Storia dei due Cabral
By Simone Mazza
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Storia dei due Cabral - Simone Mazza
Simone Mazza
Storia dei due Cabral
da un racconto di Luigi Notari
UUID: 45383ce0-5bea-4bbe-9eba-f2da31c575bc
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Ringraziamenti
Devo ringraziare il sig. Notari: è sua la storia che ha ispirato questo romanzo. Spero, avendolo scritto, di aver soddisfatto quello che lui scherzosamente definiva ultimo desiderio
.
Lo dedico ai miei figli, perché sono nell'età dei riti della Grande foresta, quella che i due Cabral cercavano di attraversare indenni.
Simone Mazza
PRIMA PARTE
Introduzione
Questo romanzo è diviso in due parti.
La prima sembra inventata, invece è vera.
La seconda sembra vera, ma in buona parte è inventata.
La storia inventata (quella che sembra vera) è ispirata a fatti lontani, realmente accaduti ed è artificiosamente raccolta in un presunto manoscritto del XVI secolo: le imprese degli eroi, narrate in questo manoscritto, avrebbero ispirato le gesta del protagonista della storia vera (quella che sembra inventata).
Questa storia vera incomincia col dialogo tra un figlio e un padre, all’inizio della seconda metà del secolo scorso, a Genova. È contenuta in un diario segreto, ormai sgualcito dal tempo. Una parente del protagonista glielo sottrasse per regalarlo ad un suo amico; per sdebitarsi del fatto che questi, in gioventù, l’avesse sempre aiutata con i compiti di scuola. Questo suo amico ne ha poi raccontato il contenuto ad un altro amico e di bocca in bocca, di debito in debito, è giunto fin qui nella versione un poco romanzata che segue.
Nel nome del padre
Mi ha chiesto di vederla?
Sì, Lorenzo. Tua madre mi ha parlato del tuo… progetto.
Beh, ecco, è una cosa che non deve necessariamente partire subito.
Ah, sono d’accordo; anzi, è mia opinione che non debba partire mai.
Non vuole nemmeno prenderla in considerazione?
Vediamo… Cosa contemplerebbe il progetto? Ah, sì… un futuro da costruttore edile? Per mio figlio primogenito? No, non credo proprio di volere prendere in considerazione una simile disgrazia. Mi vuoi canzonare, è evidente: hai voluto farci uno scherzo, non è vero?
Non ci penserei mai, non mi permetterei… è…
E allora cosa? Ti ha dato di volta il cervello? Hai la possibilità di fare un’onorevole carriera militare. Io ho ottenuto quel posto per te! Insomma, queste cose non contano proprio nulla?
Ma… certo che contano, io le sono grato ma…
… E allora esprimi questa gratitudine come si dovrebbe fare con tutti i doni: accettandolo!
… Ma il marinaio non è quello che voglio fare! Vorrei costruire delle cose mie, io… Io credo che siamo in un periodo davvero eccezionale per…
Santo Dio…
Mi permetta di parlargliene, padre: in questa città c’è un meraviglioso istituto tecnico per…
Insomma, basta! Sono tuo padre ed è mio preciso dovere impedirti di fare delle sciocchezze. I tuoi sono capricci pericolosi: farai bene a toglierteli dalla testa. Tu farai il militare della Marina italiana, è ciò che ti si addice.
Certo, secondo il suo parere.
Non essere insolente, ora: sei ancora sotto la mia responsabilità, per la legge; ed intendo assumermela nel migliore dei modi. Ho fatto davvero il possibile per questo, cerca di dimostrarmi una qualche forma di riconoscenza; e non azzardarti ad usare tua madre per avanzare qualche strana velleità. A volte può sembrare che abbia l’inclinazione ad assecondarti in tutto; ma in realtà è d’accordo con me, su questa cosa.
Non vuole nemmeno riparlarne? Ripensarci? Mi condanna ad un destino che non desidero? Sa cosa ciò può significare?
Certo che lo so, che vi forgerete come un vero uomo; cioè come tutti quelli che sopportano dei sacrifici per un’idea di maggior grandezza. Un’idea che ora non capisci perché sei giovane, ma che un giorno capirai…
Certo… un giorno la capirò a pieno, ha ragione; viva l’incoscienza della giovinezza, allora, che mi permette ora di sopportare le sue ingerenze e mi permetterà in seguito di sopportare quegli stupidi rituali della vita militare! Quando ne sarò perfettamente conscio, allora il mio disprezzo sarà probabilmente totale.
Sei offensivo e mi fai dubitare della educazione che ti abbiamo impartito.
Lei, un dubbio? Allora questo desolante colloquio non è stato del tutto vano.
Vattene e pensa a quello che hai detto di fronte a tuo padre.
Le chiedo scusa, senz’altro e mi risolverò ad obbedirla, come sempre. Mi ritiro davvero, a pregare che tutto questo non abbia un giorno conseguenze nefaste.
Credo che un buon sonno faccia bene ad entrambi. Vedrai che domani sarai perfettamente in grado di capire che in questo caso quella che tu ora mostri come una rassegnata obbedienza sarà esattamente ciò che vuoi fare.
Con permesso. Nemmeno io ho davvero più voglia di ascoltare. Buonanotte.
… Buonanotte.
Desiderio di libertà
Abituato ad essere il primo in tutto, figlio di un ex ufficiale della Regia Marina italiana, Lorenzo venne mandato, come era ovvio, alla Scuola Allievi Ufficiali della Marina italiana.
Questo ragazzo, dai lineamenti naturalmente eleganti e dal fascino innato, crebbe con la tenace volontà di compiacere il padre e benché consapevole di avere un’indole tendenzialmente pigra, cercò davvero di primeggiare ovunque, a scuola e nello sport, vantandosene sfacciatamente.
Cominciò dunque il militare a sedici anni nella Marina, facendo quelle spossanti crociere d’istruzione che sono parte dell’addestramento. Queste crociere avvengono con itinerari diversi; in particolare, la nave scuola dove egli fu destinato per la sua formazione, la famosa Amerigo Vespucci, si era già recata in Nord Europa trentasette volte, venti nei Paesi del Mediterraneo, quattro nell’Atlantico Orientale, sei in Nord America. Insomma, aveva girato in lungo e in largo.
Inizialmente, aderì alla scuola con moderato entusiasmo e anche quando era in nave, Lorenzo si dava parecchio da fare, ma piano piano, lo studio e la disciplina gli parvero così rigorosi da essere insopportabili.
Capì ben presto che non voleva assolutamente vivere come suo padre sognava e in cuor suo, per la prima volta, mise a fuoco il fatto che egli stesse facendo tutta quella immane fatica solo per compiacere la vocazione paterna.
L’unico passatempo che il padre non gli aveva proibito era quello della lettura.
In verità, Lorenzo non leggeva volentieri proprio tutto, anzi leggeva e rileggeva sempre un solo libro: L’avventurosa vita del navigatore Pedro Álvares Cabral. L’autore di questo libro era uno scrittore del tutto sconosciuto, un certo Padre Vicente Blasco. Lorenzo ne era entrato in possesso casualmente.
Lorenzo amava questo libro, perché ne amava i protagonisti: dentro alla storia c’erano infatti personaggi straordinari, c’erano i primi uomini europei ad avere scoperto terre fino ad allora sconosciute. Questa epopea di esploratori lo appassionava al punto che Lorenzo si identificava con loro e specialmente con Pedro Cabral, lo scopritore del Brasile.
Le gesta compiute da questo grande condottiero, la sua capacità di muoversi in terre lontane, molto diverse, affrontando tipologie svariate di ostilità, lo affascinavano; e molte volte Lorenzo aveva sognato di essere come lui.
Al contrario, piano piano, esplose dentro di sé un odio profondo per la famiglia, credette che suo padre in fondo non lo avesse mai davvero amato e che attraverso di lui volesse in realtà cercare una sua gloria personale.
Sentì crescere rapidamente e fortissimamente un desiderio di libertà, ribellione e fuga.
La vita militare gli era ogni giorno più odiosa e fu molte volte sul punto di cedere, ma allora sarebbe stato rispedito a casa ed egli avrebbe speso la sua giovinezza in un collegio: da una prigione ad un’altra.
Appena compiuto diciotto anni, decise di disertare, scappare e rifarsi una vita.
Ma come?
Forse avrebbe potuto confidarsi con la madre e, attraverso di lei, arrivare al cuore del padre. Non poteva più tenere nascosta questa repulsione, doveva parlargli, in qualche modo, assolutamente!
E se il padre – come temeva – si fosse rifiutato ancora di ascoltare le sue ragioni?
Lorenzo voleva vivere, lo voleva fortemente, ma lo voleva a modo suo!
L’unica soluzione, a quel punto, sarebbe stata la fuga, una fuga incosciente, radicale, definitiva. Avrebbe dovuto disperdere le sue tracce per sempre e non tornare più.
Fuga dalla marina
Affrontò comunque la madre, poi il padre e l’esito fu disastroso, come previsto.
Tuttavia, definire un piano di fuga risultava complicato.
Egli stava proprio per partire per una crociera di istruzione, che avrebbe toccato gli Stati Uniti e il Sud America.
Decise che sarebbe fuggito durante quel viaggio, ma non sapeva come: ai cadetti di marina era severamente proibito mettere piede sulla terra ferma; avrebbe dovuto improvvisare.
La crociera fu come tutte le altre: terribile; ma più lunga del solito, cosa che accrebbe il desiderio di fuga. Quel desiderio era una specie di voce che, da quasi silenziosa che era all’inizio, si era fatta via via più violenta e ora urlava: Vattene! Vattene! Cosa aspetti!?
.
La nave era arrivata in America e aveva ormeggiato in alcuni porti del sud degli Stati Uniti, per poi aggirare Cuba e dirigersi verso Venezuela e Brasile.
Dopo mesi di doloroso e penoso addestramento, ecco che si presentò a Lorenzo un’occasione: era un giorno di visita e alcuni studenti di Belèm si erano recati a bordo per vedere come era fatta una nave della Marina e familiarizzarono con la truppa.
Il nostro giovane Lorenzo era un giovane bellissimo, alto, robusto, con occhi azzurri, capelli biondi; e gli riuscì di appartarsi con una ragazza. A questa, egli confidò che voleva sbarcare a tutti i costi. Lei avrebbe dovuto solo convincere qualche giovane che era lì con lui a dargli una giacca e un berretto da borghese, in modo che egli si potesse confondere in mezzo alla loro comitiva e sbarcare.
Il piano era così folle che funzionò. Il nostro giovane arrivò sulla terra ferma, baciò appassionatamente la ragazza e volò all’ambasciata brasiliana a chiedere asilo politico, prima che sulla nave si accorgessero della sua assenza; dichiarò che era stato costretto ad arruolarsi con la forza ed essendo appena divenuto maggiorenne, poteva chiedere contestualmente un cambio di nome.
Egli pensò un attimo e poi scelse il nome Cabral, ispirandosi all’eroe protagonista del libro di storia e di avventura che egli aveva sempre con sé e che fin da ragazzo lo aveva fatto sognare; poiché voleva mantenere un cognome italiano, scelse a caso uno dei nomi da un elenco di immigrati italiani che era sul tavolo dell'ambasciatore. Da allora, egli fu Cabral Pizzetti.
Incredibilmente, ce l'aveva fatta! Era fuggito da una nave della marina!
Certo, ora doveva sopravvivere. Aveva scelto la libertà, ma non aveva un soldo bucato.
Imparò a sue spese, digiuno per una settimana, cosa significava essere poveri e giurò a se stesso che sarebbe diventato ricco: l’unico insegnamento paterno che ora ricordava era che il denaro era necessario per avere una vita comoda e per costruirsi una solida reputazione.
Così, cominciò a fare qualche lavoretto al porto come scaricatore di merci. Il lavoro era faticoso e male pagato – quasi tutta la paga finiva nella minuscola pensioncina dove egli dormiva in affitto – ma, tanto per cominciare, imparò in fretta il portoghese; inoltre, si fece tanto benvolere per l’impegno, che il padrone gli propose dopo pochi mesi di passare a guidare i mezzi che portavano le merci dall’entroterra al porto.
Cabral accettò e imparò a muoversi in quel territorio grande e sconosciuto che è il Parà. Il lavoro era sempre piuttosto mal pagato, ma certamente era meno faticoso.
Col tempo, apprese molte cose sui motori e sui mezzi di trasporto, diventando un vero esperto.
La sua vita procedette in questo modo per diversi mesi, la sveglia prima dell'alba, una minestra, le sigarette e la notte su un sacco, esausto.
Un giorno, dovendo portare le merci da un posto più interno del solito, egli si imbatté in una ragazza che gli chiedeva un passaggio. Era una donna bellissima e desiderabile, che rimase a sua volta affascinata dal bel Cabral e lo invitò volentieri a casa sua. I due giovani passarono la notte insieme, ma poi non vollero separarsi al mattino seguente; e passarono insieme anche una seconda e una terza notte. Così Cabral venne licenziato perché si presentò sul lavoro dopo tre giorni.
La ragazza, che abitava a Tucuruì, gli disse che conosceva un distinto signore italiano come lui, di Marabà, che poteva cercare bravi autisti.
Era