Tempo di grano e di carrubo
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Tempo di grano e di carrubo - Loretta Biundo
ebraica)
Prefazione
Una storia nella storia. Protagonista un uomo, antagonista la vita, al centro un antico granaio. Il romanzo, giocato sui sentimenti, sulle passioni, talora vissute talaltra sognate, sui valori che connotano la società siciliana del tempo, si snoda offrendo spaccati di vita quotidiana che sanno tanto di oggettività verghiana, quanto di soggettività pirandelliana. Un dualismo solo apparentemente antitetico. In un paese di provincia vede la luce il protagonista, attorno al quale, sullo sfondo del secondo dopoguerra, emergono e si stagliano figure e personalità straordinarie. Una narrazione nella quale la carica descrittiva dell'autrice lascia che il lettore si immerga in quei caldi squarci di quotidianità siciliana: bambini che giocano in strada, tra le vie del paese, divertendosi con semplicità, aguzzando l'ingegno e sfidandosi in sane competizioni; donne forti, che lavorano, reggono la famiglia, ma che stanno sempre un passo dietro agli uomini, e donne meno forti che vivono la vita che altri hanno scelto per loro, soffocando se stesse, sino a quando, svegliandosi da un torpore coercitivo, decidono di appropriarsi di sè e della loro vita; gerarchie sociali da rispettare e da far rispettare; putie
fornite di ogni mercanzie; scelte difficili, sofferte ma comunque scelte
.
Un'ambientazione narrativa, uno spaccato di sicilinitudine
passata, in cui è possibile cogliere un simbolismo, il grano e il carrubo, a rappresentare la vita il primo e la tenacia il secondo. Simboli che accompagnano momenti di luce e di buio del protagonista e di coloro che, in maniera più o meno pregnante, si sono innestati nel suo percorso.
Questo è un pezzo di carta e come tale vola via. L'amicizia, l'amore, l'affetto profondo non possono essere regolati da un pezzo di carta che vola nel vento
, parole, queste, che non volano al vento come la carta ma che si imprimono nei cuori dei protagonisti suggellando un'amicizia, nata in strada, in un'epoca in cui tutto sapeva di buono. Potremmo definire una storia di cuore
, quella venuta fuori dalla penna dell'autrice...e in effetti lo è dall'inizio alla fine. Un cuore che per settantadue anni ha pulsato, lasciando traccia di sè in chi ha saputo coglierne il battito e in chi, attraverso questo scritto, quel battito lo sente postumo.
Grazia Gulino
Il tempo dell'attesa
Indossa l’abito elegante, dobbiamo uscire
- disse Giovanni con tono perentorio.
Perché?
- ribattè lei, incredula.
La risposta scivolò nel vuoto.
Pina servì con premura l’ultima delle donne che era entrata nella sua bottega, nascose i soldi incassati dalla vendita dentro la sottoveste, chiuse le imposte e strascicò fino all’occhiello la tenda amaranto. Quella donna sapeva perfettamente che le uscite accadevano di raro e solo per certe faccende delicate, pertanto con passo lesto si diresse verso l'unico bagno della casa. Accostata la sedia dietro la porta, per tenerla saldamente chiusa, si premurò a specchiarsi. Stirò energicamente all'indietro i lunghi capelli che, anche se giovani, stavano cedendo il passo ai primi segni d’ingrigimento e li acconciò a formare una voluminosa treccia. Fissò acutamente il suo ritratto riflesso allo specchio e fece un'impercettibile smorfia con l'estremità delle labbra. Quel comando perentorio del marito avveniva solo quando nell’aria si presentava qualche delicata incombenza e solo in quel caso quell'uomo, solitamente prepotente e arrogante, assumeva un atteggiamento docile e insicuro, pretendendo l'assoluta presenza della sua donna negli affari di famiglia.
La donna diede due energici pizzicotti alle sue guance bianche e scarne per ridare loro un nuovo ardore, tirò su il seno stringendo, più del dovuto, i lacci dell'attillato corpettino e vestì il suo unico abito di raso color porpora. Per Giovanni la situazione era più semplice, naturalmente di bella presenza non necessitava di molte cure per apparire di gradevole aspetto. Intolettò i capelli, indossò il vestito nero e annodò la cravatta rossa riposta nel baule delle occasioni. Quel giorno aspettò, con un'inusuale pazienza, che la moglie finisse di acconciarsi, poi, acchiappandola da sotto il braccio la strinse a sé.
Ho deciso di acquistarlo
- le disse mentre si avviavano lentamente e a piedi lungo il corso principale del paese.
Pina non rispose e restò in attesa.
Gli ultimi due affitti saranno messi a deposito come garanzia
.
La donna annuì in silenzio ed in silenzio percorsero il Corso dei Mille, curvarono per via Roma ed entrarono dentro un elegante portone in via Madonna del Ponte, da dove fecero ritorno soltanto quando il giorno stava per cedere il passo alla sera. Rientrata in casa, Pina, si diresse frettolosamente verso la credenza posta al centro della sala da pranzo. Infilò la mano dentro al petto che, grazie al rialzo fornito dalla pettorina acquisiva un aspetto invitante, e ne estrasse un documento perfettamente ripiegato. Lo spiegò, cercando di decifrare sillaba per sillaba quello che vi era riportato mentre un'invisibile smorfia attraversò la sua guancia fino ad arrivare alla bocca.
…Nota di trascrizione risultante da atto di compra-vendita del trentuno dicembre 1939, anno XVIII° di un mulino da grano sito in contrada Valguarnera Ragali, nello stato materiale e giuridico in cui si trova, costituito da un fabbricato composto da tre vani e contenente una macina completa, con due pezzi e animato dall'acqua che scaturisce nella contrada. In detta vendita sono compresi tutti gli oggetti mobili componenti il macchinario di detto mulino. Va compresa pure nella vendita l'acqua per animarlo meno che per quarantotto ore per il periodo estivo durante il quale ne rimane privo. Prezzo lire sedicimila, delle quali: lire ottomila pagante in seno all'atto di compra-vendita e lire ottomila pagate con l'atto di quietanza…
9 novembre 1939
Prese una chiave, nascosta all'interno di una di quelle tazze da caffè delle cerimonie poste in bellavista dentro la vetrinetta, e vi un aprì un invisibile tiretto. Con fare lesto e cercando di eludere sguardi indiscreti vi ripose la lettera, ritornando poi alle sue faccende di negozio e rimanendo taciturna per tutto l'arco del restante giorno. Non rispose alle richieste che le vennero poste e servì la gente con aria attonita ed assente, come se si fosse presa una gran botta in testa.
Alla sera, nel silenzio della sua casa si fermò a riflettere. Ripercorse attentamente e nella sua mente gli avvenimenti della giornata, provando a ricordare nel dettaglio i fatti che erano intercorsi. Contò i soldi guadagnati dalla giornata di vendita, una parte sarebbe servita per le necessità quotidiane, l’altra venne arrotolata con cura e riposta dentro una crepa del muro. Spazzolò con veemenza i capelli, indossò cuffia e camicia da notte e si diresse verso la stanza da letto. Lì trovò il marito che, avvolto fra le lenzuola, emetteva un suono, profondo e acuto, simile al ciufffciufff
di quei treni che sferragliavano sulle rotaie della vicina stazione ferroviaria. Da come ronfava capì che dormiva profondamente e da tempo.
La Semina
1945
(Sei anni dopo)
Uno
Donna Pina
Pina si presentava come una femmina smunta, ossuta e dall'aspetto quasi insignificante. I capelli quasi bianchi, raccolti e fermati con diverse forcine, facevano da cornice ad un viso scarno e stanco e due occhi castani si mostravano segnati da profondi solchi neri causati dalle lunghe nottate e dalle sfiancanti mattinate. Un ampio gonnellone nero copriva le esili gambe e uno spesso corpetto scendeva liscio sul seno quasi piatto.
La putia
si trovava in un pianterreno di via Nullo 1 ed era separata dal resto della casa da un voluminoso tendaggio. Al suo interno un lungo scaffale faceva da sostegno a grossi contenitori di pasta, farina, gianduia, gelatine, formaggio e zucchero. Altri barattoli di latta contenevano varie forme e colori di bottoni, spolette, aghi e spille. Non c'era un orario per la vendita, si apriva quando spuntava il giorno e si chiudeva quando calava la sera. Nel bel mezzo del pranzo o della cena si sentiva vociare -signora putiara
- era qualcuno che era venuto a comprare un pò di farina per farne pane e pasta e allora Pina, da buona padrona di casa e di bottega, si alzava dalla tavola con fare lento e composto, serviva con premura e pazienza la gente, tornando poi a sedersi con aria soddisfatta.
Tutte le mattine all’apertura della bottega, prendeva la carta del pane, quella marrone e la poneva sul bancone. Su quell’ordinario foglio scriveva prezzi, faceva somme e sottrazioni in un modo tutto suo, ma i conti appattavano
sempre e il resto era presto reso senza mai sbagliare di una lira. Tutto quel giornaliero rendicontare veniva svolto con una tale naturalezza da non far trasparire minimamente che quella donna fosse una totale analfabeta.
"Troppe cose da