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Quella Giusta
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Quella Giusta

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«Un libro è l'unico posto in cui puoi esaminare il più fragile dei pensieri senza romperlo». È dalla verità di Edward P. Morgan che nasce questo romanzo.

Quella Giusta, racconta di una ricerca che anela nell'emozione di chi non è consapevole di cercare e che scopre, rincorrendo la propria vita, che cosa significhi imbattersi in qualcuno che cambia orizzonti e prospettive. Alla fine di ciò che Alessandro credeva fosse solo il principio, la sua storia d'amore, intraprende un viaggio lontano da un mondo che conosce fin troppo bene, cullato dalla malinconia dei ricordi. Sarà un casuale e inaspettato incontro che, tempo dopo, gli farà capire come avesse vissuto amori in bianco e nero. Lei, ballerina, lui, viaggiatore alla ricerca di se stesso, si perderanno quella stessa sera per ritrovarsi, poi, in una passione che nasce e brucia sui passi del tango.

Tra la Thailandia e Barcellona, tra le loro vite e l'amore, il protagonista scopre le risposte alle sue domande, trovando in sé la verità che cercava. È questa una storia d'amore, la storia di un uomo che trova nella sua vita la strada. Quella giusta.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJul 10, 2019
ISBN9788831629911
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    Quella Giusta - Bryan Berto

    Medeiros

    Fix You

    Guardo la spiaggia, lei passeggia, delle piccole onde cancellano le sue orme, il sole che tramonta sul mare della Thailandia riflette sui miei occhi. Seguo la sua ombra, ora c’è e ora non c’è più. Non riesco a vedere i suoi capelli dorati. Sembra di essere da solo in due. Sento che è qui ma non c’è. Sono sdraiato su un’amaca all’esterno del bungalow, allungo una mano sul tavolino per cercare l’Ipod, scontro il posacenere e mi ricordo di aver lasciato uno spinello a metà. Lo prendo, lo accendo, lo fumo. Poi ricerco il mio lettore musicale, ha già le cuffie attaccate. Metto playlist e i ricordi dall’inizio. Tasto Play.

    L’incipit, l’inizio è Fix You, l’incipit, l’inizio è Martina. Le prime note di organo della canzone mi trasportano. Chiudo gli occhi, Rewind dove tutto è finito per iniziare. Tasto Play.

    Eravamo in macchina. Pioveva, il tergicristallo toglieva le gocce di pioggia che le luci dei semafori e i fari delle auto che passavano coloravano, pennellando di malinconia il paesaggio. Le parole che Martina aveva appena pronunciato mi avevano gettato in uno stato confusionale. Non capivo più nulla, lo stomaco era chiuso e non sapevo dove fosse finito il sangue, avevo le mani sudate e dopo qualche secondo le dissi che se non mi amava più, era inutile farle domande o cercare di convincerla. Ci fermammo in un parcheggio poco distante da casa sua, mi girai a guardarla e mi avvicinai al suo viso per baciarla sulle labbra, per sentire quanto fredde fossero. In quei pochi secondi capii che il bacio è una delle cose più sincere al mondo, le sue labbra rispecchiavano il suo sentimento e me lo stava dichiarando nel modo che mai avrei potuto immaginare, quello che il mio lato masochista aveva bisogno di confermare.

    Una sua lacrima mi inumidì una guancia, nell’allontanare il viso la guardai ancora una volta, accesi il motore e la riaccompagnai sotto casa. Le chiesi di scendere perché sarebbe stato inutile protrarre quell’agonia, ero senza salivazione, e appena scesa spensi lo stereo che ad un volume basso aveva fatto da colonna sonora ad una serie di aggettivi taglienti come lame. Partii, la testa era pesante e piena di pensieri e la paura di stare male, volevo scappare, volare su un’isola lontana, forse sparire, sicuramente tornare indietro per cancellare il giorno in cui ci eravamo conosciuti. Come in Se mi lasci ti cancello quando Clementine decide di far cancellare Joel dalla sua mente, eliminando così tutti i ricordi collegati alla loro storia d'amore.

    Mi fermai dopo qualche chilometro ad un semaforo rosso. Non aveva ancora smesso di piovere, a destra una ragazza in macchina sfruttava lo stop per controllare che il suo trucco non fosse sbavato, si girò con sguardo imbarazzato, la guardai assente, poi mi voltai verso sinistra, un’agenzia di viaggi stava chiudendo la serranda, pensai che un bel viaggio avrebbe potuto distrarmi, presi le cuffie e le infilai nel cellulare per chiamare Fabio, il suono di un clacson mi avvisava di ripartire.

    - Pronto? Fabio? - dissi con voce spezzata 

    - Ehi Ale! Che voce! Tutto bene? -

    Chiunque avrebbe capito che qualcosa non andava, ma lui lo avrebbe intuito anche da un mio starnuto.

    - Beh, se non fosse che Martina mi ha appena detto che non mi ama più da tempo e che è meglio che le nostre strade si dividano, direi che il resto va alla perfezione -

    - Oh, cazzo... -

    Fabio rimase zitto, aspettava aggiungessi qualcosa, ma ero troppo triste per poter esplodere, così continuò lui

    - Ma cosa cazzo le passa per la testa? Merda! Non ci posso credere! Che dici andiamo a berci qualcosa? -

    sapevo che era già davanti alla porta di casa pronto ad uscire

    - Non sono cosa le sia preso, comunque non ho voglia di uscire e vedere nessuno, ti ho solo chiamato per dirti che se non è un problema mi prendo qualche giorno per ragionarci un po’ su, non mi sento in grado di poter essere d’aiuto in ufficio -

    - Figurati! Stai tranquillo, penso a tutto io, vai a casa, mangia qualcosa e corri ad iscriverti a qualche sito per incontri, tempo qualche giorno e vorrai suicidarti! -

    - Scherzo Ale, se vuoi domani sera prendo del cibo cinese e ti faccio compagnia -

    quelle parole mi strapparono un sorriso 

    - Tranquillo, domani in ogni caso passo in ufficio per prendere dei documenti e pranziamo assieme - 

    lo salutai e chiusi il telefono.

    Fabio era diventato il mio punto di riferimento da anni, tra me e lui fu feeling a prima vista, da quando ci conoscemmo la mattina dopo il diploma, presentati da Jessica, la barista del bar di fronte al liceo con cui entrai in simpatia fin dal primo momento. Quel giorno, dopo aver festeggiato la promozione con vino bianco e focaccia, mi lasciò un biglietto da visita dicendomi di chiamarlo che ci saremmo potuti essere utili a vicenda. Lo contattai dopo l’estate e gli chiesi se avesse avuto un lavoretto da farmi fare per poter alleggerire le spese dell’università.

    Come se non aspettasse altro che la mia telefonata, dopo un mese mi fece iniziare a lavorare per lui tre mattine alla settimana, alternandole con gli studi. Cinque anni più tardi mi laureai in psicologia del lavoro e con Fabio decidemmo di diventare soci.

    Rientrai a casa, mi buttai sul divano e iniziai a fare zapping televisivo in modo compulsivo per via dell’insieme di emozioni, di domande, di disequilibrio interiore. Mi alzai per prendere una tazza e sbadatamente presi quella che io e Martina avevamo sempre considerato la nostra. Ci piaceva davvero tanto, era bianca con disegnato un palloncino ammiccante nei confronti di un cactus e una frase in corsivo Gli amori impossibili sono quelli che durano per sempre. Mi ha sempre fatto sorridere perché ritenevo davvero originale l’idea di un palloncino e un cactus, ma riguardandoli pensai che se anche fossero stati legati con un filo, prima o poi un soffio di vento li avrebbe avvicinati così tanto che il palloncino sarebbe esploso. Era il loro destino, sarebbe stato solo questione di tempo. Mentre la riempivo con dell’acqua del rubinetto iniziai a vedere una similitudine in quel palloncino: esploso, distrutto da una sua spina, quella che forse io ero riuscito ad evitare per tanto tempo. Quella tazza la vincemmo una delle prime cene fuori, Martina aveva dovuto lasciare la macchina a suo fratello Riccardo mentre io l’avevo dovuta portare dal meccanico prima che mi lasciasse a piedi in mezzo alla strada. Così decidemmo di fare i ragazzini, look sobrio, niente appuntamento con il cellulare, alle 7 in punto davanti alla pizzeria del centro commerciale per una pizza veloce seguita da cinema e qualche gioco stupido in sala giochi. Solo una semplice regola: niente coca cola e pop-corn. In una delle prime conversazioni era venuto fuori che entrambi ci vergognavamo di dover nascondere un ruttino o sentirci i pezzi di pop-corn tra i denti, era una stupidaggine, ma ci piaceva perché sembrava creare quell’intimità che ancora non poteva esserci. Ricordo ancora tutto di quella sera, lei scelse una margherita io una boscaiola. Il film lo avevamo deciso da giorni, volevamo qualcosa di comico e alla fine optammo per una commedia francese. Dopo andammo a fare i giochi più stupidi possibili, ci sentivamo osservati e quell’imbarazzo ci faceva scambiare degli sguardi pieni di intesa e che solo una storia all’inizio sa dare. Non ricordo quanti soldi spendemmo, ma dopo un paio di

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