I regni nascosti di Belisaver. La danza delle virtù. Volume 1
Di Frank Fisher
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Info su questo ebook
Frank Fisher nasce a Genova nel 1978, diplomato in ragioneria, da sempre amante delle arti. Musicista per hobby ma soprattutto appassionato scrittore, autore di una saga fantasy sviluppata in più volumi e di un romanzo di fantascienza intitolato “l'uomo senza pensieri” pubblicato nel 2018, oltre ad altri racconti che spaziano attraverso vari generi, dal fantascientifico all'horror.
Amante della filosofia, dell'astronomia ed in generale di tutto ciò che può solleticare, stimolare curiosità e mettere in moto il cervello.
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I regni nascosti di Belisaver. La danza delle virtù. Volume 1 - Frank Fisher
Frank Fisher
I regni nascosti di
Belisaver
Volume 1
La danza delle virtù
EDITRICE GDS
Frank Fisher I regni nascosti di Belisaver - La danza delle virtù
- volume 1 ©Editrice GDS
EDITRICE GDS
di Iolanda Massa
Via Pozzo, 34
20069 Vaprio d’Adda (MI)
Il presente romanzo è frutto della fantasia dell’Autore. Ogni riferimento a fatti, persone, cose e/o luoghi realmente esistenti e/o esisititi è puramente casuale.
Illustrazioni interne di ©Nina Goloenko
Immagine in copertina di©Nina Goloenko
Progetto copertina di ©Iolanda Massa
TUTTI I DIRITTI RISERVATI.
Atto I
Avventura nel regno di luce
Prologo - La leggenda dell’antico regno
Salve mi presento, il mio nome è Esperil e sono quello che comunemente definireste un mago. Per certi sono solo un vecchio ciarlatano, per altri un povero mentecatto mentre altri ancora mi considerano portatore di grandi virtù, prima fra tutte il dono della guarigione e mi attribuiscono persino la capacità di prevedere il futuro. Ed allora chi o cosa sono direte voi, forse vi domanderete, se ancora non mi conoscete, del perché la gente abbia opinioni così disparate su di me.
Ebbene vi dico che la tal cosa non ha la minima importanza, ognuno di noi possiede all’interno di sé forze benigne e forze maligne. La differenza la fa il diverso peso che bene e male hanno sui piatti della bilancia, questi sottili equilibri stanno dentro ognuno di noi, vale per chi giudica e per chi viene giudicato. Quel che più conta è che io sono qui ora non in veste di mago (o di quel che sono) ma bensì nella veste di umile narratore e la storia che mi accingo a raccontarvi parla proprio di questo amici, della sottile differenza che esiste tra il bene e il male all’interno dell’animo umano e dell’assai meno sottile differenza che fa per un uomo scegliere una via anziché l’altra, luce anziché oscurità e di andare incontro verso il proprio destino: questa è la storia di Kabel e dei sette regni nascosti di Belisaver. Ma ogni storia che si rispetti ha la sua scintilla che la innesca scatenando un incendio di eventi destinato a sconvolgere la vita di molti.
Nel nostro caso questa scintilla va ricercata all’interno di una leggenda, la più ancestrale tra quelle tramandate nella nostra terra; la cosiddetta leggenda dell’antico regno. E narrandovene il mito ora comincerò la mia opera di portatore di memorie affinché il tempo non possa cancellarne gli esiti che furono, gli atti che sono e le conseguenze che saranno.
Ci sono cose perse nell’oblio del cosmo, assolutamente fuori dalla portata dell’immaginazione umana. Ci sono cose i cui arcani poteri possono soggiogare la mente umana alla velocità della folgore e ridurla in schiavitù. Ci sono cose così profondamente malvagie e così intimamente buone da far vacillare la volontà stessa del creato. Ci sono cose che quando arrivano non ti lasciano mai più. In una notte qualunque, apparentemente placida durante la sesta e ultima era del popolo dei precursori qualcosa apparve nel firmamento, squarciò il cielo e nulla da allora fu più come prima. Mormora il mito che gli antichi abitanti del regno di Belisaver quella notte udirono un boato tremendo, nemmeno lontanamente paragonabile a quanto sentito fino a quel momento nel corso delle loro esistenze. Il firmamento notturno si illuminò a giorno, una sfera luminosissima ma dal colore indefinibile apparve da est e d’incanto sembrò staccarsi in sette frammenti. Uno cadde in mare vicino alla costa, un altro cadendo al suolo formò un vulcano, gli altri cinque infine sprofondarono nelle viscere della terra. Ma nonostante gli impatti tremendi non ci fu nessun cataclisma, né terremoti, né uragani, né tanto meno maremoti, niente di niente. Sussurra il mito che metà degli abitanti del regno si chiusero nelle loro case in preda al terrore, l’altra metà invece sembrò presa da una sorta di delirio collettivo e come spinta da una invisibile quanto misteriosa ed inesorabile volontà si diresse verso i luoghi dov’erano atterrati i frammenti del corpo celeste ma di tutti coloro che quella notte lasciarono i propri villaggi nessuno fece ritorno a casa. Bisbiglia il mito che ognuno di loro fu catturato da quell’arcana volontà e rimase in un qualche luogo misterioso, formatosi in prossimità degli impatti, ad edificare dei nuovi villaggi. Ulula al vento il mito che da quella notte sorse l’alba di una nuova era: l’era dei regni nascosti di Belisaver; Riolais il regno di luce, Regnet il regno di fuoco, Rioghir il regno di ghiaccio, Aontusce il regno d’acqua, Rioncre il regno di terra, Riodenna il regno di polvere ed infine Riondord il regno di tenebra.
Ecco questa era l’epopeica leggenda dell’antico regno, la premessa indispensabile per entrare più intimamente nella nostra storia. Qualcosa stava mutando nelle viscere della terra, negli abissi del mare ed anche lassù in aria, sopra le nuvole. Ci sarebbe potuta essere in quel tempo solo una persona in grado di comprendere, seppure in minima parte, l’importanza dell’evento appena accaduto e la gravità dei mutamenti a cui avrebbe portato ma a questa persona come vedremo più avanti mancava ancora qualcosa, un segno tangibile che la spingesse ad immergersi nelle profondità del mistero ed esplorarne le inquietudini più profonde.
Quella persona era il mago Mondelar, il fondatore del mio ordine, quello dei maghi di Goraz e quel segno si sarebbe manifestato molto presto.
Capitolo 1 - L’invasione delle truppe di Riondord
E dopo il doveroso preambolo possiamo cominciare una volta per tutte il nostro cammino all’interno della storia, la quale si svolge nel corso della terza era della seconda dinastia e più precisamente durante il regno di re Zorev III, sovrano indiscusso dell’intero reame di Belisaver. Re Zorev era vecchio e saggio ma con la sua età, oltre ai peli bianchi nella sua barba stava in lui crescendo anche qualcos’altro. Era un qualcosa di indefinibile e sinistro, come se antichi timori per anni nascosti tra le pieghe del tempo stessero prepotentemente per tornare a galla. Zorev III dimorava nella città di Enselit, capitale del regno di Belisaver e la sua casa era il grande castello che sovrastava la città stessa. Dall’alto torrione la sua vista poteva spingersi a vista d’occhio sino all’orizzonte ed anche adesso che la stanchezza opprimeva il suo corpo, pressava la sua mente ed ottenebrava il suo cuore non passava giorno in cui egli non salisse lassù ad osservare i fasti del suo regno.
Negli ultimi giorni tuttavia, volgendo faticosamente il suo sguardo verso quell’orizzonte che a lungo era stato foriero di gloria, il suo antico ed ormai malandato cuore di guerriero gli aveva suggerito che ombre minacciose si stavano addensando sul suo regno. Notizie confuse arrivavano a corte, parlavano di potenziali focolai di rivolta tra i contadini che lo avevano sempre amato e gli avevano giurato eterna fedeltà, ma era soprattutto un altro aspetto ad allarmarlo ed a renderlo inquieto in quei giorni, ovvero la notizia che numerosi suoi soldati stavano disertando un po’ in tutti gli angoli del regno. Turbato da ciò aveva mandato il suo fido consigliere Defesius a verificare la veridicità di tali dicerie. Era già trascorso un mese dalla partenza di Defesius quando finalmente una mattina di primavera il vecchio sovrano salendo in cima al torrione scorse in lontananza un uomo cavalcare di gran carriera verso la città, nonostante la sua vista appannata non ci mise molto a capire che si trattava del suo consigliere finalmente di ritorno. Una grande frenesia si impadronì di lui e dimenticandosi di tutti gli acciacchi si precipitò in men che non si dica giù per i ripidi scalini della torre col chiaro intento di andargli incontro.
Giunto al portone esclamò… «Presto aprite le porte è tornato Defesius!». Ordinò il re.
«Sì maestà, subito!», risposero all’unisono le guardie.
Il portone si spalancò e Defesius apparve alquanto trafelato sulla sua cavalcatura.
«Mio fido Defesius finalmente, quali notizie porti?» chiese con malcelata ansia il re.
«Mio sire purtroppo non posso sollevare il vostro cuore come vorrei. Durante il mio errare per le terre di Belisaver ho scorto ombre sinistre allungarsi impetuose come onde, onde pronte ad infrangersi presto su di noi mio re ma preferirei conferire in privato di certe questioni» ribatté laconico il consigliere.
«D’accordo Defesius seguimi nella sala del consiglio, il mio cuore brama e teme di recepire il significato del tuo racconto».
Si recarono così nella grande sala del consiglio e Defesius, non senza qualche esitazione, cominciò a proferire dinanzi allo sguardo sempre più preoccupato del re: «Maestà, quello che ho da riferire avvelena da giorni il mio cuore e la mia mente ma è mio preciso dovere da consigliere essere schietto anche se ciò mi duole».
«Su, non esitare oltre e non far crescere ancora in me l’ansia, dimmi allora cosa sta succedendo nel mio regno!», lo esortò il sovrano mostrando i primi segni d’impazienza.
«Lo farò maestà! Ho girovagato in lungo e in largo e devo dire sin da subito che non ho potuto ancora stabilire con certezza cosa stia per accadere, posso però dire oltre ogni ragionevole dubbio che qualcosa di malvagio sta contaminando i cuori degli appartenenti al vostro popolo. Per la prima volta da quando siete sul trono la gente prova malcontento e cova propositi di ribellione, qualcosa di indefinibilmente malvagio si avverte nell’aria e sembra annidarsi non molto distante da qui, verso nord-ovest».
«Perché dici che si annida a nord-ovest? Devi dirmi tutto Defesius!».
Defesius che notoriamente non perdeva mai la calma si accigliò e si mise a guardare dal finestrone della sala del consiglio fissando il vuoto. Nonostante la sua giovane età, non del tutto certa ma comunque compresa fra le trenta e le quaranta primavere, la sua saggezza unita alla sua scaltrezza erano qualità note a tutti. Anche il suo aspetto era insolito per un consigliere, era alto e muscoloso con lunghi capelli lisci e neri, l’espressione era severa e complice il suo naso aquilino ed il suo sguardo deciso metteva spesso in soggezione i propri interlocutori.
Ma quel giorno non sembrava affatto il solito Defesius, la sua proverbiale sicurezza pareva venirgli meno, non era certo paura, quella no, ma per la prima volta in vita sua dava l’idea di provare timore per ciò che sarebbe potuto accadere da lì a poco. Alfine distolse lo sguardo dal vuoto, prese un bel respiro e ricominciò a parlare.
«Tanti soldati stanno disertando, molti sudditi del regno di ogni estrazione sociale e dalle più disparate occupazioni stanno abbandonando le loro case e le loro terre, i mercenari arrivano a frotte dalle terre oltremare e sbarcano in massa sulle coste dell’ovest presso Vindamor. C’è grande fermento e l’unico fattore comune è che tutti si dirigono apparentemente nella stessa direzione».
«Quale direzione Defesius? Non tenermi sulle spine!», incalzò il monarca.
«Verso le terre proibite mio re».
Il vecchio sovrano impallidì e sembrò più stanco del solito, si sedette quindi su una sedia in preda a sensazioni indefinibili.
«Come le terre proibite? Nessuno osava mettervi più piede da tempo immemorabile ed ora tu mi stai dicendo che non solo si danno alla macchia ma che addirittura sfidano le sacre leggi di Belisaver recandosi nelle terre proibite. Quale infame disegno di sventura si cela dietro il mistero di questi giorni? In quale tragico gorgo il destino sta trascinando il mio regno? Cosa ne resta di ciò che fu la mia dinastia? Solo vergogna e disonore, ma io mi rifiuto di accettare una simile sorte!». Fu dunque l’inevitabilmente amaro ed addolorato commento di Zorev.
«Ed infatti non va accettata mio re, dobbiamo reagire subito!».
Il re fece per alzarsi di scatto ma la suola della scarpa destra si staccò improvvisamente facendolo finire addosso a Defesius il quale si rivolse immediatamente a lui con evidente apprensione.
«Maestà state bene?!».
«Vedi, questo è un altro presagio di sventura» rispose l’anziano re con un pizzico di rassegnazione.
«Ed allora penso proprio di sapere a chi dobbiamo rivolgerci!». Affermò d’impeto il consigliere dai capelli corvini.
«A chi alludi?». Gli chiese il suo re con un misto di curiosità e speranza.
«Al mago più potente del regno, colui i cui servigi vi sono già stati più volte offerti».
«Esperil, è vero! Come ho fatto a non pensarci prima? Manda subito qualcuno a cercarlo, fatelo venire qui al più presto!» esortò a quel punto Zorev terzo con rinnovato vigore.
«Darò disposizioni immediate in merito».
E fu così che Defesius mandò dei messaggeri alla mia ricerca, il mio tempo di mettermi in gioco era giunto, il fato chiamava ed io avevo sentore di ciò.
Per cui mentre le pedine cominciavano a mettersi in movimento io nella mia dimora, situata nelle profondità delle caverne di Otomn, ero intento a consultare le sacre pietre, mi era chiaro che il male stava prendendo il sopravvento ed aspettavo la chiamata di re Zorev. Defesius sapeva dove si trovava il mio rifugio, le caverne sarebbero state il primo posto dove sarebbero venuti a cercarmi e così fu. Un paio di messaggeri in calzamaglia bardati di tutto punto con le insegne di palazzo mi convocarono a corte e dopo un viaggio a cavallo di mezza giornata arrivai al castello di re Zorev con l’animo colmo di cattivi presagi.
La speranza calava rapidamente a ovest, come il sole dietro le montagne in una gelida giornata d’inverno e con essa anche il coraggio degli uomini, soppiantato dalla paura come la luce che fa posto all’oscurità, ma c’era ancora qualcosa che non si poteva fermare, il battito del cuore dei giusti dentro al loro petto e finché ci fosse stato quello ci sarebbe potuta ancora essere un alba di speranza. Finalmente arrivai dunque al cospetto dell’anziano sovrano.
«Salute saggio Zorev, un vecchio amico è giunto qui dinanzi a te a porgerti omaggio e a cercare di trovare un raggio di speranza in questo tempo che sembra piombare dritto nel cuore dell’oscurità».
«Salute a te amico mio, fedele compagno di tante antiche battaglie, è da tanto tempo che non ci vediamo e lo Zorev che conoscevi un tempo sembra svanire giorno dopo giorno. Sento le forze che mi abbandonano e temo il momento in cui dovrò lasciare il mio posto sul trono, la mia dinastia si è spezzata ed in tempi di così lugubri presagi ci sarebbe bisogno di una guida piena di vigore».
«Ma c’è tuo nipote Boras, figlio di tua sorella, lui è giovane e forte ed è una guida sicura per le truppe di Belisaver», dissi io nel tentativo di fargli coraggio.
«Giovane e forte lo è senz’altro, ma a Boras manca una qualità fondamentale per essere re, specialmente in tempi così cupi».
«A che cosa ti riferisci mio vecchio amico?», mi venne pertanto naturale chiedergli.
«Alla saggezza. Il mio caro nipote Boras non ne possiede abbastanza per succedere al mio trono ed in quanto ad essere una guida sicura per il mio esercito dubito fortemente anche di questo. Immagino che sarai al corrente della falcidia di diserzioni che stanno subendo i miei schieramenti, la colpa di ciò è anche sua».
«Ma mio sire, quello che sta accadendo sembra governato da un’invisibile mano di tenebra che guida gli uomini come burattini. Boras non ne ha colpa, anzi grazie al suo carisma tanti soldati gli sono ancora fedeli e lo sono anche a voi» fu a quel punto la chiosa dello scaltro consigliere.
«Ancora una volta il saggio Defesius non ha parlato a sproposito maestà, dobbiamo fidarci di Boras. Comunque non indugiamo oltre, dobbiamo immediatamente recarci nei sotterranei del castello e più precisamente al pozzo delle anime perdute, devo compiere un rito pericoloso ma che ci è indispensabile per cercare di scrutare oltre la cortina di fumo creata dagli ultimi strani accadimenti».
«Come desideri Esperil, rechiamoci immediatamente al pozzo se davvero lo ritieni necessario».
Così il sottoscritto, re Zorev e Defesius si recarono verso i sotterranei. Il castello di Belisaver era noto, oltre che per il suo grande ed altissimo torrione centrale, per la sua forma particolare. Era infatti fatto a stella e per recarsi nei fondi l’entrata era situata nella punta in alto, quella che era rivolta verso nord. Passammo dall’ala ovest attraverso un corridoio dalle ampie vetrate e dalle mura spoglie, poi giù per tre rampe di scale che rasentavano il vuoto, in seguito imboccammo la profonda scala a chiocciola. A metà di tale scala vi era l’accesso per le segrete del castello, in fondo si giungeva in un’ampia oscura caverna ed in fondo ad essa si scorgeva un piccolo bagliore nel buio. Avvicinandosi ad esso ecco che si poteva infine vedere il pozzo, era una piccola cavità circolare di circa un metro di diametro, era impossibile stabilirne l’esatta profondità a causa della luce intensa che proveniva dal suo interno. Era stata scoperta per caso per via di un crollo durante la costruzione delle segrete ed i maghi dell’ordine di Goraz, i miei predecessori, ne avevano subito compreso le straordinarie qualità. Immergendosi nella luce dentro al pozzo si poteva aprire la mente ed avere delle risposte su quesiti di estrema importanza nonché di difficile comprendonio. Tuttavia questo tentativo poteva costare un prezzo molto caro. Chi vi si immergeva rischiava la pazzia e solo un mago con conoscenze profonde dell’occulto poteva provare la rischiosa impresa avendo qualche possibilità di non perdere la ragione.
Per il sottoscritto sarebbe stata la prima e forse anche ultima volta, in cui mi sarei cimentato con la calata nel pozzo delle anime perdute, ma sentivo dentro di me che seppur altissimo era un rischio che dovevo giocoforza accollarmi. Si diceva che dentro al pozzo giacessero le anime di coloro che durante la fatidica notte della creazione dei regni nascosti si erano tolti la vita in preda alla pazzia per ciò che i loro occhi avevano visto e che le loro anime senza pace avessero cominciato da allora a vagare per il regno di Belisaver. Secondo la tradizione che si tramanda da secoli tra gli appartenenti al mio ordine magico, fu il potentissimo mago Mondelar, discepolo diretto di Goraz, a scoprire la caverna col pozzo di luce dopo il già citato crollo ed a catturare le anime perdute per poi confinarle nella profonda cavità e proprio per questo solamente i maghi del mio ordine potevano osare cimentarsi nella sua potenzialmente fatale discesa. Successivamente sopra quella caverna sarebbe sorto il castello dei re di Belisaver.
E così mi preparai a confrontarmi con una forza sconosciuta, sapendo solo in parte grazie ai racconti dei miei decani, quello a cui sarei andato incontro. Mi tolsi gli indumenti, il mio cappello a punta ed anche la tunica, entrambi rossi che per l’ordine di Goraz è considerato un colore sacro e con essi dovetti consegnare a Defesius anche Levantir, il mio bastone magico poiché nessun corpo estraneo si poteva tenere durante l’immersione nel pozzo.
«Tieni Defesius, ti porgo il mio cappello, la sacra tunica ed il mio bastone Levantir; niente oltre la mia persona mi è concesso portare con me».
«Ma come Esperil, vuoi calarti nel pozzo delle anime perdute senza neanche il tuo bastone Levantir? Sarebbe una follia!».
«Nessuna follia mio buon Defesius, il mio destino mi attende in fondo a quel pozzo e la forza di affrontarlo a viso aperto sta solo dentro di me e nessun oggetto magico potrà servire allo scopo…anzi uno serve in realtà».
«E quale mastro Esperil?».
Alla domanda di Defesius presi la mia sacca delle arti magiche ed estrassi da essa un oggetto di grande valore intrinseco.
«Questo oggetto Defesius è la clessidra di Calebar, giratela quando mi immergerò nel pozzo e solo dopo che l’ultimo granello di sabbia sarà caduto tirate il Levantir sulla sommità del pozzo badando bene che non ci caschi dentro, deve solamente rimanerci appoggiato sopra, appeso tra un’estremità e l’altra».
«Sarà fatto amico mio!». Esclamò allora l’anziano sovrano, così mi calai nel pozzo delle anime perdute mentre re Zorev girava la sacra clessidra di Calebar.
Mi immersi totalmente nella luce del pozzo, la prima sensazione fu quella di perdere la cognizione del tempo e delle spazio, vedevo solo una luce intensissima ma allo stesso tempo non accecante e nonostante la fama del luogo sentivo una sensazione di benessere che mi lasciava stranito. Pian piano però qualcosa sembrò mutare all’interno della mia sfera percettiva, subentrarono l’angoscia che è una nota messaggera di sventure e poi subito dopo una sensazione stranissima mai provata prima di allora che non saprei come altro definire se non con l’espressione disarmonia del mio sacro spazio vitale, mi sentivo in ogni luogo ed in nessuno ed ogni sentimento era allo stesso tempo evidente ed indefinibile dentro di me.
Improvvisamente nella monotonia del fascio di luce senza fine apparvero alcuni lampi di colore bluastro; quei lampi erano le anime dei perduti. Una di quelle anime mi venne incontro, mi trovai immerso in essa e come d’incanto mi sopraggiunse un’orrenda visione. Fu allora che compresi tutto, il tempo era giunto e la profezia di Mondelar, l’antico maestro degli antichi maghi, stava per compiersi.
All’esterno intanto la clessidra aveva terminato il suo flusso, Zorev la raccolse quindi e Defesius tirò il Levantir sopra al pozzo stando ben attento ad eseguire le mie istruzioni e così fu.
Mi risvegliai un paio d’ore dopo in una delle stanze del castello, il mio corpo era intorpidito ma la mia mente ci vedeva finalmente chiaro, la prova del pozzo delle anime perdute era stata superata.
«Maestà il mago si è risvegliato», disse una guardia destando l’attenzione del re.
«Esperil! Esperil amico mio, puoi sentirmi?» mi chiamò Zorev III.
«Sì mio re, ti sento e ti vedo così come ora il mio cuore e la mia mente sentono e vedono la luce della verità ed è una luce ahimè impregnata d’oscurità. Ma ora abbiamo con noi la forza della comprensione e quella ci aiuterà a tirarci fuori dalla tenebra perenne che minaccia tutti noi».
«Dicci ogni cosa Esperil, non tenerci sulle spine, rendici partecipi della tua visione!» fu quindi quanto richiesto da Defesius con comprensibile apprensione.
«Cosa hai visto Esperil? Qual è la vera natura della minaccia che incombe su di noi?». Gli fece eco re Zorev ulteriormente in preda all’ansia.
La mia anima si mise a fissare la luce che filtrava dalla finestra ed illuminava la stanza, fissai poi Defesius ed il re che stavano trepidanti ai piedi del letto, dopodiché feci un bel respiro e cominciai a comunicare loro ciò che avevo appreso durante la mia discesa nell’abisso chiamato pozzo delle anime perdute.
«All’inizio mi trovai soltanto inebriato dalla luce, intensissima ma al tempo stesso non accecante, io potevo guardare dentro di essa e lei esplorava nel mio profondo. Poi dopo un tempo che mi sembrò infinito, comparvero le anime dei perduti sotto forma di lampi di colore blu. Una di queste venne verso di me, potevo sentire la sua voce nella mia mente, disse che durante la sua vita terrena era stato un contadino di nome Numar e mi mostrò con nitidezza gli accadimenti di quella notte».
«Quale notte?» chiese prontamente il fido consigliere del re.
«Quella in cui il cielo parve rovesciarsi sulla terra, la notte narrata nella leggenda dell’antico regno».
«Ma è solo una leggenda per l’appunto amico mio, non c’è nulla di reale, pura fantasia e basta», ribatté il re.
«Tu non sai mio sire quanto ti sbagli, ciò che accadde quella notte e che ci venne da allora tramandato di generazione in generazione non è frutto di nessuna fantasia malata, è la più pura e semplice delle verità».
«Cosa vorresti insinuare? Che i sette regni nascosti esistono davvero?». Fu allora la cruciale domanda postami da Defesius.
«Certo e vi dirò di più, una cosa di cui nessun abitante del regno di Belisaver o regno superficiale è a conoscenza».
«Cos’è il regno superficiale? E di quale cosa parli?» mi incalzò nuovamente il consigliere.
«Regno superficiale è il nome con cui gli abitanti dei regni nascosti chiamano Belisaver e la cosa che voi ignorate è che io quando ero ancora un giovane uomo appena giunto alla fine del mio apprendistato, venni condotto dal mio maestro Cronosor attraverso tutti i sette regni come da tradizione del nostro ordine di Goraz».
«Cosa? Tu sei stato nei sette regni nascosti? Ci conosciamo da tanti anni, perché non me ne hai mai fatto parola?» si stupì fortemente Zorev III.
«Perché certe cose devono rimanere segrete fino al momento in cui non diventi impossibile tenerle nascoste e quel momento è adesso!».
«Continua, cos’altro hai visto nella tua visione?» sollecitò ancora Defesius.
«Numar mi mostrò l’arrivo del corpo celeste, lo vidi spezzarsi in sette parti e da ognuna di esse potei vedere formarsi un microcosmo a sé stante. Vidi coloro che vennero chiamati dalla volontà dei frammenti rimanere soggiogati e creare nuovi regni, nuove stirpi e vidi anche che la parte finale della profezia di Mondelar si sta ora per realizzare ai giorni nostri».
«Mondelar? Chi era costui?», fu il quesito immancabilmente postomi dal consigliere capo.
«Il fondatore del mio ordine, quello dei maghi di Goraz». Gli risposi.
«E quale sarebbe la profezia che si starebbe per avverare?» aggiunse dunque il re.
«Quella dove si parla della caduta del tuo regno, caduta che sarà causata dall’invasione delle truppe del regno di Riondord, il regno di tenebra».
Il gelo ed un agghiacciante senso di impotenza calarono nel cuore di Zorev III, figlio di Trampir II e diretto discendente di una nobile casata che lui temeva di portare alla rovina. Non voleva che il suo nome fosse scolpito nella storia come quello di colui che aveva permesso che la sua gente fosse condotta sulla via oscura. Sospirò, guardò me e Defesius e poi fu il silenzio.
«Mio re come state, vi sentite male?», gli domandò un allarmato Defesius.
Ma il re non rispondeva, sembrava come svuotato dalla sua linfa vitale, quasi che fosse stregato. Mi alzai di scatto dal letto allora e puntai il mio bastone magico Levantir verso la fronte di Zorev dopodiché pronunciai una formula appresa dal mio maestro Cronosor.
«Guardami Zorev, non lasciare che la tenebra avvolga il tuo cuore, io invoco la luce per te affinché faccia rinascere in esso la speranza. Luce avanza nel buio e libera il cuore di questa povera anima lait pregnant naf eleit, ilbat indaut, venomen liberat, lair quer
». Pronunciate le sacre parole un fascio di luce uscì dal mio Levantir e Zorev si rianimò.
Avevo salvato in tempo la luce presente nel suo cuore ma per sconfiggere le truppe di Riondord sarebbe servito ben altro. «Svegliati Zorev, stavolta sono io che richiamo all’erta i tuoi sensi, il tuo popolo ha ancora bisogno della tua saggezza per non perdere ogni possibilità di vittoria».
«Grazie amico mio per avermi ancora una volta salvato la vita ma temo che la mia ora sia soltanto stata rimandata di poco». Mi rispose lui con riconoscenza ma anche con un po’ di affanno.
«Non devi cedere, tu sei il re!», lo pungolò allora il sottoscritto.
«Questo è vero maestà, dovete essere d’esempio alla nostra gente come avete sempre fatto, ora più che mai!». Mi fece eco il gran consigliere Defesius.
«Ma come possiamo noi opporci a certe cose mio buon Defesius? Esperil ci ha appena rivelato la natura reale delle antiche leggende sui regni nascosti e se il mito tramandato da ere diceva la verità non abbiamo speranza contro il potere del regno di tenebra, mi chiedo solo perché abbiano aspettato così tanto per uscire allo scoperto».
«Bella domanda amico mio, fin dalla loro nascita i regni nascosti han sempre vissuto in perfetto equilibrio, nel rispetto di regole comuni, ognuno al corrente dell’esistenza degli altri ma senza tuttavia interferire fra di essi e tantomeno con il regno superficiale di Belisaver. Qualcosa ora deve aver rotto questo equilibrio ed i sette scettri non sono più in armonia tra loro».
«I sette scettri? Cos’è adesso questa storia dei sette scettri?» si chiese un sempre più attonito Defesius.
«Quando il corpo celeste che squarciò il cielo si divise i sette parti da ognuna di esse come detto scaturì uno dei regni nascosti, dei frammenti originali ben presto non rimase più niente tranne che i sette scettri, esattamente uno per ognuno di essi. Fu il potere degli scettri a permettere a coloro che furono scelti dal fato per regnare sui sette regni nascosti di poter creare una stirpe. I sette scettri usati singolarmente hanno un potere limitato ma usati insieme diventano devastanti. Chi però avesse provato ad usare il potere del proprio scettro contro gli altri regni ne avrebbe perso tutti i poteri poiché non si può turbare l’equilibrio tra i vari reami».
«Quindi se Riondord sta per attaccarci vuol dire che hanno rinunciato al potere del loro scettro?!», chiese pertinentemente il sovrano di Belisaver.
«O più probabilmente che hanno trovato il modo di utilizzarne comunque il potere. Da quando è asceso al trono un nuovo re il regno di tenebra è divenuto ulteriormente più aggressivo e adesso deve aver stabilito che fosse giunta l’ora di agire. A questo punto non ci resta che organizzare una strenua difesa». Fu la mia immediata replica.
«Che consigli di fare?». Domandò inevitabilmente il gran consigliere di Enselit rivolgendosi al sottoscritto.
«Quando si esce dal regno di tenebra la strada più breve per giungere qua è attraverso i monti e per la precisione passando per il valico di Pavadula. Bisogna chiamare Boras e dirgli di radunare immediatamente tutte le truppe disponibili per portarle sul valico, alle mura di Cestar, cercando di difenderle al più a lungo possibile».
«Ma le difese delle mura di Cestar non potranno reggere in eterno!». esclamò con perplessa preoccupazione il monarca belisaveriano.
«L’importante è che reggano abbastanza da permettermi di agire».
«Agire in che modo? Hai già un piano?», mi incalzò Defesius.
«Sì l’unico piano possibile, recarmi in tutti i regni nascosti e riunire i sette scettri, solo così potremo salvare il nostro mondo!».
«Che cosa?? Ma sarà un’impresa disperata e dovremo dividere le truppe per accompagnarti e…».
«Non voglio truppe con me mio sire, non mi servono soldati per questo tipo di missione, quelli mandateli tutti con Boras alle mura di Cestar. A me basterà individuare il mio apprendista designato a succedermi».
«E chi sarebbe tale prescelto?». Si chiese un curioso Defesius.
«Un giovane valoroso ancora ignaro del destino che lo attende! Ma ora presto, il tempo stringe, fate partire subito l’esercito. Dal canto mio comincerò subito la mia missione recandomi dal mio allievo prediletto Kabel».
«Ti è davvero così indispensabile l’aiuto di un ragazzo inesperto in una missione che si annuncia così disperata?» disse il re esprimendo in questo modo le sue perplessità.
«Il suo ruolo in questa storia sarà fondamentale, solo lui potrà darci una speranza di vittoria, così è scritto nella profezia di Mondelar e così dev’essere».
«E sia allora! Di te Esperil mi fido come di me stesso, forse persino di più e se ne sei convinto tu mi sforzerò di esserlo pure io» mi rispose chiosando il vecchio monarca per poi aggiungere… «Defesius vai a chiamare Boras, date ordine alle truppe di prepararsi alla guerra!».
Sentenziò dunque re Zorev terzo, quindi a quel punto mi premurai di produrre un potente incantesimo a protezione delle antiche mura di Enselit, dopodiché non mi rimase altro da fare che congedarmi dai miei due interlocutori e partire.
E così mentre io lasciavo di gran carriera il castello di Zorev alla ricerca del mio discepolo, Boras il nipote del re partiva con il grosso dell’esercito di Belisaver di stanza nella capitale alla volta delle mura di Cestar. Tale fortificazione era situata in prossimità del valico di Pavadula in mezzo alla catena montuosa che si trovava ad ovest della città di Enselit, capitale del regno di Belisaver ed esattamente a metà strada tra il castello del re ed il punto d’accesso al regno nascosto di tenebra di Riondord. Tuttavia non fidandosi re Zorev di suo nipote Boras gli affiancò il fido Defesius con il compito di spiegargli ciò che stava accadendo e di assicurarsi inoltre che il giovane comandante in capo dell’esercito non perdesse la testa di fronte alla difficile situazione che si stava delineando. Ed il saggio Defesius sapeva bene come infondere fiducia al prossimo.
«Dimmi Defesius, mio zio ti ha mandato a controllarmi perché non si fida di me vero?», domandò il nipote del re subito dopo la partenza della colonna di soldati della quale i due erano i capofila.
«Non devi pensar male di tuo zio Boras, ormai è vecchio e stanco e l’ultima cosa che si aspettava era di dover fronteggiare un pericolo del genere. Esperil ci ha detto di farti partire immediatamente con il nostro esercito e per non perdere tempo prezioso re Zorev mi ha mandato con te per metterti al corrente di tutto ciò che sappiamo ed è esattamente quello che ho fatto poc’anzi».
«Sì certo, ma proprio perché mi hai appena spiegato tutto e sei ancora qui a cavalcare al mio fianco che son sempre più convinto che il re non si fidi di me».
«Non confondere la realtà Boras, quella di re Zorev non è scarsa fiducia nei tuoi confronti ma forse più semplicemente troppa fiducia nei miei».
«Non so cosa ci veda il re in te Defesius, ma ti avverto di una cosa: quando saremo alle mura di Cestar, se veramente dovesse esserci un attacco, non interferire con me. Ricordati che sono io il capo ed ho io il comando dell’esercito di Belisaver ma soprattutto rammenta che sono io l’erede designato al trono, non certo te!».
«Lo so bene Boras, lo so bene, sono qui solo per offrirti saggi consigli».
«Allora ti do una notizia, non ho alcun bisogno dei tuoi saggi
consigli».
La tensione fra Boras e Defesius era sempre più alta e questo non era certo d’aiuto alle truppe.
Nel frattempo io spronavo la mia cavalcatura verso sud-ovest, diretto al villaggio di Bereville e mentre avevo di fronte a me ancora molte ore di viaggio l’esercito guidato da Boras e Defesius giungeva nel primo pomeriggio al valico di Pavadula e prendeva posizione sulle mura di Cestar. All’approssimarsi del tramonto Boras cominciava a dare i primi segni d’impazienza.
«E allora Defesius per quanto tempo dovremo stare tutti qua sulle mura a scrutare l’orizzonte? Basandoci solo su dicerie che hai sentito in giro oltretutto!».
«Non sono dicerie, ho raccolto numerose prove riguardo al fatto che un esercito enorme si stava radunando poco più ad ovest di qui, a valle oltre i monte ed Esperil consultando le sue pietre magiche ne ha avuto conferma» ribatté un po’ sdegnato il fidato consigliere del sovrano di Belisaver.
«Puah, io non credo nella magia e comunque anche ammettendo che sia tutto vero, cosa di cui dubito fortemente, chi ci dice che l’attacco sia davvero imminente? Potrebbero volerci giorni, mesi o addirittura anni senza poi contare la possibilità che possano pure fare un’altra strada».
«Se Esperil ha rischiato in prima persona calandosi nel pozzo delle anime perdute non è stato certo per niente, la conoscenza che ha acquisito durante quella esperienza gli ha permesso di comprendere che l’attacco avverrà entro poche ore».
«Mi stupisco della tua creduloneria Defesius e tu saresti il consigliere preferito del re? Povera Belisaver!».
«Allarme, c’è movimento al limitare del bosco!» urlò all’improvviso una delle sentinelle.
E proprio in quel momento mentre il sole tramontava spuntò dal sentiero che proveniva dal valico una colonna di soldati, e non solo dal sentiero, da ambo i lati del bosco uscirono fuori nella radura un’infinità di guerrieri tutti vestiti con un’armatura nera che li faceva apparire ancor più minacciosi. Boras impallidì e tutto d’un tratto la sua spocchia sembrò sparire.
«Boras cosa fai lì impalato? Di’ qualcosa ai tuoi uomini, impartisci gli ordini per la difesa!!».
Gli gridò Defesius cercando di non perdere il controllo, ma Boras sembrava paralizzato dal terrore e non era più in grado di rispondere, letteralmente in preda al panico. Defesius guardando gli stendardi dell’esercito che si stava radunando nella radura sottostante rammentò ciò che gli avevo detto quando ci eravamo salutati al castello, ovvero che avrebbe riconosciuto l’esercito di Riondord dalle bandiere nere con l’effigie di una falce bianca. Vedendo quegli stendardi non ebbe quindi più dubbi sull’identità del nemico e vedendo l’esitazione di Boras decise di prendere in mano la situazione come gli aveva chiesto di fare re Zorev in caso di bisogno.
«Soldati preparatevi allo scontro, arcieri in posizione!», disse allora il consigliere capo di Enselit dando disposizioni ai soldati, per poi rivolgere nuovamente le sue attenzioni al nipote di Zorev III.
«Boras, per l’antico regno cerca di scuoterti e fare il tuo dovere!», gli urlò dunque, cominciando nel contempo a temere di averlo forse sopravvalutato.
«Sì… io, sì Defesius, no, no non riesco, non mi sento in grado, non posso farcela». Farfugliò allora un a dir poco titubante Boras.
«Certo che puoi farcela, che discorsi sono, datti una mossa e comanda il tuo esercito!» disse quindi Defesius nel tentativo di scuoterlo.
Ma fu proprio in quel momento che tre uomini a cavallo si staccarono dal resto dell’esercito oscuro e si portarono sotto le mura come per voler parlamentare, a quel punto quello di loro che si trovava al centro esclamò… «Ehi voi lassù, chi è al comando?».
«Dite pure a me, mi chiamo Defesius e sono il consigliere di re Zorev III, sovrano assoluto del regno di Belisaver e voi chi siete?».
«Il mio nome è Jorkain e sono il regnante del regno di tenebra di Riondord, il più potente dei cosiddetti regni nascosti. Quello alla mia destra è il mio luogotenente Grisor e quello alla mia sinistra è il mago Zostar, mio fido collaboratore».
«Cosa vi ha spinto ad uscire dal vostro secolare isolamento per condurre un esercito nel cuore del nostro territorio?!»
«Semplicemente perché è giunto il momento di reclamare il trono di Belisaver, la mia gente ha finito di vivere nell’indifferenza e nella privazione, il destino ci riserverà solo gloria e onore d’ora in poi mai più sofferenza» rispose a quel punto l’inquietante monarca riondardiano.
«Se avete vissuto isolati è stata solo una vostra scelta e comunque nessuno vi impedirebbe di vivere fra noi in pace» replicò Defesius.
«Taci stupido e stolto consigliere, tu non sai niente di noi, non conosci niente della nostra storia né tantomeno conosci i poteri e gli equilibri arcani che determinano l’esistenza dei regni nascosti sin dalla notte della loro creazione». Fu invece la controreplica di un arrogante Jorkain.
«No, dici bene Jorkain, non li conosco e neanche mi interessa conoscerli ma una cosa è certa, difenderemo la nostra gente fino all’ultima goccia di sangue!».
«E sia Defesius, se è questo che volete questo è ciò che otterrete, questa notte il vostro sangue bagnerà queste mura e sarà un tutt’uno con le punte delle nostre spade e delle nostre lance, questa notte sarete spazzati via…parola di re Jorkain».
Pronunciate queste parole il sovrano di Riondord ed i suoi fedeli alleati voltarono le loro cavalcature e tornarono alla testa del loro esercito pronti alla battaglia.
Le ultime luci del giorno illuminando il viso di Jorkain lo facevano apparire ancora più sinistro, un volto apparentemente come tanti se non fosse stato per una vistosa cicatrice sulla guancia sinistra posta proprio sotto l’occhio. I capelli erano neri, corti ed un po’ arruffati ma quello che faceva letteralmente raggelare il sangue nelle vene era il suo sguardo, con quegli occhi scuri e profondi ma tuttavia quasi inespressivi in grado solo di trasmettere ferocia e malvagità infinite. Le ombre della notte stavano calando, l’attacco era imminente, le migliaia di fiaccole accese nella radura sembravano un'unica grande fiamma pronta ad incendiare le mura di Cestar ed i suoi difensori ed il nervosismo cominciava a farsi palpabile tra le fila degli uomini comandati da Boras.
Io ero ancora lontano da Bereville ma il mio cuore era inquieto e mi diceva che stava per succedere qualcosa, temevo che Boras non si sarebbe dimostrato all’altezza e confidavo sulle virtù di Defesius il quale stava effettivamente facendo il possibile per organizzare la difesa al meglio.
«Alzati Boras, il tuo posto è qua in piedi. Devi farti vedere dai tuoi soldati, dai l’esempio mostra coraggio alle truppe e ridai forza ai loro cuori».
«Sei un illuso Defesius, come posso dar loro forza se io stesso non credo alla vittoria, hai visto quanti sono i nostri nemici? Saranno almeno diecimila e noi invece siamo poco più di seicento!».
«Lo so Boras ma il nostro compito è quello di resistere il più possibile per dare una speranza alla nostra gente, al resto penserà Esperil».
«Ancora questa storia di Esperil! Se quel vecchio ciarlatano avesse voluto darci una mano sarebbe dovuto venire con noi a fare qualche magia contro l’esercito nemico ed invece è salito sul suo destriero e se l’è filata».
«Esperil non è scappato, ti ho già spiegato che la sua missione è fondamentale, la sua ricerca è il nostro unico appiglio, averlo qui sarebbe stato inutile mentre è invece nostro preciso dovere resistere più tempo possibile proprio per donargli del tempo prezioso» argomentò nuovamente colui che era a capo del gran consiglio supremo di Enselit.
«Sentite questo vento gelido che si è alzato, è insolito per questa stagione, sembra un presagio di sventura».
Affermò un vecchio soldato belisaveriano ma Defesius gli replicò prontamente… «Esperil dice che tutto ciò che non è magia è solo sciocca superstizione».
A quel punto si girò e cominciò a parlare a voce alta a tutti i combattenti appostati sulle mura.
«Soldati di Belisaver, io Defesius mi rivolgo a tutti voi e vi esorto a non mollare, ci attende una lunga notte e non vi nego che probabilmente in fondo ad essa non ci aspetta nient’altro che la morte. Ma io pur essendo solo un umile consigliere del nostro re vi chiedo di essere forti, vi chiedo di non lasciare che il terrore e l’oscurità prendano il controllo su di voi. Date ascolto al vostro cuore e lottate, lottate per voi stessi, per la nostra terra ma soprattutto per la nostra gente e, per tutti coloro che vi sono cari e per quei valori che hanno reso il regno di Belisaver un luogo unico in questo splendido mondo. Stanotte non conta