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Non ti lascio alla notte
Non ti lascio alla notte
Non ti lascio alla notte
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Non ti lascio alla notte

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About this ebook

Una vita normale. Un po’ di pace dopo tanto dolore e travaglio. È ciò che desidera la famiglia Silvestri, lacerata nel profondo dalla morte violenta di Simona, bellissima e tormentata trentenne uccisa a coltellate dal marito Stefano. Dietro di sé Simona ha lasciato rimpianti e sensi di colpa. E un bambino di sei anni, Davide, accolto come un figlio dalla zia Chiara, che tenta disperatamente di restituirgli l’amore e la prospettiva di vita che gli sono stati brutalmente strappati. Ma il dramma fa implodere il precario equilibrio della famiglia di Chiara, spingendo il marito Massimo a lasciarla per una compagna più giovane e meno complicata, mentre la figlia Francesca tenta di fare i conti con quel cugino-fratello tanto ingombrante.
A dieci anni dalla tragedia, quando sembra che le vite dei sopravvissuti si stiano gradualmente assestando, ecco irrompere di nuovo il passato: Stefano, scontati i due terzi della pena e alla vigilia della semilibertà, chiede di poter tornare in contatto con il figlio perduto, mentre Chiara viene ricoverata in ospedale. Ha un tumore. La possibilità concreta di avere i giorni contati la induce a riportare alla luce quella storia familiare che il trauma l’aveva indotta a seppellire nel silenzio. Per lasciare all’amato nipote almeno questa eredità e non tradire una seconda volta la sorella minore.
Il romanzo pur nel rispetto della tematica di fondo Come si sopravvive a un femminicidio? tocca anche tematiche e dinamiche contemporanee quali il difficile rapporto tra figli adolescenti e genitori, le insicurezze dei giovani, la fragilità e la forza di una madre, naturale o per scelta, la conflittualità tra sorelle, l’amicizia femminile.
LanguageItaliano
Release dateNov 1, 2019
ISBN9788832925647
Non ti lascio alla notte

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    Non ti lascio alla notte - Claudia Cangemi

    vita.

    1

    Semisdraiata su un anonimo letto d’ospedale, Chiara non può impedirsi di pensare che la vita, in fondo, ha uno strano senso dell’ironia. Proprio quando la sua travagliata famiglia cominciava a intravedere una piccola luce in fondo a un tunnel lungo dieci anni, ecco la mazzata. Si sente stordita, una parte di lei si rifiuta di assorbire davvero il significato delle parole pacate pronunciate dal medico pochi minuti fa. In fondo, quel discorsetto da professionista del dolore era pieno di forse, probabilmente, sembra. Non c’è nulla di sicuro o definitivo. E però, le pare di essere appena scesa da una di quelle macchinine delle montagne russe, le chiamano ancora così?, che ha sempre detestato, persino quando da ragazzina si vergognava troppo per tirarsi indietro di fronte agli amici e subiva come un destino ineluttabile la nausea violenta e la tachicardia che sempre accompagnavano la folle corsa su quei binari così fragili, almeno all’apparenza. Ecco, il tempo sembra aver avuto un’improvvisa e insensata accelerazione, che l’avvicina alla morte più di quanto abbiano fatto gli ultimi vent’anni. È proprio vero che tutto è relativo.

    Si raggomitola su un fianco per tentare di dormicchiare. La sveglia alle sei tutte le mattine per misurare la temperatura, assurda e pervicace usanza degli ospedali italiani, la mette a dura prova: in genere è proprio a quell’ora che inizia a dormire sul serio. E recuperare durante la giornata è davvero dura per una donna abituata da più di vent’anni a un’attività cadenzata e spesso frenetica, tra lavoro, figli e incombenze assortite. Si sente persino un po’ in colpa e terribilmente a disagio per la forzata inattività. Ha tanto sperato di poter essere presto dimessa, e invece... Ora il problema più urgente è decidere cosa e quanto dire ai ragazzi. Questa è la parte peggiore. Una rabbia sorda inizia a farsi largo nel chiuso sbigottimento della mente. È tutto così ingiusto... Dopo tanta sofferenza, una famiglia avrebbe diritto a un po’ di speranza, tranquillità. Niente di straordinario, solo ciò che più o meno tutti danno per scontato.

    Ma è solo un attimo, perché quasi subito scatta in lei il solito efficientissimo servofreno dell’ira. Non può permettersi mugugni e vittimismo: occorre decidere come affrontare la realtà o si farà di nuovo cogliere impreparata. Non adesso però: la ferita è troppo fresca. Ha bisogno di tempo. Mentre si asciuga col dorso della mano una lacrima che le solletica la tempia, scorge sulla porta Massimo, il suo ex marito. L’atteggiamento è esitante, l’espressione coraggiosamente cordiale. Per un attimo spera sia solo, ma subito ecco spuntare il bel viso un po’ imbronciato di Francesca. Chiara si solleva di colpo mettendosi seduta sul letto e stira la mandibola nel miglior sorriso che riesce a racimolare.

    Oh cari, grazie di essere venuti, che bello vedervi! Non mi ero resa conto che fosse già ora di ricevimento parenti. Come state? Tutto bene a casa?

    Noi stiamo bene, come stai tu? Hai poi parlato con il medico? replica Massimo, e l’apprensione affettuosa nei suoi occhi sembra sincera.

    Chiara esita: Sì, il solito.... borbotta, sperando che lo sguardo sfuggente non la tradisca. Ha bisogno di parlare con l’ex marito da sola. Lui coglie al volo la difficoltà a rispondere, da quando è diventato così perspicace?, e cerca di riempire il silenzio pesante.

    I miei mi hanno detto di salutarti e farti tantissimi auguri di pronta guarigione. Mia madre mi ha esposto tutta una densa casistica di lunghi ricoveri per falsi allarmi. Ora non te la saprei ripetere, però se non ti disturba le dico che può venire a trovarti.

    Se ne ha voglia volentieri, grazie. Il silenzio cala di nuovo come un sipario. Francesca si sta guardando i piedi, spostando il peso dall’uno all’altro come un pugile pronto a schivare. A quest’ora di solito è in palestra, suo padre deve avere insistito per farsi accompagnare in ospedale.

    Vieni qui tesoro, siediti sul letto accanto a me, la invita Chiara battendo con la mano sul lenzuolo. No grazie mamma, preferisco stare in piedi: sono stata seduta a studiare tutto il giorno. Chiara sa che mente: sua figlia è incapace di stare ferma per più di cinque minuti. Persino quando mangia sta appoggiata al mobile della cucina. E mangiare è una parola grossa nel suo caso, come si può notare al primo sguardo.

    Okay, ma raccontami qualcosa: come sta andando a scuola? Avete fatto qualche test per l’esame?

    Ne faremo un paio la prossima settimana, credo. Ma possiamo parlare d’altro? Già ho l’ansia per questa maledetta maturità.

    Va bene, non importa, tesoro.

    Di che parlare allora? La comunicazione con Francesca è sempre stata un terreno minato. Ultimamente poi è peggio che mai. Non le viene in mente niente se non quella domanda ovvia che però esita a fare, un po’ per paura della risposta e un po’ per non tradire l’ansia che tanto infastidisce la figlia. Massimo intuisce la sua difficoltà, o forse semplicemente anche lui non sa più come riempire il silenzio imbarazzato.

    Anche Davide ti saluta, naturalmente. Si scusa di non essere venuto, ma mi ha detto che non poteva saltare l’allenamento di oggi: domenica ha una gara importante.

    Sì, non c’è problema, replica Chiara lieta di aver avuto l’imbeccata. Come sta?

    "Bella domanda, mamma... come se non lo conoscessi... Non si sa mai neanche quando c’è, se non fosse per la scia di lattine vuote e piatti sporchi non sapremmo neanche se frequenta casa nostra, altroché scuola e allenamenti! Ma tanto si sa, lui può permettersi questo e altro."

    Francesca, non esagerare, la riprende il padre. Siamo venuti a trovare la mamma, non è il caso di ammorbarla con le solite lamentele.

    Io non ci volevo neanche venire, sei tu che mi hai costretta, comunque... La voce già rotta dal pianto, Francesca si volta e si allontana precipitosamente. Massimo e Chiara restano lì a due metri di distanza, gli occhi bassi e l’espressione desolata.

    Scusami, era meglio se stavo zitto. Ma non so davvero più che pesci pigliare con i ragazzi, non so come fai tu a sopportarli quando si comportano così. Penso che il tuo ricovero li stia un po’ provando. Io faccio del mio meglio, però non sono abituati a stare con me. Spero davvero che tu possa tornare presto a casa. Hai parlato o no con il medico? Non doveva dirti qualcosa oggi?

    Sì, ci ho parlato in effetti. Non mi andava di dirtelo davanti a Francesca, però. Non è lì nel corridoio vero?

    Lui lancia un’occhiata. No, si è allontanata. Secondo me è andata a fumare da qualche parte. Ma cosa ti hanno detto? Brutte notizie?

    Sì, non so... direi più sì che no. Hanno analizzato il linfonodo sentinella. Chiara si sorprende del proprio tono calmo e distaccato, quasi stesse parlando di qualcun altro. E a quanto pare ci sono cellule maligne. Mi faranno ancora un bel po’ di esami per capire dove e com’è questo tumore, ma il primario non mi è parso troppo ottimista a dire il vero. Comunque dovrò restare qui dentro ancora un po’. Temo che per qualche settimana almeno non si potrà parlare di dimissioni. Mi dispiace, so che non è facile per te.

    Lui sembra improvvisamente vergognarsi delle sue parole di poco prima. Ma lascia perdere! Quello è proprio l’ultimo dei problemi, guarda. Senti, ma sei sicura di essere in buone mani? Questi mi sembrano un po’ approssimativi. Perché non chiedi un consulto? Giovanna conosce un oncologo bravo che ha seguito sua madre, se vuoi ti passo il contatto.

    Quel nome le provoca come al solito una fitta, ma anche questa volta la ignora. Non so, aspetta un attimo. A me pare che si stiano dando da fare per capirci qualcosa. Adesso intanto vediamo cosa dicono la tac e la risonanza che dovrei fare nei prossimi giorni e poi vediamo.

    Come vuoi, comunque preoccupati solo di te adesso, per i ragazzi mi posso organizzare.

    Grazie.

    E di che? L’imbarazzo è di nuovo palpabile.

    È strano, pensa Chiara, come si possa sentirsi in confidenza e pochi minuti dopo completamente a disagio di fronte a una persona con cui si è condivisa metà della vita o quasi.

    Meglio che non dici niente per ora a Franci e Davide: è inutile metterli più in ansia di quanto già non siano... soprattutto Davide.

    Okay, non dirò niente, se pensi sia meglio. Anche se... mi viene da pensare che non sapere e immaginare è anche peggio. Non so.

    Ma tanto cosa potremmo dirgli, scusa... non sappiamo niente di preciso neanche noi in realtà! Come al solito quel noi le suona stonato. Non c’è più nessun noi e da tempo ormai.

    Fai come ritieni meglio, tu li conosci meglio di me. Volevo solo avvisarti che Davide sta in effetti diventando sempre più selvatico, e forse le fantasie che si fa sono anche peggio della realtà. Ha saltato due appuntamenti dallo psicologo, tra l’altro.

    Okay, ci penserò. Non subito però. Lasciami qualche giorno, va bene? Ho bisogno di un po’ di tempo.

    Certo, lo capisco. Mi dispiace. Vedrai che le cose non saranno così terribili, forse si sbagliano, non credi? A me non sembri così malata... Coglie lo sguardo perplesso e arrossisce. Scusa... mi sa che ho detto una cazzata. Oggi non ne azzecco una.

    Non preoccuparti dai, non c’è problema. Non c’è bisogno che misuri le parole con me. Volevo chiederti una cortesia però: visto che dovrò stare qui ancora per un po’, mi porteresti il mio computer la prossima volta che vieni? Vorrei provare a scrivere.

    Certo, te lo porto domani... ah no, scusa, mi sa che non riesco domani, ho una riunione alle sei. Magari lo do ai tuoi, che dovrebbero venire a trovarti. Ah ecco Francesca... Io ti saluto allora. Mi raccomando, cerca di riposare eh? Io torno a trovarti appena posso. Ti aspetto giù nell’atrio Francesca, quando vuoi scendere.

    Okay, arrivo subito. Francesca rimane accanto alla porta della camera, quasi non volesse precludersi una possibile via di fuga. Giochicchia con una ciocca di capelli, incerta e ombrosa. Sembra ancora sull’orlo del pianto.

    Dietro di lei compare Laura, la compagna di stanza di Chiara. Una donna simpatica e cordiale, capelli e occhi grigio acciaio proprio come il suo carattere: pochi giorni fa le hanno asportato l’intero stomaco per un cancro recidivo, ma lei non ha perso il sorriso. Con la destra spinge il treppiede cui è appesa la flebo. Oh ciao Francesca, come stai? saluta allegra la ragazza. L’ha incontrato una sola volta ma subito è riuscita a far breccia in quella sua riservatezza vagamente ostile nei confronti degli adulti in genere.

    Bene, abbastanza. Questa volta il tono non apre spiragli alla conversazione, e Laura non insiste.

    Ti accompagno verso l’uscita, tesoro, così vedo se c’è qualche libro interessante nella libreria in corridoio, propone Chiara alla figlia.

    Camminano affiancate, in silenzio per qualche passo. La madre vorrebbe essere capace di una carezza, un gesto affettuoso. Ma teme che Francesca si scosti come scottata. Da diversi anni ormai c’è tra loro una sorta di barriera invisibile: nessun contatto è consentito.

    Mi dispiace vederti così triste e arrabbiata, tesoro. Vorrei poter fare qualcosa.

    È che io ho un casino da studiare e invece finisce che devo occuparmi di un sacco di cose: papà non riesce a star dietro a tutto e Davide sa solo svuotare il frigo e lasciare roba in giro. E poi questa cosa che non è mai venuto a trovarti mi fa proprio incazzare, guarda... è un vero stronzo!

    Dai, non prenderla così, lo sai che è un po’ selvatico. Questa faccenda dell’ospedale lo spaventa, è comprensibile, non credi?

    "Lo vedi che lo difendi sempre? Gliele fai passare tutte. Lui ha l’allenamento e quindi non può venire, io invece ho solo la maturità, scusa se è poco! E lui ne approfitta, pensa di poter sempre farsi i cazzi suoi senza guardare in faccia nessuno."

    Oh tesoro, ma io non voglio che tu ti senta obbligata a venire a trovarmi, se è stato papà a costringerti gli parlerò io. E poi lo sai, se mi viene spontaneo difendere Davide è perché so che è fragile, molto più di te...

    Ma no mamma che c’entra? Mica volevo dire che non voglio venire a trovarti, parlavo di Davide che ha sempre un trattamento di favore con ’sta storia che è fragile e tutte ’ste stronzate.

    La voce di nuovo si rompe, Francesca si volta con un gesto stizzito, fa una pausa per riprendere il controllo, mentre Chiara non sa che fare e si maledice in silenzio. Sussurra: Scusami, tesoro. Non volevo farti arrabbiare.

    Non importa, lascia perdere. Io devo andare, che se no non riesco a studiare niente oggi.

    Va bene, tesoro, vai pure. Io... vorrei che riuscissimo a passare un po’ di tempo insieme senza ogni volta litigare su Davide.

    Okay, mamma, adesso però è tardi. E poi tu devi riposare e pensare a star bene, senza preoccuparti sempre di noi. Una pausa di silenzio. Poi, guardando a terra: Scusami per prima, sono davvero un po’ troppo nervosa in questi giorni. Ciao, stai bene.

    Le porge veloce una guancia da sfiorare con le labbra a mo’ di saluto ed è già scomparsa giù per le scale. Chiara rimane in piedi in mezzo al corridoio. Un senso di scoramento le toglie ogni forza, le sembra quasi impossibile riuscire a tornare nella sua stanza. Com’è tutto sbagliato...

    2

    Tua figlia è tanto carina, ma è così magra... e sembra sempre incazzata. Laura sorride come per attutire ogni accenno di critica, le sue parole sono un invito a sfogare un po’ di quella preoccupazione cupa che vede dipinta sul viso accigliato e pallido della sua compagna di stanza.

    Già, dev’essere un marchio di fabbrica. Vedessi quant’è ombroso mio fi... mio nipote Davide. In confronto Francesca è uno zuccherino.

    Saranno in ansia per te... è comprensibile. I ragazzi non sanno dire pane al pane, bisogna sempre interpretare. Scusa, non voglio dire banalità. Ma dopo una vita da insegnante, mi viene spontaneo immaginare cosa passa per la testa dei ragazzini.

    No, hai ragione. Non è facile per niente: più sono sensibili e vulnerabili più sembra impossibile aiutarli. Qualsiasi cosa faccia o dica, mi sembra di sbagliare. È una cosa che mi prosciuga, vorrei avere la tua grinta.

    Mah, non so. Magari come madre sarei stata un fiasco completo. Mi dispiace non aver mai avuto l’opportunità di provarci, ma è andata così. Vivere nel rimpianto è un inutile spreco di risorse. Preferisco guardare avanti, e pensare a ciò che la vita mi ha dato invece che a quello che mi ha tolto. Filosofia spicciola, però aiuta.

    Giusto, Laura, sei saggia. Mi piacerebbe raccontarti la storia della mia famiglia, se hai voglia di ascoltarla, magari potresti darmi qualche consiglio, perché mi sento molto confusa. Non adesso però, sono sfinita. Come si dice... troppe emozioni per un giorno solo. Magari più tardi.

    Quando vuoi, cara, al momento non ho un’agenda troppo piena.

    Chiara si sdraia sul letto, chiude gli occhi anche se sa che molto difficilmente riuscirà ad appisolarsi. In lontananza sente l’acciottolio di piatti e posate che sempre precede l’arrivo della cena. Non sono ancora le sei e mezzo. L’odore di quel cibo, poi, è tutt’altro che invitante, se anche avesse avuto un minimo di appetito. Lo stomaco invece è come annodato. È sempre stato così: nei periodi di difficoltà e di crisi, il suo corpo sembra rifiutare il nutrimento. Ha già perso diversi chili nelle ultime settimane, e sa che non è certo un buon segno.

    La sua mente cerca di tenersi avvinghiata ai rimasugli di quella forza d’animo che l’ha salvata sempre dalla disperazione, il suo fisico invece rema contro, tenta di trascinarla in fondo al pozzo come a dirle è inutile che lotti, ormai tutto è perduto. Non vuole ascoltare quella sirena, e quindi anche questa sera si farà forza e masticherà il meno peggio di quei menu ospedalieri che scoraggerebbero un morto di fame. Chissà, forse se è fortunata ci sarà il minestrone, o qualche verdura mangiabile. La mela non manca mai, di solito cotta; la frutta primaverile che lei tanto ama sembra un po’ troppo ardita ai nutrizionisti che programmano il menu dei degenti.

    Chiara si sorprende spesso a pensare a quella segregazione, così scontata nel mondo occidentale, tra sani e malati. Con la scusa di proteggerli meglio, i più deboli vengono confinati in un mondo a parte in cui vigono regole particolari, ma il vero scopo, sospetta, è tenerli lontani dagli occhi dei fortunati che non vogliono gli venga ricordato continuamente che la vita è fatta anche, a volte soprattutto, di sofferenza. Rimuovi il male pare essere l’undicesimo comandamento, forse il più seguito. Guarda pure film violenti a sazietà, ma dimentica finché puoi la realtà della malattia, della morte, della follia più o meno lucida che tutti ci portiamo dentro. Così potranno coglierti alle spalle quando meno te l’aspetti, e non avrai difese perché non sarai mai pronto ad affrontarle. Lei sa molto bene quanto tutto questo possa precipitare le persone nel baratro. Ha cercato di proteggere la sua famiglia, e ha ottenuto l’effetto opposto. Ora come potrà continuare almeno a provarci? Che ne sarebbe di Francesca e Davide, senza di lei? Non può smettere di lottare, né cedere alla stanchezza.

    La sua vita potrebbe essere alla fine: se lo ripete nella mente, ma sono solo parole. L’anima si rifiuta di immergersi nel fiume gelido della consapevolezza che il tempo è scaduto, che il buio è arrivato.

    Come è accaduto a sua sorella. Tutto il suo essere si ribella a quel pensiero. Una sensazione di panico le toglie il respiro, si siede di colpo sul letto tentando di riprendere il controllo, espira e inspira lentamente, riempiendo gli occhi dei dettagli insignificanti di quella stanza così vuota e anonima: il comodino di ferro smaltato con un solo cassetto e un piccolo ripiano, i due armadietti dello stesso color crema che chiudono male, la finestra che si apre solo di trenta centimetri a compasso verso l’alto, forse per scoraggiare gli aspiranti suicidi...

    Quando si volta verso la sua compagna di stanza, vede che la sta osservando con partecipe attenzione. All’inizio quell’atteggiamento apertamente curioso, quasi infantile nel suo rifiuto delle regole della buona educazione, o diciamo pure della dissimulazione, l’ha irritata e confusa. Le sembrava una prepotenza, un’indebita intrusione nella sua privacy già messa a dura prova dalla coabitazione forzata con una sconosciuta, col bagno in comune e quell’intimità condivisa cui sono obbligati i compagni di stanza negli ospedali.

    E invece poi, giorno dopo giorno, l’allegra franchezza di quella donna l’ha conquistata. Ecco finalmente una che non ha paura della sua ombra, si è detta. Sente per istinto che di lei può fidarsi.

    Incubi? le chiede Laura con un sorriso.

    Già, a occhi aperti però. Cerca, come si dice, di darsi un contegno. Scaccia il pensiero. Prova a sorridere. E ora arriva un altro brutto sogno sul primo binario: dacci oggi la nostra pasta scotta quotidiana.

    Oh beh, sai che quello ormai sono tutti cavoli tuoi, almeno per qualche tempo: io mi faccio la cena direttamente in vena. E alza il braccio a mostrarle la flebo.

    3

    Chiara tiene in mano il romanzo di Giorgio Fontana, Morte di un uomo felice , ma non riesce a far penetrare le parole stampate oltre la soglia della consapevolezza. Si avvicina alla conclusione, e già sa che il finale sarà tragico, come annuncia il titolo. Vorrebbe davvero avere a disposizione qualche libro umoristico, di drammi è già tanto piena la vita di ogni giorno. Eppure solo la descrizione del dolore riesce a coinvolgerla davvero. Quando le hanno suggerito il ricovero, ha preso alla rinfusa qualche libro tra quelli accatastati da mesi o anni sul comò. Leggere è la sua passione, ma riesce a dedicarcisi col contagocce. Quelle poche pagine serali sono il suo piccolo premio, la caramella golosa centellinata prima del sonno. Da quando è in ospedale, potrebbe leggere molto di più. Eppure non riesce a godersi quel privilegio come sperava. Ora poi avverte un senso di urgenza che le mette ansia e le toglie quasi tutto il gusto del suo passatempo preferito. Quando il tempo improvvisamente accelera e inizia a scorrerti come acqua tra le dita, ti rendi conto che non puoi più permetterti il lusso di sprecarlo in cose tanto futili quanto piacevoli come la lettura. Ha aperto il libro, questa sera, più che altro per non dover parlare con la sua compagna di stanza.

    È stata lei a proporre a Laura di raccontarle la storia della sua famiglia, ma ora esita. Si contano sulle dita di due mani le persone che quella storia la conoscono davvero, e quasi tutte per averla vissuta in diretta. Certo altre migliaia ne hanno letto o sentito all’epoca dei fatti, ma senza dubbio l’hanno presto dimenticata, cancellata sotto strati geologici di centinaia di vicende simili o ancora peggiori, sembra impossibile, ma all’atrocità non c’è mai fine. Non sono storie che si possono raccontare così, a cuor leggero, come la trama di un film o di un romanzo.

    Proprio mentre questi cupi pensieri le attraversano la mente, sul televisore acceso vede scorrere parole fin troppo note sul sottopancia di Rai News 24: Bologna – Guardia giurata uccide a colpi di pistola nel sonno la moglie che voleva lasciarlo e ferisce il figlio di otto anni, poi tenta il suicidio. Si salverà. Laura alza un po’ il volume e ascolta il servizio del corrispondente, che cerca di supplire alla scarsità di informazioni con le solite formule e luoghi comuni: una famiglia apparentemente normale e serena, i vicini di casa non avevano notato nulla che facesse pensare a un simile epilogo... forse un raptus di follia. Ma non è possibile che tutti i santi giorni ammazzino qualche donna in questo modo, io non capisco! esclama Laura quasi tra sé. E poi certi giornalisti dovrebbero proprio cambiar mestiere! Tra raptus di follia e mali incurabili sanno dire soltanto cazzate!

    Si volta verso Chiara e rimane a scrutarla con aria pensierosa.

    Ho detto qualcosa che non va? Hai un’aria sconvolta... Ah, ma certo, che cretina sono: anche tu fai la giornalista non è vero? Me ne ero completamente dimenticata. Scusa per quel che ho detto, sono sicura che tu sei bravissima, ma certi tuoi colleghi, ammetterai...

    Sì, non preoccuparti Laura, non mi sono offesa. Oltretutto io da quasi dieci anni non mi occupo più di cronaca, sono passata al settore cultura proprio... proprio dopo che ci siamo finiti noi, nelle cronache. La voce si abbassa fino a divenire quasi un sussurro. Non sa se vuole davvero imbarcarsi in quell’impresa, ma ormai ha già detto troppo. La compagna di stanza non dice nulla ma spegne il televisore e la fissa intensamente, in attesa. Chiara non riesce a sostenere quegli occhi indagatori, che sembrano volerti frugare l’anima, e infine si decide a proseguire.

    Dieci anni fa anche alla mia famiglia è accaduto qualcosa di molto simile alla notizia che commentavi poco fa. Il marito di mia sorella minore Simona l’ha ammazzata perché lei voleva lasciarlo. Per fortuna suo figlio Davide era con me, e non è riuscito a fare del male anche a lui. È stato condannato a quindici anni e ha già scontato quasi due terzi della pena.

    Segue una lunga pausa. Chiara si rende conto di quanto futili suonino le parole, di quanto poco riescano a dare anche solo una lontana idea di cosa possa significare il massacro infinito di un’intera piccola comunità per mano di un solo uomo che non merita neppure di essere chiamato tale. Ma questi sono i fatti.

    Laura non ha smesso un attimo di squadrarla e ora si schiarisce la voce. Ottimo e sintetico resoconto giornalistico, amica mia. Quando ne avrai voglia, vorrei che mi raccontassi la vera storia. Se lo desideri, io in cambio ti racconterò la mia. Se c’è una cosa che non ci manca, finché restiamo chiuse qui dentro, è il tempo. E dicono che io sia una buona ascoltatrice, qualità da molti sottovalutata.

    Ti ringrazio, Laura. Non posso certo dire di conoscerti a fondo, ma il mio istinto mi suggerisce che se c’è una persona non coinvolta in grado di capirmi questa sei tu. Il fatto è che... non so se davvero ho tutto questo tempo davanti. Pare che da qualche parte dentro di me ci sia un cancro, come vedi, non lo chiamo male incurabile né l’ho mai fatto, anzi ho sempre detestato quest’espressione. E io invece sono ancora in mezzo al guado, non posso lasciare soli mia figlia e mio nipote... Hanno già sofferto abbastanza. La voce si spezza, gli occhi si riempiono di lacrime. Sono passati dieci anni, ma

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