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Themis
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Themis

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Themis tra cenere e fiamme: Altea ha una vita tranquilla, un lavoro che le piace, un fidanzato fantastico e degli amici meravigliosi. Sarebbe tutto perfetto, se non fosse per gli strani incubi che hanno cominciato a turbare il sonno della ragazza. Poi, un giorno, la giovane trova la casa quasi del tutto distrutta... Cosa sta succedendo alla vita tranquilla di Altea? E perché sembra che i suoi amici conoscano la causa di tutte le stranezze che stanno accadendo? Cosa le nascondono?
LanguageItaliano
Release dateApr 30, 2019
ISBN9788830603943
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    Themis - Debora Fumagalli

    eventi.

    Themis

    Prologo

    La piccola città dormiva profondamente immersa nel silenzio della notte. Solo le stelle illuminavano quel cielo stranamente troppo sereno, contornando lo spicchio di luna che sembrava sorridere dolcemente. Le strade erano completamente deserte, fatta eccezione per un piccolo gatto, forse un po’ annoiato, che giocava a fare l’equilibrista sulla staccionata bianca di una casa.

    Una leggera brezza primaverile fece danzare le piante rigogliose.

    Dalle case poste ai bordi della strada, non proveniva alcun rumore. Anche nei giardini, ben curati, i primi fiori sbocciati per l’arrivo della primavera, si erano chiusi in piccoli boccioli sognanti in attesa del sorgere dell’alba, per potersi aprire e arricchire i verdi prati.

    Ben presto quel senso di pace che avvolgeva la città sarebbe stato interrotto dal suono stridulo di un cellulare.

    Una spiacevole canzoncina, proveniente dall’interno di una villetta rosa sul finire della strada, fece accendere una luce al piano superiore.

    Il ragazzo prese il cellulare e rispose con la voce assonnata, senza nemmeno guardare chi fosse:

    «Pronto.»

    «Devi venire di corsa!» Riconobbe subito la voce femminile.

    «Cos’è successo?» chiese quasi scocciato.

    «La Consigliera è tornata e ci ha convocati d’urgenza.»

    Il ragazzo sbarrò gli occhi, capendo che doveva trattarsi di una cosa veramente importante. «Arrivo!»

    Chiuse la telefona e si alzò in tutta fretta dal letto.

    Si infilò le prime scarpe da tennis che trovò ai piedi del letto, scese di corsa le scale per raggiungere il piano inferiore, prese dall’attaccapanni all’ingresso la solita felpa grigia e se la infilò, non curante del fatto che indossasse ancora il pigiama, spalancò la porta di casa e si trovò in strada.

    Iniziò a camminare veloce con la brezza che gli solleticava il viso.

    Per ripararsi, sollevò il cappuccio sulla testa e infilò le mani nelle tasche della felpa.

    Percorse tutta la strada sicuro della destinazione e svoltò nell’ultima via, al terminare della schiera di case, dove iniziava il campo di grano.

    Proseguì vicino alle alte spighe, con una strana sensazione di disagio, finché non si parò di fronte a lui il solito magazzino abbandonato, posizionato nel mezzo di una distesa d’erba.

    Tirò un sospiro.

    Anche se era solo una catapecchia abbandonata, sapeva che era un posto sicuro.

    Era una struttura non troppo grande, le dimensioni di una modesta abitazione, lasciata al suo destino da innumerevoli anni. Le pareti esterne, che un tempo dovevano essere state verniciate di bianco, erano logore, si scrostavano nei punti più alti dove la pioggia aveva svolto al meglio il suo lavoro, mentre in basso si erano create delle strane sagome scure, che nel pieno della notte, anche dopo anni, provocavano al ragazzo ancora i brividi.

    Il tetto cadeva a pezzi, sorretto solo da due grosse travi di legno che gli impedivano di crollare del tutto. Anche i vetri delle finestre erano completamente distrutti, restavano solo dei pericolosi residui appuntiti agganciati agli infissi.

    Lo avevano scelto fin da subito come luogo di incontri segreti. Nessuno si sarebbe chiesto chi ci fosse stato al suo interno, o comunque a nessuno sarebbe interessato.

    Quella notte la figura cubica era più inquietante di quanto si ricordasse, ma dall’interno proveniva una fievole luce calda prodotta da alcune candele.

    Significava che gli altri erano già arrivati.

    Si fece coraggio ed entrò, pensando a cosa potesse essere successo per convocarlo nel bel mezzo della notte.

    Si avvicinò al portone, notando che il catenaccio che avrebbe dovuto tenerlo chiuso era stato aperto di fretta e lasciato cadere a terra. Appoggiò entrambi le mani sul legno umido e freddo dandogli una spinta e provocando un fastidioso cigolio.

    Si trovò nell’unica grossa sala che caratterizzava il magazzino, resa un po’ più accogliente con un semplice tavolo rotondo in legno grezzo situato nel mezzo, qualche tronco tagliato usato come appoggio o seduta e alcune candele sparse, ora accese, per illuminare le notti più buie.

    Negli angoli della stanza si potevano notare le grosse piastrelle grigie del pavimento sollevarsi per lasciar spazio alla natura, dei piccoli ciuffi d’erba cercavano di farsi strada per invadere la stanza.

    Il cigolio della porta fece voltare i presenti che iniziarono a fissare l’ultimo arrivato.

    La ragazza in piedi sulla destra fece l’ultimo tiro di sigaretta per poi gettarla a terra spegnendola con un piede, prima di pronunciarsi:

    «Sei in ritardo» disse con aria seccata.

    «Ho fatto più in fretta che potevo.» rispose il ragazzo con il fiato corto.

    «Carino il pigiama» lo schernì lei, squadrandolo dalla testa ai piedi.

    «Pensa quanto avrei tardato se mi fossi cambiato» rispose permaloso il ragazzo, quasi offeso. «Cosa succede?» le chiese cambiando discorso.

    Avrebbe preferito evitare di passare la notte a discutere del suo pigiama.

    «Non l’ho ancora capito, stavamo aspettando te per iniziare» disse cercando di nascondere il nervosismo.

    Il ragazzo ruotò lo sguardo per la stanza notando le altre due figure maschili che si erano accomodate sui tronchi a fianco del tavolo; concentrati nei loro pensieri o ancora mezzi addormentati non proferirono parola.

    Li salutò con un cenno del capo.

    «Ascoltatemi bene» una voce calda e decisa arrivò dall’angolo opposto della sala.

    La Consigliera, ancora intenta ad accendere le ultime candele, parlò senza voltarsi.

    I suoi lunghissimi capelli ramati risaltavano anche nel buio della stanza, vicino alle fiammelle delle candele sembravano ancora più luminescenti, tanto che quando si voltò iniziando a camminare, ondeggiarono contro il gracile corpo, sembrando anche loro flebili fiamme.

    «Ho ricevuto una soffiata dalle mie spie» continuò, camminando avanti e indietro nervosamente, giocherellando con gli enormi anelli che portava alle dita. «Hanno avvistato a pochi chilometri da qui delle strane creature che entravano e uscivano furtivamente dalle case, chiaramente in cerca di qualcosa.» Alzò lo sguardo sui presenti in attesa di reazioni.

    «Non allarmiamoci per niente» disse il ragazzo che portava ancora il cappuccio in testa, nonostante la brezza si fosse affievolita in mezzo alle quattro mura «Magari le tue spie non sono così attendibili.»

    Fece una pausa per cercare di nascondere la preoccupazione «Avranno visto dei topi...» continuò cercando di sdrammatizzare la tensione creatasi e accennando un finto sorriso.

    «Non essere sciocco!» esclamò la Consigliera innervosendosi. «La loro descrizione è stata chiara: piccoli folletti verdi, con squame viscide su tutto il corpo e occhi gialli, luminosi anche al buio. Ci ricordiamo benissimo tutti a cosa corrisponde questa descrizione.» Sospirò cercando di calmarsi e continuò cambiando tono: «Stavano cercando qualcosa, o meglio qualcuno, così sono andata a controllare di persona.»

    Rivelò così il motivo della sua lunga e inspiegabile assenza.

    Li tenne in sospeso per qualche secondo, come se stesse cercando il coraggio di pronunciare la frase successiva.

    «Cos’hai scoperto?» chiese il ragazzo non riuscendo a trattenersi.

    «Le mie fonti non sbagliano mai!» pronunciò fiera, ma al tempo stessa dispiaciuta di aver dato una così brutta notizia.

    «Non ci posso credere» inveì la ragazza bionda tirando un pugno sul muro. «Dopo sette anni ce l’hanno fatta! Ci hanno trovati e hanno trovato la Principessa!»

    «Non ancora» la interruppe la Consigliera. «Noi glielo impediremo! Dobbiamo aumentare la protezione nei suoi confronti, seguirla in ogni momento della giornata, non perderla mai di vista... Non gli permetteremo di rapirla!» aveva parlato talmente veloce che gli mancò il fiato sul finire della frase.

    Il ragazzo avvertì l’inizio di un attacco di panico.

    «Ci impegneremo tutti, come abbiamo sempre fatto, anzi di più!» disse con il fiato corto mentre cercava di togliersi la felpa per il calore improvviso. «Non permetterò a nessuno di portarla via da me…ehm… da noi.» si corresse diventando ancor più paonazzo.

    I due ragazzi robusti ancora appollaiati sulle loro sedute, che fino a quel momento erano rimasti in silenzio, cercarono di trattenere una risatina.

    «Basta!» urlò la Consigliera, facendoli sobbalzare. «Non è il momento di scherzare!» Lanciò loro uno sguardo di fuoco. «Da domani vi voglio vigili e perennemente presenti! Ogni sera voglio il riassunto della giornata, mi informerete di ogni movimento sospetto.»

    Si lasciò cadere appoggiandosi al tavolo, sembrava sconvolta; poi si passò una mano sul viso, come per riprendersi da un terribile incubo «Ora andate. Cercate di riposarvi. Da domani sarà tutto diverso.»

    Alzò il suo delicato viso, scoprendolo dai capelli ramati, nell’oscurità erano ancora più evidenti le enormi ombre nere sotto gli occhi.

    Da quanto tempo non dormiva? Il viaggio doveva averla distrutta.

    Rimase qualche secondo a fissare i quattro Cavalieri che si trovava di fronte, mentre ricambiavano il suo sguardo con convinzione e prontezza.

    «Mi fido di voi.»

    Si sollevò, dandosi una leggera spinta con le braccia lasciando l’appoggio sicuro del tavolo e uscì per prima dal tetro posto.

    I suoi ordini erano stati chiari, non sentiva la necessità e men che meno la voglia di aggiungere altre parole.

    I Cavalieri la seguirono a ruota, lasciando di coda il ragazzo che cercava di rimettersi la felpa e si preoccupava di spegnere tutte le candele, prendendosi così qualche secondo per riflettere sulla notizia.

    Quando varcò la soglia, si voltò per chiudere il portone con il catenaccio, che era rimasto sull’erba umida per tutto il tempo.

    Sigillato il luogo segreto, si voltò verso i suoi compagni.

    Nessuno aveva voglia di parlare e della Consigliera non c’era più alcuna traccia.

    S’incamminò da solo verso casa. La preoccupazione gli attanagliò lo stomaco. Si strinse le braccia al petto, pensando che la finta pace vissuta per sette anni, stava per diventare l’incubo che tutti attendevano, consapevoli che prima o poi sarebbe arrivato.

    Alzò lo sguardo verso il cielo, sembrava diverso, più cupo e grigio, anche la luna non sorrideva più, ora sembrava triste, o forse era semplicemente il suo stato d’animo che gli faceva vedere il mondo in modo diverso.

    Quando entrò nella sua camera e si sdraiò sul morbido e accogliente letto, capì subito che avrebbe passato il resto della notte insonne guardando il soffitto.

    Dopo quella notizia, come poteva dormire?

    Attese l’alba avvolto nei suoi pensieri.

    CAPITOLO 1

    Drin-drin.

    La ragazza sobbalzò leggermente.

    Drin-drin.

    Di nuovo quel suono odioso, il suono che interrompeva ogni mattina i suoi sogni.

    La sveglia.

    Allungò la mano destra per cercare a tastoni il pulsante che avrebbe spento la sua peggior nemica.

    Eccolo.

    Lo premette per ottenere il silenzio.

    Aprì un occhio assonnato e vide che l’orologio segnava le 7.28.

    «Ancora due minuti e mi alzo» pensò la ragazza, appena prima di sentire il ticchettio di unghie sul parquet della stanza.

    Una voce stridula iniziò ad abbaiare ai piedi del suo letto.

    «Sì Fluffy, lo so che devo alzarmi» si sporse leggermente di lato per vedere il musetto dolce di quel batuffolo di pelo che l’aspettava scodinzolando.

    Era un piccolo volpino, suo fedele amico ormai da sette anni.

    Si era appena trasferita in quella piccola cittadina di campagna quando una sera, tornando dal lavoro, lo aveva trovato vicino ad un cassonetto della spazzatura, tutto sporco e fradicio a causa del terribile temporale che c’era stato quel giorno. Non riusciva proprio ad immaginare chi potesse averlo abbandonato. Senza rifletterci nemmeno per un secondo, lo aveva preso e portato con sé in casa, si era presa cura di lui, l’aveva lavato e pettinato finché il suo manto non era diventato candido e voluminoso come una nuvola alla nocciola.

    Si ricordava bene di quanto tremava e di quanto fosse terrorizzato, aveva capito che entrambi in quel momento avevano bisogno di un amico. Da quel giorno erano diventati inseparabili.

    Trovò il coraggio di alzarsi prendendo in braccio il suo cagnolino e dirigendosi in cucina per la colazione.

    Gli riempì la vaschetta di croccantini, mentre si preparava il caffè che le avrebbe dato la forza di affrontare la giornata.

    Barcollò in bagno per lavarsi, ancora mezza addormentata, aspettando l’effetto della caffeina.

    Optò per un look casual: leggins blu e maglietta lunga bianca. Prese la borsa, la giacca di pelle e uscì di casa, non prima però di aver dato le ultime indicazioni a Fluffy accarezzandogli la testa: «Sai che torno, vero? Tu, mi raccomando, fai la guardia.»

    Uscì di casa dubitando che un volpino fosse veramente adatto a curare una casa.

    Fece un respiro profondo assaporando l’aria fresca della mattina.

    Forse avrei dovuto prendere anche la sciarpa, pensò, ma si incamminò ugualmente verso l’ufficio. Fortunatamente distava poco da casa e poteva godersi quella mattina primaverile con una bella passeggiata.

    «Ciao Sky.»

    La ragazza bionda, seduta alla scrivania, alzò lo sguardo dallo schermo del computer con un sorriso, ricambiando il saluto «Ehi Altea! Passato bene il week end?»

    «Sì, tutto bene, tu? Sei già al lavoro?» chiese incredula, ma subito il suo entusiasmo si spense quando, facendo il giro della scrivania, vide che stava giocando a solitario.

    «Sai che non inizio a lavorare finché non arrivi tu» rispose ammiccando e chiudendo la pagina.

    Si erano ritrovate casualmente come colleghe, anni prima, in questa piccola agenzia viaggi. Altea ci lavorava già da qualche mese e passava le giornate a fissare sempre la scrivania vuota vicino alla sua, chiedendosi spesso se le avrebbero mai assunto una collega. Un giorno era entrata dalla porta questa ragazza, portava i capelli molto corti sul lato destro, con un lungo ciuffo platino che le cadeva sul lato opposto appoggiandosi lievemente sulla spalla, sottolineando la carnagione chiara ed esaltando i suoi occhi verdi. Non era molto alta, forse qualche centimetro più bassa di lei, ma al contrario aveva una corporatura formosa, evidenziata da jeans a vita bassa e una canottiera scollata.

    Si era avvicinata decisa e con un fare molto solare.

    «Ciao io sono Skylar, la tua nuova collega, ma tu puoi chiamarmi Sky.»

    Dalla stretta di mano che si erano scambiate aveva subito capito la tenacia della sua futura compagna di lavoro.

    Fin da subito era entrata nella sua vita come un uragano e in poco tempo, oltre che colleghe, erano diventate ottime amiche, scoprendo che entrambe condividevano la passione di organizzare viaggi nella speranza che prima o poi avrebbero potuto farne uno insieme, fantasticando sulle mete più strane.

    «Pensa se potessimo organizzare visite guidate su altri pianeti» diceva Altea sognante.

    «Ma non dire stupidaggini» controbatteva Sky «Credi veramente che su altri pianeti ci siano forme di vita?»

    «Certo che ci credo, anzi ne sono sicura!»

    «Tu sei tutta matta.»

    Scoppiavano entrambe a ridere e la giornata prendeva una piega più leggera.

    Si accomodò alla scrivania adiacente a quella dell’amica, appoggiando la borsa sulla sedia e togliendosi la giacca, mentre Sky le raccontava gli episodi avvenuti nel week end.

    Nel piccolo ufficio erano solo loro due, con le scrivanie bianche posizionate in modo tale da formare una specie di V e le sedie nere rivolte verso l’ingresso per accogliere i clienti che varcavano la porta. Guardandole saltava all’occhio la differenza caratteriale delle due ragazze: la postazione di Altea era sempre ordinata e pulita, con i fascicoli in ordine alfabetico, mentre quella di Sky era il campo di battaglia della seconda guerra mondiale, in cui solo lei riusciva sempre a trovare i documenti che le servivano.

    In quel tardo pomeriggio, finito il lavoro, le due ragazze chiusero l’ufficio e si salutarono.

    «Ora cosa fai?» le chiese Sky.

    «Il solito: vado in caffetteria e mi leggo un buon libro fino all’ora di cena» rispose tutta soddisfatta del suo impegno.

    «Che noia!» disse l’amica con una smorfia «Allora vado in palestra.»

    «Ok, ci vediamo domani» le sorrise e iniziò ad incamminarsi.

    «No Altea, aspetta» disse Sky, quasi cambiando espressione, come se uno strano pensiero le avesse attraversato la mente. «Ti accompagno!» Poi, notando la sorpresa della sua amica aggiunse: «Questa bella giornata mi fa venire voglia di allenarmi all’aria aperta.»

    Era evidentemente una scusa, ma Altea non si oppose, la sua compagnia le faceva sempre piacere e in due la strada sarebbe sembrata più breve.

    Arrivate alla caffetteria si salutarono definitivamente e Altea entrò contenta che il momento preferito della sua giornata fosse giunto: lei davanti ad un bicchiere di thè freddo mentre leggeva.

    La caffetteria era un luogo molto accogliente, quasi si sentiva come a casa. I muri dal colore caldo e i divanetti in pelle all’angolo affiancati da quel mappamondo in stile vintage, erano in grado di rilassarla anche dopo le giornate più dure e quella leggera musica lounge non la disturbava affatto, anzi la accompagnava durante la lettura. Sopra al lungo bancone in vetro, posto di fronte all’ingresso, una serie di tazzine, sorrette da un filo che partiva dal soffitto, cadevano a cascata come una pioggia di stelle, affascinandola ogni volta che varcava la soglia, nonostante fosse da anni che le vedeva ogni giorno.

    Si accomodò al solito tavolino tondo di legno chiaro lucido, appostato di fronte alla vetrata che dava sull’esterno, così da poter ammirare la piazza che caratterizzava il centro del paese.

    Estrasse il libro dalla borsa, avvolta nei suoi pensieri, quando la voce di Natan la fece sobbalzare.

    «Ti preparo il solito?»

    Il barista sorridente le stava davanti.

    «Oh, sì, grazie Nat, come stai?»

    «Impegnato nel lavoro, come sempre.»

    Conosceva quel ragazzo da quando aveva iniziato a frequentare la caffetteria, nonostante fosse sempre indaffarato, aveva un sorriso di riguardo per tutti i clienti che entravano, forse era anche questa particolare gentilezza a metterla a suo agio.

    Il robusto ragazzo andò dietro al bancone a preparare ciò che gli era stato chiesto, non prima però di aver fatto una rapida telefonata: «È qui» disse solo, prima di riagganciare.

    Altea, già immersa nella lettura, non fece caso a quel dettaglio, d’altronde quando si buttava nelle pagine di qualche fantasy, poteva crollarle il mondo addosso che non se ne sarebbe nemmeno accorta.

    Dopo pochi minuti, un’esile figura le si parò davanti e attirò la sua attenzione.

    Il ramato dei capelli lunghi fino alla vita, le fece capire di chi si trattava ancor prima di arrivare con lo sguardo al suo viso.

    Helen, la sua migliore amica.

    Si alzò subito per salutarla con un forte abbraccio.

    Non la vedeva da settimane, da quando aveva dovuto assentarsi per un viaggio di lavoro improvviso.

    «Sono così contenta di vederti!» le disse Altea sciogliendosi dall’abbraccio «Raccontami come è andato il viaggio!»

    Dallo sguardo cupo dell’amica nel sentire quella domanda, poté intuire la risposta.

    «Il problema era più grave del previsto» disse Helen sedendosi di fronte a lei. «Non sono ancora riuscita a risolverlo, ma ci sto lavorando.»

    Fu stranamente di poche parole, di solito era una gran chiacchierona e adorava parlare del suo lavoro. Faceva la psicologa da svariati anni, aveva un grande successo e i pazienti chiedevano sempre di lei allo studio. Altea non ne era sorpresa, Helen aveva un’abilità innata di ascoltare e capire i problemi altrui risolvendoli con ottimi consigli, ma quel giorno era diversa. Qualcosa durante il viaggio doveva averla turbata al punto da renderla così silenziosa.

    La scrutò attentamente notando che il viso dell’amica era segnato dalla stanchezza: aveva gli occhi spenti, il viso pallido e un sorriso forzato. Portava un abito nero a maniche corte che le arrivava fino alle caviglie e lasciava scoperte solo le converse bianche ai piedi.

    Sapeva benissimo che vestiva di nero solo quando era di pessimo umore.

    «Non voglio annoiarti con discorsi sulla psicologia quindi raccontami di te: come hai passato queste due settimane in mia assenza?» le chiese Helen, tentando di cambiare discorso «Con Mark? Sempre tutto perfettamente sereno?» chiese sapendo già la risposta.

    «Sì» rispose con un sorriso a trentadue denti. «Con Mark tutto bene, ci vediamo questa sera per cena e poi resta a dormire.»

    Mark.

    Ormai erano insieme da sei anni.

    Si erano incontrati in quella stessa caffetteria. Mark si stava godendo un calice di vino mentre scherzava con Natan dietro al bancone. Quest’ultimo, finito di lucidare i bicchieri, si era messo a fare il cupido della situazione, indicandogli la ragazza china sul libro con i capelli neri che le coprivano metà viso.

    Il ragazzo si era avvicinato spavaldo, troppo convinto di se stesso.

    «Così ci fa una ragazza così bella tutta sola?» aveva chiesto ammiccante.

    Lei, sollevando il viso, aveva iniziato a fissarlo pensando

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