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Giorni di polvere
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Giorni di polvere

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Fantasy - racconti (116 pagine) - Era un assassino letale e spietato. Ora è solo e oppresso dai rimorsi, ma chi altri potrebbe affrontare gli incubi che si celano nelle foreste più buie?

Massacratore di eserciti, maestro di fuoco e tempeste, dalle foreste più cupe agli antri più profondi, sfiderà mostruosi incubi e divinità folli, in cerca di un motivo per continuare a vivere.

Valentino Eugeni, classe 1975, è nato in un piccolo e ridente paese adagiato sul collinare entroterra marchigiano. È autodidatta in tutto, curioso in maniera parossistica, eclettico, eccessivo e innamorato della lettura e gattaro impenitente, come, del resto, Edgar Allan Poe, Howard Philips Lovecraft e Terry Pratchett. Eugeni è giocatore di ruolo da quando esisteva solo D&D prima edizione e si é nutrito di tutto l’immaginario che usciva dalla penna di Weis e Hickman da La sfida dei gemelli a tutte le saghe di Dragonlance e compagnia. Tra i suoi amori letterari Isaac Asimov, Lovecraft, Frank Herbert, Robert Ervin Howard. Ama lo stile crudo e immaginifico di Clive Barker, ma anche Gaiman al quale si ispira molto come stile e idee.
LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateJun 18, 2019
ISBN9788825409437
Giorni di polvere

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    Giorni di polvere - Valentino Eugeni

    idee.

    Introduzione

    di Alessandro Iascy & Giorgio Smojver

    I racconti presenti in quest'opera hanno una genesi molto differente l’uno dall’altro, e sono piuttosto differenti tra loro ma hanno in comune l'appartenenza al ciclo Parthan cacciatore di tesori; nella vita dell'eroe si posizionano alcuni anni dopo la caduta della malefica Torre dalla quale egli proviene, e un paio di anni prima gli eventi narrati nel Cane Rosso dell'imperatore (Watson Edizioni, 2018). Parthan viaggia da solo, un po’ per timore di rappresaglie, un po’ per evitare di far male a qualcuno, e un po' per il sottile disgusto che gli ispira la maggior parte degli uomini, incluso sé stesso. Ma la sua indole di avventuriero rasenta l’autolesionismo e, con la scusa di guadagnarsi la pagnotta, si infila nei più oscuri e pericolosi meandri di Saanìa. Oltre ad esplorare il personaggio, i racconti, hanno l'intento di raccontare i lati meno civilizzati, meno conosciuti del continente e dei suoi abitanti. L’umanità ha preso il sopravvento su tutto e molte creature antiche, popolazioni di semi umani, semidei e creature sovrannaturali, si sono ritirati dove la maggior parte degli uomini non osa mettere piede. Ma è lì che Parthan si avventura e, volente o nolente, è costretto ad usare le sue arti mortifere nel tentativo di redimersi.

    Ali di corvo, primo dei due racconti presenti nell'opera, è una duplice storia d’amore. Amore di una dea per le sue creature, un amore ostacolato dalle regole stabilite dagli dei stessi, sentimento ambiguo e crudele come spesso sono le passioni delle divinità arcaiche; e amore dell'eroe per la ninfa, amore impossibile e che, come nei miti più veri, non può essere coronato che dalla morte, data come atto di pietà. Ci sono forze oscure, malvagie e avide in azione da molti secoli e le loro armi non sono l'acciaio ma l’inganno, l’illusione e il raggiro. E Parthan non sopporta l’idea della schiavitù, egli stesso si sente imprigionato e strangolato dal suo passato, dalla sua natura, dal suo addestramento. Per parafrasare le parole di Hagea (dea della vendetta e dell’oltretomba): chi meglio di un assassino feroce e distruttivo può aiutare qualcuno letale e distruttivo?

    Marcio e lucente, secondo racconto dell'ebook qui presente, esplora il senso dell'amicizia di Parthan. Cresciuto nel clima di perenne competizione della Torre, cupo e diffidente, incapace di dominare le proprie letali collere, è per lui praticamente impossibile coltivare rapporti basati sulla fiducia. Questo muro di morbosa diffidenza può essere superato solo da chi è in grado di tenergli testa, senza rischiare la vita per il solo fatto di essergli vicino. Gelmuth è l’unico amico che Parthan possa avere, cioè un nemico rispettato per il talento e l'intelligenza: reietto e pericoloso quanto lui.

    Due parole infine sulla magia di Parthan: non il genere di stregoneria che più spesso ricorre nello sword & sorcery, la magia nera (basata su un patto con i demoni) o la necromanzia (potere sui morti); e nemmeno la magia bianca di Gandalf È magia elementale. Nell'Europa cristiana, che non ammetteva vie di mezzo tra la santità, che compiva quella magia bianca che è il miracolo, e la magia nera, che asserviva l'uomo ai demoni, una nicchia libera fu scavata da occultisti come Paracelso, Cornelio Agrippa, che definirono gli Spiriti Elementali, né angeli né diavoli, che animano l'aria, l'acqua, il fuoco e la terra; spiriti che il mago può dominare per i propri fini, senza dannare la sua anima: esempio classico di mago elementale è Prospero nella Tempesta di Shakespeare. Ma Parthan è più cupo. Il potere gli viene dalla sua natura profonda più che dai suoi studi, ed egli, oltre a dominare e forze occulte della natura, ne è dominato.

    Illustrazione di Pietro Rotelli

    Parte I

    Ali di corvo

    Vieni.

    Alle soglie del Giardino di Mezzanotte i corvi gracchiano invisibili nel cielo di pece. L’uomo che cammina solo ne varca i cancelli.

    Vieni. Una voce echeggia nell’aria.

    La dea dalle roride labbra, adagiata tra le braccia di pietra di un freddo amante, lo attende e lo chiama.

    Vieni, vieni a sederti accanto a me.

    Chi siete? Chiede l’uomo.

    Veglio su di te dal primo battito del tuo cuore, e proprio tu non mi riconosci?

    Non sono in vena di indovinelli, signora.

    Sono Hagea, sorride lei, Sovrana dell’Abisso.

    1.

    Parthan sbadiglia e impreca a mezza bocca. Ha dormito poco e male. Fortunatamente viaggia da solo, così nessuno è costretto a subire i suoi grugniti, il suo aspetto trasandato e il malumore che ultimamente ne accompagna il risveglio. Con un gesto brusco delle spalle getta a terra il pesante mantello che ha usato come coperta, riabbottona la giubba scura, e si alza in piedi facendo schioccare il collo e le ginocchia. Nonostante il cielo azzurro, il sole nascente e un piacevole venticello, Parthan trova la stramaledetta foresta assolutamente detestabile. Le punta contro i suoi occhi color piombo e una smorfia minacciosa quasi fosse un animale da tenere a distanza. La foresta, dal canto suo, rimane silenziosa e un po’ grigia, così come era la sera prima e probabilmente nei secoli precedenti. Sbuffando raccoglie il borsone di pelle, spolvera via il terriccio con la mano, e si avvia lungo il sentiero di terra battuta.

    Di solito dorme poco, troppi incubi, troppi ricordi e troppi nemici, ma ultimamente è diverso, i suoi sogni sono vividi e lasciano nell’anima una sensazione di terrore o di estrema meraviglia, non sa stabilirlo. Peccato non riesca a ricordare altro se non fugaci impressioni, echi di parole che non capisce e che bastano a rovinargli la giornata, come se l’andare per boschi in cerca di ninnoli antichi non sia già un lavoro detestabile.

    Ma del resto cosa potrebbe fare nella vita uno come lui? Da qualche giorno non fa altro che interrogarsi sulla propria esistenza, sulle proprie origini, pensieri che non lo avevano mai davvero sfiorato quando obbediva agli ordini della Torre, quando la furia della sua magia bruciava eserciti e distruggeva villaggi. Famiglia, padre, madre, figli, erano parole vuote per lui. È meno che orfano, è meno che un reietto, è un essere che non esiste nel mondo, un’ombra, un incubo. Scuote via i pensieri dalla testa: piangersi addosso come un poppante non gli farà trovare quello che cerca. E lui trova sempre quello che cerca.

    Il terreno è soffice sotto le suole degli stivali, asciutto, e l’aria profuma di muschio e legno. Tutto sembra calmo e tranquillo eppure la sensazione di fastidio dietro la nuca, quel familiare formicolio che preannuncia un pericolo, gli si insinua in profondità nel petto e nella gola. Alza lo sguardo verso le chiome come se si aspettasse un agguato da un momento all’altro. Nessun suono dagli alberi, è questo che lo turba, nessun suono se non il sommesso frusciare di rami e foglie in una sonnolenta penombra smeraldina. Tutto tace, uccelli, insetti, roditori, tutto. La foresta è morta eppure i suoi colori sono vivaci, i rami possenti e vitali, le radici solide.

    Guardingo attende, voltando la testa a destra e a sinistra, ma niente accade, e così spinge il busto in avanti come se camminasse controvento, per riuscire ad avanzare almeno per inerzia.

    Forse la foresta non è morta, è spaventata.

    * * *

    Era giorno di Confronto alla Torre. Un giorno di duelli all’ultimo sangue tra gli aspiranti assassini. Dall’alto, sugli spalti di legno, la Duchessa osservava gli apprendisti, li guardava piena di aspettative come uno spettatore a teatro.

    Il suo avversario era un harakiano massiccio, armato di sciabola e coltello. Solo per un caso fortuito Parthan era riuscito a schivare l’ennesimo assalto. Il gigante biondo era scivolato sul vomito del suo avversario precedente, ma ora lo incalzava senza sosta. Parthan tirava scompostamente indietro il busto mentre la sciabola sibilava all’altezza del viso. Perché il Maestro lo aveva inserito in quei confronti? Non conosceva l’uso delle armi e la paura gli bloccava il fiato in gola, il sudore gli bruciava gli occhi. Il suo nemico era un uomo forte, muscoloso, velocissimo per la sua mole, e aveva nello sguardo un furore omicida che lui non aveva mai visto nei suoi dieci anni di vita.

    Dopo l’ennesima sferzata la lama arrivò alla carne, uno squarcio bruciante si aprì dalla gola all’ombelico. D’istinto aveva girato il busto e la lama non era riuscita a penetrare a fondo, ma Parthan finì schiena a terra, incespicando nei propri piedi, gridando di dolore.

    Con gli occhi annebbiati guardò in alto. La Duchessa se ne stava andando accompagnata dal suo Maestro. Parthan si sentì sprofondare nel vuoto. Come un cavallo azzoppato, come un vecchio segugio senza fiuto, il suo Maestro lo stava lasciando morire. L’harakiano gli si fece sopra, sollevò la sciabola per infliggergli il colpo di grazia.

    Parthan vide scintillare la lama alla luce delle lampade a gas, era solo, fragile, inutile, mortalmente spaventato. Il cuore batteva all’impazzata, il sangue bollente scivolava sulle mani e sul petto, il fiato gli si strozzò in gola quando qualcosa nella sua anima sgomenta prese forma. Ogni minuto di spietato addestramento, ogni sferzata di scudiscio, ogni insulto, ogni schiaffo si addensarono come catrame vivente divenendo una bestia che digrignò i denti, e ruggì, spalancando le barriere delle energie primordiali. Scariche brillanti e incontrollabili si sprigionarono dalle sue mani, dalla bocca e dal corpo. Guizzarono intorno facendo sfrigolare il sangue sulla sabbia, bruciandogli i capelli e ustionandogli la pelle. Parthan distese le braccia e la furia del fulmine attraversò le sue membra e investì l’harakiano scagliandolo contro gli spalti. Il puzzo della carne bruciata, dei vestiti carbonizzati riempì l’aria e Parthan lo inspirò sconvolto dal piacere come fosse la più raffinata delle fragranze. Il corpo del suo avversario rovinò nella sabbia, non era altro che un sacco purulento di carne e viscere ormai. Gli addestratori gridarono correndo nella sua direzione con i manganelli in mano, ma Parthan non prestò loro attenzione, si alzò da terra come in sogno, gli occhi grigi puntati sulla preda, e si avvicinò al cadavere. Scagliò ancora e ancora salve accecanti sul corpo finché la creatura nel suo cuore non fu appagata dall’orrore dinanzi ai suoi occhi. Alzò di nuovo lo sguardo agli spalti, il suo Maestro lo fissava immobile e fiero, ma lui sapeva, nel profondo sapeva che era terrorizzato, atterrito dal suo stesso allievo, e la bestia uggiolò di voluttà.

    * * *

    A mezzogiorno la luce si fa grigiastra, il sole deve essersi nascosto dietro le nubi e Parthan si annoia a morte. Intorno solo altissimi tronchi d’albero, cespugli spinosi e terreno rossiccio. Si sa che i

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