perché nessuno notasse la sua assenza e godeva, come in quest’occasione, di attività che mettevano alla prova la sua determinazione e mandavano alle stelle l’adrenalina.

    Con indolenza, gongolava per il suo status di principe sapendo di poter avere tutto ciò che voleva. Di poter assecondare qualunque capriccio. Di poter ottenere tutti i lussi più stravaganti solo chiedendoli, e soddisfare l’ansia sessuale della quale iniziava a godere regolarmente. Tahír sapeva che il peso della corona non sarebbe mai ricaduto sulle sue spalle, e questo era un gran sollievo per il suo avido bisogno di sperimentare più rischi dei suoi fratelli: Bashah, principe ereditario, e Amir, terzo nella linea di successione al trono di Azhat.

    —Altezza!— esclamò una delle guardie del corpo circondandogli la vita con il braccio per sostenerlo. Tahír gli appoggiò il braccio sulla spalla e iniziò a camminare verso l’auto usata dalla sua squadra di sicurezza. —Dovremo accompagnarla all’ospedale più vicino. Se avessimo tardato solo un altro secondo...

    Erano abbastanza lontani quando il principe sentì un’esplosione. «Addio, Ferrari», pensò girando la testa per vedere le fiamme  che si sollevavano fino al cielo, e una squadra di vigili del fuoco, appena arrivata, che cercava di spegnerle.

    —Portatemi al palazzo. Mi farò curare lì dal medico di famiglia. Non voglio sapere nulla di ospedali né di persone curiose che mi dicono cosa fare ogni cinque minuti.

    Denth, la guardia del corpo, guardò il suo compagno, Oliver. Erano entrambi al fianco del principe quando lui salì sulla BMW blindata.

    —Ma... —iniziò Denth, mentre il conducente lasciava la zona.

    —Non è una richiesta burocratica —disse Tahír tra i denti. Gli facevano male la testa e le costole. Voleva solo che lo lasciassero in pace—. È un ordine reale.

    —Naturalmente, altezza —rispose il corpulento Oliver, senza opporsi e lanciando uno sguardo a Denth perché rimanesse in silenzio.

    Entrambi sapevano che quell’incidente segnava il loro ultimo giorno di lavoro per la famiglia reale Al-Muhabitti. Era la quinta volta in un mese che Tahír dava loro la polvere. Se non lo avessero trovato in tempo, molto probabilmente il principe a quell’ora sarebbe stato morto. Non sapevano quante agenzie di sicurezza fossero destinate a ruotare nella custodia dei membri reali di Azhat, ma avevano ben chiaro che l’agenzia per la quale lavoravano, la Homs&Thua, non sarebbe più stata una di quelle.

    La confusione creata il giorno dopo dai giornali internazionali, che parlavano dell’incidente e mettevano in evidenza il comportamento improprio e ribelle di Tahír, fu la goccia che fece traboccare il vaso nel palazzo.

    —Lasciateci soli! —gridò il re mentre entrava nella camera del principe.

    Erano nell’ala medica dove venivano curati gli Al-Muhabitti. Tahír aveva una costola rotta. Il sopracciglio tagliato e il viso tumefatto per l’impatto. Avevano dovuto suturare la ferita del sopracciglio con quattro punti.

    La stanza si svuotò.

    —Padre... —mormorò Tahír— grazie della visita.

    Il re Zahír gli lanciò uno dei giornali più dannosi per la reputazione della famiglia reale. Il principe sollevò il periodico dal suo grembo. Lesse.

    Orge, corse illegali e molta adrenalina segnano la vita del principe Tahír Al-Muhabitti.

    Mise di fianco la copia. Sapeva che la stampa esagerava. Orge? Forse nelle loro fantasie personali, ma non era vero. Sicuramente qualcuno che due notti prima era stato presente alla corsa nella periferia di Tobrath, aveva pensato che sarebbe stato meglio parlare di quello che c’era dietro le corse. Cosa gli avevano offerto? Perché tutti cercavano qualcosa. Soldi, contatti, fama... Avrebbe già dovuto essere abituato a questo, ma non era così. Guardò suo padre, la cui espressione di rimprovero e delusione aumentava il risentimento che provava verso di lui da quando sua madre non c’era più.

    —Questa non è una visita sociale, Tahír —disse incrociando le braccia e camminando da una parte all’altra. Era un uomo alto e con la barba perfettamente tagliata, grigia. Aveva una forza incrollabile, e il suo popolo lo rispettava—. Hai infangato il nome della nostra famiglia con i tuoi comportamenti. Non è la prima volta che succede. Quando smetterai di comportarti come un moccioso di dodici anni? Sei il secondo nella successione al trono di un paese tradizionale e prospero! Perché non hai coscienza? Sei un ragazzo di diciassette anni! Ti ho mandato nel miglior liceo del paese, uno che fa concorrenza a quelli delle altre nazioni. Vuoi fornicare? Hai un harem. Vuoi un’orgia? La chiedi all’harem —disse senza preoccuparsi di nulla.

    —Mi godo la vita —rispose lui con insolenza.

    A quanto sembrava suo padre credeva che si dedicasse solo alla promiscuità. Wow, che cosa interessante. E lui che aveva pensato di proporgli un piano per migliorare i sistemi di sicurezza del palazzo. Era un genio con i computer e aveva un cervello fatto per vedere spazi e dettagli che sfuggivano anche alle guardie migliori. Come avrebbe fatto, altrimenti, ad ingannarle?

    —Non sei nato per goderti la vita! Sei nato per essere un principe e per dare al tuo popolo giorni migliori.

    La rabbia di Tahír iniziava a ribollire. Che ne sapeva suo padre? Come si azzardava a giudicarlo se non era mai presente come padre ma solo come re? Non si era nemmeno proccupato di chiedergli come stava o come si sentiva.

    —Forse non voglio essere un principe.

    —Non hai scelta, Tahír. Il tuo destino è scritto e devi seguirlo. La prossima volta che finirai sui giornali, puoi star certo che ti manderò a  vivere per un anno con le tribù dei berberi nel deserto.

    Il principe guardò suo padre, e sentì un grande vuoto. I suoi fratelli erano andati a trovarlo, più preoccupati per lui che per quello che potevano dire gli altri. Almeno quel legame tra fratelli era forte ed estraneo al fatto che erano tre figure pubbliche.

    —Avrei preferito vivere nel deserto.

    —Sei avvisato —disse il re, senza mostrare la sua frustrazione per non essere riuscito ad ottenere una reazione da suo figlio. Per anni aveva cercato di recuperare il rapporto lui, ma Tahír era un osso duro e, quanto a lui, aveva poco tempo a causa dei suoi suoi impegni come monarca. Dei suoi tre figli, Tahír era il più indomabile. —Sono stato chiaro?

    —Naturalmente.

    —Non so cosa fare con te. Sei una delusione dietro l’altra, per questa famiglia.

    —A volte mi chiedo se avresti voluto che non nascessi —disse.

    Il re Zahír lo guardò intensamente. Senza dire altre parole, con due passi lasciò suo figlio da solo e chiuse sbattendo la porta.

    Tahír osservò la stanza e sentì la gola secca. Non si dice che chi tace acconsente?, si chiese, ferito.

    Se anche c’era una speranza che suo padre potesse vedere in lui qualcosa che andava oltre i problemi, quel giorno si era estinta. Accettava, sconfitto, che il re non sarebbe mai riuscito a capirlo. Né a volergli bene...

    La morte di sua madre lo aveva colpito in un modo che non sarebbe mai riuscito ad esprimere. Ai principi non era permesso dimostrare emozioni in pubblico... A quanto sembrava nemmeno in privato.E questo lo aveva segnato.

    Nessuno sembrava capirlo e lo trattavano come se fosse suo dovere, e qualcosa di normale, imparare a lottare con una perdita di quell’entità senza lamentarsi.Non ne parlava mai con i suoi fratelli. Ciascuno sembrava vivere nella propria realtà, in merito a questo fatto. Infatti, le attività erano basate sulla preparazione dei principi come membri della famiglia reale Al-Muhabitti. La via da seguire in questo senso sembrava delimitata, tranne che per Tahír.

    Bashah, il principe ereditario, doveva seguire la tradizione delle iniziazioni sessuali in due periodi della sua vita adolescente e giovanile. Aveva l’incarico di dare un erede al trono e di contrarre matrimonio con una donna che si adattasse agli interessi di Azhat per portare stabilità ed armonia al regno. Amir, il terzo dei fratelli, aveva la capacità innata di ottenere ciò che voleva in modo equo ed affascinante; il re aveva preso in considerazione di prepararlo alla gestione dei rapporti sociali per ottenere alleanze e benefici commerciali in futuro.

    Nel caso di Tahír, lui sembrava non avere un percorso tracciato, principalmente per la sua costante ribellione. E quel dettaglio riusciva solo a far arrabbiare maggiormente il principe, l’unico dei tre fratelli che aveva ereditato sia i luminosi occhi verdi della scomparsa regina Dhalilah che il suo indomito spirito avventuroso. Forse questi aspetti in comune con la regina avevano fatto sì che, in vita, lei mostrasse più pazienza e comprensione nei confronti del suo secondo figlio rispetto a quelle che il re era solito dimostrare all’imprevedibile principe.

    ***

    —Che crede di fare, altezza? —chiese l’inconfondibile voce del consigliere di Tahír, quando lo beccò ad aprire la cassaforte del re dove venivano custoditi tutti i gioielli, non solo ereditati, sia dei re che dei loro figli.

    Con l’altezzosità che lo caratterizzava, Tahír si voltò verso l’uomo dalla barba imponente e dagli sporgenti occhi neri. Erano già passati cinque mesi dall’incidente. Niente più corse illegali, ma questo non significava che avesse smesso di sgattaiolare per godersi la sua giovinezza e i piaceri che questa poteva darle.

    —La cosa più ovvia —rispose mentre riponeva in un piccolo sacchetto marrone uno dei tanti anelli e delle perle. —.Esco. E ho diritto di portarmi questi gingilli —agitò il sacchetto— perché sono miei come di qualunque altro membro della famiglia.

    L’uomo lo osservò serenamente.

    —Sarà meglio che esca in questo momento, altezza, se non vuole che sua maestà si arrabbi e le dia un castigo.

    «Mio padre non ha abbastanza tempo da dedicare ad un figlio che crede serva solo a creare problemi», avrebbe voluto dire all’uomo che portava la sua agenda reale. Non avrebbe sprecato fiato. Era sempre più stanco di quella farsa dove suo padre fingeva di provare interesse per i figli. Forse i suoi fratelli erano disposti ad accettarlo; lui, no.

    Odiava vivere confinato nel palazzo. Odiava essere principe quando veniva visto solo come strumento di immagine monarchica. Preferiva unirsi ai piani dei suoi compagni di liceo e creare caos, dimenticarsi delle responsabilità... Preferiva stare nel deserto, a montare un cavallo, a praticare le arti marziali in palestra o ad allenarsi con l’esercito reale.

    —Non sei forse il mio consigliere, Karim? —chiese sorridendo maliziosamente. L’uomo chinò la testa con un cenno che non significava rassegnazione, ma rabbia contenuta perché qualunque slittamento da parte sua sarebbe stata colpa di Karim. — Pensavo fosse così.

    Mise i gioielli in una delle sue tasche. Sistemò i lacci rossi della sua cuffia bianca. Quella mattina aveva praticato la scherma nel cortile posteriore del palazzo. La sabbia, il sole e la tensione si mescolavano in un’attività che richiedeva tutto il suo ingegno e la sua coordinazione. Tutti gli anni c’era una competizione nazionale di scherma. Da quando aveva iniziato a partecipare, a tredici anni, aveva vinto sempre ogni concorso nella sua categoria.

    —Gli animi sono forti per la riforma sul nuovo prezzo del petrolio, ed è preferibile che rimanga nel palazzo. Fuggendo da solo, come vuole fare, riuscirà solo a compromettere gli agenti che si prendono cura di lei...

    —Conosco meglio di chiunque le misure di sicurezza. Non li prendo forse in giro costantemente? —chiese petulante.

    —Capisco che la vita non è stata facile dopo la morte della regina Dhalilah, altezza, e che non lo sarà, ma è il momento di...

    Il principe sollevò una mano per zittirlo.

    Karim obbedì all’ordine silenzioso.

    —Non credere di potermi dire che mi capisci. Ti stai comportando in maniera poco adeguata. Che non ti passi più per la testa di parlare di mia madre.

    Karim Labouthy annuì, ma al giovane principe non passò inosservato il gesto dell’uomo di stringere i pugni ai lati.

    —Potrebbero licenziarmi se sapessero che lei è in pericolo e che per colpa mia non sono stati capaci di evitarlo.Ricorda quella corsa di macchine? —Tahír si strinse nelle spalle—. Ci ha fatto prendere uno bello spavento. Visto che lei è così bravo a prendere in giro le sue guardie del corpo, quelli che cercano di danneggiarci potrebbero approfittare di questo dettaglio. Metterebbe il paese in un’inutile crocevia, altezza.

    Per un breve istante, Tahír sembrò riconsiderare la sua intenzione di uscire per incontrare la ragazza della quale si era invaghito. Sapeva già come uscire dal palazzo per andare a cercare Freya per le vie della città. Pensava di camuffarsi e di passare per un cittadino qualunque... Sapeva di avere un breve margine di vantaggio prima che le sue guardie del corpo fossero nuovamente con lui, e per questo approfittava di ogni attimo di libertà rubato.

    —No, non ti licenzieranno se non dirai nulla. Questo è tutto —disse con lo stesso tono tagliente che aveva sentito da suo padre quando congedava qualcuno che lo stava importunando.

    Senza volgere nuovamente lo sguardo al suo consigliere, il principe si incamminò.

    Il sole non era molto forte e l’illusione di ricongiungersi con la donna che gli faceva battere il cuore lo spingeva ad infrangere qualunque regola pur di vederla. Non aveva mai visto una ragazza così bella. Nemmeno le donne dell’harem potevano essere paragonate a lei. Sentiva che era l’unica donna per lui. Era innamorato, per il principe non poteva esserci altra spiegazione. Si sentiva invincibile, importante per qualcuno. Lui la faceva sempre franca, forse non nel modo sottile che usava Amir, ma il risultato era comunque sempre a suo favore.

    Aveva conosciuto Freya una sera, tre settimane prima, durante la festa di compleanno del figlio dell’ambasciatore di Svezia. Da quando i suoi occhi si erano posati suFreya Wahmuh, lui non aveva più provato interesse per altre ragazze. Non gli importava un’altra donna.

    Dopo la festa si erano visti di nascosto, in occasione di vari eventi privati di Tahír. Non voleva vincolare alle questioni del palazzo una persona così speciale come Freya, perché non voleva contaminare qualcosa che riteneva speciale e sottometterla ai pettegolezzi della casa reale.Mantenevano i contatti via Skype, Whatsapp, e profili criptati di Facebook con false identità.

    Era la prima donna che non aveva nessun interesse per lui al di fuori della persona che era realmente: un giovane avventuroso, spensierato e con molte idee per il futuro di Azhat. Entrambi avevano gli stessi gusti per l’arte, per il cibo... L’unica differenza era che Freya era molto timida, ma ad ogni modo con lui era dolce e affettuosa.

    —Sei speciale per me —gli aveva detto lei in un’occasione.

    —I tuoi gesti lo dimostrano —aveva risposto lui, catturato dal candore che traspariva dallo sguardo femminile.

    —E penso di continuare a farlo fino a quando me lo permetterai —gli aveva sussurrato all’orecchio prima di abbracciarlo e lasciarsi accarezzare con passione.

    Si mostravano discreti quando stavano insieme. Raramente uscivano in pubblico. Era il modo diTahír per proteggerla dalla stampa, e lei era daccordo. Non pretendeva nulla. E lui era felice di averla incontrata.

    Nonostante vivesse in un paese che manteneva le tradizioni di una corte maschilista, lui non si considerava parte di quel gruppo di idioti poco abituati a comprendere il mondo in maniera cosmopolita. Per questo non si era sorpreso scoprendo di non essere il primo uomo che andava a letto con Freya.Tuttavia, era innamorato e voleva essere l’ultimo a scoprire i segreti del piacere tra le sue braccia. E per questo motivo aveva rubato l’anello di matrimonio di sua madre, e le perle appartenute alla sua nonna materna, dalla cassaforte del palazzo.

    Avrebbe proposto a Freya di sposarlo. Sarebbe stato un principe che si sposava da giovane, e allora? Era completamente pazzo di lei. Quella pelle olivastra, morbida come la seta più costosa, gli faceva desiderare di continuare a toccarla anche dopo ore di piacevoli carezze. I capelli, che cadevano agitandosi come una cascata furiosa mentre cavalcava sul suo corpo alla ricerca del piacere e portandolo con sè nell’abisso di un’estasi selvaggia, una combinazione perfetta per condividere sussurri di piacere.

    Tahír sentiva che il cuore gli andava a mille. Era una giornata importante. Avrebbe segnato l’inizio della sua vita insieme a Freya. Avrebbe affrontato tutto il mondo, se fosse stato necessario, per averla per sempre al suo fianco.

    Dopo aver abbandonato il palazzo e aver raggirato le sue guardie del corpo, Tahír prese l’auto che uno dei suoi amici gli aveva prestato. Guidò per le strade fino a raggiungere il parcheggio sotterraneo di un hotel molto elegante ed esclusivo. Era il tipo di posto in cui i dipendenti sapevano di non dover diffondere ciò che vedevano o ascoltavano; venivano pagati bene per questo.

    Aprì la porta del Koenigsegg Agera R. Forse non avrebbe dovuto usare un’auto così costosa, ma lui godeva della velocità. Uscì dal veicolo fischiettando una melodia allegra. Digitò il codice di sicurezza per attivare l’antifurto. «Voglio vedere la faccia di Freya quando le proporrò di sposarmi», pensò emozionato. Aveva richiesto l’attico, lo champagne e i fiori. Tutto quello che una ragazza avrebbe potuto desiderare, e tutto quello che un ragazzo di diciassette anni avrebbe potuto immaginare nel concetto di «romanticismo».

    Girò su sè stesso per dirigersi verso le porte che portavano all’ascensore. Oltre all’emozione per i suoi piani,quello che sentì dopo fu un colpo forte alla testa.Tutto divenne completamente scuro.

    ***

    Tahír riprese lentamente coscienza.

    Il colpo del giorno precedente era stato sul punto di farlo cedere. Solo la forza appresa durante i suoi allenamenti di arti marziali e lo stato fisico acquisito grazie alle giornate di allenamento con l’esercito reale di Azhat gli avevano permesso di affrontare diversamente il dolore.

    Non ricordava da quanti giorni era prigioniero e non sapeva dove si trovava. Lo avevano colpito e torturato.

    Doveva sopravvivere. Aveva bisogno di farlo.

    Era sul punto di arrendersi e di chiedere che si fermassero, che smettessero di colpirlo, quando gli avevano tolto il cappuccio. Un principe non pregava mai, si ricordò cercando di trovare la forza.

    I suoi occhi iniziarono ad abituarsi alla luce. La prima immagine che vide davanti a lui fu quella di uno dei cinque uomini che erano stati i suoi carnefici. Uno era più spaventoso dell’altro. Lui non dimostrava paura, tantomeno interesse.

    In merito al cibo, gli davano dei pezzi di pollo che—a quanto sembrava— erano i resti di quello che mangiavano quei bastardi. Gli era abbastanza chiaro che la loro intenzione non era farlo morire

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