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Non aspettavo che te
Non aspettavo che te
Non aspettavo che te
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Non aspettavo che te

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Non aspettavo che te

I pantaloni a zampa strisciano sull'asfalto senza far vedere la luce del sole alle gazelle bianche che camminano fino alla fermata del pullman come ogni mattina.

Il sole accecante illumina i cartelloni pubblicitari; Luisa, di corsa, non vede un cartone nel quale sprofonda un piede per poi scivolare e finire per terra.

Questa è una di quelle mattine dove tutto sembra andare storto come quando decidi di andare al mare e la nuvola di Fantozzi ti segue ovunque! Ma proprio quando vedi tutto grigio succedono i colori della novità e nella sfiga ti può raggiungere la fortuna di essere aiutata da un tipo con gli occhi a mandorla, neri, bellissimo, dal sorriso a spicchio di luna candido e attraente.

Luca è tornato da Los Angeles per il matrimonio di sua sorella. Striscia la valigia sull'asfalto e dietro i suoi rayban nota una bellezza dai capelli rossicci raccolti in una treccia di lato. Meravigliosa e diversa dal tipo di donna nella quale si cimenta di solito. È completamente catturato, tanto da dimenticare tutto e tutti, l'unico obiettivo è quello di conoscerla.

Un passo, due, tre neanche la raggiunge che non la vede più: è finita per terra. Lascia la valigia, come capita, per soccorrerla.

Occhi negli occhi: lei verdi come il mare di Taranto, Lui neri come la notte che fascia di eleganza il ponte girevole. Sembrava un giorno come tanti e invece qualcosa di esplosivo è nato.

Questa è una storia d'amore un po' d'altri tempi dove il corteggiamento è importante, il sesso non è un gioco e le promesse sono come tatuaggi sul cuore.

Questa è la storia di due anime diverse nate per incontrarsi, completarsi e amarsi per sempre.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateSep 17, 2019
ISBN9788831638807
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    Book preview

    Non aspettavo che te - Lorena Cicirello

    Cicirello

    1

    Questi sono i momenti che amo!

    Sentir scorrere la freschezza dell’acqua sul mio viso, dove posso chiudere gli occhi e assaporare un certo benessere che, quasi, mi fa sentire libera.

    Sarebbe bello godere di questi momenti in santa pace.

    Sarebbe bello se vivessi sola e senza nessuna seccatura.

    Neanche insapono la prima gamba, che tutto questo, viene puntualmente interrotto dalla persona che più mi ostacola al mondo: mia madre!

    «Luisa ancora per molto? Ti ricordo che in questa casa viviamo in tre. SBRIGATI!» bussa e ribussa all’impazzata!

    E così la mia doccia mattutina diviene un qualcosa di stressante.

    «Mamma... ho finitooo!» grido angosciata. Finalmente i suoi passi si allontanano, accompagnati da un mormorio petulante.

    Che rottura penso uscendo dalla doccia.

    Dopo aver indossato le mutandine bianche con fiocchettini gialli, indosso anche l’accappatoio ed esco dal bagno. I capelli li lascio sciolti lungo la schiena.

    «Ehi pazza, dove vai con i capelli bagnati?» fulmino mio fratello con lo sguardo. «E tu dove vai con quel cemento in testa?» gli dico senza neanche guardarlo e dopo avergli dato una spallata e sentito la sua risatina del cavolo divertita, mi chiudo nella mia camera sbattendo la porta.

    È inutile, non lo sopporto proprio!

    Io, spesso mi chiedo una cosa... ma perché devo dare conto di quello che faccio a tutti?

    Ora, non si è più liberi neanche di stare con i capelli bagnati.

    Ma sai che ti dico Giordano? Vai a quel paese tu e la tua gelatina a leccata di mucca che ti ritrovi in testa, appiccicosa solo a guardarla. Potrebbero innalzarci un palazzo la sopra!

    Lui è mio fratello, lo so che dovrei amarlo, ma... come posso avvicinarmi a un ghiacciolo? Anzi no, direi proprio a un iceberg? Freddo da far venire i brividi solo a pensarlo.

    E non solo...

    Il suo sentirsi unico, lo porta a sminuire chiunque gli si avvicini, si sente il re dell’universo.

    Fosse bello...!

    È un nanerottolo di vent’anni, con i muscoli artificiali e con la stanza strapiena di trofei! È campione di Karate.

    Mia madre lo adora.

    Giordano fa tutto quello che mia mamma gli ordina per la sua vita, ed è motivo di soddisfazione per lei, visto che pensa ai figli, come una sua proprietà!

    «Io vi ho portato in grembo e cresciuto con tanti sacrifici, quindi ho il diritto di indicarvi la cosa giusta da fare» ecco quello che dice ogni volta che non l’ascolto. «Grazie per avermi fatta nascere e cresciuta, però ricordati che ora sono grande e soprattutto che la vita è mia!» replico sempre così.

    La lotta con il cespuglio che mi ritrovo sulla testa in questo momento penso di non vincerla. Stamattina, lo scirocco, è veramente snervante e i miei capelli gonfi, ricci e crespi ne sono testimoni. Sono abituata, mi capita spesso e ogni volta passo al piano B: prendo il mio solito elastico con fiore verde, mi lego una treccia di lato.

    Una volta aggiustati i capelli, inizio la ricerca delle mie gazelle bianche che puntualmente trovo sotto il letto... come sempre.

    Classico di noi artisti, il nostro ordine vive nel nostro disordine! Mia madre odia questo mio lato. Ha provato in tutti i modi a farmi diventare ordinata... fallendo!

    Neanche i tremila compiti domestici che mi affibbiava ogni estate nella casa al mare, da zia Diletta, erano riusciti a cambiare questo mio essere fuori dal comune... in tutti i sensi.

    Recupero le mie scarpe, le infilo ai piedi abbinandole a una magliettina verde e a un pantalone a zampa dignitoso. Bello e lungo. No come quelli che mi comprava mia madre, così corti da far sembrare che si fosse allagata la casa!

    Sono alta 1 e 85 cm, quindi, ogni volta è una tragedia trovare un pantalone a zampa lungo abbastanza fino a coprire le scarpe. Spesso mi sento dire ma sono fuori moda e chi ha detto che io voglio seguire la massa? Lascio fare i manichini agli altri, invece io, il mio stile, voglio che sia unico.

    Che mi rappresenti... ecco!

    Finalmente sono pronta, esco dalla mia camera e mentre scendo le scale incontro nuovamente il mio adorato fratello: «Ehi... ma quella maglietta è un pugno nell’occhio, con i tuoi capelli rossi stona! Sembri uno spaventapasseri sai?» inizia a ridere. Mi ha veramente stancata. Voltandomi incontro il suo viso, lo fisso negli occhi color ghiaccio come il suo cuore, alzo il dito medio accompagnato da un «fottiti stronzo!» e lo lascio di sasso.

    Mia madre dal piano di sopra ha sentito tutto, inizia a gridare, sento i suoi passi scendere le scale. Senza problemi esco di casa soddisfatta, con la consapevolezza però che stasera saranno paranoie.

    Il sole accarezza il mio viso, chiudo gli occhi, mi godo quel calore rilassante sulla mia pelle. Li riapro e per poco mi prende un infarto, il pullman si avvicina sempre di più e io sono ancora lontana dalla fermata. Inizio a correre veloce con la speranza di riuscire a prenderlo.

    Impegnata nella mia corsa contro il tempo, non vedo un cartone, ci metto nettamente un piede sopra, scivolo e cado di sedere per terra.

    Se in questo momento mi dicessero sei morta ne sarei felice e adesso chi si alza da qua? Per la figura pessima, preferirei restare stesa su quest’asfalto bollente, per sempre.

    Il mormorio e le risatine intorno a me, iniziano a insinuarsi non solo nelle mie orecchie ma in tutto il mio essere. Sento le lacrime raggiungermi gli occhi e le trattengo. Tutti ridono ma nessuno ha la decenza di aiutarmi; siamo messi proprio male!

    Che ingiustizia! Io a venticinque anni devo prendere l’autobus e quel pallone gonfiato di mio fratello a soli vent’anni, ha già la macchina. Giordano si è diplomato col massimo in ragioneria, se la merita ecco le parole di mia madre che non ha mai accettato la mia scelta di studiare al liceo artistico.

    Le risate si sono attenuate e il pullman ormai è andato. Appoggiata al coraggio che non ho, cerco di alzarmi.

    Una mano s’insinua sotto il mio braccio, stringe la presa e cerca di sollevarmi da terra. Alzo la testa per vedere chi è. Allibita, sgrano gli occhi davanti a un volto sconosciuto!

    Abbasso subito lo sguardo. «Aiutami, da solo non penso di farcela» dice con sforzo. Piena d’imbarazzo, rialzo lo sguardo, mi appoggio a lui e facendo forza sulle mie gambe ritorno in piedi. I miei occhi sono completamente nel suo sguardo. Sorride: «Ti sei fatta male? Hai preso una bella botta eh!» mi dice dolcemente strizzando l’occhio.

    Davanti a un sorriso così... e due occhi così... e due labbra così... così... scuoto il capo per far spezzare quei pensieri, non rispondo, neanche lo ringrazio e scappo via.

    Mentre corro verso casa, il senso di colpa si fa strada dentro me, perché sento, di esser stata una vera maleducata.       Effettivamente potevo almeno ringraziare.

    Pazienza, tanto non lo rivedrò mai più.

    Come un tornado, veloce, entro nel garage e prendo la bici. Sulla strada verso il lavoro, il sorriso del tipo gentile di prima, mi torna in mente e una stretta allo stomaco per poco mi fa sbandare.

    2

    Di solito andare in bici mi rilassa, ma oggi per poco mi viene un infarto per come pedalo veloce!

    Cavoli! È veramente tardi.

    Adesso mi toccherà sopportare Bernardo... uffa...

    Parcheggio la bici, la lego al palo con una catena e mi precipito nello studio fotografico.

    «Sono arriv...» neanche finisco di parlare che una voce mi assale: «Ti rendi conto Luisa di che ore sono? Oggi abbiamo un matrimonio! È tardissimo cavolo!!!»

    Cerco di biascicare qualcosa per scusarmi ma, bruscamente Bernardo mi afferra dal braccio e mi trascina sul furgoncino dello staff.

    Che tipo! Menomale che ci sono anche Ramona e Roberto, altrimenti chi se lo sopportava da sola a questo!

    Tutto serio al volante, per il nervoso, suda e sbuffa di continuo. Il suo borbottare emanato da quella bocca sommessa da dei baffi biondo escremento di piccione, non fa altro che farci salire l’ansia. Bevo un po’ di coca cola, giusto per ridare vigore alle corde vocali, rinsecchite a causa della situazione lugubre.

    All’improvviso Bernardo si volta verso di me: «SENTI!» sobbalzo dal sedile per la paura.

    La bibita era ormai chiusa, altrimenti avrei fatto un bel casino. «Bernardo ma che vuoi stamattina?» stizzita, lo guardo a braccia conserte.

    «Non potevi vestirti più elegante? Ti ho sempre detto che quando siamo di matrimonio devi vestirti meglio! Sembri un’adolescente incastrata nel corpo di una donna. Cerca di crescere sai?» ritorna con gli occhi sulla strada dopo aver dato aria, inconcludente, a quella boccaccia. Gira il volante a sinistra, bruscamente, facendoci per poco finire di testa sulla portiera.

    In questo momento ho qualche dubbio sul fatto che lui non faccia uso di qualcosa: ma dico, non sta bene?

    Lo guardo da sopra a sotto e scuoto il capo, allibita. Questo cafone non è degno di una mia replica. Pallone gonfiato in tutti i sensi. Ha pure il coraggio di parlare del mio modo di vestire, dopo che lui si veste come un nonno: la camicia color zenzero ammuffito che indossa in questo momento ne è la prova.

    Roberto con aria dispiaciuta interviene: «Dai Bernardo, ognuno ha il suo stile, poi Luisa è bellissima anche così.»

    Il capo lo guarda dallo specchietto retrovisore, la sua bocca si veste di un sorriso non felice: «Sì proprio bellissima!» borbotta prima di tornare alla sua solita espressione da orso pensionato.

    Non so se odiare di più Bernardo per il suo sminuirmi di continuo o Roberto, il quale ogni volta si fa gli affari miei. Una cosa la so... ed è, che finalmente siamo arrivati. Era ora.

    Piena di nervosismo, scendo da quel furgone anni Cinquanta. Abbasso il capo per sistemarmi la zampa dei jeans.

    «Finalmente sono arrivati! Ma come si fa» il parlottare degli invitati cresce sempre di più «la sposa è arrivata e loro fanno con comodo.»

    Tutti e quattro ci guardiamo per un attimo, esterrefatti.

    «Dopo faremo i conti» Bernardo mastica con voce sommessa prima di andare dagli sposi per scusarsi.

    Gli occhi degli invitati sono tutti su di noi. Ramona sorridendo entra in chiesa, Roberto lo stesso ed io dietro di loro come se nulla fosse successo.

    Il fiato sul collo non manca di certo. Mentre posiziono le luci, una signora anziana, forse la nonna della sposa, ha deciso di stressarmi la vita: «Signorina le luci, no di qua! Io sono anziana, mi danno fastidio» annuisco, afferro l’asse e le sposto. «No per carità così frontali!!! La luce mi andrebbe negli occhi e io mi sono operata di catar... catarre... cata… beh! Vabbè! Mi hai capita giusto? Spostale e subito!» la fisso per un attimo. Sorride. Io no.

    Gli sposi attendono spazientiti, i miei colleghi hanno finito di sistemare ed io, sono ancora qui, a lottare con una vecchietta viziata. Oh... quanto vorrei staccarle quel cappello a forma di formaggio dalla testa!

    «Signora la cerimonia sta per iniziare, le luci devono stare qui, mi spiace» le spiego gentilmente, mi ricambia con una brutta espressione sul volto: corrugata e indignata.

    Ma chi si crede di essere?

    «Sì certo. Vada pure. Menomale che non è il matrimonio di mia nipote e che sono solo un’amica di famiglia altrimenti... lei poteva iniziare a cercarsi un altro lavoro. INCOMPETENTE.» La marcia nuziale impila le ultime parole della vecchietta ed io reprimendo il mio istinto omicida, ingoio la pillola amara e raggiungo i miei colleghi.

    Dolcemente il padre della sposa, accompagna la figlia dal suo sposo, le alza il velo dal volto per lasciarle un bacio in fronte.

    Un’emozione sale nel mio cuore.

    Gli sposi s’incamminano insieme verso l’altare.

    La sposa è bellissima: indossa un abito bianco, semplicissimo; l’acconciatura anni Quaranta le dona molto e risalta la sua bellezza raffinata e poco truccata.

    Il quadro sarebbe perfetto se non fosse per lo sposo: basso, anzi no... bassissimo. I miei occhi provano compassione mentre osservano le ballerine indossate dalla sposa. Non per scelta evidentemente. L’agitazione s’impossessa di me, perché in questo momento ho capito che un domani sarà dura, vista la mia altezza, trovare uno più alto sarà una vera impresa. Quindi è meglio non farsi meraviglie, perché la stessa sorte potrebbe toccare anche a me: abito da sposa, stupendo e lungo abbinato a delle ballerine... NO!!! Piuttosto mi sposo scalza!

    Assorta nei miei pensieri soliti, strani, contrastanti, una voce raggiunge il mio orecchio: «Non è gentile scappare e non ringraziare qualcuno che ti ha aiutata.» Ma chi è? Mi giro di scatto...

    «Ciao, oggi ci incontriamo spesso eh?» lo fisso. Non riesco a dire niente davanti al suo sorriso smagliante.

    Il calore abbraccia il mio corpo, un tremolio raggiunge le mie gambe e non riesco a capire il perché! Non avevo mai provato nulla di simile fino ad ora. Sembrerò davanti ai suoi occhi una sciocca. Distolgo lo sguardo e piena d’imbarazzo gli parlo: «Scusami, stamattina andavo di fretta! Infatti, per colpa mia abbiamo... abbiamo... abbiamo, appunto fatto tardi!» Sento che sorride ed io perdo un battito.

    «Tranquilla la sposa è mia sorella, le spiegherò tutto... ok?»

    «Ok... grazie» dico fredda.

    Raccoglie la mia mano sfiorando leggermente il mio fianco e si presenta: «Io sono Luca e mi piacerebbe sapere il tuo nome e...» sfilo la mia mano dalla sua e mi volto.

    Sento la sua presenza sempre più vicina alle mie spalle, le sue labbra sussurrano al mio orecchio: «Prima o poi scoprirò il tuo nome... Stanne certa!» lasciandomi di stucco.

    Luca

    Che silenzio... tutti dormono! Certo che prendere l’aereo il giorno prima del matrimonio è da pazzi!

    Intanto non potevo fare altrimenti con il mio lavoro.

    Guardo fuori dal finestrino e penso a mia sorella: sarà bellissima in abito bianco.

    Malinconico, penso a quando eravamo piccoli e quasi mi scende una lacrima.

    Sono felice per lei. Ha trovato un bravo ragazzo che la renderà felice. Ne sono sicuro.

    Allora perché questa malinconia? Forse perché, solo ora mi sto rendendo conto che, lavorando fuori, le ho dedicato poco tempo e senza che me ne accorgessi è diventata una donna.

    «Signore stiamo per atterrare.»

    Alzo il capo: «OK grazie» sorrido alla hostess e allaccio la cintura.

    Ogni volta che torno da Los Angeles, la mia famiglia viene a prendermi dall’aeroporto. Triste, noto che questa volta non è così. Un po’ fa male. Sì lo so che oggi è il matrimonio di mia sorella e che davanti a questo tutto passa in secondo piano ma... fa male lo stesso non trovare nessuno ad accoglierti.

    Pieno di stile entro in un taxi inforcando i Ray-Ban a goccia sul mio naso.

    «Dove la porto signore?»

    Lo guardo felice: «Gentilmente mi porti a Taranto...» e così che ci muoviamo da Bari per raggiungere la mia città.

    Se non fosse per la disoccupazione e per la crisi economica che attanaglia l’Italia, sicuramente, non sarei mai andato via.

    Purtroppo una volta laureato con il massimo dei voti in architettura, ho capito che per lavorare dovevo partire... è per questo mi sono trasferito negli Stati Uniti.

    In questo momento mentre passiamo sul ponte girevole, i miei occhi divengono lucidi. Ricordo quando i miei genitori ci portavano a visitare il Castello Aragonese: non potrò mai dimenticare la gioia di quei giorni. Giada era piccola sempre in braccio a mia mamma e io sempre incollato a mio padre, il mio grande eroe.

    Superato quel tratto con il taxi, arriviamo sul lungomare e altri ricordi bussano alla mia mente. Ricordi che preferisco dimenticare. Ogni volta mi chiedo: come ha potuto farmi una cosa del genere? Solo pensarla m’innervosisce parecchio e spero di non incontrarla.

    Eravamo più giovani e appoggiati a quelle ringhiere, guardavamo il mare, insieme... abbiamo tanto riso e ci siamo amati, ma poi è finita in un modo bruttissimo: come un bicchiere che cadendo dal tavolo finisce per terra sgretolandosi in mille pezzi. È finita così.

    Malinconico guardo il monumento dei marinai. Io amo molto la mia città, specialmente il centro, anche se casa dei miei è in periferia.

    Il sole è penetrante, si muore di caldo e inchiodati nel traffico l’afa diventa quasi insopportabile.

    «Scusi, potrebbe andare più veloce? Sa... oggi è il matrimonio di mia sorella…»

    L’autista perplesso mi guarda: «Sua sorella si sposa oggi pomeriggio?»

    Guardo l’orologio: «No! Si sposa esattamente fra un’ora!»

    L’autista mi guarda dallo specchietto retrovisore, sbigottito, sicuramente mi avrà preso per pazzo. E come dargli torto!

    «Dai signore non si preoccupi. Farò di tutto per farla arrivare in orario... mi dica dov’è la chiesa?»

    Mi guardo da sopra a sotto e rispondo: «Con i bermuda di jeans e la maglietta a fiori non mi sembra il caso! No... le dico dov’è casa dei miei» sorrido.

    Dopo tantissimo traffico e nervosismo finalmente vedo da lontano la villa dei miei genitori: «Senta, mi può lasciare qui. Ho bisogno di andare un attimo al tabacchino.»

    «Certo signore» accosta.

    Gli porgo i soldi, mi guarda stranito: «Tranquillo, i bagagli li prendo da solo e grazie» pacca sulla spalla e scendo dal taxi.

    Dopo aver comprato le sigarette, mi dirigo a passo veloce sulla strada che porta verso casa. Guardo nuovamente l’orologio...

    È tardissimo!

    Apro il pacchetto in modo frenetico, sfilo una sigaretta e l’appoggio tra le labbra; abbasso il capo per accenderla.

    Aspiro il fumo e nel rialzare il capo, il mio sguardo viene catturato da una bellezza di quasi due metri: incantato, la scruto da sopra a sotto.

    Fermo come un carciofo, butto via il fumo dalla bocca consapevole del fatto che una ragazza così bona non la si incontra tutti i giorni.

    È bellissima!

    Ha i capelli ramati raccolti in una treccia di lato, legati da un fiore verde che si abbina alla maglietta...

    Sembra ben proporzionata, deve avere due bei seni! Scuoto il capo: come al solito i miei pensieri vanno sempre per conto proprio. Non cambio mai... non cambio mai! Continuo ad accarezzarla con gli occhi.

    È slanciata, non magrissima, anzi ben fatta. Ha due fianchi, belli, proprio da acchiappare. Il suo stile non mi entusiasma, però devo ammettere che le dona.

    Figurati... su una bellezza del genere anche una busta diventerebbe un abito da sera. Stupenda!

    Lo so che è tardi, ma... non posso non avvicinarmi. Devo assolutamente conoscerla!

    Butto la sigaretta. Mi passo la mano tra i capelli e alzo gli occhiali sul capo: i miei occhi la conquisteranno di certo.

    Sorrido, giusto per farle notare i miei denti bianchissimi: le donne ne vanno matte, è il primo complimento che mi fanno, ogni volta.

    Con passo deciso, trascino la valigia e continuo ad avvicinarmi. Sono sicuro di portarmi il suo numero a casa!

    La distanza che ci separa ormai è poca. Soffio un po’ d’aria nella mano chiusa in un pugno e la inspiro, giusto per capire in che condizione è il mio alito dopo un viaggio. Profuma come sempre. Compiaciuto, rido tra me e me. Ritorno con i miei occhi sulla ragazza... ma dov’è? Abbasso lo sguardo e la ritrovo stesa per terra. Nel vedere quella scena, mollo la valigia dove capita e mi precipito ad aiutarla.

    Corro subito, la prendo dal braccio e cerco di sollevarla.

    Appena si gira i nostri sguardi s’incontrano.

    I miei occhi riflettono nel suo sguardo. Ammutolito, deglutisco e cerco di mantenere la calma in mezzo a una guerra interiore di emozioni, non indifferente.

    Non ho mai visto due occhi così profondi e belli! Il mare non è niente in confronto alle sue iridi verde smeraldo.

    Imbarazzata, distoglie lo sguardo. Faccio presa sotto il suo braccio e cerco di sollevarla da terra: «Aiutami, da solo non penso di farcela» le dico mentre ammiro le lentiggini che ornano le sue gote, tonde e disegnate.

    Rialza lo sguardo e si appoggia a me. È completamente unita al mio petto, spero solo che non senta i battiti accelerati del mio cuore, non vorrei sembrare un debole; cavolo!

    Ritornata in piedi, non riesco a staccare gli occhi da quel verde che ormai mi ha catturato, incatenato... mi sono perso nei suoi occhi. Sorrido: «Ti sei fatta male? Hai preso una bella botta eh!» le dico strizzando l’occhio.

    Non mi risponde. S’irrigidisce e senza neanche ringraziarmi, si stacca da me e scappa via.

    Esterrefatto non riesco a crederci; per la prima volta nella mia vita non sono riuscito ad avere il numero di una ragazza. Deve ringraziare che è tardi altrimenti le sarei corso dietro.

    Deluso, mi rigiro per andare a recuperare la mia valigia abbandonata al centro strada.

    Sovrappensiero, con il viso cupo, mi trascino fino alla porta di casa ed entro.

    «Benvenuto Luca» si avvicina mia madre arrabbiata!

    «Ti sembra normale arrivare a quest’ora? No dico ma... hai visto l’orario? È tardi! Sei il testimone e...»

    La guardo... è meravigliosamente elegante nel suo abito celestino. Non le permetto di finire la frase e la stringo tra le mie braccia: «Mamma mi sei mancata!»

    Ricambia l’abbraccio: «Anche tu Luca a mamma» un attimo di dolcezza, di respiro materno e calore.

    Mi è mancata da morire.

    Due minuti le sono bastati, una volta staccata da me prende fiato dall’emozione e... «Vai a cambiarti subito!» mi comanda! Al suo solito. La guardo teneramente e sorridendo, sugli attenti le dico: «Ok comandante» mi dileguo dopo averle strappato un sorriso.

    Una volta indossato il mio smoking, scendo in salone, nel quale una certa agitazione mi risucchia come un vortice in mezzo al mare.

    Incontro mio padre sotto l’arco che porta in soggiorno. Dopo esserci scambiati un sorriso, ci abbottiamo una pacca sulla spalla; entrambi siamo più tesi di un palo piantato nell’asfalto al centro strada. In fondo... Chi non lo sarebbe? La sua unica figlia femmina, nonché mia sorella, oggi si sposa! Caspita... sembra ieri che Giada giocava con le Barbie.

    «Papà» i suoi occhi lucidi mi fanno tenerezza e lo abbraccio.

    «Ehi Luca, figlio mio» esce dalla sua bocca un filo di voce echeggiando amore per tutta la stanza. Mi abbraccia forte, per poco sento il suo torace entrare nel mio. Mi sento a casa. Il suo profumo forte mi riporta alle origini: è lo stesso fin da quando ero bambino.

    Essere il fratello/testimone della sposa ti rende quasi protagonista, infatti, dopo aver lasciato libero il mio papà, a raffica, come in un’invasione barbarica, tutti i parenti si sono avvicinati a me facendomi duemila domande:

    «Ti sei sposato?» se non siete stati invitati evidentemente no!

    «Stai facendo casini a Los Angeles... di’ la verità!» zia Ninetta ti piacerebbe? Mi spiace deludere le tue aspettative, non sono un fallito come tuo figlio!

    «Anna si è sposata, sei arrivato tardi» Grazie a Dio! Finalmente non mi stresserà più con i suoi duemila messaggi su Facebook...!

    A tutti ho risposto vagamente con un sorriso, nonostante dentro avrei solo voluto mandarli a quel paese.

    Inizio a sudare e guardo in continuazione l’orario: ma quando esce mia sorella?

    Il nervoso si aggrappa al mio colon, spero che non faccia scherzi. Alzo il capo e un uomo fa capolino dalla stanza da letto: «Il fratello della sposa può entrare così facciamo le foto.» Come un razzo mi dileguo da quella matassa di persone e m’infilo nella stanza insieme alla sorella di mio cognato: «Ti hanno assalito?» sorride.

    «No, perché dici questo» le strizzo l’occhio.

    «Preparati, Bernardo è un fotografo pesante» ridacchia.

    «Oh, no! Anche il fotografo è pesante?» scuoto il capo.

    Entrato nella camera da letto, perdo il fiato davanti a tanta bellezza: Giada in abito bianco è uno splendore. Non ci vediamo da sei mesi. I nostri occhi divengono lucidi e come un razzo si avvicina per buttarmi le braccia al collo.

    «Fratelloneeeee» la stringo a me.

    «Sei un incanto sorellina» emozionato verso alcune lacrime che asciugo subito.

    Nella mia vita pensavo che l’elaborazione di un progetto fosse il lavoro più faticoso al mondo. Mi sbagliavo. Essere modello lo è ancora di più: in questo momento, il fotografo, mi sta così stressando, che benedico Dio di non aver accettato, in passato, la proposta di un’agenzia di moda. Non avrei mai potuto fare questa vita.

    Girati un po’ a destra. Mano sotto il mento. Guarda tua sorella. Sorridi. Dalle un bacio sulla guancia. Fate finta che state per abbracciarvi... Ma che cavolo! Non riesco a capire che fine abbia fatto la spontaneità; quella di un tempo, dove gli sposi vivevano le emozioni e il fotografo le immortalava. Adesso è tutto così finto... di spontaneo non esiste neanche più il parto.

    Finite le foto, il fotografo se ne va.

    Ormai è mezz’ora che aspettiamo qui davanti al piazzale della chiesa e dei fotografi neanche l’ombra!

    Povera sorellina mia tutta agitata, per non parlare di mia madre: il suo chignon tran un po’ diventerà un carciofo decaduto a causa del sudore.

    Appoggiato sul muro, sotto gli occhi di alcune ragazze che non mi tolgono lo sguardo di dosso, accendo una sigaretta stretta tra le mie labbra, indifferente, non le penso minimamente perché già so la loro intenzione: pur di sposarsi corteggerebbero anche un lampadario.

    Il fumo rinvigorisce con il suo calore le mie papille gustative. Il sapore forte della sigaretta, mi dona quel senso di fortezza che non so spiegare, con la speranza, che un giorno, non mi porti steso a terra da un infarto.

    Aspiro, espiro e queste zecche continuano a non staccare il loro sguardo fisso su di me. Addirittura ho sentito una che diceva sottovoce all'amica scommettiamo che mi chiederà di ballare? Prima ha guardato la mia gonna non immagina neanche quanto si sbaglia! Sì è vero che ho guardato la sua gonna e chi non la guarderebbe? Corta com’è, non so neanche se potrà entrare in chiesa. Sono un uomo, ho giusto apprezzato due belle gambe e niente più, non le chiederò mai di ballare. Sono abituato a ottenere sempre quello che voglio e so benissimo in questo momento chi vorrei.

    Finalmente da lontano appare il furgone fantozziano del fotografo. Spengo la sigaretta nell’apposito posacenere posto sopra il cestino dei rifiuti e mi aggiusto il papillon.

    Adesso mi sentiranno. Come possono dei professionisti comportarsi in questo modo!

    Alzo il piede destro per farlo aderire sul suolo in pietra antica. Inizio a camminare per avvicinarmi al furgone ormai parcheggiato.

    A passo deciso mi avvicino sempre più. Vedo Bernardo il torturatore: non dimenticherò mai la fatica di prima nel mettermi in posa sotto gli occhi di questo che sudava come un gorilla mettendomi ansia.

    Adesso mi sentirà.

    Deciso, con la mano in tasca, l’estremità della giacca si appoggia leggermente verso il fianco e le mie scarpe lucide, sfilate, marcano il suolo con grazia.

    «Luca?» mi chiamano da dietro, mi giro.

    «Lascia perdere! Già tua madre è fuori di sé, cerchiamo almeno noi di mantenere la calma!»

    «Ok papà. Però al ristorante mi sentiranno!» mio padre annuisce rassegnato e insieme ci avviamo in chiesa.

    Per tutto il tempo ho cercato di mantenere la calma con fatica. L’ho fatto per mia sorella altrimenti...

    La marcia nuziale ha inizio. Mi volto lentamente per incontrare con lo sguardo mia sorella, bella come il sole, sotto braccio a mio padre, piena di gioia.

    Un sorriso nasce sul mio volto. Avanzano sempre più ed io li seguo con gli occhi fin quando una presenza inaspettata non mi distrae.

    Sbalordito spalanco gli occhi e allungo un po’ il collo per vederci meglio: quella maglia verde mi è familiare!

    Senza pensarci due volte, lascio il posto dei testimoni e mi dirigo in fondo alla chiesa.

    Dev’essere una dello staff. Come ho fatto a non vederla prima?

    Certo che vestita in quel modo, non avrei mai pensato stamani che dovesse lavorare per un matrimonio. Rido. Mi piace un sacco questa ragazza. Ormai dietro di lei, allungo il braccio per bussare sulla sua spalla ma, neanche il tempo di toccarla che, un certo timore me lo fa ritrarre.

    È completamente assorta nel guardare la sposa ed io incantato nel guardare lei. La scruto ancora un po’, mi corazzo di coraggio e avanzando le dico:

    «Non è gentile scappare e non ringraziare qualcuno che ti ha aiutata.» Si gira di scatto ed io continuo sorridendo: «Ciao, oggi ci incontriamo spesso eh?» Che strana la sua espressione... sembra stupita nel vedermi qui.

    Per un attimo i nostri occhi s’incastrano. Fissi. Sembra come se si fossero cercati da sempre e che finalmente si fossero ritrovati. Oltre il verde che li colora di una magia lodevole, vedo una dolcezza nella quale vorrei perdermi.

    È imbarazzata e distogliendo lo sguardo mi dice:

    «Scusami, stamattina andavo di fretta! Infatti, per colpa mia abbiamo... abbiamo... abbiamo, appunto fatto tardi!»

    Scuoto il capo e lentamente mi avvicino sorridendo: «Tranquilla la sposa è mia sorella, le spiegherò tutto... ok?» continua a guardarsi le scarpe distruggendosi le dita.

    «OK, grazie» sospira con una certa freddezza nella voce.

    La sua timidezza non è un ostacolo per me, non mollo e le prendo la mano: «Io sono Luca e mi piacerebbe sapere il tuo nome e…» neanche il tempo di terminare la frase, tutta tremante ritrae la mano e si rigira.

    Non mi è mai successo. Assolutamente! È sempre stato facile conoscere una donna per me. Non capisco!

    Teso mi passo la mano tra i capelli, alzo il capo e la sorella di mio cognato, in lontananza, m’invita a raggiungere il posto dei testimoni dato che gli sposi sono quasi arrivati all’altare: in questo momento ringrazio la navata immensa e lunghissima di questa chiesa, altrimenti avrei dovuto lasciare in sospeso qualcosa di speciale.

    Tranquillizzo con un cenno di capo la sorella di mio cognato e ritorno con lo sguardo sulla ragazza per la quale sto perdendo la testa. Sicuro, lo dimostra il mio comportamento insolito.

    Spavaldo mi avvicino di più, aderisco il mio petto alla sua schiena, i miei occhi attratti dalla curva scoperta del suo collo si avvicinano sempre di più quasi a baciarlo. «Prima o poi scoprirò il tuo nome... stanne certa» respiro dolcemente vicino al suo orecchio, dopodiché soddisfatto torno al posto dei testimoni con la speranza di aver lasciato almeno il segno.

    3

    Mi sento piena di gioia, non è da me! Perché di solito sono la classica artista... depressa...

    Ma vedere gli sposi emozionarsi, nel giurarsi amore eterno davanti a Dio, che li unisce e ne fa un’unica carne… è meraviglioso.

    Io credo in Dio, nel suo amore, e finora non ho mai amato, ma se arrivasse anch’io lo sogno così: un amore totale, fatto di eternità, sia nella gioia che nel dolore ❤.

    Noto che anche quel presuntuoso di prima si è commosso, com’è che si chiama? Ah sì... Luca... scoprirò il tuo nome! ha detto... ma che vuole? Boh...

    Il suo sguardo in questo momento si poggia su sua sorella con tanto affetto... che bello però...!

    Mio fratello neanche verrebbe al mio matrimonio per quanto mi detesta!

    È veramente... tenero... lo guardo, abbasso lo sguardo e poi lo riguardo.

    Ha i capelli corti quasi rasati, scuri, gli occhi taglio orientale neri... bruno di carnagione... Il suo sorriso è stupendo! Mah... cosa sto facendo... che cretina lo sto squadrando! Torna in te Luisa, non è granché! Sarà 1 e 90... lo riguardo e sinceramente... credetemi è perfetto!

    Non so il perché... ma non posso fare a meno di tenere i miei occhi su di lui.

    La celebrazione è finita.

    Dopo aver fatto le foto agli sposi con i famigliari sull’altare, Bernardo si avvicina:

    «Luisa porta con Roberto le luci fuori.»

    Lo guardo: «Ok.»

    Mi avvicino a Roberto, che all’improvviso mi tira da un fianco, mi stringe a sé e scatta una foto! Ma dico, è impazzito? Mi stacco e gli tiro l’asse delle luci in testa. «Tiè, portale da solo... non ti permettere più!» prendo e mi dirigo verso il furgone... furiosa!

    Subito Ramona che aveva visto la scena mi raggiunge... «Ehi, Luisa!»

    Mi giro: «Dimmi» le dico scostante.

    «Non fare così, forse non lo sai ma... Roberto ha una cotta per te!»

    Cosa? Una cotta per me? Ma che storia è questa?

    «Che dici Ramona, poi che razza di reazione è quella! Come si permette a mettermi le mani addosso. Comunque avvisalo... oggi non mi deve pensare proprio!» Ramona mi guarda dispiaciuta e va ad aiutare Bernardo.

    Una cotta per me... ma andasse a vendere i lupini!

    Il sole è veramente forte! Il caldo nel furgone si fa sentire... Bernardo sta canticchiando diamante di Zucchero... grazie a Dio! Altrimenti si noterebbe il silenzio e l’imbarazzo sul volto di Roberto che non ha il coraggio neanche di guardarmi.

    Andiamo con gli sposi al mare per fare le foto... che belli! Si amano così spontaneamente, che non abbiamo bisogno di dir loro come mettersi in posa... si baciano in continuazione.

    Mi stanno facendo venir voglia di innamorarmi...

    Finito anche questo servizio, ci indirizziamo verso il ristorante.

    Siamo arrivati. Ma dove? Scusa? Questo sarebbe il ristorante? Ma è una sala per compleanni... Mah non capisco!

    Io, Bernardo, Roberto e Ramona rimaniamo di fronte alla struttura, increduli!

    Ci aspettavamo qualcosa di super lussuoso e invece…

    Senza dir nulla, entriamo.

    Da dentro è carino ma nulla di che.

    Mi sento toccare la spalla e mi giro.

    «Ciao, senti lì è caduto del succo, potresti pulire?» ma cosa vuole questa... non si sarà ossigenata anche il cervello! Neanche il tempo di risponderle a tono che una voce mi anticipa.

    «Assolutamente no! Prendi un tovagliolo e pulisci tu!» ma è Luca... Mi prende dal polso e mi porta via.

    Cavoli... oggi che vogliono tutti... dove mi porta?

    «Lasciami» grido... non mi ascolta continua a tirarmi verso non so dove.

    Dopo sei minuti... finalmente si ferma e si gira: «Ora puoi stare tranquilla» mi guarda dolcemente e mi sorride.

    Gli tiro uno schiaffo e nervosa gli urlo contro: «Ma che fai? Io sto lavorando... vuoi farmi licenziare? Ora dove siamo? Ti prego riportami indietro!»

    Mi guarda con aria di sfida: «No» si avvicina sempre di più, abbassa il suo sguardo di fronte al mio e continua: «prima voglio sapere il tuo nome!» gli do uno spintone e scappo via...

    Luca

    Mi sento nervoso! Prima ho visto uno dello staff dei fotografi che ha preso dal fianco la ragazza di stamattina.

    Non sarà mica il suo ragazzo quel rammollito!

    Cavoli... mi ha fulminato, provo gelosia e sento di volerla tutta per me.

    La sua reazione non è stata positiva però... forse posso ancora sperare!

    Sono arrivato alla sala che hanno scelto gli sposi per un rinfresco.

    Molto umile come scelta visto che da noi si usa che ai matrimoni ti siedi a tavola alle 14:00 per poi rialzarti alle 3 di notte!

    Sono fiero di loro: una scelta umile e che rispecchia la loro semplicità.

    Scendo dalla mia macchina ed entro nella sala.

    Gli sposi non sono ancora arrivati, ma noto con molto piacere che i fotografi sì.

    La cerco... ma dov’è... eccola! Oh no... le si sta avvicinando quell’antipatica di mia cugina. È meglio che vada a salvarla!

    «Ciao, senti lì è caduto del succo, potresti pulire?» ma come si permette di parlarle così? Ora intervengo subito!

    «Assolutamente no! Prendi un tovagliolo e pulisci tu!» dovreste vedere la sua faccia in questo momento... Mia cugina si chiama Concetta ma la chiamiamo Conny, è la classica figlia di papà... non la sopporto!

    Prendo la ragazza dal polso e la porto via dalle grinfie di quella strega.

    Mentre la trascino, lei pone resistenza; è

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