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Elfi e streghe di Scozia
Elfi e streghe di Scozia
Elfi e streghe di Scozia
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Elfi e streghe di Scozia

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About this ebook

Le fiabe scozzesi scaturiscono da quella ricchissima sorgente che è la cultura celtica. I personaggi che le popolano sono fate, folletti buoni o malvagi, elfi d'acqua, streghe e giganti. Ma sopra tutte queste figure stende la sua ombra la nera sagoma dell'Each-Uisge, il terribile cavallo d'acqua che vive nelle profondità dei loch, i laghi di cui la regione è disseminata.
Nelle fiabe raccolte in questo volume da Lorenzo Carrara, studioso che svolge da diversi anni ricerche sulla Scozia e le sue tradizioni, gli incontri  e gli scontri di queste creature con il mondo dei mortali hanno come ambientazione l'antica organizzazione sociale dei clan e sfondo l'affascinante scenario delle Highlands scozzesi, terre aspre e di sconvolgente bellezza.
LanguageItaliano
Release dateAug 20, 2019
ISBN9788874132690
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    Elfi e streghe di Scozia - Lorenzo Carrara

    Elfi e streghe

    di Scozia

    A cura di

    Lorenzo Carrara

    Franco Muzzio Editore

    I edizione digitale Agosto 2019

    © 2019 Franco Muzzio editore – Roma

    di Gruppo Editoriale Italiano srl – Roma

    I edizione cartacea italiana: settembre 1989

    Traduzione dall’inglese di Lorenzo Carrara

    L’autore dell’immagine di copertina è © Laura Airey

    ISBN 97888 7413 269 0

    www.francomuzzioeditore.com

    È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno o didattico, con qualsiasi mezzo effettuata, non autorizzata.

    Ebook della Collana Parola di Fiaba

    • Abbiati S., Fiabe di Praga magica. (2020)

    • Carrara L., Elfi e streghe di Scozia. (2019)

    • Carrara L., Fiabe inglesi di spettri e magie. (2019)

    • Carrara L., De Marco C., Saghe e leggende irlandesi. (2019)

    • Del Mare C., Fiabe e leggende della Malesia. (2020)

    • Meli F., Miti e leggende degli indiani d'America. (2020)

    • Meza O., Leggende Maya e Azteche. (2020)

    ai miei nonni

    Prefazione

    Una premessa storica

    Nei primi giorni dell’estate del 1745, la fregata francese Du Tellay portava verso Eriskay, una delle piccole isole che fronteggiano la costa occidentale della Scozia, un giovane passeggero segnato da un destino ben più grande di lui. Il 25 luglio toccava per la prima volta il suolo dei padri un principe – ultima speranza di una stirpe che aveva regnato sulla terra di Scozia per quasi quattro secoli – che tentava, in nome del padre, l’impossibile riconquista del trono: il suo nome era Charles Edward Stuart. Ma è con il nome di Bonnie Prince Charlie che nel giro di pochi mesi entrò nella leggenda per rimanervi, eternamente giovane e bello come si conviene agli eroi romantici. Questo nome esprime l’affetto che molti Highlanders, gli abitanti delle Terre Alte di Scozia, riservarono al ragazzo impetuoso, entusiasta, affabile e di bell’aspetto che era approdato con sette persone e scarsissimi armamenti per dare inizio a un’insurrezione armata contro il potere degli Hannover, già da svariati anni sul trono del Regno Unito in Inghilterra, Scozia e Irlanda. Ma i giochi erano già fatti prima che l’intraprendente principe abbandonasse Roma, dove era nato e cresciuto all’ombra del potere papale, che formalmente sosteneva la causa dei cattolici Stuart in esilio. Leggendo la storia di quegli eventi che dovevano cambiare per sempre il volto della Scozia, si ha la precisa sensazione di scorgere tutti i segni di uno di quegli appuntamenti che spesso la Storia impone agli uomini; troppi fattori ineludibili convergevano verso la chiusura, non solo in Scozia ma in tutta Europa, dell’era delle monarchie assolute. E proprio a causa dell’ostinazione assolutistica di James VII di Scozia e II di Inghilterra, grande amico e ammiratore di Luigi XIV, il Re Sole, gli Stuart erano stati cacciati dal trono che detenevano, a loro avviso, per diritto divino.

    L’insurrezione armata del Bel Principe Charlie, iniziata il 19 agosto 1745 a Glenfinnan, sul Loch Shiel, innalzando lo stendardo degli Stuart alla presenza di circa milleduecento Highlanders convenuti in armi per presenziare alla cerimonia, sarebbe miseramente fallita l’anno successivo dopo un esordio ricco di promesse. Il 16 aprile 1746, sul campo di Culloden Moor presso Inverness, fra le ormai stremate truppe degli insorti e gli organizzati ranghi realisti al comando del Duca di Cumberland, si giocò la mossa finale dell’intera campagna. Fu un vero massacro: i perdenti furono inseguiti e abbattuti senza pietà anche parecchi giorni dopo la battaglia, e il giovane principe dovette darsi alla fuga con una taglia di 30.000 sterline sulla testa. Dopo una serie di episodi romanzeschi e una odissea attraverso le Highlands durata cinque mesi, l’ultimo degli Stuart riuscì fortunosamente a imbarcarsi di nuovo per la Francia. Non avrebbe mai rivisto la Scozia: dopo una vita di amarezze e disillusioni, di sogni e nostalgie per quell’anno di gloria trascorso a un passo dal trono che ormai aveva perduto per sempre, il 31 gennaio 1788 si spegneva a Roma, dove è ora sepolto insieme al padre James Francis (James VIII per gli Scozzesi) e al fratello Henry Benedict nella cripta della basilica di San Pietro.

    Ma a Culloden non si combatté solo quella che sarebbe stata l’ultima battaglia sul suolo britannico. Una delle più tragiche e durature conseguenze di quell’estremo confronto armato sarebbe stata la dissoluzione del sistema dei clan. E con i clan, che per editto reale dovevano rinunciare alla sostanza e alla forma del loro antico potere, rischiò di venire cancellata per sempre l’identità culturale gaelica del popolo scozzese. Immediatamente dopo Culloden, i clan che avevano sostenuto il giovane Stuart furono sciolti o privati di tutti i loro averi, e le loro terre vennero espropriate e assegnate a nobili fedeli al re, che si affrettarono a cacciare gli abitanti originari. Venne punito con il carcere, la deportazione e perfino la morte chi indossava vesti confezionate con il tradizionale tartan delle Highlands, e anche la cornamusa venne bandita come strumento di guerra. L’atto finale di questa tragedia doveva poi essere, nel corso del secolo passato, la deportazione in massa di interi villaggi verso le remote lontananze dell’America, dell’Australia e della Nuova Zelanda. Chi visita oggi le magnifiche valli delle Highlands della Scozia si trova immerso nella sconvolgente bellezza di un panorama selvaggio e deserto, nel quale agli uomini sono state sostituite le pecore, che a milioni costellano i soffici prati di muschio e d’erica che ricoprono la nera, torbosa terra dei glen.

    Quell’identità gaelica, che i clan conservarono gelosamente fino a che il nuovo assetto sostituì definitivamente la loro antica struttura sociale con quella tipica di uno stato moderno, retto da una monarchia costituzionale, veniva alla Scozia dalle sue origini celtiche. Se ancora poco si sa dei primissimi insediamenti umani in questa lingua di terra così aspra e inospitale, il cui clima è mitigato solo dalla presenza della Corrente del Golfo, è ben assodato che il nucleo originario di quel popolo che doveva darle il nome proveniva dall’Irlanda. Svariate ondate di immigrazione portarono un contingente sempre più nutrito di colonizzatori Scoti dall’Irlanda del nord verso le isole e le coste occidentali di ciò che oggi è l’Argyll, inserendosi in territori già occupati dal misterioso popolo dei Pitti. Tutto ciò avveniva un paio di secoli dopo che i Romani avevano accantonato ogni speranza di dominio e si erano ritirati abbandonando a se stessa l’intera Britannia, nel corso del III secolo d.C. Il Vallo Antonino e il Vallo Adriano, dei quali ancora si possono vedere le tracce, segnarono il confine boreale delle loro ambizioni; i due valli erano stati eretti per cercare di arginare la bellicosa presenza dei Pitti, che i Romani non poterono mai sconfiggere. Nella regione al di là dei valli, oltre agli Scoti e ai Pitti, anche i Britanni e gli AngloSassoni avrebbero in seguito contribuito a creare quella singolare mistura di etnie dalla quale discendono gli attuali abitanti della Scozia. E sugli arcipelaghi delle Ebridi e delle Orcadi, che avvolgono come in una ghirlanda la terraferma, dovevano in seguito esercitare il loro duraturo influsso anche i formidabili navigatori scandinavi, che le avrebbero a lungo dominate istituendo l’antico Regno delle Isole.

    I Pitti e gli Scoti portavano con sé la millenaria saggezza druidica delle loro origini celtiche. Quella dei Celti era una società pagana, fortemente legata ai cicli vitali della terra e del mare, alimentata da popoli che alla ricchezza di una immaginazione fervida e di una spiccata propensione per le arti univano le risorse di una tempra bellicosa e di una notevole abilità nella lavorazione di ogni tipo di materia prima. Le origini della stirpe celtica si perdono nel passato più remoto, ed è difficile anche definirne le caratteristiche con precisione. Non è infatti possibile utilizzare il concetto di razza o di nazionalità: si trattava di popolazioni indoeuropee che in molte ondate successive arrivarono a stabilire insediamenti in tutta l’Europa, dalla penisola iberica a quella italiana, dalla Bretagna all’Irlanda. A partire dai primi decenni del VI secolo a.C., presero a invadere le Isole Britanniche: anche in questo caso ciò avvenne per migrazioni successive e in piccoli contingenti, ma a poco a poco essi misero salde radici e finirono con l’imporre alle popolazioni locali la loro lingua e la loro cultura. Scavi archeologici nelle Isole Britanniche hanno riportato alla luce oggetti estremamente simili a manufatti analoghi trovati in Austria e in Svizzera. Le popolazioni gaeliche stanziatesi in Scozia e in Irlanda probabilmente provenivano dalla Gallia e dal nord della penisola iberica.

    I clan

    L’organizzazione sociale tipica delle popolazioni celtiche era quella tribale, che in Scozia doveva poi gradualmente assumere le caratteristiche specifiche di quella forma di aggregazione che conosciamo con il nome di clan. Questa parola significa letteralmente figli o discendente, e originariamente designava il gruppo di persone che costituiva la stirpe di un capo, con tutte le sue diramazioni. Con il tempo, il significato del termine si modificò fino a indicare l’insieme di famiglie che facevano riferimento a un unico capo, il quale esercitava su di esse il proprio potere governando con le prerogative tipiche di un capotribù. Il capo del clan aveva il diritto e il dovere di amministrare la giustizia, ed era lui che in tempo di guerra chiamava a raccolta gli uomini validi del gruppo facendo circolare di casa in casa la fiery cross, una croce di legno avvolta dalle fiamme e bagnata di sangue. Se nei primi secoli il capo veniva eletto sulla base dei propri meriti dagli uomini del clan riuniti a consiglio, in un tempo successivo entrò in vigore un diverso sistema di trasmissione del potere: dopo essere stato eletto, il capo nominava il tanist, cioè un successore designato, che sceglieva fra gli uomini più valorosi del clan. Solo molto più tardi la carica divenne ereditaria, e anche in questo caso spesso il clan si riservava di accettare o meno la successione ratificandola nel corso di un consiglio generale.

    All’interno del clan non esistevano gerarchie, e per quanto ovviamente la ricchezza non fosse distribuita in modo omogeneo, ogni suo membro era un uomo libero, pari in dignità a chiunque altro. L’estensione di territorio sulla quale vivevano le famiglie del clan era gestita come un bene comune, e negli appezzamenti adibiti a pascolo il bestiame di ogni famiglia poteva cibarsi liberamente. Considerando il genere di struttura sociale alla quale erano abituati, è facile capire quanto le popolazioni celtiche delle Highlands fossero avverse al sistema feudale, che in effetti non riuscì mai a sovrapporsi a quello del clan se non nei territori delle Lowlands, molto più simili – anche a causa della vicinanza geografica – agli usi e ai costumi anglo-normanni dell’Inghilterra. Gli abitanti delle Highlands e delle isole si dimostrarono sempre insofferenti nei confronti di qualunque forma di potere centralizzato; ogni clan tendeva anzi a vedersi come un’entità fortemente autonoma ed era quasi sempre in perenne conflitto di interessi con i clan confinanti. Il furto reciproco di bestiame dava spesso origine a faide sanguinose e interminabili: in una di queste gli uomini di Glengarry bruciarono un’intera congregazione dí MacKenzie riunita in una chiesa nell’Easter Ross. Nel 1603 i MacGregor tesero un agguato ai Colquhouns a Glenfruin uccidendo 140 appartenenti al clan rivale; in conseguenza di questo episodio il re James VI di Scozia e I di Inghilterra, figlio di Mary Stuart, dichiarò fuorilegge ogni MacGregor che avesse partecipato al massacro e bandì l’uso del loro nome in tutta la Scozia. Ma anche i MacGregor sopravvissero, aggregandosi ad altri clan fino a che venne rimosso il bando e poterono riunirsi sotto l’antico nome.

    Le Highlands, che geograficamente sono costituite da una serie di rilievi solcati da vallate di origine glaciale, rimasero fino al secolo scorso un mondo a parte. Le vie di comunicazione interne erano pochissime ed erano poco più che sentieri, e la particolare natura del terreno – che è composto di torba, sopra la quale cresce quasi dovunque uno spesso strato di erica e muschio – teneva lontani non solo i mercanti e i viaggiatori, ma anche i funzionari e gli eserciti del re. Per questo motivo i clan delle Highlands poterono godere di un lunghissimo periodo di autonomia derivante loro, come stato di fatto, dalle difficoltà incontrate dal potere centrale nel tenere sotto controllo una zona così vasta e così impervia. Volendogli dare una precisa collocazione temporale, potremmo dire che il periodo di massima fioritura dei clan iniziò approssimativamente nel 1200, per concludersi circa cinquecento anni dopo, con la disfatta di Culloden. Durante questo periodo, nascosti nei loro glen inaccessibili, gli Highlanders poterono continuare a condurre uno stile di vita tradizionale e dalle caratteristiche uniche, preservato pressoché totalmente dagli influssi del mondo esterno. Quando lasciavano la loro terra, il loro modo di vestire e il loro linguaggio li denotavano immediatamente come stranieri, e la loro reputazione nella stessa Scozia era tale che, fino agli inizi del secolo scorso, un abitante delle Lowlands che fosse stato obbligato dalle circostanze a visitare le Highlands faceva invariabilmente testamento prima di mettersi in viaggio.

    Il fattore linguistico

    La differenza tra Highlands e Lowlands, come abbiamo già accennato, rispecchia fondamentalmente la contrapposizione tra la cultura di origine celtica degli abitanti delle prime e la cultura anglo-romana di chi viveva nelle seconde. Le due comunità erano separate nettamente anche da un confine linguistico: se nelle Highlands e sulle isole, anticamente, l’unica lingua conosciuta e parlata era il gaelico, nelle Lowlands i linguaggi comunemente utilizzati erano l’inglese e lo scots. Le varie popolazioni indicate come celtiche hanno in comune il ceppo linguistico, classificato fra quelli indoeuropei, che gli studiosi moderni suddividono in due gruppi: dell’uno fanno parte il gaelico, l’irlandese e il manx (parlato sull’isola di Man), assai vicini fra loro, dell’altro il bretone e il gallese. Il gaelico appare estremamente ostico a chi abbia una conoscenza delle lingue più note fra quelle parlate in Europa, dalle quali si differenzia notevolmente per una vasta serie di caratteristiche. Sia la sintassi che le regole fonetiche, ad esempio, si discostano enormemente da quelle della lingua inglese. A quanti non abbiano mai avuto occasione di sentirlo parlare o di leggerlo, il gaelico può apparire, a seconda dei casi, estremamente affascinante o disperatamente scoraggiante.

    A titolo di assaggio vorremmo riportare un brevissimo esempio di prosa:

    Tha biadh is ceol an so!

    mar a thuirt am madadh ruadh, ‘S e ruith air falbh leis a phiob.

    Ecco sia carne che musica!

    come disse la volpe mentre scappava con la cornamusa.

    Lo scots, d’altro canto, appare notevolmente simile alla lingua inglese, con la quale condivide la quasi totalità delle caratteristiche sintattiche. La differenza più appariscente, agli occhi e alle orecchie di chi abbia una discreta conoscenza dell’inglese, è dovuta, oltre che alle innumerevoli differenze di pronuncia dei vocaboli comuni, alla vasta serie di casi nei quali i termini propri della lingua standard vengono sostituiti da vocaboli locali che rispecchiano origini celtiche, o scandinave, o normanne. Così, come si è detto, la Scozia è il paese dei glen, le valli, e dei brae, le colline. Un ragazzo è un lad, mentre

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