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L'uomo del vicolo Calusca: Milano, 1946
L'uomo del vicolo Calusca: Milano, 1946
L'uomo del vicolo Calusca: Milano, 1946
Ebook268 pages3 hours

L'uomo del vicolo Calusca: Milano, 1946

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EDIZIONE REVISIONATA 26/11/2019.

Il vicolo Calusca, a Milano, era nientemeno che un grande bordello a cielo aperto, situato alla fine del corso Ticinese 106. Dagli ultimi anni dell’800 agli inizi degli anni 50 luogo di depravazione; dal percorso stretto e sinuoso finiva per confluire con l’attigua via Scaldasole anch’essa poco raccomandabile. Infatti Calusca è la versione dialettale di “casa losca”. Un tragico fatto di cronaca nera che oggi nessuno ricorda più viene qui riproposto. Un delitto efferato con dei risvolti quasi esoterici e misteriosi che ha appassionato e atterrito i milanesi in quell’anno 1946.
LanguageItaliano
PublisherCrescere
Release dateNov 26, 2019
ISBN9788883378485
L'uomo del vicolo Calusca: Milano, 1946

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    L'uomo del vicolo Calusca - Giampaolo Rossetti

    Giampaolo Rossetti

    L'uomo

    del

    vicolo Calusca

    Milano, 1946

    © 2019 LIBRARIA EDITRICE S.r.l.

    CRESCERE Edizioni è un marchio di

    Libraria Editrice S.r.l.

    http://www.edizionicrescere.it

    Tutti i diritti di pubblicazione e riproduzione anche parziali sono riservati

    In collaborazione con la libreria FIERA DEL LIBRO, Milano, ove è possibile reperire l'edizione cartacea 9788883377563

    Biografia dell'autore: Rossetti Giampaolo (1934), milanese da molte generazioni, è ritenuto la memoria storica del quartiere Ticinese dove è nato e dove sono ambientati tutti i suoi libri. Giallista finissimo e geniale, ambienta le sue opere negli anni trenta, anni bui di cui si sta perdendo la memoria. Per i temi trattati è ritenuto l’erede di Scerbanenco.

    Bibliografia

    Edizioni Libreria del Corso: Notte Nebbia e Naviglio - 14 Dicembre 1934 - Delitto al quarto piano - Delitto alla fiera

    Edizioni Mursia: Delitto a Porta Ticinese - Il caso Laganà

    Edizioni United: Paprika sul naviglio - Una strana indagine - La nipote del Re

    Scopri gli altri eBook di Crescere Edizioni

    Questo libro è dedicato

    alla mia compagna Franka

    che mi supporta

    da 29 anni.

    Indice

    Ringraziamenti

    Introduzione

    Marzo. Lunedì 14

    Marzo. Martedì 15

    Marzo. Mercoledì 16

    Marzo. Giovedì 17

    Marzo. Venerdì 18

    Marzo. Sabato 19

    Marzo. Domenica 20

    Marzo. Lunedì 21

    Marzo. Martedì 22

    Marzo. Mercoledì 23

    Marzo. Giovedì 24

    Marzo. Venerdì 25

    Marzo. Sabato 26

    Marzo. Domenica 27

    Marzo. Lunedì 28

    Marzo. Martedì 29

    Marzo. Mercoledì 30

    Marzo. Giovedì 31

    Aprile. Venerdì 1

    Aprile. Sabato 2

    Aprile. Domenica 3

    Aprile. Lunedì 4

    Aprile. Martedì 5

    Aprile. Mercoledì 6

    Aprile. Giovedì 7

    Aprile. Venerdì 8

    Aprile. Sabato 9

    Aprile. Domenica 10

    Aprile. Lunedì 11

    Aprile. Martedì 12

    Aprile. Mercoledì 13

    Aprile. Giovedì 14

    Aprile. Venerdì 15

    Aprile. Sabato 16

    Aprile. Domenica 17

    Aprile. Lunedì 18

    Aprile. Martedì 19

    Aprile. Mercoledì 20

    Aprile. Giovedì 21

    Introduzione

    Il vicolo Calusca, a Milano, era nientemeno che un grande bordello a cielo aperto, situato alla fine del corso Ticinese 106. Dagli ultimi anni dell’800 agli inizi degli anni 50 luogo di depravazione; dal percorso stretto e sinuoso finiva per confluire con l’attigua via Scaldasole anch’essa poco raccomandabile. Infatti Calusca è la versione dialettale di casa losca.

    Case fatiscenti, umide e maleodoranti, dove il vizio imperava, i milanesi per bene non vi transitavano praticamente mai. Di fronte ad ogni ingresso di queste case vecchie e a volte semi diroccate vi stazionavano solamente prostitute e protettori. Niente bambini intenti a giocare, niente ringhiere piene di vita e di sole, ma soltanto buio, muffa alle pareti scrostate, poi desolazione e vizio. Miseria nera ed evidente, dall’inizio alla fine di quello stretto e piccolo budello.

    Alla sera il vicolo si animava di tipacci poco raccomandabili, protettori dal coltello facile e giovani sbandati in cerca di avventure, poi donne, sempre donne, solamente donne disponibili.

    Questo e non altro era il vicolo Calusca, almeno sino agli inizi degli anni cinquanta, poi le cose, sia pur lentamente hanno incominciato a cambiare, alcune case abbattute dai bombardamenti non sono state ricostruite, altre nell’ immediato dopo guerra lesionate gravemente, rase al suolo per fare spazio a nuove costruzioni moderne.

    Il vicolo stesso oggi è molto corto e non confluisce più con la attigua via Scaldasole, interrotto da un palazzo nuovissimo. Aria nuova, pulita, altra gente di un ceto sociale più elevato sono subentrate alle ligere di quel tempo. Praticamente quasi nulla oggi ricorda quella suburra che è stato il vicolo Calusca ridotto a poche decine di metri, solo il portale d’ingresso e la targa stradale ancora visibile lo certificano. Ma un tragico fatto di cronaca nera che oggi nessuno ricorda più viene qui riproposto.

    Un delitto efferato con dei risvolti quasi esoterici e misteriosi che ha appassionato e atterrito i milanesi in quell’anno 1946.

    L’autore

    Marzo. Lunedì 14

    Il commissario De Martino era alla sua scrivania, chino su un incartamento che da tempo doveva essere preso in visione, ma la sua idiosincrasia per i noiosi lavori d’ufficio non lo aveva mai permesso. Lo stava leggendo e rileggendo cercando in quel linguaggio burocratico e poliziesco di capire il perché concetti così semplici dovessero essere resi tortuosi e complicati al limite della stupidità.

    Era una radiosa mattina di marzo di quelle che annunciano la Primavera, i rami dei platani del viale Papiniano iniziavano a ricoprirsi di gemme e le foglie sarebbero presto spuntate. Questo è l’eterno ciclo della natura e questo è quanto De Martino vedeva dalla finestra, posta al primo piano del commissariato Genova di piazza generale Cantore. Continuava a leggere, a distrarsi e non capire il guazzabuglio di parole di quel rapporto, poi finalmente qualcuno bussò delicatamente alla sua porta.

    «Avanti! – e poi – ah, sei tu Cosimo vieni avanti, perché quel viso?»

    «Caro dottore solo perché non ne ho un altro. Comunque ci risiamo, hanno trovato a porta Ticinese un morto ammazzato in modo strano, è il corpo di una donna di età avanzata, per ora non so altro, credo che dovremmo andare a vedere.»

    «Lo credo anch’io, dove è avvenuto il fatto?»

    «Nel vicolo Calusca. Erano anni che in quel vicolo non avveniva nulla di grave, risse, litigi, pestaggi sì, ma un delitto no, ci hanno avvisato adesso, uno venuto in bicicletta e poi è sparito, in quel posto la polizia la si chiama solo quando il fatto è grosso, quindi?»

    «Quindi andiamo, intanto tu vecchio saggio mi spiegherai cosa diavolo è quel vicolo, dove si trova e tutto quello che sai e che dovrei sapere anch’ io ma non so.»

    «Il fatto che quella è una terra di nessuno, o meglio pur essendo nel nostro territorio è da sempre di pertinenza della buoncostume. Prostituzione a cielo aperto a ritmo costante e ininterrotto da mattina a sera. Noi non ci mettiamo mai un piede, sarebbe una invasione di campo e quelli della buoncostume se la prenderebbero a morte, perché hanno sempre le mani in pasta e ci intrallazzano tranquillamente. La prostituzione sarebbe proibita, ma di fatto è tollerata, basta che non si esageri come quello che è capitato oggi. Quindi ora tocca a noi.»

    «Ho capito una specie di extraterritorialità, una enclave del vizio situata nel nostro territorio, ma adesso hanno esagerato e tocca a noi intervenire. È così?»

    «Esatto, vedrà lei stesso che roba! Sembra un altro mondo parallelo al nostro, due strade rette che quasi mai si toccano. Sarà dura per noi, quelli faranno quadrato che al confronto quello di Villafranca è stato un gioco. Sempre che il responsabile sia uno dei loro, se così non fosse allora, forse, ci daranno una mano e se lo faranno sarà soltanto per toglierci di torno alla svelta. Hanno bisogno di passare il più possibile inosservati. I loro clienti non sarebbero contenti di questa notorietà non gradita. Pensi un po’ un delitto, cioè il peggio del peggio, quel vicolo resterebbe deserto e addio ai guadagni.»

    Nel tragitto lungo i bastioni che costeggiano la darsena del Naviglio mentre camminavano di buon passo, il brigadiere Cosimo Di Donno si mise di impegno per informare il suo capo, il commissario di prima classe De Martino su quanto avrebbe visto tra pochi minuti. I due si conoscevano da anni e avevano in essere un rapporto simbiotico che in un altro contesto si sarebbe potuto definire di amicizia, al di là della diversità dei gradi e delle qualifiche. Le ferite della guerra da poco terminata non si erano ancora rimarginate, iniziava la ricostruzione di una città martoriata dai bombardamenti, cumuli di macerie ai lati della strada: cantieri edili ovunque, operai su impalcature in canottiera e cappello di carta da giornale, carretti trainati da cavalli magri e bolsi, e lungo le strade centinaia di uomini in bicicletta pedalavano affannosamente diretti chissà dove a fare chissà cosa.

    A volte solo prendere un tram era un lusso da evitare e quindi o gambe in spalla oppure pedalare al punto di avere il fiatone e intanto sognare di essere Bartali.

    Nel giro di pochi minuti raggiunsero piazza 24 Maggio, girarono a sinistra imboccando il corso di porta Ticinese e dopo pochi metri, giunti al civico 106 ancora a sinistra, un piccolo passaggio coperto e su un muro decrepito e scrostato una targa stradale, la numero 595, che dimostrava tutti i suoi anni, con una scritta: Vicolo Calusca.

    Erano arrivati.

    Non ci fu bisogno di chiedere dove fosse successo il fattaccio, davanti all’ingresso di quella che più di una casa appariva una spelonca, stazionavano una decina di donne che parlavano concitatamente tra loro, alla vista dei due uomini, riconosciuti immediatamente per quello che erano, fattesi improvvisamene silenziose si scansarono per cedere il passo ai nuovi arrivati, che entrarono salendo al primo piano tramite una scala di legno logorata dal tempo, malferma e cigolante.

    Sul posto vi era un solo agente, arrivato dal più vicino commissariato Ticinese di via Meda al 5, il primo ad essere giunto sul luogo del delitto, che salutò con deferenza il suo superiore, poiché i due commissariati erano gestiti dal dottor De Martino, sia pure tramite la persona, come facente funzione, del brigadiere Cosimo Di Donno.

    In una camera, l’unica, stesa su un malandato letto vi era la vittima, il corpo era composto, ma con gli avambracci in una posizione strana, tanto da portare le mani sul viso a coprire gli occhi, nella tipica posizione di chi non vuole vedere. De Martino si avvicinò, la luce che filtrava da una finestra semichiusa era scarsa, tutto quel posto assumeva un che di irreale. Alcune donne si erano radunate in un angolo silenziose stringendosi l’un l’altra. Non era presente nessun uomo.

    La prima cosa che il commissario vide era il manico di un oggetto, a prima vista un coltello, che spuntava conficcato al centro del corpo della donna in direzione del cuore.

    «Sono il commissario De Martino, vorrei sapere chi ha trovato il corpo, quando, come e chi era la donna morta. Non abbiate paura, dovete rispondere solo a qualche domanda.»

    Come temeva le donne si strinsero ancora di più tra loro e nessuno parlò, allora intervenne con più decisione il brigadiere, sicuramente più avvezzo a quegli ambienti.

    «Su, su ragazze questo non è un gioco, qui c’è una morta, noi non siamo della buoncostume siamo della omicidi, se c’è in giro qualcuno che fa queste cose, le potrebbe rifare, pertanto è interesse di tutte voi fermarlo. Dunque? Fatevi uscire il fiato, parlate! Se no saremo costretti a cambiare registro. Tutte le sere una retata e allora addio lavoro. Intesi?»

    Le donne si strinsero ancora di più tra loro, si guardavano l’una con l’altra ma nessuno si decideva a parlare. Intervenne ancora il commissario.

    «Donne lo chiedo ancora una volta, per il vostro bene parlate, io non voglio usare la mano pesante, ma all’occorrenza lo farò, sia pure contro voglia. È anche vostro interesse, pensate da domani sarete su tutti i giornali, è questo che volete?»

    Era evidente che le donne fossero indecise, poi con il tacito consenso di tutte, una con voce timorosa parlò.

    «Si chiamava Teresa, era stata una di noi, tanto tempo fa, adesso ormai anziana campava facendo le carte, i tarocchi, leggeva la mano e prediceva il futuro. Era brava, dicono che non sbagliasse mai, noi le volevamo bene, nessuno di noi le avrebbe fatto del male.

    Voi non potete capire signor commissario, era una di noi, aveva fatto il nostro mestiere. Era buona e ci dava sempre dei consigli.»

    De Martino fece un sorriso di incoraggiamento alla donna.

    «Brava vede che non è difficile. Chi ha scoperto il corpo e quando?»

    «Io non lo so, ho sentito gridare, siamo corse tutte e poi c’è stata confusione, è arrivata gente, tutte piangevano, non sapevamo cosa fare e poi siete arrivate voi, è tutto quello che sappiamo.»

    Era evidente che la donna non voleva coinvolgere i protettori, tutta gente pregiudicata, vissuta ai margini della legge da sempre. Quello a prima vista era un atto da uomini.

    «Donne un poco di buona volontà, il commissario è buono ma può cambiare registro e allora saranno guai per tutti qui al vicolo. Dottore cosa vuol fare, facciamo intervenire la scientifica per i rilievi soliti di legge?»

    «Per cosa? Le impronte? Ma chissà quanta gente è passata di qua da stamattina e qui sono tutti pregiudicati, poi con la guerra, i bombardamenti, gli incendi e altro ancora i casellari giudiziari sono praticamente cancellati. No Cosimo lascia perdere, chiamiamo piuttosto il medico legale, quello sì. Ma adesso guardiamo bene il corpo, perché a prima vista mi sembra un delitto fuori dalla norma, un poco strano. Non è certo un delitto per rapina, guardati in giro, qui la miseria la vendono a chili, nè un delitto d’impeto, hanno composto il corpo in modo strano, quindi hanno avuto tempo per farlo. Dai Cosimo al lavoro. Cerca i documenti vediamo chi era, se aveva parenti, precedenti e altro ancora, più ne sapremo e meglio sarà.»

    Il primo agente arrivato sul posto venne incaricato di telefonare all’istituto di medicina legale perché inviassero un loro rappresentante. Così come imponeva la legge.

    La donna giaceva composta sul letto, le mani sugli occhi come una che non vuole vedere, a un lato del letto un comodino sul quale era stato appoggiato un libro e su questo due ceri ormai spenti.

    Al centro del petto il manico di quel coltello conficcato nel corpo della donna, la causa evidente della morte, il commissario notò come stranamente attorno alla ferita inferta non vi fosse che uno scarso spargimento di sangue, infatti gli abiti non ne erano impregnati.

    La poca luce del tugurio non permetteva di osservare attentamente altri particolari, al commissario venne da pensare che il responsabile di quell’atto nefando fosse anche responsabile di un altro reato particolarmente odioso, quello di vilipendio di cadavere quelle mani sugli occhi erano state poste in quella posizione sicuramente dopo la morte per qualche ragione ignota.

    Il brigadiere Di Donno intanto rovistava in quell’ambiente così tetro, forse sperando di trovarvi qualche indizio che indicasse la strada da percorrere per risolvere il caso. Al commissario quel posto non piaceva: disadorno, umido, impregnato di un odore tipico degli ambienti chiusi e non areati a dovere. Le donne sempre ammucchiate in un angolo sembravano pregare, il loro numero era aumentato, anche sulla scala di legno traballante vi sostavano delle persone. Di Donno non si era mosso da quella camera perché nessuno potesse asportare qualche oggetto.

    Sceso nell’atrio della spelonca De Martino iniziò ad interrogare alcune donne, tanto per sapere chi fosse stata quella persona, qualcuno portò una vecchia carta di identità della vittima, il documento era scaduto da tempo, segno questo di come in quel vicolo le convenzioni sociali fossero allentate al massimo, anche la fotografia lo dimostrava ampiamente.

    Teresa Manzoni nata a Milano nel 1884 schedata come prostituta. Come capitava spesso nella Milano di quei tempi chi nasceva in un luogo non lo abbandonava mai adattandosi a quell’ambiente, da sempre deputato al mestiere più antico del mondo, ad iniziare dalla Maddalena.

    Sia pure con estrema parsimonia ma qualcuna iniziava a parlare, badando bene a non andare oltre le notizie più ovvie.

    Una volta lasciato il mestiere per raggiunti limiti di età si era riciclata in assistente, consigliera, amica, confidente delle donne del vicolo. Dall’alto della sua esperienza dispensava pillole di saggezza alle giovani ragazze che iniziavano quel percorso. Inesperte naviganti in quel mare sempre tempestoso. Ormai da tempo si era specializzata a predire al prossimo suo futuri sempre rosei, vite felici, amori da fiaba, salute, viaggi e tutto ciò che la gente vuole sentirsi dire per essere contenta e convinta di avere ben speso i soldi della consultazione, Anche se i suoi responsi era ben lontani da quelli della Sibilla Cumana o dell’oracolo di Delfi.

    A detta delle donne ci prendeva spesso e la sua bravura era anche uscita dal vicolo, tanto che non era raro vedere uomini e donne, al di fuori del vicolo, varcare con un po’ di titubanza la soglia di quel tugurio, forse vergognandosi un poco.

    La Teresa non nuotava certo nell’oro, tanto che a volte veniva aiutata dalle donne del vicolo, che nonostante i triboli di quella vita avevano ancora il senso della solidarietà di casta.

    De Martino lo sapeva bene, avendo praticato le case di ringhiera in molte delle sue inchieste sempre lo aveva notato con piacere. L’essere poveri non cancellava i veri valori della vita.

    La simpatica bonomia del commissario e il suo sorriso, lentamente stavano vincendo la ritrosia delle donne presenti che senza esagerare iniziavano parlare. Questa da sempre era la loro tattica, il brigadiere duro, arcigno e il commissario più morbido e accattivante. L’eterna diastasi della vita tra il cattivo e il buono, pare impossibile ma se ben praticata funzionava sempre. D’altro canto loro erano veramente così.

    Quindi ne venne fuori che la poveretta sapeva giostrarsi bene con la credulità della gente, specie con soggetti deboli, una lunga esperienza in quel settore le permetteva di capire cosa volessero i suoi clienti e quindi accontentarli: tarocchi, lettura della mano, previsioni oniriche, fondi di caffè, pendolino e forse, chissà, anche qualche sfera di cristallo che allo stato non si trovava.

    Insomma tutto l’armamentario che da secoli sono i ferri del mestiere di chi asserisce di poter scrutare nel futuro, a danno di chi ci crede.

    La figura della vittima stava assumendo dei contorni che andavano tra la megera approfittatrice e imbrogliona, alla ex collega da rispettare.

    A questo punto non c’era altro da fare che attendere l’arrivo del medico legale. Al momento, sulla scena non era apparso nessun uomo, sembrava che il vicolo Calusca fosse diventato il regno delle donne. Ma i due poliziotti sapevano che non era così, ben rintanati, al riparo da qualsiasi interrogatorio, sia pur superficiale, gli uomini aspettavano lo sviluppo della situazione.

    Il dottor Alferini, un valido anatomopatologo che aveva in passato collaborato con De Martino, dopo i soliti convenevoli con il commissario si avvicinò al corpo della donna, dopo averlo guardato con l’occhio dell’espero si rivolse ai due inquirenti.

    « è strano, molto strano, così a prima vista credo possa essere un caso complicato, per quanto ne so, da queste parti se si accoltella qualcuno non ci si preoccupa di comporlo sul letto. Cosa ne dice lei, ho ragione? ma questi sono problemi suoi.»

    «Bravo Alferini, vuole rubarmi il mestiere? Non sarà un caso facile questo è certo, l’esperienza mi dice che non vi sono casi facili, per me sono solamente dei casi, dei rebus da risolvere. Mi dica piuttosto da quanto tempo è morta e se trova qualche altra anomalia.»

    «Forse sette o otto ore, il rigormortis lo certifica, altro per ora non vedo, sarò più preciso dopo l’autopsia, commissario vuole essere presente? La causa della morte è evidente, il coltello le ha trapassato il cuore. È stato tutto molto semplice.»

    «Alferini faccia il bravo, non mi provochi, sa benissimo che preferisco andare a teatro piuttosto che da lei quando è nel pieno del suo lavoro. Quello che mi stupisce sono le mani sugli occhi, i ceri sul comodino, ma soprattutto il coltello lasciato nel corpo. Solitamente lo si fa sparire subito.»

    «Caro De Martino auguri. Credo che per lei non sarà per nulla facile ma lei è molto abile. Ora se è d’accordo avviserò il sostituto Procuratore, poi con il suo permesso farò trasportare il corpo alla camera mortuaria.»

    «Certo però prima farò fare delle fotografie, sono d’accordo con lei su queste stranezze e poi ho visto sul comodino un libro sul quale erano posti i ceri, farò controllare quanto impiegano quei ceri per consumarsi totalmente e saprò quando è avvenuto il fatto, poi quel libro, è strano, questo non è ambiente da libri, vorrò consultarlo. Comunque lo si guardi non è un delitto d’impulso, né di interesse, basta guardarsi in giro per capirlo, questo è ragionato. Potremmo trovarci di fronte a uno squilibrato, a un pazzo, l’assassino aveva una calma glaciale, a volte i pazzi sono lucidi.

    Che ne dice Alferini? Ricorda Erasmo da Rotterdam e il suo

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