I Versi livornesi di Giorgio Caproni (sottotitolo Filologia d'autore e critica della varianti)
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I Versi livornesi di Giorgio Caproni (sottotitolo Filologia d'autore e critica della varianti) - Elisa Vaccaro
Indice
Copertina
1. Il seme del piangere e i Versi Livornesi di Giorgio Caproni
1.1 Il viaggio, la città, la madre
1.2 A mia madre, Anna Picchi
1.3 Un’aria stilnovista
1.4 Livorno: popolare ed elegante
1.5 L’Anima e l’Io
2. Per lei torni in onore la rima in cuore e amore
2.1 Stile e metro
2.2 La rima
2.3 Immagini e percezioni
Tavola delle sigle e dei segni
3. I Versi livornesi: filologia d’autore e critica delle varianti
3.1 Gli autografi
3.2 Analisi e commento dei componimenti
I. Preghiera
II. L’uscita mattutina
III. Iscrizione
IV. Né ombra né sospetto
V. Quando passava
VI. Battendo a macchina
VII. Scandalo
VIII. La gente se l’additava
IX. La ricamatrice
X. Ultima preghiera
XI. Il carro di vetro
XII. Il seme del piangere
Bibliografia
Sitografia
Ringraziamenti
Note
STUDI DI ITALIANISTICA
Filologia Italiana
Elisa Vaccaro
I Versi livornesi di Giorgio Caproni
filologia d’autore e critica delle varianti
Titolo | I Versi livornesi di Giorgio Caproni (sottotitolo Filologia d'autore e critica della varianti)
Autore | Elisa Vaccaro
ISBN | 9788831630016
Prima edizione digitale: 2019
© Tutti i diritti riservati all'Autore.
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Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce
www.youcanprint.it
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1. Il seme del piangere e i Versi Livornesi di Giorgio Caproni
«Anima mia, leggera
va’ a Livorno, ti prego.
E con la tua candela
timida, di nottetempo
fa’ un giro; e, se n’hai il tempo,
perlustra e scruta, e scrivi
se per caso Anna Picchi
è ancora viva tra i vivi. […]»¹
L’anima, Livorno ed Anna Picchi: precisi riferimenti del viaggio poetico che costituisce la sezione dei Versi Livornesi nella raccolta Il seme del piangere, di Giorgio Caproni, pubblicata nel 1959 per Garzanti e dedicata alla madre morta nel 1950.
Quanta Livorno d’acqua, poesia che diede poi il titolo alla prima sezione della raccolta, fu pubblicata inizialmente dall’editore Vanni Scheiwiller nel 1955, ma Caproni ha più volte ribadito anche l’importante figura dell’amico, e stimato critico, Giuseppe De Robertis: «Il seme del piangere è nato per combinazione, e, se non ci fosse stato il De Robertis ad incoraggiarmi, io non sarei andato oltre le prime due poesiole, Preghiera […] e La ricamatrice […]»² e ancora «De Robertis, quando mi recensì Il passaggio d’Enea, si lamentò perché non avevo incluso quelle due poesie, che gli parevano così belle, a mezzo tra l’antico e il nuovo – cosa che, poi, tutti i critici hanno ripetuto».³
De Robertis infatti scrive, nell’agosto del 1956, una lettera a Caproni, nella quale chiede con meraviglia il motivo dell’assenza della poesia "tra l’antico e il moderno", così denominata dal critico, all’interno del volume Il passaggio d’Enea. La risposta del poeta arriva nel settembre dello stesso anno e, tramite il carteggio dei due, è possibile rintracciare la volontà del poeta di organizzare, in un’unica raccolta, i testi per la madre.
A proposito di Livorno, quella canzoncina che tu lodi, tra l’antico e il moderno
(e la intitolerò proprio così) piace anche a me: e non è entrata nel libro, come altri versi, perché il libro fu messo insieme in fretta, e non ebbi il tempo di frugare tra i miei cassetti, dove soltanto ora l’ho ritrovata. Ma mi auguro di poter mettere insieme, per mia madre, una serie di canzoncine simili.⁴
In realtà la canzoncina citata sarà ristampata con il titolo Preghiera, perdendo il precedente titolo All’antica. Pare dunque che Caproni abbia deciso di creare un unico canzoniere dedicato alla madre spinto dal successo delle precedenti poesie,⁵ senza dimenticare l’incipit narrativo presente già ne Il passaggio d’ Enea con la poesia Ascensore, luogo dove, secondo lo stesso Caproni, Anna Picchi fu presentata al pubblico.⁶ Ancora una volta il carteggio tra De Robertis e il poeta ci dà testimonianza della perfetta interdipendenza delle due raccolte, Il passaggio d’Enea e Il seme del piangere, che erano state recensite dal critico sottolineando come l’iter poetico che aveva portato alla stesura delle stesse, avesse raggiunto quel livello grazie al parallelo percorso che Caproni aveva portato avanti in prosa⁷.
Ma, attraverso quelle che sono le carte dattiloscritte e manoscritte e le interviste che lo stesso autore rilasciò, possiamo ricostruire il processo creativo che portò, in ultimo, alla pubblicazione della raccolta così come oggi noi la leggiamo.
L’occasione per creare un continuum letterario con ciò che era già stato pubblicato e ciò che Caproni aveva abbozzato nelle sue carte arrivò grazie a un concorso in forma anonima⁸, bandito dalla Mondadori, con possibile pubblicazione in caso di vittoria.
«Scrissi ancora qualche poesia e venne fuori Il seme del piangere, che inviai al concorso. […] Mondadori mi inviò un telegramma dicendo che voleva stampare lo stesso libro: solo, era un po’ esile, aveva bisogno di altre poesie. Io non ne avevo delle altre, e allora ne scrissi, non mi vergogno a dirlo, quasi su commissione. Ci misi anche delle traduzioni per renderlo più consistente».⁹
Caproni infatti presentò dodici degli attuali componimenti riportati nella sezione Versi Livornesi, accompagnati da Imitazioni, traduzioni poi espulse nell’edizione definitiva. Questa forma è quella che viene individuata nella stesura denominata StB che, insieme a StA e StC, costituiscono il materiale che ha permesso la costruzione dell’edizione critica approntata da Luca Zuliani, pubblicata all’interno di L’opera in versi 1998,¹⁰ sotto la vigile attenzione di un maestro come Pier Vincenzo Mengaldo, comprendente l’intera produzione poetica di Caproni.
Gli abbozzi presenti nelle carte StA (unica con date in calce) e StB permettono di affermare che prima del 1955 non vi fosse nessun progetto editoriale e che anzi molti di questi non sono nemmeno riconducibili a una precisa poesia: si procede per immagini che solamente in un secondo momento entreranno a far parte di un componimento o di una raccolta poetica.
«Un solo testo di StA è datato al 1958, quindi la stesura nel suo complesso risale, con ogni probabilità, all’inizio di tale anno. Ma le pagine di StA non sono numerate, e alcune delle poesie furono estratte e poste in coda a StB, altre sono forse andate perdute: non è quindi ricostruibile la forma originaria di StA, che però pare comprendere solo una poesia dei Versi Livornesi in meno di StB. Dunque questa seconda stesura non è di molto successiva, ed è la sistemazione più antica conservata per Il seme del piangere».¹¹
La formazione di StA non è ricostruibile in maniera ordinata per la mancanza di numerazione e per il successivo accorpamento di alcune pagine nella seconda stesura, quale StB, dove troviamo i dodici testi che presumibilmente furono indirizzati al concorso letterario.
L’ultima poesia riprende il titolo dell’intera raccolta e, posta originariamente in ultima posizione, chiude il cerchio aperto con la citazione dantesca del XXXI canto del Purgatorio in apertura: «…udendo le sirene sie più forte, pon giù il seme del piangere ed ascolta…». Lì dove Beatrice diviene guida salvifica di Dante, Caproni trova fonte di ispirazione e guida per il suo narrare poetico, mosso dal rimorso e dalla nostalgia che avverte per la madre morta, si impegna a scrivere di lei senza indugiare in un pianto sterile.¹² In realtà il titolo Il seme del piangere era già stato pensato per la raccolta precedente, così come la stessa epigrafe dantesca. In un’intervista rilasciata nel 1986, ma pubblicata solamente nel 2012, Giorgio Caproni risponde così: «Mi sentivo, verso mia madre, nella stessa condizione di colpa di Dante verso Beatrice, quando nel Purgatorio le chiede perdono, piangendo, per essere corso dietro ad altre sirene. […] Il seme del piangere: un titolo bellissimo, che piacque a Gianfranco Contini e lo annotò, facendomene merito, in un suo scritto dantesco».¹³ Caproni ammette la sua attrazione nei confronti del mondo dantesco e ribadisce il suo continuo saccheggiare titoli e citazioni dallo stesso: «Nella mia poesia Dante è molto presente. Fin dai titoli: […] Il seme del piangere. Ci sono anche dei plagi
che ho fatto a lui, ma pochi critici se ne sono accorti».¹⁴
Le carte appartenenti a StC, che constano di due copie, riportano la terza e ultima stesura della raccolta. La prima copia fu quella inviata alla Garzanti per la composizione del libro, la seconda fu usata come copia di correzione definitiva¹⁵ che vide, oltre ai ritocchi e all’ampliamento della raccolta stessa, l’eliminazione di Imitazioni.
Il seme del piangere è diviso in due sezioni: la prima, Versi Livornesi, la seconda intitolata Altri Versi. Già a partire da StA la raccolta si apre con l’epigrafe dantesca e a seguire la dedica per la madre. Bisogna aspettare l’edizione definitiva, quella pubblicata nel 1959 e ricostruibile a partire da StC, per trovare il componimento d’apertura Perch’io.¹⁶ I Versi Livornesi del 1959 erano costituiti dai dodici testi già presentati al concorso e revisionati in vista dell’aggiunta di altri otto testi, per un totale di venti componimenti. I testi aggiunti furono composti su commissione, come lo stesso Caproni dichiarò. Non mancano quindi, tra le sue carte, annotazioni riportanti le effettive pagine da impegnare per la costruzione della raccolta. Al di là della ricostruzione della genesi della raccolta offertaci dallo stesso autore, l’elaborazione della sezione in questione presenta poesie che fanno pensare a un processo lungo e articolato, che non può essere compreso in un arco di tempo così breve come quello che vede la stesura di StB e quella di StC, indicativamente tra il 1958 e il 1959. Come sottolinea Luca Zuliani: «Le affermazioni di Caproni vanno certo ridimensionate: un testo come Ad portam inferi difficile pensare sia stato scritto quasi su commissione, solo per rendere meno esile il libro».¹⁷ Inoltre Zuliani descrive il processo di composizione non lineare
riportando il caso di Eppure… che passerà dai diciassette versi in StB ai novanta in StC.¹⁸
Gli ultimi due componimenti, Sulla strada di Lucca e Urlo, entrarono a far parte della raccolta solo a partire da Poesie 1989¹⁹ e Tutte le poesie 1983.²⁰ In un primo momento infatti, esse facevano parte di Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopee 1965²¹. Il progetto editoriale prima, e la volontà di dare un ordine finale al proprio lavoro dopo, permisero a Caproni di strutturare i Versi Livornesi presentando ventidue componimenti.
1.1 Il viaggio, la città, la madre
Il periodo precedente alla pubblicazione de Il seme del piangere aveva visto Giorgio Caproni protagonista di una realtà quotidiana segnata sia da sofferenze personali, sia da quelle collettive come la guerra, che avevano trovato posto all’interno della raccolta Il passaggio d’Enea. Testimone di un’Italia sofferente, sviluppa un viaggio tematico intorno alla sua amatissima Genova, riscrivendo il mito di Enea in chiave contemporanea: Troia che brucia alle spalle dell’eroe come l’Italia che si regge a fatica in piedi dopo la guerra.
[…] Enea che in spalla
un passato che crolla tenta invano
di porre in salvo, e al rullo d’un tamburo
ch’è uno schianto di mura, per la mano
ha ancora così gracile un futuro
da non reggersi ritto.²²
Lo sguardo rivolto ora al passato, ora al presente, permette al poeta di cambiare prospettiva e di segnare il passato come punto di partenza per comprendere i lasciti della guerra e andare avanti. Caproni sancisce lì, nella raccolta precedente, il punto di partenza per un viaggio che, sulle orme di Enea, «quell’Enea che simboleggia un po’ il destino della mia generazione»²³ e che deve ricostruirsi e ricostruire la propria patria, lo vedrà protagonista di un viaggio nell’Ade alla ricerca della madre defunta.
L’occasione di scoprire la vita della madre, di viverla riscrivendola e riconoscendola attraversi i propri versi, i propri ricordi, le proprie sensazioni, pare essere il punto di congiungimento tra le due raccolte. Secondo Giovanni Raboni questo punto sarebbe evidente a partire dall’attenzione rivolta ai tre temi fondamentali all’interno dell’intera produzione di Caproni: la città, la madre e il viaggio. Questi risultano intrecciati e strettamente connessi tra loro, tanto da creare «più che una successione, un anello di temi».²⁴ Raboni individua «un comune denominatore, che è quello dell’esilio.