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I tre moschettieri (Trad. di Angiolo Orvieto. Edizione integrale del 1853)
I tre moschettieri (Trad. di Angiolo Orvieto. Edizione integrale del 1853)
I tre moschettieri (Trad. di Angiolo Orvieto. Edizione integrale del 1853)
Ebook1,016 pages13 hours

I tre moschettieri (Trad. di Angiolo Orvieto. Edizione integrale del 1853)

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About this ebook

Francia, 1625. Charles d’Artagnan, un giovane guascone, va a Parigi per essere ammesso tra le file dei moschettieri di re Luigi XIII. Tuttavia, la lettera di raccomandazione che porta con sé - ed indirizzata al Signor de Tréville, capo dei moschettieri - gli viene sottratta lungo il tragitto da un individuo con il quale si scontra in duello: per il resto del romanzo, verrà chiamato “L’uomo di Meung”, dal luogo dove è avvenuto il duello. Il signor de Tréville lo riceve egualmente e, dopo l’udienza, D’Artagnan s’incammina per Parigi, dove incontra casualmente, uno dopo l’altro, Athos, Porthos e Aramis, i più famosi moschettieri del re. Ciascuno di essi, ritenendosi provocato, lo sfida a duello, all’insaputa degli altri. All’appuntamento, però, si presentano anche le guardie del cardinale Richelieu, risolute ad arrestarli, in forza del divieto di duellare, stabilito da un editto reale. I tre moschettieri, però, si oppongono; D’Artagnan combatte assieme a loro, dando prova di saperci fare con la spada e conquistando la fiducia e l’amicizia dei tre. Successivamente, re Luigi li fa convocare a palazzo, ma, anziché rimproverarli, si complimenta con loro per aver tenuto testa brillantemente alle guardie del primo ministro Richelieu...
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateOct 16, 2019
ISBN9788831644747
I tre moschettieri (Trad. di Angiolo Orvieto. Edizione integrale del 1853)
Author

Alexandre Dumas

Frequently imitated but rarely surpassed, Dumas is one of the best known French writers and a master of ripping yarns full of fearless heroes, poisonous ladies and swashbuckling adventurers. his other novels include The Three Musketeers and The Man in the Iron Mask, which have sold millions of copies and been made into countless TV and film adaptions.

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    I tre moschettieri (Trad. di Angiolo Orvieto. Edizione integrale del 1853) - Alexandre Dumas

    INDICE

    Alexandre Dumas

    Biografia

    Opere

    Opere teatrali

    Valore letterario

    Bibliografia

    Biografie

    Opere di fantasia

    Romanzi apocrifi

    I tre moschettieri

    Trama

    Personaggi principali

    Moschettieri

    Altri personaggi

    Personaggi storici

    Critica

    VOLUME PRIMO

    CAPITOLO I

    I TRE REGALI DEL SIGNOR D'ARTAGNAN PADRE.

    CAPITOLO II.

    L'ANTICAMERA DEL SIGNOR DE TRÉVILLE

    CAPITOLO III.

    L'UDIENZA

    CAPITOLO IV.

    LA SPALLA D'ATHOS, LA BANDOLIERA DI PORTHOS, ED IL FAZZOLETTO D'ARAMIS

    CAPITOLO V.

    I MOSCHETTIERI DEL RE, E LE GUARDIE DEL MINISTRO

    CAPITOLO VI.

    SUA MAESTA' IL RE LUIGI DECIMOTERZO

    CAPITOLO VII.

    L'INTERNO DEI MOSCHETTIERI

    CAPITOLO VIII.

    UN INTRIGO DI CORTE

    CAPITOLO IX.

    D'ARTAGNAN SPIEGA CARATTERE

    CAPITOLO X.

    UNA TRAPPOLA DA SORCI DEL SECOLO XVII.

    CAPITOLO XI.

    L'INTRIGO SI ANNODA.

    CAPITOLO XII.

    GIORGIO WILLIERS DUCA DI BUCKINGHAM

    CAPITOLO XIII.

    IL SIGNOR BONACIEUX.

    CAPITOLO XIV.

    L'UOMO DI MEUNG.

    CAPITOLO XV.

    LA GENTE DI TOGA, E LA GENTE DI SPADA.

    CAPITOLO XVI.

    IN CUI IL GUARDA-SIGILLI SEGUIER CERCA ANCHE UNA VOLTA LA CAMPANA PER SUONARLA, COME HA FATTO ALTRE VOLTE.

    VOLUME SECONDO

    CONTINUAZIONE DEL CAPITOLO XVI.

    CAPITOLO XVII.

    L'INTERNO DELLA FAMIGLIA BONACIEUX.

    CAPITOLO XVIII.

    L'AMANTE ED IL MARITO

    CAPITOLO XIX.

    PIANO DI CAMPAGNA

    CAPITOLO XX.

    VIAGGIO

    CAPITOLO XXI.

    LA CONTESSA DI WINTER

    CAPITOLO XXII.

    IL BALLO DELLA MERLAISON

    CAPITOLO XXIII.

    L'APPUNTAMENTO

    CAPITOLO XXIV.

    IL PADIGLIONE

    CAPITOLO XXV.

    PORTHOS

    CAPITOLO XXVI.

    LA TESI D'ARAMIS

    CAPITOLO XXVII.

    LA MOGLIE DI ATHOS

    CAPITOLO XXVIII.

    IL RITORNO

    CAPITOLO XXIX.

    LA CACCIA PER EQUIPAGGIARSI

    CAPITOLO XXX.

    MILADY.

    CAPITOLO XXXI.

    INGLESI E FRANCESI.

    CAPITOLO XXXII.

    UN PRANZO DAL PROCURATORE

    VOLUME TERZO

    CONTINUAZIONE DEL CAPITOLO XXXII

    CAPITOLO XXXIII.

    LA PADRONA E LA CAMERIERA.

    CAPITOLO XXXIV.

    OVE SI TRATTA DEL MODO DI EQUIPAGGIARSI DI ARAMIS E DI PORTHOS

    CAPITOLO XXXV.

    LA NOTTE TUTTI I GATTI SONO GRIGI

    CAPITOLO XXXVI.

    IL SOGNO DI VENDETTA

    CAPITOLO XXXVII.

    IL SEGRETO DI MILADY

    CAPITOLO XXXVIII.

    IN CHE MODO, SENZA INCOMODARSI, ATHOS RITROVÒ IL MEZZO D'EQUIPAGGIARSI.

    CAPITOLO XXXIX.

    UNA DOLCE VISIONE

    CAPITOLO XL.

    UNA VISIONE TERRIBILE

    CAPITOLO XLI.

    L'ASSEDIO DELLA ROCHELLE

    CAPITOLO XLII.

    IL VINO D'ANJOU

    CAPITOLO XLIII.

    L'ALBERGO DEL COLOMBAIO ROSSO

    CAPITOLO XLIV.

    UTILITÀ' DELLE GOLE DA BRACIERE

    CAPITOLO XLV.

    SCENA CONIUGALE.

    CAPITOLO XLVI.

    IL BASTIONE DI SAN GERVASIO

    CAPITOLO XLVII.

    IL CONSIGLIO DEI MOSCHETTIERI

    CAPITOLO XLVIII.

    AFFARE DI FAMIGLIA.

    VOLUME QUARTO

    CONTINUAZIONE DEL CAPITOLO XLVIII.

    CAPITOLO XLIX.

    FATALITÀ.

    CAPITOLO L.

    CIARLATA TRA FRATELLO E SORELLA

    CAPITOLO LI.

    L'UFFICIALE.

    CAPITOLO LII.

    PRIMO GIORNO DI PRIGIONIA

    CAPITOLO LIII.

    SECONDO GIORNO DI PRIGIONIA.

    CAPITOLO LIV.

    IL TERZO GIORNO DI PRIGIONIA

    CAPITOLO LV.

    QUARTO GIORNO DI PRIGIONIA

    CAPITOLO LVI.

    QUINTO GIORNO DI PRIGIONIA

    CAPITOLO LVII.

    UN MEZZO DI TRAGEDIA CLASSICA

    CAPITOLO LVIII.

    EVASIONE.

    CAPITOLO LIX.

    CIÒ CHE ACCADDE A PORTSMOUTH IL 23 AGOSTO 1628.

    CAPITOLO LX.

    IN FRANCIA

    CAPITOLO LXI.

    IL CONVENTO DELLE CARMELITANE DI BÉTHUNE

    CAPITOLO LXII.

    DUE VARIETÀ DI DEMONII.

    CAPITOLO LXIII.

    UNA GOCCIA D'ACQUA.

    CAPITOLO LXIV.

    L'UOMO DAL MANTELLO ROSSO.

    CAPITOLO LXV.

    IL GIUDIZIO.

    CAPITOLO LXVI.

    L'ESECUZIONE

    CAPITOLO LXVII.

    UN MESSAGGIO DEL MINISTRO.

    EPILOGO

    INDICE DELLE MATERIE.4

    (Vol. I.)

    (Vol. II.)

    (Vol. III.)

    (Vol. IV.)

    I TRE

    MOSCHETTIERI

    DI

    Alexandre Dumas

    VERSIONE

    DI ANGIOLO ORVIETO.

    1853

    Il presente ebook è composto di testi di pubblico dominio.

    L’ebook in sé, però, in quanto oggetto digitale specifico,

    dotato di una propria impaginazione, formattazione, copertina

    ed eventuali contenuti aggiuntivi peculiari (come note e testi introduttivi), 

    è soggetto a copyright. 

     Edizione di riferimento: I tre moschettieri, di Alessandro Dumas; versione di Angiolo Orvieto. - Napoli: G. Rondinella, 1853. 4 v.; 16 cm.; vol. 1 216 p., vol 2 216 p., vol 3 180 p., vol. 4 211 p.

    Immagine di copertina: 

    https://pixabay.com/photos/knight-musketeer-good-looking-young-2117725

    Elaborazione grafica: GDM 2019 .

    Alexandre Dumas

    Alexandre Dumas padre (Villers-Cotterêts, 24 luglio 1802 – Puys, località di Dieppe, 5 dicembre 1870) è stato uno scrittore e drammaturgo francese. Maestro del romanzo storico e del teatro romantico, ebbe un figlio omonimo, Alexandre Dumas, anch’egli scrittore. Le sue ceneri furono trasferite al Panthéon di Parigi il 30 novembre 2002. È famoso soprattutto per i capolavori Il conte di Montecristo e la trilogia dei moschettieri formata da I tre moschettieri, da Vent’anni dopo e da Il visconte di Bragelonne.

    Biografia

    Alexandre Dumas era figlio di un generale della Rivoluzione francese, il quale in seguito combatté al fianco di Napoleone: Thomas Alexandre Davy de La Pailleterie, noto in Francia come Général Dumas. Il generale era mulatto, in quanto figlio di un marchese francese e di una schiava africana di Haiti, detta la femme du mas (la donna della masseria); lo scrittore Dumas era quindi per un quarto di ascendenza africana[1]. Il Général Dumas, padre dello scrittore, era un uomo dal carattere fiero; coraggioso in battaglia, era soprannominato il Diavolo nero. Ed essendo in disaccordo con il proprio padre, il marchese, ne ripudiò il titolo nobiliare e il cognome e assunse il cognome, anzi il soprannome, della madre (Du-mas, appunto). Inoltre, non approvando la politica imperialistica di Napoleone, glielo disse apertamente e fu di conseguenza imprigionato per insubordinazione.

    In seguito fu liberato, ma, catturato dal re di Napoli  Ferdinando I, fu imprigionato, e scarcerato per le cattive condizioni di salute dopo ben due anni. Il generale morì malato (soffriva di cancro) e povero, quando suo figlio, il futuro scrittore, aveva solo tre anni e mezzo[2]: Alexandre fu quindi allevato dalla madre, Marie-Louise Elisabeth Labouret, che gestiva un piccolo spaccio di tabacchi. I suoi studi non poterono essere molto approfonditi, data la penuria di denaro, ma molto presto il futuro scrittore manifestò uno spiccato interesse per la letteratura di ogni genere. Per penuria di denaro si mise a lavorare nell’Albergo del nonno materno, Charles Labouret, che si trovava sulla strada di Soissons. Qui Alexandre fu iniziato alla cucina. In seguito, nel 1823, si trasferì a Parigi, dove a 21 anni entrò al servizio del Duca di Orléans (che in seguito divenne Re dei Francesi) come copista, grazie alla sua buona calligrafia.

    Nel luglio del 1824, da una sua relazione con Catherine Labay (una sarta) (1793-1868), nacque il figlio omonimo Alexandre Dumas. Parallelamente Dumas iniziò a scrivere testi per il teatro e a proporli agli impresari e ai grandi attori dell’epoca. Il suo Henri III et sa cour (Enrico III e la sua corte), primo esempio di dramma romantico, fu rappresentato alla Comédie-Française nel 1829 e fu letteralmente acclamato dal pubblico; e lo stesso avvenne l’anno dopo con il dramma Christine. Dumas poté quindi abbandonare il suo impiego come copista e divenne uno scrittore a tempo pieno. Dumas fu un autore eccezionalmente prolifico e per tutta la sua carriera ottenne uno straordinario successo di pubblico, sia nel genere del dramma romantico che in quello del romanzo storico, al quale si dedicò in seguito.

    Le sue tre opere letterarie più note, La Regina Margot, I tre moschettieri e Il conte di Montecristo (anche se non si possono non citare almeno Vent’anni dopo e Il visconte di Bragelonne, continuazioni de I tre moschettieri), furono pubblicate a puntate sui giornali a partire dal 1844: la prima sulla rivista Le Siècle, la seconda sul Journal des débats. L’attesa dei lettori per l’uscita del capitolo successivo era febbrile, e Dumas, sapendolo, era abilissimo nel creare colpi di scena. Indubbiamente Dumas si può considerare il padre dei feuilletons. Aveva anche uno stuolo di collaboratori che lo aiutavano a scrivere tra cui Gérard de Nerval.[3]. George Sand, sua amica, dice di lui: Il lui a fallu des excès de vie pour renouveler cet énorme foyer de vie. ( Ricostruire…focolaio di vita) [4] .

    Nel 1843 sposa Marguerite Ferrad in arte Ida Ferrier, un’attrice (1811-1859). La coppia visse come separata, ognuno faceva la sua vita. Nel 1844, Dumas acquistò un terreno a Marly-le-roi e fece costruire il Castello di Montecristo, un edificio composito su ispirazione degli stili del Rinascimento, barocco e gotico, con annesso Château d’If, . Tra il 1846 e il 1847 fece costruire e inaugurare un proprio teatro, che chiamò il Théâtre-Historique (Teatro Storico). Questo spazio accolse le opere teatrali dei più grandi autori del passato: Shakespeare, Goethe, Calderón de la Barca, Schiller. Sfortunatamente, però, il teatro fallì nel 1850. Rovinato dai debiti, lo scrittore fu costretto a vendere all’asta il suo castello e nel 1851, inseguito da più di 150 creditori, dovette riparare in Belgio. Fece quindi un viaggio attraverso i Paesi Bassi e la Germania. Nel 1854, risolti i suoi problemi finanziari, ritornò a Parigi. Visitando le Eolie tenne un diario di viaggio in cui racconta di cinque giorni in barca insieme all’amico scrittore Jadin ed al cane Milord.[5]

    Da giugno 1858 a marzo 1859 viaggiò in Russia, da San Pietroburgo sino al Caucaso. Le vicissitudini di questo viaggio vennero raccontate nel volume Le Caucase che lo scrittore pubblicò nel 1859 e nel quale dedicò molto spazio al conflitto russo-ceceno. Dumas fu amico e ammiratore di Giuseppe Garibaldi. Nel 1860 decise di realizzare Il grande viaggio di Ulisse ed iniziò una crociera nel Mediterraneo; saputo però che Garibaldi era partito per la Spedizione dei mille, lo raggiunse per mare, fornendogli, con i soldi messi da parte per il suo viaggio, armi, munizioni e camicie rosse. Fu testimone oculare della Battaglia di Calatafimi, che descrisse ne I garibaldini, pubblicato nel 1861[6]. Era al fianco di Garibaldi il giorno dell’ingresso dell’Eroe a Napoli.

    Fu poi nominato da questi Direttore degli scavi e dei musei, carica che mantenne per tre anni  (1861-1864) sino a quando, a causa dei malumori dei napoletani, che mal digerivano che uno straniero occupasse un tale incarico, preferì dimettersi e rientrare a Parigi. Nello stesso periodo Garibaldi lo incaricò di fondare il giornale garibaldino  L’Indipendente che diresse. Il giornale continuerà ad essere stampato fino al 1876. Il curatore della parte italiana fu Eugenio Torelli Viollier futuro fondatore del Corriere della Sera. Scrisse anche la monumentale storia de I Borboni di Napoli. Nel corso del suo soggiorno a Napoli, Dumas ebbe modo di conoscere bene la città e i suoi abitanti, che descrisse in modo mirabile in alcuni suoi libri quali Il Corricolo e La San-Felice, biografia romanzata di Luisa Sanfelice. Dal 1865 al 1867 lo scrittore viaggiò attraverso l’Austria, l’Ungheria, l’Italia e la Germania.

    Nel settembre del 1870, dopo una malattia vascolare che lo lasciò semiparalizzato, si trasferì nella villa di suo figlio Alexandre (l’autore de La signora delle camelie) a Puys, vicino a Dieppe, dove morì il 5 dicembre. Prima di morire nel 1870 iniziò a scrivere un ultimo grande romanzo, che, ambientato in età napoleonica, doveva chiudere il ciclo dei romanzi storici iniziato con La Regina Margot e I tre moschettieri: Il cavaliere di Sainte-Hermine. I suoi resti sono stati trasferiti al Panthéon di Parigi nel 2002, senza rispettare le sue ultime volontà, ovvero di rientrare nella notte dell’avvenire nello stesso luogo dal quale sono uscito dalla vita del passato, in quell’affascinante cimitero (di Villers-Cotterêts) che ha più l’aria di un’aiuola fiorita dove fare giocare i bambini che di un posto per far dormire i cadaveri. I suoi scritti occupano 257 volumi a cui vanno aggiunti i 20 volumi delle sue memorie.

     Opere

    Ciclo dei moschettieri (3 romanzi)

    I tre moschettieri (1844)

    Vent’anni dopo (1845)

    Il visconte di Bragelonne (1848)

    Ciclo degli ultimi  Valois

    La Regina Margot (1845)

    La dama di Monsoreau (1846)

    I Quarantacinque (1847)

    Ciclo della Repubblica Partenopea

    La Sanfelice (1864- 65) (romanzo)

    Le confessioni di una favorita (1865) (romanzo)

    Ciclo di Maria Antonietta e della Rivoluzione

    Giuseppe Balsamo (1848)

    La collana della regina (1850)

    Ange Pitou (1851)

    La contessa di Charny (1855)

    Il cavaliere di Maison-Rouge (1845-46)

    Ciclo di Sainte-Hermine

    I Compagni di Jehu (1857)

    I Bianchi e i Blu (1867)

    Il cavaliere di Sainte-Hermine (1868-1870) (romanzo incompleto)

    Opere varie

    In viaggio sulle Alpi (1834) - versione italiana ridotta di Impressions de voyage: En Suisse.

    Pascal Bruno (1838) 

    Delitti celebri (1839-40)

    La Marquise de Brinvilliers  (tr. it.L’avvelenatrice)  (1841)

    Il capitano Pamphile (1839)

    Mastro Adamo, il calabrese (1840)

    Cherubino e Celestino (1840)

    Napoleone (1840)

    Giovanna d’Arco (1842)

    Il cavaliere di Harmental (1842) (romanzo)

    Il Corricolo (1843)

    Georges (1843)

    I fratelli corsi (1845)

    La cappella gotica (romanzo)

    La guerra delle donne (romanzo)

    Orrore a Fontenay (romanzo)

    Un’amazzone (racconto)

    Il conte di Montecristo (1844) (romanzo)

    Il bastardo di Mauleon (1846)

    Le due Diane (1846) (romanzo)

    La donna dal collier di velluto (1849)

    Storia della donna pallida (1849)

    Il tulipano nero (1850) (romanzo)

    Montevideo ovvero una nuova Troia (1850)

    La Page du Duc de Savoie (1853-4)

    I mohicani di Parigi (1858)

    Il Caucaso (1859) - La parte riguardante il conflitto russo-ceceno si trova nella traduzione italiana: La Guerra Santa-Viaggio tra i ribelli ceceni. ISBN 88-498-0348-6

    L’assassinio di rue Saint-Roch (romanzo a puntate) pubblicato su L’indipendente tra il 28 dicembre 1860 e l‘8 gennaio 1861.[7]

    Beni demaniali - Dell’estinzione del brigantaggio - Napoli - Stabilimento tipografico, 1862

    Pietro Monaco sua moglie Maria Oliverio e i loro complici (racconto contemporaneo) si trova presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, Sezione Lucchesi Palli, sul giornale L’indipendente, anno IV, n° 51, venerdì 4 marzo 1864, pp.1 e 2. L’ultimo capitolo del racconto fu pubblicato il 9 aprile del 1864 sempre in prima pagina.

    Robin Hood il proscritto (1863) (opera postuma)

    Grande dizionario di cucina (1870) (pubblicato postumo nel 1873)

    Bric-à-brac 

    La dama di Monsoreau 

    Enrico III e la sua corte

    Il Capitano Arena

    Il corricolo

    Lo Speronare

    I Quarantacinque 

    Opere teatrali

    Anche se oggi è più conosciuto come romanziere, Dumas ottenne il primo grande successo come drammaturgo. Il suo Enrico III e la sua corte (1829) fu il primo dei grandi drammi storici romantici, precedendo il più noto Hernani di Victor Hugo del 1830. Messo in scena alla prestigiosa Comédie-Française e interpretato da Mademoiselle Mars, un’attrice all’epoca molto famosa, il dramma di Dumas ottenne un successo enorme, costituendo una vera e propria svolta nella sua carriera di autore; e l’anno successivo ebbe 50 rappresentazioni, un numero straordinario per l’epoca.

    Vi furono altri grandi successi per il Dumas drammaturgo: Antony (1831), un dramma con un protagonista byroniano contemporaneo, considerato il primo dramma non storico romantico. Fu interpretato dalla grande rivale di Mademoiselle Mars, l’altrettanto famosa Marie Dorval e dall’attore Bocage. Seguirono La torre di Nesle (1832), un altro melodramma storico; e soprattutto Kean (Kean, ou Désorde et Génie, 1836), basato sulla vita del celebre attore inglese Edmund Kean e interpretato per la prima volta dall’attore francese Frédérick Lemaître. Quest’ultimo dramma è tuttora nel repertorio di molti primi attori teatrali; Vittorio Gassman ne fornì una memorabile interpretazione.

    Valore letterario

    Spesso Alexandre Dumas padre è considerato uno scrittore di secondo ordine[8], nonostante sia fra i più grandi scrittori francesi di tutti i tempi. Se è vero che lo stile della sua prosa non è sempre di prim’ordine (periodi lunghissimi e ridondanti, frequenti ripetizioni), è pur vero che questo non ne ha compromesso la scorrevolezza dei testi. Peraltro, personaggi come d’Artagnan o Edmond Dantès hanno dimostrato di possedere una immediata capacità di penetrazione nell’immaginario, caratteristica, questa, che nella storia della letteratura può essere associata a pochi altri scrittori. Inoltre, Dumas è in assoluto lo scrittore le cui opere hanno ispirato il maggior numero di riduzioni cinematografiche e televisive[9]: siamo nell’ordine delle centinaia. E, infine, il genere nel quale eccelleva – quello del romanzo d’appendice (o feuilleton), pubblicato a puntate sui giornali – è da considerare il precursore del racconto popolare a puntate per radio o televisione.

    I moderni teleromanzi e le soap opere sono ampiamente debitori al feuilleton per quanto riguarda le tecniche atte a creare, nel lettore/spettatore, l’attesa impaziente della puntata successiva. Dumas si avvaleva spesso di collaboratori per la scrittura delle sue opere. Il principale, Auguste Maquet, è stato spesso utilizzato dai detrattori del romanziere per sostenere una tesi secondo la quale Dumas non scriveva i suoi libri. Maquet ha senz’altro giocato un ruolo importante nella redazione dei principali capolavori di Dumas, dalla serie dei Moschettieri fino a quella della Regina Margot, passando per il conte di Montecristo, che però, com’è stato spesso precisato sia in Francia (Eugène de Mirecourt), sia in Italia (Francesco de Sanctis), deve essere almeno in parte attribuito a Pier Angelo Fiorentino[10], un altro collaboratore del romanziere francese.

    D’altra parte, i compiti di Maquet erano circoscritti: dopo un’elaborazione congiunta del piano dell’opera, egli si occupava delle ricerche storiche necessarie e redigeva una prima bozza, a partire dalla quale Dumas scriveva i testi che si conoscono. Dopo anni di collaborazione fruttuosa, la relazione tra i due uomini si guastò per via di un processo in ragione di alcune somme di denaro che Dumas doveva a Maquet. Le opere autonome di quest’ultimo non sono passate alla storia[11].

    Bibliografia

    Biografie

    Non esistono biografie in italiano di Alexandre Dumas padre.

    Biografie in francese:

    (FR) J. Lucas Dubreton, La vie d’Alexandre Dumas père (Gallimard, 1928). 

    (FR) André Maurois, Les Trois Dumas(Hachette, 1957)

    (FR) Christian Biet, Jean-Paul Brighelli e Jean-Luc Rispail, Alexandre Dumas ou les Aventures d’un romancier (Gallimard, 1986)

    (FR) Daniel Zimmermann, Alexandre Dumas le Grand (Phébus, 2002)

    (FR) Henri Troyat, Alexandre Dumas. Le cinquième mosquetaire (Grasset, 2005)

    Per il valore letterario:

    Edmondo De Amicis, Ritratti letterari (1908)

    Vittorio Lugli, Dante e Balzac con altri italiani e francesi (1952)

    Giorgio Manganelli, Introduzione (1965) in I tre moschettieri (ed. Einaudi, 2007) o in La letteratura come menzogna,  Adelphi, 1985, pp.34–42

    Elogio del Montecristo: saggio introduttivo di  Umberto Eco a Il conte di Montecristo (BUR, 1998), precedentemente pubblicato nel volume Sugli specchi e altri saggi  (Bompiani, Milano 1985).

    Umberto Eco, Il superuomo di massa(Bompiani, 2001)

    (FR) Vittorio Frigerio, Dumas l’irrégulier, Limoges, 2011 ISBN 978-2-84287-546-6.

     Opere di fantasia

    Nel 2009 Edizioni Piemme ha pubblicato il romanzo La strana giornata di Alexandre Dumas, di Rita Charbonnier, nel quale lo scrittore trascorre una giornata intera in compagnia di un’anziana signora intenzionata a fargli scrivere un feuilleton su di lei. Sulla relazione professionale tra Alexandre Dumas padre e Auguste Maquet, il suo principale collaboratore alla stesura dei testi, i drammaturghi francesi Cyril Gély ed Eric Rouquette hanno scritto un dramma, più volte rappresentato in Francia: Signé Dumas (Firmato Dumas)[12]. Dal testo teatrale è stato tratto un film, L’autre Dumas (L’altro Dumas), con Gérard Depardieu nel ruolo di Dumas, uscito in Francia nel mese di febbraio 2010[13]. Il film è stato fortemente criticato per la scelta dell’attore protagonista, un bianco, mentre Dumas era per un quarto di ascendenza africana: «il film è sintomatico della discriminazione di cui sono vittime le persone uscite dalla diversità e delle difficoltà delle élite di riconoscerlo».[14]

    Nel romanzo di Umberto Eco, Il cimitero di Praga, viene attribuita ad Alexandre Dumas una denuncia silenziosa e occulta tra le pieghe delle sue opere, del gesuitismo come nemico della monarchia francese che sfocerà successivamente nella massoneria, la quale, già ne Il pendolo di Foucault, è ritenuta a capo di ogni complotto per il controllo del mondo. Nel film Django Unchained di Quentin Tarantino, Alexandre Dumas viene preso ad esempio come geniale uomo di colore dal Dottor King Schultz, per contrastare il negriero Calvin Candie, il quale sosteneva che i neri non posseggono geneticamente la creatività o l’intelligenza degli uomini bianchi.

    Romanzi apocrifi

    Albert Blanquet, Les amours de d’Artagnan, Éd. Le passe-temps, 1858; trad. Napoli: Morelli, 1860

    Eugène D’Auriac, D’Artagnan il moschettiere, Trieste: Coen, 1860

    Frantz Beauvallet e Léon Beauvallet, M.lle D’Artagnan, Éd L. Boulanger, 1893

    Paul Féval, Il segreto della bastiglia D’Artagnan contro Cyrano Di Bergerac, trad. di Ugo Ferrara di Bertavilla, Torino: Cosmopolita, 1926; Firenze: Nerbini, 1940

    I tre moschettieri

    I tre moschettieri (Les trois mousquetaires) è un romanzo d’appendice scritto da Alexandre Dumas con la collaborazione di Auguste Maquet nel 1844 e pubblicato originariamente a puntate sul giornale Le Siècle. È uno dei romanzi più famosi e tradotti della letteratura francese e ha dato inizio ad una trilogia, che comprende Vent’anni dopo (1845) e Il visconte di Bragelonne (1850).

    I tre moschettieri del titolo sono Athos, Porthos e Aramis, a cui poi si aggiunge il protagonista del romanzo, D’Artagnan.

     Trama

    Francia, 1625. Charles d’Artagnan, un giovane guascone, va a Parigi per essere ammesso tra le file dei moschettieri di re Luigi XIII. Tuttavia, la lettera di raccomandazione che porta con sé - ed indirizzata al Signor de Tréville, capo dei moschettieri - gli viene sottratta lungo il tragitto da un individuo con il quale si scontra in duello: per il resto del romanzo, verrà chiamato L’uomo di Meung, dal luogo dove è avvenuto il duello. Il signor de Tréville lo riceve egualmente e, dopo l’udienza, D’Artagnan s’incammina per Parigi, dove incontra casualmente, uno dopo l’altro, Athos, Porthos e Aramis, i più famosi moschettieri del re. Ciascuno di essi, ritenendosi provocato, lo sfida a duello, all’insaputa degli altri. All’appuntamento, però, si presentano anche le guardie del cardinale Richelieu, risolute ad arrestarli, in forza del divieto di duellare, stabilito da un editto reale. I tre moschettieri, però, si oppongono; D’Artagnan combatte assieme a loro, dando prova di saperci fare con la spada e conquistando la fiducia e l’amicizia dei tre. Successivamente, re Luigi li fa convocare a palazzo, ma, anziché rimproverarli, si complimenta con loro per aver tenuto testa brillantemente alle guardie del primo ministro Richelieu.

    Quest’ultimo, pur schierato con il re, ne detesta la consorte, Anna, perché imparentata con i nemici spagnoli; inoltre, la regina è amante segreta del potente Duca di Buckingham. Anna, in pegno del suo amore, ha fatto dono al nobiluomo inglese di dodici puntali di diamanti, un vecchio dono del re di Francia alla sposa. Il Cardinale, che dispone di spie molto efficaci, viene a saperlo e ordisce una trappola alla regina: propone al re, perennemente annoiato, di organizzare un ballo di corte, con l’adulazione di veder sfoggiare i preziosi puntali alla regina. Il re cade nel tranello e ciò costringe la regina a recuperarli al più presto. Attraverso l’intercessione di Constance Bonacieux, guardarobiera della regina di cui D’Artagnan è innamorato, il cadetto di Guascogna, assieme ai tre moschettieri, accetta l’impresa e parte alla volta dell’Inghilterra. Lungo il tragitto, però, le spie del cardinale costringono il gruppo a sfaldarsi. Così, l’unico a riuscire concretamente a raggiungere l’imbarcadero di Calais e è proprio il cadetto D’Artagnan. Una volta a Londra, D’Artagnan raggiunge Buckingham e si fa consegnare i puntali; qui, però, i due si accorgono che ne mancano due. Ricostruendo i fatti, il Duca capisce come ciò sia possibile: una spia del cardinale, la bellissima Milady de Winter, glieli ha sottratti di nascosto. Il duca, per salvare l’onore dell’amata Anna, ne fa fare due copie identiche agli originali, che D’Artagnan riporta a Parigi, in tempo per mandare in fumo i piani del cardinale. Il primo ministro di Francia, però, serve subito la vendetta a D’Artagnan e fa rapire Constance da Milady. Intanto, per ordine del signor de Tréville, D’Artagnan è partito alla ricerca dei tre amici, rimasti bloccati lungo il percorso per Calais.

    Il più vecchio dei tre, Athos, una volta ritrovato D’Artagnan, racconta all’amico di una strana storia d’amore, spacciandola per una vicenda accaduta a un suo conoscente. In seguito, D’Artagnan ingaggia una lotta contro il conte di Winter, che, terminato lo scontro, lo invita nel suo palazzo, dove il giovane fa la conoscenza di Milady. D’Artagnan si innamora suo malgrado di Milady che, però, è innamorata del conte di Wardes e dà alla sua cameriera Ketty una lettera con una proposta d’incontro; Ketty è però a sua volta innamorata di D’Artagnan e gli fa vedere la lettera. D’Artagnan decide di presentarsi al posto del conte di Wardes. Poi d’Artagnan le scrive una lettera falsa a nome de Wardes, dove la rifiuta. Milady cerca la complicità di d’Artagnan, concedendosi a lui per ottenere vendetta del conte. D’Artagnan allora crede di poter ormai contare sull’amore di Milady e le confessa l’inganno della falsa lettera che le aveva ordito. A questo punto lei cerca di ucciderlo, ma nella concitazione si scopre e D‘Artagnan, che comunque riesce a fuggire, nota sulla sua spalla il simbolo del giglio, con il quale vengono marchiati i condannati a morte francesi.

    D’Artagnan deve scappare perché stanno arrivando delle persone accorse alle grida di Milady, e con lui scappa anche Ketty. Nel frattempo è scoppiata la guerra e i moschettieri vengono inviati a combattere a La Rochelle, l’ultima piazzaforte ugonotta in territorio francese. Per vincere la guerra senza spargimenti di sangue, Richelieu manda Milady a Londra ad assassinare il duca di Buckingham; D’Artagnan e gli altri, però, la precedono, facendola arrestare dal cognato, lord de Winter, proprio all’arrivo sulle coste inglesi. Una volta in prigione, Milady, però, riesce a raggirare il carceriere puritano Felton, che prima l’aiuta ad evadere e poi, per lei, uccide con un pugnale il duca di Buckingham. Intanto, D’Artagnan viene a sapere che Constance sta morendo, avvelenata da Milady e, volendo a tutti i costi consegnare alla giustizia la donna, con l’aiuto dei tre moschettieri e un uomo dal mantello rosso, la cattura e l’accusa dei suoi tremendi delitti. Milady respinge le accuse e a questo punto si fa avanti l’uomo avvolto nel mantello rosso, il boia di Lille. Molti anni prima Milady era stata la responsabile della morte del fratello del boia e quindi viene giustiziata. Richelieu riconosce così i servigi di D’Artagnan e lo nomina luogotenente dei moschettieri.

    Personaggi principali

    D’Artagnan (Charles de Batz de Castelmore d’Artagnan) — tutto il romanzo gira intorno a questo ragazzo di 18 anni, abile nella spada e molto coraggioso; è il protagonista del libro. È innamorato di Constance Bonacieux, la guardarobiera della regina.

    Planchet — Servo di d’Artagnan, umile, coraggioso e legato al padrone. Il ruolo dei servitori in questo libro è molto importante: vengono menzionati molto spesso e sarà anche grazie a loro che i quattro amici riusciranno nelle loro imprese.

    Moschettieri

    Il Moschettiere è una figura realmente esistente nella Francia dal XVI secolo fino al XIX. I moschettieri di cui si parla nel libro vengono riferiti alla compagnia assunta dal re Luigi XIII come suo esercito personale. La compagnia dei moschettieri è contrapposta nel libro e nella storia alle guardie del cardinale Richelieu (Armand-Jean du Plessis de Richelieu) che si affrontano in numerosi duelli illegali. I tre moschettieri protagonisti vengono presentati con dei soprannomi e sempre nominati con questi pseudonimi. I loro veri nomi verranno rivelati solo in parte.

    Athos (Olivier de Bragelonne de La Fère) — Il più ammirato fra i tre da d’Artagnan. Di animo nobile e distinto, riesce con il suo approccio freddo a nascondere le sue emozioni. Forse è il più viziato fra i quattro amici, non si fa mancare nulla, è abile conoscitore della scherma e dell’arte del cavalcare nonché grande bevitore. Quando ancora non era moschettiere, ma conte de la Fère, ha sposato una giovane rivelatasi poi marchiata a fuoco perché condannata a morte, e che più tardi si scoprirà essere l’incantatrice Milady. È il più intelligente, anche se stima d’Artagnan come tale. Quest’ultimo è appunto chiamato dal conte, il più vecchio fra i tre, figlio mio. All’inizio del primo romanzo l’autore scrive di aver ritrovato le Memorie del conte de la Fère e di avere saputo pressoché l’intera storia da queste memorie: in realtà Dumas padre ricaverà il soggetto della sua trilogia dalle autentiche Memorie di D’Artagnan, scritte dal vero personaggio storico (Gatien de Courtilz de Sandras). Athos riceverà, nel corso degli altri due libri, gli ordini cavallereschi Della Giarretiera (conferitogli da Carlo I Stuart, Inghilterra), Dello Spirito Santo (da Anna d’Austria, Francia), e, infine, del Toson d’Oro (conferitogli da Carlo II Stuart, nonostante, lo specifica lo stesso Dumas, l’ordine sia spagnolo). Il personaggio prende il nome dallo storico moschettiere Armand de Sillègue d’Athos d’Autevielle (1615-1644)

    Grimaud — Servo di Athos, affezionato al suo padrone che venera per la sua intelligenza. Non parla quasi mai perché nel passato il suo padrone Athos lo ha costretto al silenzio per anni; nonostante in seguito gli abbia permesso di parlare, si esprime in poche parole e molti gesti. Obbedisce ciecamente al suo signore, che riesce a capire solo dalle sue occhiate.

    Aramis (Aramis d’Herblay) — Uomo distinto e delicato, all’apparenza è un uomo di chiesa mancato, il quale solo provvisoriamente indossa le vesti di Moschettiere. Questo gli dà modo, fra un richiamo alla fede e l’altro, di essere un nobiluomo. I suoi studi d’indirizzo ecclesiastico traspaiono dalla conoscenza delle arti e della lingua latina; molto spesso compone poesie. Diventerà abate d’Herblay. Il personaggio è vagamente basato sulla figura storica del moschettiere Henri d’Aramitz.

    Bazin — Servo di Aramis, è certo che il suo padrone un giorno vestirà gli abiti ecclesiastici. Egli stesso si veste sempre di nero, come si conviene al servo di un uomo di chiesa. Dolce e pacifico, è bigotto e devotissimo ad Aramis, suo padrone, ed alla Santa Romana Chiesa.

    Porthos (Porthos du Vallon) — Il più sanguigno dei tre, un po’ fanfarone. Gioca spesso ai dadi scommettendo tutto quello che gli capita tra le mani. La sua amante, la signora Coquenard, è la vecchia moglie di un procuratore, ed egli confida in lei per le proprie finanze, ma il marito ottantenne impedirà più di una volta questi favori. Tra i Moschettieri è quello che tiene di più al suo onore. Anche lui usa un nome di battaglia al posto del suo nome autentico: du Bracieux. Anna d’Austria lo nominerà, alla fine di Vent’anni dopo, barone du Vallon (castello al quale ha dato il nome), de Bracieux de Pierrefonds (entrambe tenute da lui comprate). Sicuramente è il più forte dei tre moschettieri.

    Mousqueton — Normanno servo di Porthos, il cui vero nome è Bonifacio (Boniface), presta servizio al suo padrone senza molte pretese. Sempre vestito in maniera elegante, grazie ad un abile sarto, fa fare bella figura a Porthos. Dopo che il suo padrone, nel seguito del romanzo, diventa proprietario terriero, cambierà il suo nome in Mouston, anche se d’Artagnan continuerà a chiamarlo con il nome che aveva prima.

    Altri personaggi

    Constance Bonacieux — guardarobiera e confidente della regina.

    Monsieur Bonacieux - marito di Constance, nonché padrone di casa di D’Artagnan, di professione merciaio.

    Monsieur de Tréville — comandante dei moschettieri.

    Milady de Winter — chiamata anche Charlotte Backson, la Contessa de la Fère o Anne de Breuil, moglie di Athos, è una spia del Cardinale Richelieu.

    Lord de Winter — cognato di Milady.

    L’uomo di Meung — conosciuto anche come il Conte di Rochefort, è l’uomo misterioso a cui D’Artagnan da la caccia.

    D’Artagnan Padre — padre di D’Artagnan.

    Kitty — serva di Milady.

    John Felton

    Conte de Rochefort

    Personaggi storici

    Cardinale Richelieu

    Anna d’Austria

    Luigi XIII

    Duca di Buckingham

    Critica

    Alessandro Dumas sfoggia non poche qualità del grande scrittore: e non delle secondarie. In primo luogo una sovrana impudenza; un insieme di complicità e oltraggio nei confronti del lettore; nessun patetismo, neppure quando ricorre a situazioni obiettivamente patetiche. E ancora, il gusto del gioco, della mistificazione; l’onesta carenza morale; una nobile guitteria, che gli detta la mossa esatta per scatenare la consenziente credulità del pubblico. (G. Manganelli)

    Da parte mia, non provo il rossore di cui altri sentirebbe inondato il volto nel dire che mi piacciono e giudico condotti con grande brio e spigliatezza i Trois mousquetaires di Alessandro Dumas padre. Ancora molti li leggono e li godono senza nessun’ offesa della poesia, ma nascondendo in seno il loro compiacimento come si fa per gli illeciti diletti, ed è bene incoraggiarli a deporre la loro falsa vergogna e il loro congiunto imbarazzo (Benedetto Croce)

    I TRE

    MOSCHETTIERI

    DI

    Alexandre Dumas

    VERSIONE

    DI ANGIOLO ORVIETO.

    1853

    VOLUME PRIMO

    CAPITOLO I

    I TRE REGALI DEL SIGNOR D’ARTAGNAN PADRE.

    Il primo lunedì del mese d’aprile 1625 il borgo di Méung ove nacque l’autore del Romanzo della Rosa, sembrava esser in una così completa rivoluzione, come se gli ugonotti vi fossero venuti a fare una seconda Rochelle. Molti borghigiani vedendo correre le donne lungo la strada maestra, sentendo i fanciulli gridare sul limitare delle porte, si sollecitavano ad indossare la corazza, equilibrando il loro portamento alquanto incerto col mezzo di un moschetto o di una partigiana, o dirigendosi verso l’osteria del Franc-Meunier, davanti alla quale si affrettava ed ingrossava di minuto in minuto, un gruppo compatto, rumoroso e pieno di curiosità.

    In quei tempi i timori panici erano frequenti, e pochi erano quei giorni che passavansi senza che una città o l’altra non registrasse nei suoi archivj qualche avvenimento di questo genere. Vi erano i signori che guerreggiavano fra di loro; v’era il re che faceva la guerra al suo ministro; vi era la Spagna che faceva la guerra al re. Quindi, oltre a queste guerre sorde o pubbliche, secrete o patenti vi erano ancora i ladri, i mendicanti, gli ugonotti, i lupi ed i lacchè che facevano la guerra a tutti, spesso contro i signori e gli ugonotti, qualche volta contro il re, ma mai contro il ministro e lo spagnuolo. Ne resultò dunque da questa presa abitudine, che nel suddetto lunedì del mese d’aprile 1625, i borghigiani sentendo il rumore, e non vedendo nè la banderuola gialla e rossa, nè la livrea del duca di Richelieu si precipitarono dalla parte dell’albergo del Franc-Meunier.

    Là giunto, ciascuno potè vedere e riconoscere la causa di questo rumore.

    Un giovane… tracciamo il suo ritratto con un colpo di penna: figuratevi Don Chisciotte di diciotto anni, Don Chisciotte senza giubba, seuza usbergo e senza corazza; Don Chisciotte rivestito con un sajo di lana, il di cui colore blu si era trasformato in un miscuglio incomprensibile di fondo di vino e di azzurro celeste. Il viso era lungo e scuro; gli zigomi delle guance sporgenti, segno d’astuzia; i muscoli mascellari enormemente sviluppati; contrassegno infallibile dal quale si riconosce il Guascone anche senza il berretto, ed il nostro giovane portava un berretto ornato con una specie di piuma. L’occhio aperto e intelligente, il naso rivolto, ma disegnato con precisione; troppo grande per essere un fanciullo, troppo piccolo per essere un uomo, e che un occhio un poco esercitato avrebbe preso per il figlio di un affittajuolo in viaggio se non avesse avuto una lunga spada, che appesa ad un pendaglio di pelle, batteva nelle polpe del suo proprietario quando egli era in piedi, e sul pelo arricciato della sua cavalcatura quando era a cavallo.

    Poichè il nostro giovane aveva una cavalcatura, e questa cavalcatura era anzi così rimarchevole che venne rimarcata di fatto; era un ronzino di Béarn, della età di dodici in quattordici anni, colla pelle gialla, senza crini alla coda, ma non senza vesciconi alle gambe, e che sebbene camminasse con la testa più bassa dei ginocchi, cosa che rendeva inutile l’applicazione della martingala, faceva ancora le sue otto leghe il giorno con tutto il comodo suo. Disgraziatamente le nascoste qualità di questo cavallo, erano così bene nascoste sotto il suo strano pelo e sotto la sua incongrua camminata, che in un tempo in cui gli uomini si distinguevano dai cavalli, l’apparizione del suddetto ronzino a Méung, ove era entrato da circa un quarto d’ora per la porta del Beaugency, produsse una sensazione il di cui disfavore giunse fino al suo cavaliere.

    E questa sensazione era riuscita tanto più penosa al giovane d’Artagnan (così chiamavasi il don Chischiotte di questo altro Rosinante) che egli non si nascondeva la parte ridicola che gli procurava una simile cavalcatura, per quanto fosse buon cavaliere. Fu per questo che egli aveva sospirato molto quando accettò il dono che a lui ne fece il sig. d’Artagnan padre; egli non ignorava che questa bestia valeva almeno venti lire. È vero però che le parole con cui fu accompagnato il dono non avevano prezzo.

    «Figlio mio, aveva detto il gentiluomo guascone, in quel puro dialetto di Béarn di cui Enrico IV non potè mai arrivare a disfarsi, figlio mio, questo cavallo è nato nella casa di vostro padre, sono oramai tredici anni, esso vi è sempre rimasto per tutto questo tempo, lasciatelo morire tranquillamente ed onoratamente di vecchiaja, e se voi fate qualche campagna con lui, abbiategli quei riguardi che avreste per un vecchio servitore. Alla corte, continuò il sig. d’Artagnan padre, se pure avreste l’onore di andarvi, onore al quale la vostra vecchia nobiltà vi dà del resto non pochi diritti, sostenete degnamente il vostro nome di gentiluomo, che è stato portato degnamente per più di cinquecento anni dai vostri antenati, tanto per voi, che per la vostra famiglia e per i vostri amici. Non sopportate mai niente se non ciò che viene dal ministro, o dal re. È per il solo suo coraggio, intendetelo bene, per il solo suo coraggio che un gentiluomo in oggi può fare la sua carriera. Chiunque trema anche per un secondo, lascia fuggirsi l’occasione, che precisamente durante questo secondo la fortuna gli presentava. Voi siete giovane e dovete essere coraggioso per due ragioni: la prima è perchè siete guascone, la seconda è perchè voi siete mio figlio. Non schivate le occasioni, e cercate le avventure. Io vi ho fatto imparare a maneggiare la spada; voi avete un garetto di ferro, un pugno di acciajo, battetevi, a tutti i conti; battetevi, tanto più che i duelli sono proibiti, e che per conseguenza è necessario un doppio coraggio per battersi. Figlio mio, io non ho a darvi che quindici scudi, il mio cavallo ed i consigli che avete ascoltati. Vostra madre vi aggiungerà la ricetta di un certo balsamo che ella ha avuto da una zingara, e che ha una virtù miracolosa per guarire tutte le ferite che non hanno colpito il cuore. Traete profitto da tutto, e vivete felice e per lungo tempo.

    «Non ho più che una sola parola da aggiungere, ed è un esempio che io vi propongo; non il mio, poichè io non sono mai comparso alla corte, e non ho mai fatto che le guerre di religione come volontario: io voglio parlarvi del signor de Tréville, che era in altri tempi mio vicino, e che ha avuto l’onore di giuocare col re Luigi XII, che Iddio conservi, fin da quando era fanciullo. Qualche volta i loro giuochi degeneravano in battaglie, in queste battaglie il re non era sempre il più forte. I colpi che egli ne ricevette procacciarono molta stima ed amicizia al signor de Tréville. In seguito il signor de Tréville si battè ancora con altri, nel suo primo viaggio a Parigi cinque volte; dopo la morte del fu re, fino alla maggiorità del giovine, senza contare le guerre e gli assedi, sette volte; e dopo questa maggiorità fino al giorno d’oggi, forse cento volte! così ad onta degli editti, delle ordinanze, dei decreti, eccolo Capitano dei moschettieri, vale a dire capo di una legione di Cesari di cui il re fa gran conto, e che è temuta dal ministro che, come ognun sa, non teme molte cose. Di più il signor de Tréville guadagna dieci mila scudi per anno; egli è dunque un gran signore. Egli però ha cominciato come voi; andate a fargli visita con questa lettera, e regolatevi a seconda del suo esempio, per fare come ha fatto lui.»

    Dopo le quali parole il signor d’Artagnan padre cinse a suo figlio la sua propria spada, lo baciò teneramente sopra ambedue le guance e gli dette la sua benedizione.

    Nel sortire dalla camera paterna, il giovane trovò sua madre che lo aspettava colla famosa ricetta di cui, pe’ consigli che abbiamo testè riportati, doveva necessariamente avere spesso necessità d’impiegarla. Gli addii furono da questa parte più lunghi e più teneri di quello che lo erano stati dall’altra parte, non già perchè il signor d’Artagnan non amasse suo figlio, che era la sola sua progenitura, ma il sig. d’Artagnan era un uomo, e avrebbe considerato come indegno di un uomo il lasciarsi trasportare dalla sua emozione, nel mentre che la signora d’Artagnan era donna, e di più era madre. Ella pianse abbondantemente, e, diciamolo a lode del signor d’Artagnan figlio, per quanti sforzi facesse onde restar saldo come doveva esserlo un futuro moschettiere, la natura la vinse, e fu sforzato a versare lagrime, di cui egli giunse con grande stento a nasconderne la metà.

    Nello stesso giorno il giovine si mise in viaggio, munito dei tre regali paterni che si componevano, come dicemmo, di quindici scudi, del cavallo e della lettera per il sig. de Tréville come si crederà bene, i consigli erano stati dati per un di più al disopra del mercato.

    Con un simile vade-mecum, d’Artagnan si ritrovò, tanto pel morale che per il fisico, una copia esatta dell’eroe di Cervantes, al quale noi lo abbiamo così felicemente paragonato, allorchè il nostro dovere di storico ci ha imposto la necessità di delinearne il ritratto. Don Chisciotte prendeva i molini a vento per giganti, e le mandrie di montoni per armate; d’Artagnan prese ciascun sorriso per un insulto, e ciascuno sguardo per una provoca. Ne resultò che egli ebbe sempre il pugno stretto da Tarbes fino a Méung, e che uno per l’altro portò la mano al pomo della spada almeno dieci volte il giorno; tuttavolta, il pugno non discese sulla mascella di alcuno, e la spada non sortì dal suo fodero, non già che la vista del mal avventurato ronzino giallo non facesse comparire il sorriso sulla faccia di coloro che passavano, ma siccome al disopra del ronzino tentennava una spada di rispettosa lunghezza, e che al disopra di questa brillava un occhio feroce, piuttosto che superbo, quelli che passavano reprimevano la loro ilarità, o se la ilarità aveva il sopravvento sulla prudenza, cercavano almeno di ridere da una parte soltanto, come le maschere antiche, D’Artagnan dimorò dunque maestoso e intatto nella sua suscettibilità, fino a quella malaugurata città di Méung,

    Ma là, mentre discendeva da cavallo alla porta del Franc-Meunier senza che alcun oste, cameriere o palafreniere venisse a prendere le redini al montatore, d’Artagnan scôrse da una finestra socchiusa del pian terreno un gentiluomo di alta statura e di belle sembianze, quantunque col viso alquanto increspato, il quale parlava con due persone, che sembravano ascoltarlo con attenzione. D’Artagnan credè naturalmente, secondo la sua abitudine, di essere l’oggetto della conversazione, ed ascoltò. Questa volta d’Artagnan non si era sbagliato che per metà, non si trattava di lui, ma del suo cavallo. Il gentiluomo sembrava enumerare ai suoi uditori tutte le sue qualità, e poichè, come si disse, gli uditori sembravano avere una grande attenzione al narratore, davano in risate ad ogni momento. Ora, siccome bastava un mezzo sorriso per svegliare l’irascibilità del giovane, si comprenderà facilmente quale effetto dovesse produrre in lui una ilarità così rumorosa.

    Ciò non ostante d’Artagnan volle sulle prime rendersi conto della fisonomia dell’impertinente che si burlava di lui. Fissò il suo sguardo orgoglioso sullo straniero; e riconobbe un uomo dai quaranta ai quarantacinque anni, con gli occhi neri e penetranti, un colorito scurito, un naso fortemente accentato, e un pajo di baffi neri tagliati a perfezione: egli era vestito di un sajo e di un giacco da caccia violetto colle rivolte dello stesso colore, senz’altro ornamento che le aperture ordinarie dalle quali usciva la camicia. Questo giaco e questo sajo, quantunque nuovi, sembravano spiegazzati come gli abiti di viaggio tenuti lungamente chiusi nel porta-mantello. D’Artagnan fece tutte queste osservazioni colla rapidità dell’osservatore il più scrupoloso, e senza dubbio per un sentimento istintivo che gli diceva, che questo sconosciuto doveva avere una grande influenza sulla sua vita avvenire.

    Ora, siccome al momento in cui d’Artagnan fissava lo sguardo sul gentiluomo dal sajo violetto, il gentiluomo faceva sul ronzino bearnese una delle sue più sapienti e profonde dimostrazioni, i suoi uditori scoppiarono in una risata, ed egli stesso, contro la sua abitudine, lasciò visibilmente errare, se si può dir così, un pallido sorriso sulle sue labbra. Questa volta non vi era più alcun dubbio: d’Artagnan era realmente insultato. Così, pieno di questa convinzione, si calcò il berretto sugli occhi, e, cercando di copiare qualcuna di quelle posizioni di corte che aveva osservate in Guascogna presso dei signori viaggiatori, egli si avanzò con una mano sulla guardia della spada, e coll’altra appoggiata sul fianco. Disgraziatamente, a misura che egli si avanzava, la collera lo accecava sempre più, e in luogo del discorso degno e sostenuto che aveva preparato per formulare la sua provoca, egli non trovò più all’estremità della sua lingua che una grossolana personalità, che fu da lui accompagnata con un gesto furioso.

    - Che! signore, gridò egli, signore! che vi nascondete dietro lo sportello? sì, voi, ditemi dunque un poco di che cosa ridete, e noi rideremo assieme!

    Il gentiluomo ricondusse lentamente gli occhi dal cavallo al cavaliere, come se fosse abbisognato qualche tempo per capire che così strane parole erano a lui indirizzate; quindi, allorchè non potè più averne alcun dubbio, i suoi sopraccigli si aggrottavano leggermente, dopo una sufficiente pausa, con un accento d’ironia e d’insolenza impossibili a descrivere, egli rispose a d’Artagnan.

    - Io non parlo con voi, signore.

    - Ma parlo ben io con voi, gridò il giovane esasperato da questo miscuglio d’insolenza e di buone maniere, di convenienza e di disprezzo.

    Lo sconosciuto lo guardò ancora un istante col suo leggero sorriso; e, ritirandosi dalla finestra, sortì lentamente dall’osteria per venirsi a piantare in faccia al cavallo, alla distanza di due passi da d’Artagnan. Il suo portamento tranquillo, e la sua fisonomia scherzosa avevano raddoppiato l’ilarità di coloro coi quali parlava, e che erano rimasti alla finestra.

    D’Artagnan, vedendolo arrivare cavò più di un piede della sua spada fuori del fodero.

    - Questo cavallo è decisamente, o piuttosto è stato nella sua gioventù pomellato in oro, riprese lo sconosciuto, continuando le investigazioni incominciate e indirizzandosi a’ suoi uditori della finestra, senza sembrare di fare alcuna attenzione alla esasperazione di d’Artagnan, che pure frapponevasi fra lui ed essi. Questo è un colore conosciuto in botanica, ma fino adesso molto raro nei cavalli.

    - V’ha tale che ride del cavallo che non oserebbe ridere del padrone! gridò l’emulo furioso di de Tréville.

    - Io non rido spesso, signore, riprese lo sconosciuto, come voi potete persuadervene da voi stesso dall’aspetto del mio viso; ma io voglio conservare il privilegio di poter ridere quando mi piace.

    - Ed io gridò d’Artagnan, io non voglio che si rida quanto mi dispiace.

    - Davvero, signore? continuò lo sconosciuto più calmo che mai. Ebbene! è perfettamente giusto.

    E girando su’ suoi calcagni si disponeva a rientrare nell’osteria per la gran porta, sotto la quale d’Artagnan nel giungere aveva rimarcato un cavallo già insellato.

    Ma d’Artagnan non era di tal carattere da lasciare in tal modo un uomo che aveva avuta l’insolenza di burlarsi di lui. Cavò interamente la sua spada dal fodero, e si mise a perseguirlo gridando:

    - Voltatevi, voltatevi dunque signor motteggiatore, che io non abbia a battervi per di dietro!

    - Batter me! disse l’altro girando sui talloni e guardando il giovane con tanta meraviglia quanto era il disprezzo. Andiamo dunque, mio caro, voi siete un pazzo!

    Quindi a mezza voce, e come se avesse parlato a se stesso.

    - È cosa dispiacente, continuò egli, bella recluta per Sua Maestà, che cerca da tutte le parti dei bravi per completare i suoi moschettieri!

    Terminava appena, che d’Artagnan gli stendeva un così furioso colpo di punta, che, s’egli non avesse fatto prestamente uno sbalzo in addietro, è probabile che avrebbe scherzato per l’ultima volta. Lo sconosciuto vide allora che la cosa oltrepassava lo scherzo, cavò la sua spada, salutò il suo avversario, e si mise gravemente in guardia. Ma nello stesso tempo i suoi due uditori, accompagnati dall’oste, piombarono sopra d’Artagnan con gran colpi di bastone, di paletta e di molle. Ciò fece una diversione così rapida e così completa all’attacco, che l’avversario di d’Artagnan, nel mentre che questi si voltava per far fronte a quella grandine di colpi, rimetteva nel fodero la sua spada colla massima precisione, e, da attore, ritornava spettatore del combattimento, parte di cui si disimpegnava colla consueta sua impassibilità, mentre ciò non ostante brontolava:

    - Venga la peste a questi Guasconi! rimettetelo sul suo cavallo color d’arancio, e ch’egli se ne vada.

    - Non prima di averti ucciso! gridò d’Artagnan, mentre faceva fronte il meglio che poteva, senza rinculare di un passo, ai suoi tre nemici, che lo maltrattavano di colpi.

    - Ancora un’altra Guasconata! mormorò il gentiluomo. Sull’onor mio, questi Guasconi sono incorreggibili. Continuate dunque la danza, poichè egli vuole assolutamente ballare. Quando sarà stanco, egli dirà che ne ha abbastanza.

    Ma lo sconosciuto non sapeva ancora con qual genere di testardo aveva a che fare: d’Artagnan non era l’uomo da domandare mai grazia. Il combattimento continuò dunque ancora qualche secondo: finalmente, d’Artagnan spossato lasciò sfuggirsi la spada, che un colpo di bastone aveva troncata in due pezzi. Un altro gli colpì la fronte, e lo rovesciò quasi nello stesso tempo tutto insanguinato, e quasi svenuto.

    Fu in questo momento che da tutte le parti si accorse al luogo della scena. L’oste, temendo uno scandalo, trasportò coll’ajuto del suo servitore il ferito in cucina, ove gli furono usate alcune cure.

    In quanto al gentiluomo, egli era ritornato a prendere il suo posto alla finestra, e guardava con una certa impazienza tutta quella folla, che sembrava destargli una contrarietà nel rimanere in quel luogo.

    - Ebbene come va quell’arrabbiato? riprese egli voltandosi al rumore che fece la porta nell’aprirsi, indirizzandosi all’oste che veniva ad informarsi della sua salute.

    - È sana e salva vostra Eccellenza? domandò l’oste.

    - Sì, perfettamente sano e salvo, mio caro oste, e sono io che vi domando come va quel giovane.

    - Va meglio, disse l’oste, egli è del tutto svenuto.

    - Davvero? fece il gentiluomo.

    - Ma prima di svenirsi, egli ha radunate tutte le sue forze per chiamarvi, e per sfidarvi chiamandovi.

    - Ma dunque è il diavolo in persona, questo malandrino! gridò lo sconosciuto.

    - Oh! no, Eccellenza; non è il diavolo, riprese l’oste con una smorfia di disprezzo, perchè durante il suo svenimento noi lo abbiamo perquisito, e nel suo fagottino non ha che una camicia, e nella sua borsa non ha che undici scudi, cosa però che non gli ha impedito dire mentre cadeva in svenimento, che se una simile cosa fosse accaduta a Parigi voi ve ne sareste pentito sull’atto, nel mentre che qui voi non ve ne pentirete che più tardi.

    - Allora, disse freddamente lo sconosciuto, è qualche principe del sangue travestito.

    - Io vi dico questo, mio gentiluomo, riprese l’oste, affinchè voi stiate sulle difese.

    - Nella sua collera, ha egli nominato nessuno?

    - Sì, egli batteva sulla saccoccia, e diceva noi vedremo ciò che il signore de Tréville penserà di questo insulto fatto al suo protetto.

    - Il signor de Tréville? disse lo sconosciuto divenendo attonito; batteva sulla sua tasca pronunciando il nome del signor de Tréville?… Vediamo, mio caro oste, mentre che il giovane era svenuto, voi non sarete stato, ne son ben certo, senza guardare in questa saccoccia. Che cosa v’era?

    - Una lettera indirizzata al signor de Tréville, capitano dei moschettieri.

    - Davvero?

    - La cosa è come ho l’onore di dirvela, eccellenza.

    L’oste che non era dotato di una grande perspicacia, non notò l’espressione che le sue parole avevano impresso nella fisonomia dello sconosciuto. Questi lasciò il parapetto della finestra sul quale era sempre rimasto appoggiato colla punta del gomito, e aggrottò il sopracciglio come un uomo inquieto.

    - Diavolo! mormorò egli fra’ i denti; Tréville mi avrebbe egli inviato questo Guascone? questi è molto giovane! ma un colpo di spada è un colpo di spada, qualunque sia l’età di quello che lo dà, e si ha minor diffidenza in un ragazzo che in tutt’altro, basta molte volte un debole ostacolo per mandare a terra un gran disegno.

    E lo sconosciuto cadde in una riflessione che durò qualche minuto.

    - Vediamo, oste, diss’egli, non mi sbarazzerete voi da questo frenetico? in coscienza, ora non posso ucciderlo, e ciò non ostante aggiunse egli con una espressione freddamente minacciosa, ciò nonostante egli m’incomoda. Ov’è egli?

    - Nella camera di mia moglie al primo piano, ove è medicato.

    - I suoi arredi e il suo sacco sono con lui? ha egli seco il suo sajo?

    - Tutto ciò, al contrario, è disotto in cucina. Ma poichè v’incomoda questo giovane pazzo…

    - Senza dubbio. Egli cagiona nella vostra osteria uno scandalo al quale non saprebbero resistere le persone oneste. Salite nella vostra stanza, fatemi il conto e avvertite il lacchè.

    - Che il signore ci vuole lasciare di già?

    - Voi lo sapete bene, poichè vi aveva dato l’ordine di fare insellare il mio cavallo. Non sono io forse stato obbedito?

    - Certamente e, come vostra Eccellenza ha potuto vederlo, il suo cavallo è sotto la porta grande già apparecchiato per partire.

    - Sta bene, allora fate quanto vi ho detto.

    - Che! disse a se stesso l’oste avrebbe egli forse paura di quel ragazzo?

    Ma un colpo d’occhio imperativo dello sconosciuto venne a tagliar corto, egli salutò umilmente e sortì.

    - Non bisogna che Milady¹ si accorga di questo furbo, continuò lo straniero: ella non deve tardare a giungere; ella è già in ritardo. Decisamente val meglio che io monti a cavallo, e che vada ad incontrarla… Se potessi soltanto sapere ciò che contiene quella lettera indirizzata a Tréville!

    E lo sconosciuto, borbottando si diresse verso la cucina.

    In questo mentre l’oste, che non dubitava che fosse la presenza del giovane che scacciava lo sconosciuto dalla sua osteria, era risalito da sua moglie, e aveva ritrovato d’Artagnan padrone finalmente dei suoi sensi. Allora, facendogli comprendere che la polizia potrebbe fargli un cattivo partito per aver cercato contesa con un gran signore, poichè, secondo il parere dell’oste, lo sconosciuto non poteva essere che un gran signore, egli lo determinò, ad onta della sua debolezza, ad alzarsi e a continuare il suo viaggio. D’Artagnan mezzo sbalordito, senza sajo, e colla testa tutta ammaliata di fasce, si alzò adunque, e sollecitato dall’oste, cominciò a discendere; ma giungendo in cucina, la prima cosa di cui s’accorse fu del suo provocatore, che parlava tranquillamente appoggiato allo sportello di una pesante carrozza alla quale erano attaccati due grossi cavalli normanni.

    La sua interlocutrice, la di cui testa compariva incorniciata dalla portiera, era una donna dai venti ai ventidue anni. Noi abbiamo già detto con quale rapidità d’investigazione d’Artagnan abbracciava una intiera fisonomia; egli dunque vide a primo colpo d’occhio che la donna era giovane e bella. Ora questa bellezza lo colpì tanto più, inquantochè essa era perfettamente straniera ai paesi meridionali che fino allora erano stati abitati da d’Artagnan. Era una pallida e bionda signora, coi capelli arricciati cadenti sulle spalle, con grandi occhi blu languenti, colle labbra rosee e colle mani d’alabastro; ella parlava con molta vivacità allo sconosciuto.

    - Per tal modo, il ministro m’ordina… diceva la signora.

    - Di ritornare sull’istante in Inghilterra, e di prevenirlo direttamente se il duca lasciasse Londra.

    - E in quanto alle mie istruzioni? domandò la bella viaggiatrice.

    - Esse sono racchiuse in questo pacco, che voi non aprirete che giunta all’altra parte della Manica.

    - Benissimo; e voi cosa fate?

    - Io? io ritorno a Parigi.

    - Senza gastigare questo insolente ragazzo? domandò la dama.

    Lo sconosciuto stava per rispondere, ma al momento in cui apriva la bocca, d’Artagnan, che aveva tutto inteso, si slanciò sulla soglia della porta.

    - È questo insolente ragazzo che gastiga gli altri, gridò egli, e spero bene che questa volta quello che egli deve gastigare non gli scapperà, come la prima volta.

    - Non gli scapperà? riprese lo sconosciuto aggrottando il sopracciglio.

    - No, davanti una donna, voi non oserete fuggire, lo presumo.

    Pensate, gridò Milady vedendo il gentiluomo portare la mano alla sua spada, pensate che il più piccolo ritardo può perdere tutto.

    - Voi avete ragione, gridò il gentiluomo; partite dunque dalla vostra parte, io parto dalla mia.

    E salutando la dama con un segno di testa, si slanciò sul suo cavallo nel mentre che il cocchiere della carrozza frustava la sua pariglia. I due interlocutori partirono dunque al galoppo, allontanandosi ciascuno da una parte opposta della strada.

    - E le vostre spese? vociferò l’oste, in cui l’affezione per il suo viaggiatore si cambiava in uno sdegno profondo, vedendo ch’egli si allontanava senza saldare il suo conto.

    - Paga gaglioffo, gridò il viaggiatore, sempre galoppando, al suo lacchè, il quale gettò ai piedi dell’oste due o tre monete d’argento, e si mise a galoppare dietro al suo padrone.

    - Ah! vile, ah! miserabile, ah! falso gentiluomo gridò d’Artagnan slanciandosi dietro il lacchè.

    Ma il ferito era troppo debole ancora per sopportare una simile scossa. Appena egli ebbe fatto dieci o dodici passi, sentì un tintinnio alle orecchie, fu preso da un rivolgimento, una nube di sangue passò avanti i suoi occhi, e andò a cadere nel mezzo della strada gridando sempre:

    - Vile! vile! vile!

    - Egli di fatti è ben vile, mormorò l’oste avvicinandosi a d’Artagnan, cercando con questa adulazione di raccomodarsi col povero giovane, come l’airone della favola colla sua lumaca della sera.

    - Sì, ben vile, mormorò d’Artagnan, ma ella, ben bella!

    - Chi ella? domandò l’oste.

    - Milady, balbettò d’Artagnan.

    E si svenne una seconda volta.

    E lo stesso, disse l’oste: io ne perdo due, ma mi resta questo, che almeno son sicuro, di trattenere qualche giorno. Sono sempre undici scudi guadagnati.

    Noi sappiamo che undici scudi formavano precisamente la somma che restava nella borsa di d’Artagnan.

    L’oste aveva contato sopra undici giorni di malattia ad uno scudo il giorno; ma egli aveva contato senza il viaggiatore; l’indomani, alle cinque del mattino, d’Artagnan si alzò, discese egli stesso in cucina, domandò, fra gli altri ingredienti la di cui nota non è giunta fino a noi, del vino, dell’olio, del ramerino, e, con la ricetta di sua madre alla mano, si compose un balsamo col quale si unse le sue numerose ferite rinnovellando le sue compresse da se, e non volendo ammettere l’intervento di alcun medico. Mercè senza dubbio all’efficacia di questo balsamo della zingara, e forse anche mercè all’assenza di ogni medico, d’Artagnan si ritrovò in piedi fin dalla stessa sera, e quasi guarito l’indomani.

    Ma al momento di pagare questo ramerino, questo olio e questo vino, sole spese del giovane che aveva osservata la dieta la più assoluta; nel mentre che al contrario il cavallo giallastro, al dire almeno dell’oste, aveva mangiato tre volte più che non si sarebbe potuto supporre ragionevolmente dalla sua struttura, d’Artagnan non ritrovò più nella sua saccoccia che la piccola borsa di velluto rapato, unitamente agli undici scudi che conteneva; ma in quanto alla lettera diretta al sig. de Tréville, ella era sparita.

    Il giovane cominciò dal cercare questa lettera con una gran pazienza, girò e rigirò venti volte le sue saccocce, e i suoi saccoccini, frugò e rifrugò nel suo sacco, aprendo e richiudendo la sua borsa; ma allorquando egli fu convinto che la lettera non potevasi ritrovare montò in un terzo accesso di rabbia, che poco mancò non gli facesse aver bisogno di un nuovo consumo di vino e dell’olio aromatizzati, poichè, vedendo questa giovane testa riscaldarsi e minacciare di romper tutto nello stabilimento se non si ritrovava quella lettera, l’oste si era già provveduto di uno spiedo, sua moglie di un manico di scopa, e il servitore di uno di quei bastoni che avevano servito così bene l’antivigilia.

    - La mia lettera di raccomandazione, o per bacco, io v’infilo tutti come tanti ortolani.

    Disgraziatamente una circostanza sola si opponeva a ciò che il giovane potesse compiere la sua minaccia: ed era, come lo abbiamo detto, che la sua spada era stata spezzata nella sua prima lotta, cosa che egli aveva del tutto dimenticato. Ne resultò, che allorquando d’Artagnan volle, in fatti, sguainarla, egli si trovò puramente e semplicemente armato di un tronco di spada di circa otto o dieci pollici di lunghezza, che l’oste aveva con ogni cura rimesso dentro al fodero. Quanto al resto della lama, l’oste l’aveva destramente riposta colla idea di farne un coltello da cucina.

    Questo disinganno non avrebbe però trattenuto probabilmente il nostro giovane focoso, se l’oste non avesse riflettuto che il reclamo che gli veniva diretto dal viaggiatore, era perfettamente giusto.

    - Ma, al fatto, diss’egli abbassando il suo spiedo, ov’è questa lettera?

    - Sì, dov’è questa lettera? grido d’Artagnan. Primieramente io vi avverto che questa lettera è per il signor de Tréville, e bisogna ch’ella si trovi, o se non si trova, egli saprà bene farla ritrovare.

    Questa minaccia compiè d’intimidire l’oste. Dopo il re ed il ministro, il signor de Tréville era l’uomo il di cui nome fosse il più spesso ripetuto dai militari ed anche dai borghesi. Vi era pure il padre Giuseppe, è vero; ma il suo nome non era mai pronunziato che a bassa voce, tanto era il terrore che inspirava il frate grigio, come veniva chiamato il confidente del ministro.

    Così, gettando il suo spiedo lungi da se, e ordinando a sua moglie di fare altrettanto del suo manico di scopa, e ai suoi servitori dei loro bastoni, egli dette pel primo l’esempio mettendosi egli stesso a cercare la lettera perduta.

    - Questa lettera racchiude forse qualche oggetto prezioso? domandò l’oste dopo un momento di ricerche inutili.

    - Senza dirlo, lo credo bene! gridò il Guascone, che calcolava su questa lettera per fare il suo cammino per la corte; ella conteneva la mia fortuna.

    - Dei buoni sulla

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