L'Italia del dopoguerra nei ricordi di un giovane nettunese: Dal 1951 al 1964
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L'Italia del dopoguerra nei ricordi di un giovane nettunese - Gabriele Petriconi
978-88-9369-229-8
Prefazione
Figlio del dopoguerra, Gabriele Petriconi, ci racconta qui la sua personale ricostruzione, di pari passo a quella italiana, che lo porta ad affermarsi come individuo desideroso d’inserirsi a pieno titolo nella nuova Italia appena uscita dalle macerie di una tremenda guerra. Ci racconta la sua grande voglia di vivere una vita libera da ogni pregiudizio e bigotti comportamenti, ricca di soddisfazioni e di piaceri che la società consumistica che si andava sviluppando in quel periodo elargiva ai più capaci e volenterosi. Insomma, Gabriele incarna lo spirito e la moda del tempo caratterizzata da una forte volontà di riscatto sociale.
Proprio per raggiungere i suoi traguardi che lo portano a distaccarsi dalla massa di manovali, come egli usa chiamare i suoi amici a mo’ d’incoraggiamento, vive a pieno le proprie esperienze di studio e lavorative, a cui non manca il lato dei piaceri e delle piccole avventure proprie di un giovane desideroso, figlio di un cambiamento oltre che economico, morale e sociale che pervade la nuova società italiana. È spontaneo e sincero nel descrivere la società di quel decennio con tutti i suoi vizi, difetti e virtù. Inoltre, intreccia abilmente ricordi locali di gioventù con notizie di fatti e avvenimenti nazionali e internazionali accaduti in quegli anni. Si rivela anche un esperto di musica leggera e organizzatore e frequentatore di sale da ballo improvvisate.
Rivede il passato come un’immagine fotografica e la descrive nei minimi particolari. È proprio grazie a una sua strepitosa memoria, unita a un’alta sensibilità e grande spirito di osservazione che ci riporta indietro in quegli anni e ci fa rivivere con una prosa schietta e a volte poetica, per i più grandi di età, il nostro stesso passato giovanile nel quale ci identifichiamo facilmente.
Questo racconto di ormai antichi ricordi può essere anche utile ai più giovani che non hanno vissuto in quegli anni per insegnare loro che per riuscire ad affermarsi in questa società occorre grande forza di volontà, impegno e sacrificio, così come ce l’ha chiaramente descritto Gabriele Petriconi in questo libro.
Pio Trippa
Introduzione
Ripensando ai miei anni passati, mi accorgo di quanto sia lontano quel tempo. È curioso: quei ricordi mi appaiono come se fossi là ancora bambino in quel lontano 1951.
Rivedo i colori della terra, il verde dirompente dei boschi, l’erba che a primavera si lasciava accarezzare dal dolce vento. L’aria d’estate, piena di sole e di mare, ci rallegrava ricompensandoci del freddo inverno.
L’autunno poi iniziava a tingere di un giallo rossiccio tutta la vegetazione che avvolgeva il paese e il suo territorio.
Di tanto in tanto la grigia stagione ci bagnava con le sue giuste piogge. Non riesco a cancellare quei ricordi della mia fanciullezza vissuta con una gioia particolare.
Era l’Italia del dopoguerra; s’iniziava a vivere una libertà nuova prima negata ai nostri genitori dove noi bambini crescevamo serenamente, pur se con pochi mezzi ci inventavamo di tutto per poter giocare. Si era capito di aver perso ogni cosa a causa della guerra e che si doveva ricostruire tutto.
Se fosse perdurato quel vecchio stato sociale saremmo stati spacciati. Quando i nostri concittadini e tra questi la mia famiglia rientrarono a Nettuno, dopo l’esodo forzato sui monti a noi vicini o nelle regioni del sud Italia, questi trovarono poco o niente di quel che restava delle loro case e di quelle poche cose lasciate in balia dei bombardamenti o di sciacalli senza scrupoli.
La città era semidistrutta: il borgo, a mare e a terra, era stato bombardato, il Forte Sangallo danneggiato, la via principale (la passeggiata) distrutta, il quartiere di Santa Barbara da bonificare per i residui bellici lasciati sul terreno nascosti tra i cespugli. Il territorio del Centro Esperienza (Poligono) e le campagne erano da sminare, il percorso fognario da ripristinare, le vie di comunicazione dissestate e senza asfalto e le case per i senza tetto da ricostruire.
Tutta l’Italia era in queste condizioni. Allora cosa fare? I nostri nonni, i nostri genitori e in seguito anche noi, come si usa dire, ci rimboccammo le maniche ricominciando tutto daccapo. Si deve ammettere che il piano Marshall inizialmente ci aiutò e che successivamente noi, con una laboriosità mai vista prima, facemmo esplodere il commercio, l’artigianato, l’edilizia, l’industria, l’agricoltura e anche la cultura.
Finalmente dopo anni bui riscoprimmo il tempo libero. Tutto questo migliorò pian piano la vita degli italiani. I sei anni che ci dividevano da quel famoso 1944, furono spesi per il riorganizzarsi: possiamo asserire oggi che questi furono l’anticamera del benessere collettivo.
1951
Era il 1951, ascoltavamo alla radio oltre che i notiziari anche canzoni di musica leggera, e grazie a essa il popolo si distraeva. Gli interpreti più seguiti erano Beniamino Gigli, Alberto Rabagliati, Flo Sandon’s, Nilla Pizzi, Gino Latilla e Luciano Tajoli. Inoltre un giovane cantante di stornelli si stava facendo conoscere nelle osterie romane o nelle feste rionali: era Claudio Pica.
Già nel 1946 in una trasmissione radiofonica riscosse un buon successo, e nel 1947 incise il suo primo disco con l’etichetta Parlophon cambiando il suo nome per diventare definitivamente Claudio Villa. Nel gennaio del 1951 nasce a Sanremo il primo festival della canzone Italiana. La radio trasmette soltanto la serata della finale, dalle 22 alle 23. Pensate invece che oggi va in onda in Eurovisione per un’intera settimana! Vinse quella prima competizione la giovane Nilla Pizzi, con il brano Grazie dei fiori. Gli artisti che si esibirono furono tre, oltre alla Pizzi, Achille Togliani e il Duo Fasano. La manifestazione non era vinta dal cantante bensì dalla canzone, com’è ancora tutt’oggi. Questa competizione canora fu realizzata per allietare la clientela del casinò municipale della città dei fiori con lo scopo di arginare la concorrenza del vicino Principato di Monaco.
Nel campo cinematografico il regista Alberto Lattuada gira il film Anna, con la bellissima attrice Silvana Mangano, fu il primo film italiano del dopoguerra a incassare un miliardo di lire.
La Mangano, bravissima, eseguì in questa pellicola un ballo appena importato dall’America: il mambo.
Amedeo Nazzari è l’attore protagonista di I figli di nessuno, film che fa versare agli italiani fiumi di lacrime.
La cinematografia è in uno sviluppo pazzesco; il filone è quello del cultural-popolare. Si finiscono di girare in quest’anno film che si ricordano ancora oggi come: Bellissima con Anna Magnani, Bellezze in bicicletta con Delia Scala e Silvana Pampanini di cui alcune scene con le cosce al vento di lei sono girate sulla nostra strada: la Nettunense. Si gira Luci del varietà con Giulietta Masina, Carla Del Poggio e un giovane Peppino De Filippo. I registi sono Lattuada e un giovane vignettista suo aiuto-regista Federico Fellini. Gli attori Totò e Aldo Fabrizi, provenienti dall’avanspettacolo, si dedicano al cinema, e nel famoso film Guardie e ladri interpretano rispettivamente il ladro e la guardia. I nuovi registi sono ispirati dal pensiero culturale neorealista. De Sica con Zavattini girano tra il 1950 e l’inizio di questo 1951, rispettivamente Ladri di biciclette e Miracolo a Milano.
I nettunesi frequentano numerosi le nostre sale cinematografiche. Un cinema era situato davanti al forte Sangallo e difatti portava il suo nome: Il Sangallo, l’altro stava in via Romana e si chiamava: Cinema Arena, perché aveva un’arena all’aperto dove si potevano vedere i film durante l’estate.
La nostra città si stava incamminando verso un cambiamento generale e un contributo a questo lo diedero senz’altro i tre grandi insediamenti sul nostro territorio: il Poligono di tiro,
la Caserma Piave e il Cimitero Monumentale americano.
In questo scenario post bellico, un ruolo importante per la crescita economica di Nettuno lo svolge in quegli anni la Cassa Rurale e Artigiana fondata il 23 agosto 1899 dal capitolo della Collegiata di san Giovanni con il nome di Cassa Rurale di Depositi e Prestiti S. Isidoro Agricola, che diventerà poi Cassa Rurale e Artigiana e, in anni più recenti, Banca di Credito Cooperativo. Compito di questa Banca è sempre stato quello di aiutare il settore dell’agricoltura e della viticoltura, nonché dell’artigianato nettunese.
In quegli anni l’economia, messa in ginocchio dalla guerra, stenta a ricrescere e svilupparsi, anche perché Nettuno aveva un’economia prevalentemente agricola. Ma è proprio da questi primi anni cinquanta che si comincia a vedere un cambio di direzione economica con una diversa gestione del territorio da parte degli amministratori locali. La proprietà fondiaria inizia rapidamente, e forse maldestramente, a frazionarsi, trasformandosi in lotti destinati all’edificazione con il risultato di un’espansione che ha creato grandi quartieri in periferia, sottraendo così vaste aree all’agricoltura. Il paese in quest’anno ancora non ha l’acqua potabile nelle case. Soltanto poche famiglie hanno un bagno, mentre le altre avevano una latrina perlopiù collocata all’esterno o sul balcone. Non tutte le case avevano un impianto d’illuminazione né tantomeno a gas. Certamente il nostro paese aveva bisogno di una ricostruzione rapida e di modernizzazione totale. In tutto questo, la Cassa Rurale e Artigiana svolge un grande ruolo di supporto con crediti e piccoli mutui ai commercianti, artigiani e costruttori. Ed essendo Nettuno una cittadina con un turismo balneare stagionale, i prestiti erano concessi soprattutto nel periodo invernale per essere poi ripagati durante il periodo estivo. In tal modo, la Cassa Rurale e Artigiana contribuì a risollevare l’economia locale e dare una risposta a quella sete di modernizzazione che i nostri padri auspicavano da tempo.
Nel frattempo, grazie alle vie di comunicazione su gomma come la Roma-Velletri e la via Nettunense, oltre che a quelle su strada ferrata, si andò diffondendo il pendolarismo. Nella capitale la mano d’opera in campo edilizio era richiestissima e dalla nostra Nettuno partivano i maestri o mastri muratori, i maiolicatori, i cementisti e i manovali. Essi contribuirono soprattutto alla ricostruzione post-bellica della città eterna ma anche all’espansione delle nuove città di Latina, Aprilia e Pomezia. Il lavoro non mancava e l’accogliente Nettuno cresceva a dismisura. Arrivarono famiglie dal sud Italia, prevalentemente dalla Campania, dalla Calabria e dalla Sicilia. Un esempio d’integrazione commerciale fu quello dimostrato dalla famiglia Lombardi che dalla vinaccia estraeva: grappa, spirito, aceto e altre cose, impegnando e dando lavoro a numerosi operai. Altri nuclei familiari sempre provenienti dal nostro meridione s’insediarono nel nostro paese e ben presto nel tessuto sociale contribuendo allo sviluppo della città con il lavoro nei campi, nella muratura e nel settore commerciale. Aprirono pizzerie, forni e negozi di tessuti partecipando attivamente alla rinascita della nostra Nettuno.
Dopo un solo anno da primo cittadino conferito al principe Don Steno Borghese dal 1944 al 1945, gli successe alla guida della nostra amministrazione Pietro Comastri, anch’esso però per un solo anno fino al 1946. Dal 1947 al 1952 il nuovo sindaco fu Mario De Franceschi che guidò una giunta formata dal P.C.I., P.R.I., P.S.I. e dal P.N.M. Questa amministrazione post-bellica si dedicò al rifacimento delle strade primarie e alla costruzione delle case popolari di Tre Cancelli e di S. Barbara per