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Una rossa scia di sangue
Una rossa scia di sangue
Una rossa scia di sangue
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Una rossa scia di sangue

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About this ebook

Un atroce delitto sconvolge la cittadina di Piazza Armerina, bugie, segreti ed intrighi si fanno strada nella storia della città.

Un'anziana, ricca benefattrice, amica personale del Vescovo e del Procuratore della Repubblica, viene trovata morta ai piedi del suo letto. Nuda.

Il capitano Rallo, comandante della locale caserma dei carabinieri, e il suo vice, maresciallo Antinoro, capiscono subito di trovarsi alle prese con una autentica patata bollente. E non solo perché, in un certo senso, non avevano saputo proteggerla, ma perché scoprono che in quella casa c'è una raccolta di reperti archeologici che neppure i musei più prestigiosi si sognerebbero di avere.

Ma chi era, veramente, la signorina Agata Russello?

E poi, poi, anche la sua migliore amica viene ammazzata, quella splendida collezione rubata, e il figlio di un potente del paese viene arrestato dalla polizia con l'imputazione di ladro e assassino. Rallo, che non è convinto oltre ogni ragionevole dubbio di quell'arresto, si trova a giocare la partita più difficile della sua carriera, mentre l’incitamento folle di un'intera città spinge verso una giustizia rapida.

E quando un altro amico della Russello viene ammazzato, allora, al capitano Rallo non resta che stringere delle strane alleanze, per dipanare la matassa.
LanguageItaliano
PublisherHONHIL
Release dateAug 14, 2019
ISBN9788834168158
Una rossa scia di sangue

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    Una rossa scia di sangue - HONHIL

    colera.

    Capitolo 1

    Le finestre della signorina Agata Russello, dirigente di banca in pensione e donna molto mattiniera, continuavano a restare chiuse, nonostante fosse giorno fatto da un pezzo e la gatta di casa miagolasse da farsi scoppiare i polmoni. Impensierite per quel frignio che durava da troppo lungo tempo e per l’inquietare che stava dietro a quelle persiane ancora serrate, le sue tre inquiline bussarono a vuoto alla sua porta e poi, sempre più preoccupate, chiamarono i vigili del fuoco.

    Quando i pompieri entrarono nell’appartamento, sfondando una finestra, si trovarono davanti ad una furia che impedì loro di avvicinarsi al corpo senza vita della padrona di casa che giaceva nudo ai piedi del letto. Non c’era modo di rabbonirla né di gabbarla. E questo mandò in fibrillazione il vice caposquadra, che dal bracciolo di una sedia aveva preso la vestaglia viola di lei per coprirla.

    «Ti ho detto di distrarla, in modo che possa almeno buttarle questa vestaglia sopra, non di girarle al largo», disse al suo giovane compagno di lavoro preoccupato più a non prendere unghiate da quella gatta tigrata che dell’orgoglio professionale. Niente. «Che figura di merda. Tre pompieri messi nel sacco da una gatta! Ci farà ridere dietro tutto il paese!» Il suo giovane collega annuì e sorrise. «Per che cazzo stai ridendo, tu? Non c’è nessun cazzo di motivo per ridere! Capito?»

    «Basta così, se no andrà a finire che quella figlia di Belzebù riuscirà nell’intento di cavare gli occhi a qualcuno di voi», intervenne, allora, il terzo pompiere e loro capo esasperato con se stesso, con i suoi uomini e con quella maledetta gatta della malora. «Rimetti la vestaglia dov’era e lasciate tutt’e due la stanza. Appena si sarà calmata un po’, ci proverò io… Altrimenti la lasceremo come regalino ai carabinieri. A proposito, Mario, ma quand’è che arrivano?»

    Mario era offeso. Lui non era un irresponsabile, era anzi un professionista serio e zelante, ma il suo capo davanti a quello stronzetto d’ausiliario l’aveva fatto apparire come tale.

    «Capo, che vuoi che ti dica.»

    Risistemò la vestaglia e uscì dalla stanza. Dall’aspetto, pareva che stesse ribollendo di collera. Si appoggiò allo stipite della porta e con la testa girata stava a guardare quel lavativo del suo collega che un passo dietro l’altro se la stava già svignando, senza chiedere permesso a nessuno.

    Il suo capo lo spinse lievemente di lato. Allungò il collo sul lungo corridoio, e il suo sguardo lo corse tutto fino alla porta d’entrata, in tempo per fare una raccomandazione di servizio al paraculo che la stava per varcare.

    «Angelo, vai a dare una mano giù. Recuperate le scale e raccogliete tutto quanto. Ogni cosa dev’essere al suo posto. Pronti per andarcene, insomma.» Mentre rimetteva i piedi nella stanza, tornò a rivolgersi al suo secondo. «Ma cosa ti hanno detto? Almeno, questo si può sapere?»

    «Mi hanno detto che sarebbero arrivati subito. Anzi mi sono dimenticato di dirti che sta anche per arrivare il dottor Murra.»

    Lui lo guardò con espressione interrogativa.

    «E chi è?»

    «E’ il veterinario di quella belva. L’ho chiamato su consiglio della signora Lupo.»

    «E ti ha consigliato per caso qualcos’altro, la signora Lupo?»

    «Che cos’altro avrebbe dovuto consigliarmi?»

    «Abbiamo una morta o te ne sei dimenticato? A qualcuno di voi è venuto in testa di avvisare un suo parente?»

    «Certo. M’ha detto che da qualche parte deve avere annotato il numero di telefono di una sua amica, dell’unica sua amica ha tenuto a precisare, e proverà a chiamarla.»

    «Proverà?»

    «Sì, proverà! Dovevo forse puntarle l’accetta alla testa?» Sentì dei passi su per le scale. Si voltò a guardare verso la porta nel cui vano si affacciarono in quel preciso istante due carabinieri. Sottovoce gli disse: «Sono arrivati i carabinieri, capo.»

    «Qualcuno di quegli stronzetti di laggiù», si lamentò lui a denti stretti, «però, ci poteva anche avvisare.» Ricompose il volto stizzito e si affacciò nel corridoio a riceverli. «Signor capitano, maresciallo.»

    «Contrariamente a quanto era logico pensare», gli disse l’ufficiale, gettando dentro una veloce occhiata, «vedo che ad averla avuta vinta è stata la gatta.»

    Mentre il brigadiere malediceva mentalmente i suoi uomini per le loro lingue lunghe, la bestia, alla vista dei nuovi venuti, come a prepararsi per un secondo round, ritirò fuori le affilate grinfie feline e innarcò la schiena.

    «Che vuole che le dica, capitano Rallo, noi, per mestiere, siamo abituati a soccorrerle, le gattine, non a domarle. Ma ora è tutta sua. Però, io aspetterei l’arrivo del veterinario.»

    «Che avete già chiamato?»

    «Che abbiamo già chiamato.»

    Lui gli rivolse un’occhiataccia.

    «C’è qualche altra cosa ancora, brigadiere, che dovrei sapere?»

    «No.»

    «Ci pensi bene! Possibile che non avete provato a rintracciare qualche parente?»

    «A questo, ci penserà la signora Lupo.»

    «E a chi ha telefonato o pensa di telefonare, quando i suoi uomini finiranno di sniffare il suo profumo, la signora Lupo?»

    «Ad un’amica della defunta.»

    «Lei sa chi è quest’amica?»

    «No.»

    «Va bene.» Scambiò un’occhiata d’intesa con il suo maresciallo, che aveva già cominciato a prendere appunti, e poi si rivolse a tutti e tre. «Per cortesia, restate qui. Intanto, io vedrò di familiarizzare con la gatta.»

    Il brigadiere glielo sconsigliò di nuovo, anche se nel suo cuore sperava che non lo ascoltasse.

    «Signor capitano, non mi sembra il caso. Potrebbe graffiarla.»

    Lui da quell’orecchio non ci sentì. Con circospezione, andò verso la gatta, poi si fermò. Poggiò un ginocchio a terra. Tese il braccio, tenendo la mano con il palmo rivolto verso di lei, e con voce dolce le sussurrò.

    «Lulù, perché fai così? Su, bella, vieni qui da me. Dal tuo papà!»

    La gatta, di botto, come se quelle parole fossero state una potentissima formula magica, si rilassò. Al successivo invito, si capirono più di due vecchie bagasce. Tanto che Rallo si alzò con il felino tra le braccia e tornò sui suoi passi e verso gli altri.

    «Assolutamente sbalorditivo», ammise il brigadiere controvoglia. Con lo sguardo confuso e mortificato, indicandogli la salma. «Con il suo permesso, finisco quello che la gatta mi ha impedito di fare finora e vado a recuperare i miei uomini.»

    «Permesso accordato solo per la seconda parte della richiesta.» Secondo le indicazioni che gli aveva dato la stessa Russello solo qualche giorno addietro in occasione del loro primo ed ultimo incontro, lui fin dalla prima occhiata che aveva gettato in quella stanza da letto aveva realizzato che lì dentro mancava almeno un oggetto. Ma per il resto non sapeva niente di niente. E quella camera sembrava la sala di un museo. Da ciò la decisione di portare in quella stanza, a costo di trascinarla per i capelli, la signora Lupo. «Ed ora andiamo a trovare quella cascata di capelli rossi.»

    Era una cosa stramba, per il brigadiere. Finalmente gli sarebbe bastato allungare una mano e invece… A rendere ancora più sorprendente tutto ciò era il fatto che lui, che non abbandonava mai questo modo di fare militaresco, parlava sul serio.

    «Signor capitano, prima vorrei adempiere a quello che considero, oltre che un atto di pietà, un dovere.»

    Senza che lui lo volesse, occupava il vano della porta impedendo di fatto all’ufficiale di uscire dalla stanza, ma c’era da scommettere che avrebbe preso a braccetto la scortesia piuttosto che fare un passo indietro.

    «Brigadiere, è una sfida, un sequestro, o che cos’altro?»

    «Solamente», gli rispose il vigile del fuoco, con la sua stentorea voce baritonale e fermamente deciso a mettere in atto le sue parole, «solamente, vorrei, signor capitano, completare il mio compito.»

    «Il suo compito qui è finito.» E siccome il brigadiere restava fermo nella sua posizione, con una vena di asprezza nella voce, proseguì. «E spero, brigadiere, ma solo per il suo bene, di non dovere ricorrere ad un corpo a corpo per uscire da questa stanza.»

    «Ma che va pensando! Certo che no, signor capitano.» Lo sovrastava di tutta la testa e non rinunciò, mentre si metteva da parte, a gonfiare i suoi pettorali da palestrato. «Ma, per tutto il resto, me lo deve ordinare.»

    «Certo che sì, brigadiere! Questo è un ordine! E con in più l’avvertenza che forse le farò una nota di biasimo.» Prese da parte il suo maresciallo. Non potè fare a meno di pensare che la sua decisione sarebbe stata molto censurata se il suo istinto non avesse ragione. «Telefoni in caserma. Voglio che la stanza sia fotografata in ogni suo minimo dettaglio.»

    Detto questo, si incamminò a grandi falcate lungo il corridoio. Con il brigadiere Santillo, che era un fascio di nervi, ed il suo secondo alle calcagna.

    Capitolo 2

    Dall’appartamento sottostante, saliva un chiacchierio gorgogliante insieme ad un buon odore di caffè.

    «Si può?», domandò Rallo, bussando alla porta aperta.

    Per i due pompieri, che assediavano la rossa statuaria con la scusa della tazzina di caffè e la boria mascolina sotto la cintola in fermento nel tratto di corridoio davanti alla cucina, fu una vera doccia fredda.

    «Prego, entrate», rispose la padrona di casa, con un sorriso amabile e andando verso i nuovi venuti. «A quanto pare, l’aroma del caffè ha fatto scendere anche voi.»

    «Non proprio», rispose Rallo, varcando per primo la soglia. «Però, il brigadiere Santillo e il suo vice la gradiranno di certo una tazza di caffè.»

    «Se non è di troppo disturbo, signora Lupo», disse il capo dei vigili del fuoco.

    «Nessun disturbo, brigadiere. Avrei preferito, questo sì, che le circostanze fossero altre, ma…» Riportò lo sguardo su Rallo, come se solo in quel momento si fosse accorta che teneva tra le braccia Lulù. «Mi scusi, se non ci ho pensato prima. Ma, oggi, non ci sto proprio con la testa.» Guardinga, allungò le mani. «Me la dia.»

    «Preferisco continuare a tenerla io, signora. Amo gli animali. Le gatte, in modo particolare.»

    «Ahimè, io non posso dire la stessa cosa!» Esitò, prima di fargli la domanda. «Mi deve chiedere qualcosa, capitano?»

    Rallo si stava domandando di che sapore fossero le sue vermiglie, tumide, labbra. Abbandonò la dilemmatica ricerca e le disse:

    «Sì, in verità, è così, signora.»

    Con la coda dell’occhio, vide il brigadiere Santillo ed il suo vice avvicinarsi al resto della squadra e glieli indicava.

    «Mi permetta di fare gli onori di casa e sarò a sua disposizione.»

    «Faccia con comodo. Anche perché, dopo, la pregherò di venire di sopra con me.»

    «Con lei, di sopra?»

    «Sì», rispose lui, continuando a carezzare la testa di Lulù.

    «C’è un particolare motivo, capitano», si lagnò allora lei, «per non poterne parlare qui ed ora? O devo pensare che è preso così tanto dalla gatta che…», non concluse la frase, ma il tono derisorio era punzecchiante alquanto.

    «Niente di tutto questo, signora. Semplicemente, come le ho già detto, se per lei non è di molto disturbo, sono venuto a pregarla di salire per un momento di sopra con me.»

    «Non vorrei sembrarle scortese, capitano, ma non posso proprio in questo momento.»

    «Certo che può. Naturalmente, aspetterò che congeda i signori del fuoco prima che diventino tante belle statuine di sale.»

    Stava per replicare in modo adeguato, ma la signora Patti, arrivando dalla cucina come un treno, le fece abortire in bocca le parole.

    «Il caffè è pronto! Che state a fare ancora qui? Volete far disperare la signora Botta per tutto quel caffè che si fredda nelle tazzine?»

    Rallo guardò i pompieri muoversi all’unisono verso la cucina, ma non si agganciò a quel trenino. La nuova venuta, con la ferma dolcezza di una crocerossina, l’invitò a farlo.

    «Pregò, capitano.»

    «Il capitano», intervenne l’amica per semplice cortesia pelosa, ma ancora ribollente, «non è sceso per il caffè, Assunta.»

    «Capitano Rallo, cosa possiamo offrirle, dunque?», gli domandò allora lei, tetragona.

    «Niente, signora. Grazie lo stesso.»

    «Niente, non è una risposta, capitano», insisté la donna, facendo valere la legge della loro ospitalità. «Una qualcosa la dovrà accettare. Che fosse un bicchiere d’acqua! Ora, la prego, raggiunga gli altri in cucina.»

    «Passa, per il bicchiere d’acqua», acconsentì di malavoglia Rallo.

    «Il bel capitano», le disse l’amica quando restarono sole, «non mi sembra il tipo da sbavarti dietro. Ti consiglio di lasciarlo stare.»

    «Questo ancora è tutto da vedere. Ma tu mi dovrai aiutare. Ascoltami. Appena poseranno le tazze, con una scusa qualsiasi, sbattili tutti fuori. Lui, a quel punto, ti chiederà di me. Accompagnalo e lascialo nel salone. Ma prima strappagli, badando di non farti graffiare, Lulù dalle braccia.»

    «Spero, Rita, che tu sappia quello che fai», le disse allora lei, arrendendosi alle sue insistenze.

    «Fidati di me. Ma ora vai, se no Annalisa comincerà a dare i numeri.»

    «Va bene. Però tu vedi di non fare troppo la gatta con lui.»

    Sul viso dell’amica si allargò un sorriso malizioso. Era proprio quello che si proponeva di fare. Andò in bagno e da lì spiò i movimenti degli altri. Vide uscire i pompieri e, poco dopo, entrare il veterinario, che riuscì quasi subito portandosi via Lulù. Dopo qualche altro secondo, finalmente, vide la spumeggiante complice andare a parcheggiare Rallo.

    Rimasto solo, l’ufficiale si guardò in giro. Gli occhi si fermarono su una gigantografia della padrona di casa: un nudo di schiena a misura naturale. Quando Rita Lupo entrò, lui si girò imbarazzato per essere stato sorpreso a guardare così intensamente quel suo nudo artistico.

    Negli ultimi cinque minuti, lei si era sentita leggermente a disagio, ora però le sembrò che le nubi all’improvviso si schiudessero e la luce di una possibile rivincita riprendesse a brillare.

    «Uno a zero», disse, in tono divertito al suo ospite. «Ma vedrà che mi rifarò.»

    «Pardon?»

    «Mi stava guardando in modo molto sfacciato», chiarì lei, rivolgendogli un largo sorriso.

    Quando Rallo fu certo di avere capito bene quello che lei gli aveva voluto dire, lanciò un’altra occhiata al maxi ritratto e sorrise anche lui.

    «Eccellente! Davvero, una fotografia eccellente!» Sapeva di essere in debito con lei, e sapeva anche di non avere ancora una risposta della giusta caratura. Non potendo però continuare a filare il tempo, si accontentò di quella che aveva. «Ma a questo punto, sincerità per sincerità, confesso che avrei voluto che fosse stata ripresa davanti ad uno specchio, anziché ad uno spicchio di mare.»

    «E magari essere lei il fotografo.»

    «Non è che non mi sarebbe piaciuto», rispose lui, con un sorriso ambiguo, «ma a questo non avevo proprio pensato. Perché tra le tante cose che non so fare bene, c’è anche quello di stare dietro ad una macchina fotografica.»

    La donna, immersa ormai nel suo liquido naturale, gli rivolse una lunga occhiata di apprezzamento, lamentandosi dentro di sé per la circostanza non certo favorevole che le aveva portato in casa un uomo così intraprendente, disponibile e avvenente. Poi suggerì di sedersi. Per lei, scelse un soffice divano a due posti. A lui indicò una poltrona. Nel sedersi fece in modo che la gonna arretrasse il più possibile sulle cosce, che poi, con squisita civetteria tutta femminile, ricoprì il meno possibile tirando in avanti il vestito. Accavallò le gambe e lo stette a guardare. Gli occhi nocciola di Rallo sostennero il suo sguardo emanando un’altrettanta sincera ammirazione.

    «Suppongo che sia rimasto per tentare di farmi cambiare idea?»

    «Date le circostanze, sì.»

    «Date le circostanze», ribadì lei, sentendosi percorrere da un brivido, «le mie amiche ed io, invece, non vediamo l’ora che ve ne andiate per andarla a preparare. Mi vengono i brividi, a saperla in quello stato.»

    «Ecco perché ci dobbiamo sbrigare a salire. Prima ce ne andiamo e prima potrete assolvere al vostro compito.»

    «Non vorrei essere sgarbata, ma lei non mi lascia altra alternativa. Mi spieghi perché dovrei salire con lei quelle rampe di scale?», gli chiese, con un altrettanto sorriso indefinibile.

    «Per lei sarebbe un problema?»

    «Purtroppo sì.»

    «Non mi dica che la vista di un cadavere le mette paura?»

    «Sì.»

    «Ma lei non era quella che avrebbe dovuto vestirla?»

    «E’ l’intenzione quella che conta.» Trasse un respiro come per rinvigorirsi. «A prendersi cura di lei in quel senso lì saranno le mie amiche.»

    «Mi pare una buon’idea. Anche perché non c’è nulla di più difficile che vestire un morto. Tuttavia, per quest’altra faccenda, non può delegare nessuno.»

    «Sta scherzando?»

    «No.»

    «A giudicare dal daffare che si dà per trascinarmi su, si direbbe che ci tiene tanto.» Con malizia. «Che cos’ha in mente?»

    «Domande, domande, domande…», snocciolò in modo enigmatico lui.

    «E che aspetta a farmele, allora?»

    «Aspetto che siamo saliti.»

    «Perché queste sue domande non me le può fare qui?»

    «Be’, perché ho bisogno, con il suo aiuto, di verificare un paio di cose in quella stanza museo.»

    «Capisco», convenne lei, anche se non aveva voglia di entrare in quella stanza.

    «Da una parte capisce, ma dall’altra ha paura dei morti», la prese in giro lui.

    «Forse le è difficile crederlo, ma è la pura verità.» Si morse il labbro inferiore. «Non le prometto niente. Non posso andare contro la mia natura. E questa è una situazione che mi fa uscire di testa. Ma, intanto, perché non dà corso alle sue domande?»

    «Mi parli di lei. Così, come le viene.»

    «Preferirei, capitano, che mi facesse lei delle domande.»

    «Il brigadiere Santillo», cominciò Rallo, «mi ha riferito di un’amica della Russello che lei avrebbe dovuto rintracciare. Che mi sa dire?»

    «Purtroppo, niente. Pensavo di avere annotato da qualche parte il suo numero di telefono, che è un numero riservato, ma non c’è stato verso di trovarlo.»

    «Poteva mandare qualcuno ad avvisarla.»

    «A sapere dove abita!»

    Lui la guardò con evidente scetticismo.

    «Vuol farmi credere di non sapere dove abita?»

    «Non è che glielo voglio far credere! E’ così. Non lo so.»

    «Almeno, mi sa dire chi è quest’amica? Com’erano i loro rapporti?»

    «Certo che posso. E posso anche farle il nome della persona che potrà dirle tutto quello che vuole sapere su loro due, se lo desidera.»

    «Allora, cominci col farmi questo nome. E mi permetta una sottolineatura: da lei mi sarei aspettato una più fattiva collaborazione.»

    «Capitano Rallo, non è per farle un rimprovero, ma mi piace ricordarmi che siamo nel mio salotto e che sono a sua completa disposizione.» La sua voce era quasi un sussurro flautato. In sintonia perfetta con il linguaggio del suo corpo. «Pronta a soddisfare ogni sua richiesta. Certa, parlando con un gentiluomo, anzi, è il caso di dirlo, con un ufficiale gentiluomo, di non essere fraintesa.»

    «Dunque?»

    «La persona che può rispondere con esattezza a tutte le sue domande è Murra. Il veterinario Murra.»

    «Sta parlando, forse, del veterinario che è venuto a prendersi Lulù?»

    «Dio mio, ha consegnato Lulù a quel Culo di gomma!»

    Era un’attrice nata. Sembrava per davvero molto sorpresa.

    Rallo evitò di guardare il biancore delle sue lunghe gambe che non l’aiutavano a raffreddare il fiume di lava che gli scorreva nelle vene.

    «Perché non avrei dovuto consegnargli Lulù? E perché poi l’ha chiamato in quel modo?»

    «L’ho chiamato, capitano, come tutti lo chiamiamo. Riguardo a Lulù, avrei preferito invece che fosse rimasta qui. La signora Botta, oltretutto, ne sarebbe stata entusiasta. Meno, la signora Patti. E del tutto contrariata io. Ma sarebbe stata la cosa giusta da fare, per quella povera bestia.»

    «Il fatto che non l’abbia data ad una di voi non significa che non possiate richiedergliela. Ma ora mi dica come si chiama l’amica della defunta e tutto quello che sa di lei.»

    «Si chiama Lidia Settembrino. Signorina Lidia Settembrino. Da noi le donne anziane rimaste illibate, almeno sulla carta, ci tengono ad essere chiamate signorine. L’altra cosa che so di lei è che è stata professoressa di lettere al liceo cittadino.»

    «In che rapporti era con la morta?»

    «Ottimi. Due sorelle. Anzi, due sorelle siamesi. Così le chiamava mio marito.»

    «Della situazione economica che mi sa dire?»

    «Di chi?»

    «Della defunta. Di chi se no?»

    «Non mi faccia passare per scema, capitano! Come facevo a sapere che si riferiva a lei e non all’altra? Ricca sfondata, com’è da tutti risaputo.»

    «E di suo che mi sa dire?»

    «Niente. Nessuna notizia diretta, se è a questo che allude.»

    «I vostri rapporti com’erano?»

    Lei disaccavallò le gambe e tornò ad accavallarle nell’altro senso.

    «Ai minimi termini.»

    «Perché non c’era spazio per un buon rapporto o perché il rapporto stesso si era deteriorato?»

    Gli rivolse un’espressione di materna esasperazione.

    «Capitano Rallo, mettiamo le carte in tavola. L’ho giudicata, fin dal primo momento, una persona non comune. Una persona intelligente e piena di fascino. Ed io difficilmente mi sbaglio nel giudicare gli uomini. E’ il mio gioco e il mio passatempo preferito. Ma il suo atteggiamento è da questurino: manco se l’avessero ammazzata!» Si alzò. «Mi aspetto dei chiarimenti da lei. E, nel mentre, sempre che lo stomaco e la testa mi reggano, visto che non mi lascia altra scelta, possiamo andare disopra.»

    «La prego, signora, si sieda.»

    «Preferisco restare in piedi, capitano.»

    «Come vuole lei, se è questo che preferisce. Vuol dire che mi alzo io.»

    Lei lo bloccò con la mano.

    «Non si preoccupi dei convenevoli. Le chiedo però di essere più rispettoso del suo ruolo. E sappia che non mi lascerò intimorire dal suo atteggiamento provocatorio.»

    «Non voglio intimorirla. Né sto utilizzando nessuna tecnica interrogatoria. Io non ho nessuna resistenza da far rompere. Perciò, la prego, si sieda.»

    «Suvvia, capitano, così non fa che ripetersi e, insieme, restare in mezzo al guado. Le sembra acconcio?»

    «E lei?» Si appoggiò allo schienale e, con l’aria da professore distratto, ancora una volta le rinnovò l’invito a sederi.

    «Lo faccio soltanto per non sembrarle un’ineducata e testarda persona», acconsentì lei. Con quella sua espressione esasperata, si passò le mani sulle lunghissime gambe e poi le accavallò.

    «Grazie, signora Rita. E mi scuso, se le posso essere sembrato un poco villano. Certamente, né lo volevo essere, né lo volevo apparire, né è nel mio stile.»

    «Accetto le sue scuse.»

    Si soffermò mentalmente a fare un paio di supposizioni sull’inaspettata, confidenziale, cabrata e non aggiunse altro, per non interrompere il filo dei propri pensieri.

    «Bene. Con ragione, mi chiede dei chiarimenti. Ma, per poterla accontentare, dovrei rivelarle fatti e cose che, pur non rivestendo carattere di peculiare riservatezza, a mio giudizio, sono di una certa delicatezza.»

    «Da parte mia», gli promise lei, con tono scherzoso, «se le può essere di aiuto, le posso assicurare che non ha nulla da temere. Non ne parlerei con le mie amiche, neppure sotto tortura. Ma, a proposito di amiche, se non vuole che le mie mi stiano di poi a tartassare di domande piene di allusioni forse è meglio…»

    «… concludere, signora Rita?»

    Aveva supposto giusto. Senza lasciare del tutto quel bozzolo di fredda cortesia, assentì e si preparò ad esigere un primo parziale incasso.

    «Capitano, in meno di un minuto, per la seconda volta, e questo esclude che possa trattarsi di un lapsus, mi ha chiamato col mio nome di battesimo. Anche se l’ha fatto precedere dal molto convenzionale titolo di cortesia di signora.»

    «Non avrei dovuto?»

    «Pensa veramente che le avrei potuto fare un appunto così banale?»

    «Ha ragione. Ho capito. Me ne scuso e rimedio subito.» Sorridendo. «Mi chiamo Nicodemo. Ma tutti mi chiamano Nico.»

    «Nicodemo è un nome orrendo! Ma Nico mi piace. Ma, prego, capitan Nico, continui.»

    «Facciamo in questo modo, signora Rita. Le farò qualche altra domanda e poi, se mi è possibile, vedrò di poterla accontentare. Mi sia amica, però.»

    La donna annuì. Per un momento, lui pensò che stesse per dare qualche pacca sul divano per invitarlo a sedersi accanto a sé. Non lo fece. Ma le sue parole sarebbero state piccanti, tal quale.

    «Capitano Nico, lei sa, come io so, che non vi è niente di più intrigante e più dura da rompere di una conoscenza, o amicizia che sia, tra un uomo e una donna che si incominciano a capire e, perché no, a piacere.»

    Ora toccò a lui annuire, con un sorriso lasco. L’idea retrostante era per l’appunto questa. Con sincera ammirazione, si era reso conto che lei era sempre un passo avanti gli altri. Diede corso alle domande.

    «Da quanto tempo abita qui?»

    Rita Lupo ci pensò su un attimo.

    «Saranno quindici mesi a giorni.»

    «E la signora Patti e la signora Botta?»

    «Lo stesso. Ci siamo trasferiti nello stesso periodo.»

    «E’ da molto che vi conoscete?»

    «Dalle elementari.»

    «Per quanto di sua conoscenza, poteva avere dei nemici?»

    «Assolutamente no!»

    «E lei e le sue amiche? O le vostre stesse famiglie?»

    Rise di un dolce riso.

    «L’escluderei. Tutt’al più, forse, possiamo suscitare un po’ d’invidia.»

    «Invidia per che cosa?»

    «Ho parlato d’invidia perché mi sento di potere escludere l’inimicizia. Insomma, costretta a formulare delle ipotesi, posso arrivare anche a pensare che il modo solare di vivere la nostra amicizia può essere motivo d’invidia, per una qualche bacchettona perditempo sessualmente repressa.»

    Rallo la guardò con un’espressione divertita.

    «Certo è che vi sono parecchi esposti anonimi nei vostri confronti. Pieni anche, devo aggiungere, di episodi piccanti.» Per un momento esitò, poi, come a volere scandagliare sempre di più quel che stava sotto la chiglia, lanciò la sagola. «Quasi, boccacceschi!»

    «E’ tutto qui? Poveretta, mi fa pena», commentò lei, in modo garbato e per nulla imbarazzata. «Mettersi a scrivere lettere anonime per niente. Dio mio, che gentaglia! Lo sa che per un attimo mi sono preoccupata!»

    «Con me, non ha bisogno di fingere!» Il tono di voce era a metà tra la sollecitudine e l’irritazione. «Anche perché non è detto che debba per forza esserci dietro un’innocua mano di donna.»

    «Caro capitano, chi vuole che si interessi delle avventure amorose vere o presunte di una donna, o di un gruppo di donne, se non un’altra donna cui la gonna, mi permetta la franchezza, non la solleva mai nessuno?» Un sorriso sornione le sbocciava sul viso. «Ed io non mi faccio intimorire da un’inacidita mezzacalzetta.»

    La spiegazione gli parve convincente e Rallo la fece sua.

    «Sì, forse ha ragione lei.»

    «Ovvio. Naturale che ho ragione.»

    «Ora è meglio che mi accompagni su», e si alzava.

    Lei alzò gli occhi su di lui e lo guardò a lungo. Stava per chiedergli un prestito pur sapendo che le sarebbe stato negato.

    «Non posso esimermi dal seguirla, vero?»

    «Appunto.»

    Si alzò anche lei. Lo stretto spazio tra il divano e la poltrona sembrò stringersi ulteriormente e lei si illanguidì oltre ogni decenza.

    Per la rossa il concetto di moglie sembrava davvero pittorescamente datato, e lui, tornando con la mente al contenuto di quelle lettere anonime, cominciò a fantasticare sulle piacevolezze che avrebbe potuto fare con lei, non appena avesse finito di ficcare il naso attorno a quella faccenda dai contorni ancora non rivelati.

    Capitolo 3

    In quella stanza dall’aria ancora ordinata, malgrado la finestra sfondata, la sola nota stonata era Agata Russello rannicchiata sul pavimento. Per porre riparo a quell’assurdità, dopo aver dato un’occhiataccia al maresciallo Antinoro, la signora Lupo si mosse per prendere la prima cosa che le capitò sotto gli occhi: la vestaglia.

    «Ma perché non l’avete ancora coperta? E’ una cosa inumana.»

    «Signora Lupo, lasci perdere», le ordinò Rallo, gelandola. «Sono stato io a non volerlo. Non ancora almeno. Si guardi attentamente attorno, invece. C’è qualcosa che non va qui dentro?»

    «Sì! Questo corpo nudo per terra! Che aspettate a coprirla? Perché oltraggiarla ancora? Permetta alle mie amiche di metterla sul letto e di vestirla. Non ritardi ancora quest’atto di pietà!»

    «Le apparenze ingannano», rispose Rallo, senza darle altre spiegazioni. «Ma ora risponda alla mia domanda.»

    «Ma che vuole che ne sappia io? Vorrei solo, e lo dico con forza, non essere qui. Non capisco cosa ci faccio e che ruolo ho in tutta questa faccenda?»

    «Quello della vicina di casa, almeno per il momento.»

    La frase restò sospesa per un attimo nell’aria, poi si sgranò e le parole caddero a terra come macigni. Quella situazione, per lei, non era cosa facile da immaginare. Era come pensare ad uno spaventapasseri in chiesa.

    «Mi sembra di essere un cartoon dentro un cartone animato. Ma perché, santo iddio, insiste a farmi questa stupida domanda?»

    Rallo non si scompose.

    «Signora Lupo, giochiamo a carte scoperte. So di per certo che lei è in grado di darmi la risposta. Perciò, per quanto il mio comportamento possa sembrarle strano, veda di darmi una mano d’aiuto.»

    «E come? Io le darei tutte e due le mani, le braccia e le gambe!» Un sorriso amaro aleggiò sulle sue labbra. «Solo, del fegato, non mi deve parlare. Perché me lo sto già mangiando da me!»

    «Mi dispiace per il suo fegato, ma le consiglio, signora, di recedere dalla sua posizione. Assolutamente. Da parte mia», e si avvicinò a lei come mai in tutta la sua vita si era avvicinato ad un’altra donna che già non aveva avuto, «io, la metto sulla buona strada. So, e non è questa mia conoscenza frutto di un esposto anonimo, mi ascolti bene, che lei, lei e non altri, lei e non la signora Patti o la signora Botta, è in grado di darmi la risposta giusta.»

    «Non è vero!», gli abbaiò in faccia la donna. «E questo lei lo sa!»

    «Purtroppo è vero.»

    «Molto divertente. Come mai non mi viene da ridere?»

    «Suppongo che sia per il fatto che non c’è niente da ridere.» Lei, lei che avrebbe dovuto avere paura dei morti, lo stava guardando intensamente. Dov’era andata a finire la sua fobia? Aggiunse qualcosa ancora. «Così come non c’era niente da temere dalla vista di questa salma.»

    Un’improvvisa esplosione di collera dilagò dietro gli occhi della donna. Quando gli aveva detto di avere paura dei morti, gli aveva detto la verità. E davanti a quel corpo senza vita, quando fu presa dall’irritazione invece di sudare freddo o di dare di stomaco, era stata lei a sorprendersi per prima. Era altrettanto vero, però, che non si era mai sentita così umiliata e abbattuta. Il riferimento era troppo tangibile per non prenderlo in considerazione. Reagì nel solo modo che conosceva. Sfidandolo.

    «Non mi aspetto che mi capisca. Ma non mi faccia pentire di essere qui.» Si aprì una finestra nella sua testa. Vi guardò dentro. Le sembrava incredibile, eppure, qualsiasi fosse il motivo per il quale lui l’aveva trascinata lì, lei era la chiave di volta. Giunta a questa conclusione, capì di tenere ancora il coltello dalla parte del

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