Il Regno di Tadinum
Di Luigi Righi
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Anteprima del libro
Il Regno di Tadinum - Luigi Righi
conosciamo.
Prefazione
Questo è un racconto di ‘storia alternativa’, cioè di cosa sarebbe potuto succedere, nel corso degli eventi, SE
....
Se, cioè, un episodio, magari apparentemente secondario o, comunque, causato da una azione non eclatante, si fosse svolto in modo diverso.
La Storia è piena di coincidenze o di eventi casuali che, se fossero andati diversamente, avrebbero forse portato ad un corso storico, anche a livello mondiale, diverso da quello che conosciamo… ma non potremo mai saperlo.
In questo racconto, chiaramente di fantasia, immagino cosa sarebbe potuto succedere 'se' (e specialmente 'come'), nell'anno 552 d.C., la Battaglia di Tagina tra Totila e Narsete si fosse conclusa con la vittoria di Totila, re dei Goti in Italia, invece che con la sua sconfitta ed uccisione da parte del generale bizantino.
Se il germe del nascente stato italico non fosse stato schiacciato dall’Impero Romano d'Oriente, forse si sarebbe formata una nazione forte ed unita, al pari di Francia ed Inghilterra, 13 secoli prima di quando poi successe realmente.
Magari questa nazione avrebbe potuto costituire una salvaguardia per le successive invasioni barbariche, preservando almeno parte della civiltà occidentale e magari facendola crescere, evitando forse il periodo oscuro del Medioevo ed anticipando una cultura rifiorita solo alcuni secoli dopo.
Cenni storici
Estate del 552 dopo Cristo.
Nella battaglia di Tagina (la Tadinum romana ed attuale Gualdo Tadino), l'Impero Romano d'Oriente, chiamato successivamente anche Impero Bizantino, con un esercito al comando del Generale Narsete, sconfisse l'esercito dei Goti ed uccise il suo re Totila, sfaldandone il nascente regno e determinando in qualche modo il futuro dell'Italia.
Lo storico Procopio di Cesarea, cronista contemporaneo al conflitto, era al servizio di Giustiniano, Imperatore dell'Impero Bizantino, eppure della morte di Totila dice:
«La fine che gli toccò non fu degna delle sue passate imprese perché prima ogni iniziativa gli era andata a buon fine e la morte non coronò i suoi meriti. Anche questa volta il destino mostrò chiaramente di volersi divertire beffandosi dell’Umanità e dando una dimostrazione di quanto siamo illogiche e imprevedibili le sue decisioni».
La storiografia dei vincitori bizantini ha poi demonizzato Totila, imputandogli massacri e distruzioni non sempre avvenute, accusandolo di aver sovvertito l’ordine sociale liberando gli schiavi e di essere l'unico colpevole di una guerra durata 10 anni, senza tenere conto delle volte che il Re Goto mandò ambascerie di pace all'Imperatore Giustiniano, sempre respinte, o degli episodi in cui l'umanità di Totila verso la popolazione inerme, contrasta in confronto alle stragi sistematiche ed ingiustificate compiute dai mercenari bizantini.
Questo non è un romanzo storico ma di fantasia, anche se le basi delle vicende e delle notizie storiche sono reali, tranne, naturalmente, l'arrivo e l'intervento degli abitanti di Tadinum, che 'si inseriscono' nella Storia e modificano il futuro.
Eventuali errori, imprecisioni o ipotesi, o magari piccoli adattamenti per adeguarli ad un racconto immaginario, come anche l'interpretazione romantica di alcuni comportamenti di Totila o di altri personaggi storici, sono naturalmente mia responsabilità; c'è anche da dire, comunque, che le reali fonti storiche (principalmente Procopio, che però non fu presente allo scontro) non danno certezza assoluta di quello che successe, tanto che sulla battaglia Procopio stesso scrive <
Magari alcuni abitanti di Tadinum parteciparono davvero all'evento, ma senza apportare alcun esito, oppure, al contrario, aiutarono i Bizantini, però non sapremo mai cosa successe nella realtà o cosa sarebbe potuto succedere. Perlomeno in questo universo.
Capitolo 1. La battaglia.
Il Re indossa la sua corazza più bella, ricoperta di ornamenti d’oro; dal copricapo e dalla lancia pendono fiocchi color porpora e fregi con le insegne del suo rango.
In sella al suo destriero più imponente, scruta il suo esercito.
Molti di quegli uomini sono veterani di tante battaglie, stanchi, ma ancora pronti a battersi per lui.
La giornata è finalmente limpida e calda.
L'aria è asciutta, ma la pioggia dei giorni precedenti ha impregnato alcuni tratti del terreno pianeggiante e reso più difficili i movimenti della cavalleria.
La pianura è illuminata dai brillanti colori di mille fiori, inconsapevoli della morte che a breve li avrebbe travolti ed indifferenti agli uomini, come gli uomini erano indifferenti ad essi, concentrati nell'unico pensiero della battaglia.
Di fronte al Re, in lontananza, c’è l’esercito nemico, anch’esso consumato da anni di guerra, ma superiore per numero, per organizzazione e per addestramento; nonostante questo, il Re è impaziente di combattere.
Aveva disposto i suoi uomini in una falange molto serrata, evitando anche l'uso di archi ed armi da lancio per poter avere una forza d'assalto compatta, come un cuneo che sfonda le difese nemiche, ma il generale nemico, l’eunuco, il giorno precedente aveva fatto occupare un vicino colle, intuendo l’importanza strategica di quella posizione sopraelevata.
Anche il Re l’aveva capita: da quella postazione, cinquanta arcieri ben addestrati potevano controllare il passaggio sottostante e lasciare via libera a truppe che avrebbero trovato scoperto il suo esercito sul fianco sinistro.
Per rimediare, il giorno precedente aveva chiamato il valoroso Teia e gli aveva ordinato di mandare cento cavalieri a conquistare il colle, rifiutando sdegnosamente l’aiuto che alcuni abitanti del luogo gli avevano offerto.
I suoi uomini avevano assalito i difensori, ma questi avevano resistito ad ogni sforzo e anzi, con frecce e gran fracasso di bastoni e scudi, avevano ucciso i cavalieri e spaventato i cavalli. Varie volte i Goti avevano cercato di prendere il colle, ed ogni volta erano stati respinti, subendo gravi perdite. Teia era tornato a riferire che quei cinquanta arcieri nemici rendevano il colle inespugnabile.
Totila si era maledetto per non averci pensato prima, ma lui non era incline a prolungate tattiche e geometrie; lui era un guerriero che, in sella al proprio destriero, spada in pugno, travolgeva i nemici.
Quasi si era rammaricato di non aver accettato, per orgoglio, l’aiuto della popolazione locale, ma ormai il tempo delle tattiche era passato, era giunta l’ora della battaglia.
Esorta i suoi uomini: <<Vi ho qui raccolti, commilitoni, per rivolgervi l'ultima esortazione, perché, come credo, dopo questa battaglia non vi sarà nessun altro incitamento, ma tutta la guerra sarà decisa e conclusa in un solo giorno. In verità tanto noi quanto l'imperatore Giustiniano siamo fiaccati ed esausti nelle forze per le fatiche, le battaglie, gli stenti tra cui per lungo tempo abbiamo vissuto; anche la durezza della guerra ormai ci ripugna; così se oggi superiamo questa prova i nemici non potranno mai più rifarsi; se poi oggi a noi toccasse una sconfitta, per i Goti sarebbe persa ogni speranza di riscossa in un altra battaglia. Dopo quanto vi ho detto, valenti uomini, fate ogni sforzo per mostrarvi prodi nel combattimento, quali in realtà voi siete.>> ¹
Dopo di che, con grida di guerra, si lancia all’attacco per primo e tutti i suoi uomini lo seguono, perché lui è Baduila, Re dei Goti e d'Italia, chiamato da tutti Totila, Immortale, e di fronte c’è l’esercito romano-bizantino che vuole togliergli il regno.
La battaglia infuria per ore. I Goti combattono con audacia e ferocia, ma i Romani sono più numerosi ed organizzati, anche se nelle loro file ci sono barbari selvaggi che si battono come demoni.
Gli arcieri bizantini, sia da dietro i propri cavalieri che dal colle, quel colle che anche i Goti avevano cercato di conquistare senza riuscirvi, continuano a lanciare frecce che fanno strage dei guerrieri goti, ma Totila sembra davvero immortale: una freccia l’aveva colpito, però, incurante della ferita, al centro delle mischie più furibonde, uccide i nemici con valore e furia impressionante e trascina col suo ardore tutti i suoi fedeli guerrieri.
Nonostante l'inferiorità numerica dei Goti, la battaglia sembra in equilibrio ma, all’improvviso, da dietro il colle presidiato dagli arcieri bizantini, sbuca un’orda infernale: mille cavalieri longobardi ed eruli, mille demoni urlanti e spaventosi che assaltano il fianco scoperto dell’esercito di Totila e lo travolgono.
I guerrieri goti, pur valorosi, vengono falciati e uccisi a centinaia, e iniziano a sbandare e fuggire, perso ogni sentimento.
Il Re viene nuovamente ferito e i suoi uomini lo trascinano via con loro; non ha più la forza per opporsi e per combattere. L’esercito romano dilaga; i cavalieri longobardi sono famosi per il loro coraggio e la loro crudeltà ed i Goti ormai non pensano ad altro che a fuggire, portando in salvo il loro Re sempre più debole.
Dopo alcune miglia si fermano: il Re sembra vicino alla morte. Totila sente le forze scemare sempre di più, la vista farsi scura; possibile che lui, Totila, l’Immortale, debba morire?
Viene adagiato in terra, ma il corpo è ormai insensibile, la vista si oscura del tutto, la mente sprofonda sempre più nel nulla e il Re...
...si sveglia col respiro affannoso, il cuore che martella impazzito nel petto e un grido strozzato in gola.
È nel suo letto, nella sua camera, nella sua Reggia.
La Regina, coricata a fianco a lui, apre gli occhi allarmata e gli chiede: Baduila, che succede, stai male?
Solo lei ormai lo chiama Baduila, e solamente quando sono soli; un’intimità che permette solo a lei, ma, d’altra parte, tutti i suoi amici di quando era giovane sono ormai morti: il valoroso Teia, l’indomito Aligerno, il suo secondo figlio Uraia... Per tutti gli altri lui è Totila, l’Immortale. E davvero sembra che sia immortale: a quasi novant’anni, la sua mente è ancora lucida ed il suo corpo, sebbene coi fardelli che il tempo regala agli uomini, è ancora in grado di reggere le sorti del Regno.
Con la mente ancora in parte stregata dal sogno, il Re si volta verso la sua compagna: anche lei ormai è vecchia, ma non certo quanto lui. Da molti anni ormai la notte non chiama le concubine per fargli compagnia, ed è legato profondamente alla moglie, a quella donna straniera conosciuta tanti anni prima.
Straniera...
pensò, in realtà sono io, straniero, nel mio regno; lei è nata qui.
Per amor suo aveva abolito la legge che impediva matrimoni tra Goti e Italici. Per amor suo, oltre che per vantaggi politici, si era convertito alla religione di Cristo, anche se in momenti come