Goditi milioni di eBook, audiolibri, riviste e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Lazarus
Lazarus
Lazarus
E-book209 pagine3 ore

Lazarus

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Fantascienza - romanzo (168 pagine) - Ritorna il romanzo vincitore del Premio Urania 2009 "Lazarus" di Alberto Cola. Un confronto spietato tra il Giappone moderno – e futuro – e il Giappone ideale della tradizione.


Il 25 novembre 1970, dopo aver occupato il Ministero della Difesa giapponese, lo scrittore, drammaturgo e attivista politico Yukio Mishima si toglieva la vita tramite il tradizionale seppuku, trafiggendosi il ventre e facendosi tagliare la testa.

Ma la sua vicenda non era destinata a finire quel giorno.

In una Tokyo futura, dominata dalla yakuza e dalle multinazionali, il mistico telepate Gabriel viene incaricato di trovare il redivivo Mishima, fatto rinascere da una corporation per utilizzarlo per i propri fini e poi fuggito.

Un confronto spietato tra il Giappone moderno – e futuro – e il Giappone ideale della tradizione. Un viaggio tra la spiritualità orientale e il materialismo esportato dall'Occidente. Un romanzo di grande spessore culturale e artistico che nel 2009 è valso all'autore il Premio Urania.


Alberto Cola lavora e vive nelle Marche. È autore di numerosi racconti di successo pubblicati in antologie e importanti riviste letterarie. Ha vinto numerosi premi letterari tra i quali il Premio Lovecraft, il Premio Alien, il Premio Courmayeur, il Premio Kipple, il Trofeo RiLL, il Premio Italia e nel 2009 il Premio Urania col romanzo Lazarus. Tra gli altri libri pubblicati i romanzi La notte apparente (Curcio), Ultima pelle (Kipple), Asad e il segreto dell'acqua (Piemme), Il club dei quattro ronin (Piemme) e le antologie Mekong e Senza evidente motivo (Delos Books). Fa parte del collettivo di autori “La Carboneria Letteraria”.

LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2019
ISBN9788825409802
Lazarus
Leggi anteprima

Leggi altro di Alberto Cola

Correlato a Lazarus

Ebook correlati

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Lazarus

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Lazarus - Alberto Cola

    9788867759743

    Nella limitatezza di ogni umana vita,

    io scelgo la Via dell’Eternità.

    Yukio Mishima

    Primo ponte

    Trovai Yukio Mishima in un salone di pachinko, proprio al centro della Ginza, l’anima notturna e commerciale di Tokyo. Fissava assorto la giocatrice davanti a lui: una ragazza molto giovane, dal volto pallido e i lineamenti tesi.

    La pallina d’acciaio saettò attraverso il labirinto del pachinko, attivando schemi e rimbalzando senza sosta. Gli occhi della ragazza erano opachi, persi. Sorrise solo un paio di volte in quell’intervallo di tempo, e solo quando riuscì a ottenere delle combinazioni vincenti illuminando le file dei segnapunti verticali. Intanto perdeva denaro, partita dopo partita.

    La yakuza intascava somme astronomiche da sale da gioco come quella.

    Mishima era fuori posto con i suoi pantaloni color cioccolata, la camicia di cotone bianca e il giubbotto imbottito dei Tokyo Astros di baseball. Nonostante la sua natura, quello era un luogo alla moda, ricercato, dalla clientela selezionata che vestiva italiano e aveva macchine tedesche. Giovani rampolli, borghesi ambiziosi, signore annoiate e funzionari pieni di aspettative frustrate. Tuttavia, se non sei elegante non hai soldi da buttare.

    Gli uomini della sicurezza lo controllavano già da un po’.

    Enormi vetrate costituivano la facciata dell’edificio che, per grandezza e struttura, era vasto quanto un castello. Ogni piano aveva il suo salone indipendente dagli altri e, in cima, vi erano le sale riservate, dotate di intrattenimenti più esclusivi, solo per pochi fortunati. Ovunque campeggiavano riproduzioni di quadri più o meno noti, antiche armature dal sapore feudale, qualche scultura e bacheche con strumenti musicali di legno. Strisce rosse al neon erano aggrappate alle pareti: un sistema linfatico che illuminava sculture d’acciaio inossidabile raffiguranti alberi bonsai, onde e gru in volo. Gli immancabili tocchi nostalgici di un Giappone che non sarebbe mai riuscito a concedersi in modo definitivo alla modernità.

    Il buio ovattato del crepuscolo rendeva ancor più chiassosa la luminosità del salone principale. Mishima si voltò verso le vetrate, attirato da qualche riflesso. In lontananza, le forme affusolate e cangianti degli aquiloni pubblicitari si stagliavano contro il cielo color cenere.

    La ragazza grugnì quando la pallina mancò d’un niente l’imboccatura giusta. Cambiò canale sul piccolo monitor incastonato a lato della macchinetta e prese a guardare l’inizio di una soap–opera: due adolescenti si stavano baciando in mezzo a un parco. La ragazza lanciò un’esclamazione felice, bevve una sorsata di integratore salinico, infilò un’altra moneta e la pallina iniziò una nuova danza.

    Mishima mise le mani in tasca e si guardò intorno, la bocca ridotta a un sottile taglio che attraversava il volto scavato nella pietra. Sembrava contemplasse la vita dall’ultimo gradino di una ghigliottina.

    Poi, a piccoli passi, guadagnò l’uscita.

    Neve di primavera

    (Haru no yuki)

    L’Amaranth è arrivato alla meta con uno squillo di tromba. Lo sento dagli occhi che bruciano, al pari della lingua, e dal bisogno tenue di serotonina. La sensazione di avere ancora il minuscolo coriandolo dolciastro sotto la lingua, si è sublimata in un debole sospetto e nulla più. Il palato, dopo un po’, diventa qualcosa di solido e sembra di masticare metallo grezzo.

    Sulla parete, ombre di bambini sorridenti scintillano simili a un arcobaleno ridotto in frantumi. In questi casi chiudere gli occhi serve a poco. Le immagini persistono, ostinate, e la mia tenacia a confronto è ben poca cosa. Ma va bene così. Avessi cercato punti di riferimento e certezze, sarei andato da uno psicologo invece che nel toruko di Madame Ho. Ognuno cerca i propri segreti alla profondità che ritiene opportuna. C’è chi si accontenta di farsi massaggiare i genitali nella sauna, appena due pareti più in là del mio naso, e chi, come me, sa che da Madame Ho si può trovare l’Amaranth più puro della città.

    Sento ridacchiare una delle ragazze senza memoria. Poi è il turno di una risata sguaiata, grassa, maschile.

    Le ragazze di Madame Ho sono brave.

    I suoni scivolano sulla pelle stimolando i pori. Potrei annegare nel mio sudore. La cosa migliore dell’Amaranth è che tiene a bada il Mostro. I peccati si fissano alle pareti, come glassa bianca e innocente, e l’impressione anche per oggi è di averla scampata. Per il Mostro che ho in testa, invece, serve un bel morso per tenerlo a cuccia. E l’Amaranth ha zanne capaci.

    Col passare dei minuti avverto la temperatura scendere e la bestia acquattarsi, domata.

    Bel lavoro, amica mia.

    I listelli di cedro che rivestono le pareti emanano un odore che punge la pelle. Il vapore della sauna filtra da un sottile spiraglio. La porta è solo accostata e vorrei chiuderla, ma non ricordo come si usino le braccia.

    La forza di gravità è un fardello accettabile.

    Riconosco Madame Ho dal modo che ha di scivolare sul pavimento, quasi non volesse disturbare. Potrei amarla, malgrado l’età. Incarnazione perfetta di un passato imprevedibile, eccitante.

    Il futuro, è un’altra cosa.

    – Gabriel, c’è gente per te – mi sussurra all’orecchio. Solo un soffio.

    L’effetto dell’Amaranth è scemato quasi del tutto. Rimangono solo labili riflessi color carne sulle pareti. E il sapore in bocca, che assomiglia a quello che può avere un serpente dopo aver divorato un cadavere.

    Solo che la carogna sono io.

    – Gabriel, non danno l’impressione di essere abituati ad aspettare – insiste.

    – Impareranno . – La mia voce proviene da una sorgente esterna, fuori registro.

    Madame Ho sbuffa, spazientita.

    Brandelli di tessuto molle si agitano fra i denti. – Aiutami – le chiedo. Adesso le braccia ricordano qualcosa e le gambe seguono a ruota mentre spingo per sollevarmi dalla stuoia. – Quanto tempo è passato?

    – Due ore, più o meno.

    La fisso, scrutando nelle pupille nere che nascondono chissà cosa. I segreti di una vita, forse.

    – Cosa ci fa una donna intraprendente come te in un posto come questo?

    Mi sostiene con dolcezza, mentre tolgo la camicia e tergo il sudore con un telo profumato. Dopo un po’ risponde: – Fa del suo meglio. Ecco cosa.

    A volte, quando non so cosa pensare, mi bastano le sue perle di saggezza zen.

    Sono alti, molto. Hanno le spalle da lottatori, a malapena coperte da giacche nere di una taglia troppo piccola. Tengono gli occhiali scuri in mano, le lenti appannate dalla condensa. Non ho mai capito perché quelli della malavita vestano tutti allo stesso modo, quasi il cattivo gusto fosse un tratto distintivo.

    – Ha ricevuto un invito – dice il primo, quello più vicino a me.

    – Non che io ricordi.

    Madame Ho mi dà un colpetto sulla schiena.

    – Sarà ricompensato per il disturbo – aggiunge il secondo, il tono neutro. – Sarebbe oltremodo scortese rifiutare.

    – Sarà ricompensato… Adeguatamente… – ribadisce il primo.

    La lezione che hanno mandato a memoria non prevede altro. Inutile leggere qualcosa in quegli sguardi impassibili, da lupi esperti. Eppure, sento il loro nervosismo come una coperta bagnata e calda. Sono stati indottrinati bene. Mi conoscono.

    Madame Ho si esibisce in un colpo di tosse. In realtà in quel timbro rauco c’è nascosto l’elenco completo dei miei debiti con lei. Immagino la sua attenzione si sia soffermata quanto basta sull’adeguatamente.

    – La macchina è qui fuori – dice il secondo. E non è un invito.

    Come ogni grande organismo la cui complessità resta un mistero, Tokyo è stata abbandonata a sé stessa e lasciata cannibalizzarsi. È priva di tessuto connettivo e ogni organo se ne va per conto proprio, esempio perfetto del caos che diventa regola.

    L’auto attraversa il fiume Sumida sulla Kyosumi–dori, diretta verso le propaggini a est della città. Siamo costretti a fare una deviazione: un palazzo vicino alla stazione di Etchujima è crollato. L’edificio era la sede di una compagnia di assicurazioni. File di lampade azzurre sistemate tutt’intorno gettano una luce sinistra sul disastro. Due uomini, curvi sotto il peso di un lampione di alluminio che il crollo ha piegato e divelto, si dirigono velocemente verso un vicolo laterale, senza preoccuparsi di essere visti. Il mercato nero è sempre un affare, frattura necessaria nel nostro senso di modernità.

    Non c’è l’anima di un poliziotto in giro, o di un tecnico del municipio. Come al solito l’autopsia è arrivata prima della cura, anche se il cadavere continua a respirare.

    Hitasura.

    L’insegna è all’ingresso del sottopassaggio, le enormi lettere azzurre troppo grandi rispetto alla facciata. La galleria sotterranea si infila sotto a un giardino pieno di palme e piante di ibisco, è ben illuminata, dipinta a colori vivaci e porta dritta a un accesso riservato. L’eco dei nostri passi rimbalza in modo fastidioso.

    I due uomini mi scortano fino a un ascensore privato che sembra un salotto. Tutto è lussuoso, anche la vecchia pulsantiera piena di incisioni e orpelli che, con ogni probabilità, vale più dell’ascensore stesso.

    Venti secondi dopo usciamo all’ultimo piano.

    Quella parte di Tokyo giace prostrata ai piedi delle due torri di centoquattro piani di granito bianco sede dell’Hitasura. La proprietà dello zaibatsu è costituita da un terreno triangolare, ai confini del quale resistono vecchi edifici in pietra dalle facciate elaborate, pura preistoria. E altri grattacieli meno imponenti, neoplasie fatte di vetro e acciaio. Il segreto, quando si cammina per le strade di quartieri simili, è di non alzare la testa, altrimenti non c’è scampo: la mostruosità ti cade addosso.

    Una signorina dall’aria efficiente ci conduce attraverso un numero imprecisato di porte e pannelli e poi, al termine di un lungo corridoio illuminato da un’invadente luce bianca, apre una porta dove spicca lo stemma della Hitasura e ci lascia entrare in un giardino.

    Nobuo Hitasura è immobile sulla sponda di un laghetto piccolo ma ben strutturato, un miracolo in mezzo a quella radura urbana. È un uomo dalla corporatura esile, sulla sessantina, l’espressione costante di minaccia che traspare dallo sguardo, e nessuno sforzo per mascherarla. Gli occhi sono solo due fori nella faccia butterata. Fa un passo e scende da una roccia piatta ricoperta di muschio scuro e friabile. I miei due angeli custodi svaniscono nella vegetazione.

    – Ho creduto lei fosse un’illusione, Gabriel – dice Hitasura. L’acqua del laghetto s’increspa lievemente lasciando intravedere la forma di un pesce. – Ho faticato molto per trovarla. Ha la fastidiosa abitudine di essere sfuggente.

    – Solo prudente – replico.

    – Qualità apprezzabile per uno con le sue doti.

    Hitasura infila le mani in tasca e dirige lo sguardo fuori, oltre le vetrate che racchiudono quel miracolo sopraelevato. Il cielo è grigio di nebbia, ispessito da basse nubi. Il panorama lotta contro le criptometrie imprigionate, le azalee e persino una piccola macchia di ginkgo, con i tronchi bianchi che assomigliano a sentinelle. Mi domando come abbiano fatto a portare tutto quassù e a farlo sopravvivere. Minuscoli sentieri si perdono nel verde e penso che questo, se ci fosse il silenzio adatto, privo della presenza di uomini armati che ci osservano, sarebbe un bel posto per lasciarsi andare a qualche sogno.

    – Il mio zaibatsu detiene i diritti del Progetto Lazarus per il Giappone – riprende Hitasura. – Ho dovuto superare un’agguerrita concorrenza e ingerenze di tutti i tipi per ottenerli. I capitali investiti la farebbero impallidire