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Heptagram
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Heptagram

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About this ebook

Riusciranno i superstiti di “Salvation”, il pianeta spaziale su cui si è rifugiata la razza umana dopo la distruzione della Terra, a trovare una nuova casa?Un viaggio attraverso il tempo, unico detentore del potere cosmico di Heptagram, dove Michelle Stepford, giovane comandante della Space Force terrestre, e Tyler Walker, geofisico australiano, si troveranno a dover affrontare avventure e misteri mai svelati. Sul loro cammino, esseri supremi, li guideranno attraverso la conoscenza del potere che esercita il tempo sulla materia.
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateMay 24, 2019
ISBN9788867829521
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    Heptagram - L.R.Fiore

    avviata.»

    1

    Quarant’anni e otto mesi prima.

    «Houston, dovete abbandonare immediatamente. Houston, mi sentite? Le ultime navi hanno raggiunto Salvation. Abbandonate la Terra!» ordinò il generale Robert Stepford, primo ufficiale al comando del nuovo pianeta spaziale Salvation, agli ultimi rimasti della NASA.

    «Generale, siamo a bordo signore! Stiamo facendo più in fretta possibile cercando di decollare!» rispose il comandante Saya Nakano. «Ci sto provando!» infine concluse, armeggiando furiosamente con il pannello di comando.

    Le botole dei tombini di scolo, che circondavano la pista di decollo, esplodevano in aria con la costante di un domino e i dimoranti fuoriuscivano dalle loro tane come nugoli. Un ratto più scaltro avvistò una via di fuga, ritenuta più sicura, che lo avrebbe condotto a una piccola collina, ancora verdeggiante. Si scagliò freneticamente sotto la rete di recinzione per raggiungerla e, i suoi simili lo seguirono senza porsi il minimo dubbio se la scelta fosse giusta, spinti solo dall’istinto di sopravvivenza.

    Un povero armadillo solingo che armeggiava nella steppa sentì la terra vibrare sotto le sue zampine, per poi vedersi travolgere dal tumulto di sorci in preda alla follia che guizzavano indemoniati verso l’altura.

    I loro coinquilini, invece, scelsero una postazione di rifugio più vicina, uno dei pochi gelsi texani rimasti ancora in vita, proprio lì a due passi dallo scarico. La prima blatta uscita dal buco infernale che l’aveva lasciata fino allora proliferare, svolazzò per raggiungerlo, seguita a ruota dal suo plotone. L’albero, che ospitava ancora una coppia di volatili, li vide fuggire via, per raggiungere un posto meno affollato dove cercare conforto.

    Geyser di lava e gas incandescenti si scagliavano nell’etere con una forza devastante, avvolgendo e sgretolando la materia che incontravano, sfoderando senza sdegno la loro possente violenza. La terra sussultava con un impeto incontrollabile, lacerandosi in alcuni punti e sprofondando negli abissi in altri. Ormai la pista di decollo era un barbaglio di crateri marziani, disseminata di acidi e caldane che si espandevano avviluppando tutto ciò in cui s’imbattevano.

    Lo shuttle non sarebbe potuto partire se non attivando i motori in verticale, la pista si sollevava a ogni recente scossa, e da essa emergevano nuove masse rocciose. I passeggeri a bordo dello shuttle guardarono un’ultima volta il cielo terrestre cinto dai gas provenienti dal centro della terra: era un tripudio di colori fantastici, ma allo stesso tempo inquietanti. L’azzurro, il bianco e il grigio, con le loro caratteristiche sfumature dell’atmosfera terrestre, avevano lasciato il posto al cremisi, al giallo sulfureo e al verde glauco che, mescolandosi, davano la sensazione a chi li osservava di essere approdati su mondo alieno.

    Una fragorosa esplosione colpì proprio il gelso scelto dalle blatte, che divampò. Alcune di esse riuscirono ancora a spiccare un breve volo, atterrando tra il labirinto di lava che ormai divorava la terra; le altre restarono attaccate al loro destino e arsero fiere, insieme all’albero che le aveva raccolte.

    Lo shuttle sussultava.

    I fragori dei palazzi che sprofondavano incutevano un profondo orrore agli ultimi superstiti della Terra, anche la base stava crollando ingoiata dalle voragini: la catastrofe era giunta.

    Bisognava scappare.

    Finalmente i motori furono pronti al lancio, la forza di propulsione aveva raggiunto il massimo, potevano lasciare quell’inferno.

    «Stiamo decollando! Aggrappatevi con forza alle cinture di sicurezza, qui si balla!» intimò il comandante Nakano ai nove passeggeri che erano a bordo con lei.

    «Michelle, hai messo la gatta nella cuccia? Rischiamo che partorisca a bordo, quella poverina!» esordì l’astrofisica francese Karine Dupuis, madre dell’appena ventenne Michelle Stepford, e moglie del generale in capo della Salvation.

    «Sì mamma! L’ho sistemata per bene. Ora muoviamo il culo da qui, prima di lasciarci la pelle!» rispose la giovane ribelle.

    La piccola collinetta che aveva dato scampo ai ratti era ancora intatta, il fuoco non era riuscito ancora a raggiungerla, con enorme soddisfazione del capo che aveva, temporaneamente, messo in salvo i suoi seguaci.

    Lo shuttle infine riuscì a decollare lasciandosi dietro l’apocalisse, che si mostrava in tutta la sua irruenza. Con grande sollievo di tutti, il decollo non fu molto sconquassato, ma ognuno di loro si aggrappò con forza alle cinghie, trattenendo il respiro dopo l’ultima pesante eruzione che li inseguiva nel firmamento.

    «Il nucleo ha quasi raggiunto il mantello superiore. La crosta terrestre sta per esplodere. Tra poco sarà la fine. Speriamo di riuscire a farcela.» considerò Tyler Walker, lavorando freneticamente al suo ipercubo portatile.

    Non impiegarono molto a raggiungere l’orbita lunare, la propulsione stellare era l’unica via di scampo, bisognava allontanarsi il più velocemente possibile, altrimenti la morte li avrebbe raggiunti insieme al tracollo del pianeta.

    Dalla Luna, la Terra appariva come una sfera gorgogliante di fiamme. Il suolo nero e riarso dalle vampe e la lava che eruttava in tutto il globo, aveva trasformato il pianeta più splendido della galassia in un cespuglio di roccia arsa e scoppiettante. Anche la Luna era già alle loro spalle, quando nuovamente dal comando principale giunse un messaggio: «Comandante Nakano, Saya! Devi dare maggiore spinta. Inserisci la velocità di propulsione stellare adesso! Dovete allontanarvi immediatamente dalla Terra. I computer di bordo ci indicano che il nucleo ha quasi raggiunto la superficie, non vi resta molto tempo! Appena il pianeta scoppierà, sarete colpiti dall’esplosione e dai detriti!» ordinò il generale Stepford, molto preoccupato, soprattutto perché a bordo dello shuttle vi erano anche sua moglie e sua figlia. Sperava solo che il tempo li aiutasse. Occorreva più tempo.

    «L’ho già inserita generale! Procediamo a velocità massima», terminò lei virando per raggiungere Marte.

    Stepford era stato assegnato al comando del pianeta Salvation, un’enorme piattaforma spaziale, circa due anni e mezzo prima. La stazione spaziale avrebbe ospitato più di un miliardo e mezzo di persone e Robert aveva accolto tutto il peso di quell’incarico con grande soddisfazione e orgoglio. Purtroppo, tutto l’entusiasmo era svanito quando il Consiglio Mondiale aveva deciso che la moglie sarebbe rientrata con l’ultima navicella.

    Karine era il comandante in capo delle operazioni scientifiche, avrebbe dovuto guidare il passaggio di tutti gli shuttle di soccorso su Salvation. Almeno, la figlia maggiore avrebbe potuto seguirlo, come aveva fatto la piccola Jennifer, che si trovava sulla piattaforma con lui.

    «Resto con mamma fino alla fine!» aveva sentenziato. «Lei ha bisogno di me. Tu vai, papà, stai tranquillo. Penserò io a riportarti la mamma sana e salva.»

    Lo shuttle lasciò definitamente l’orbita terrestre e iniziò a entrare nello spazio gravitazionale di Marte. Il pianeta rosso era proprio dinanzi a loro, possente ma allo stesso attraente. La razza umana da sempre aveva sperato di renderlo abitabile, ma gli eventi erano precipitati e le speranze con loro. Non avevano avuto più tempo di esplorarlo, le ricerche si erano concentrate completamente sulla realizzazione di Salvation. Forse, adesso, dopo che la Terra non poteva più essere considerata la loro casa, avrebbero esaminato quel pianeta con più attenzione. Sempre che l’esplosione della Terra non arrecasse anche danni ai pianeti limitrofi.

    Karine continuava a guardare dall’oblò ipotizzando innumerevoli possibilità, ma ormai anche Marte era stato distanziato. Lo shuttle s’immergeva nello spazio vuoto, correndo all’impazzata per raggiungere l’arca ancorata a Saturno.

    Improvvisamente avvertirono un frastuono assordante, lo shuttle prese a vibrare furioso. Seguì un lungo e devastante silenzio. L’equipaggio, rimasto appiccicato agli oblò laterali, vide la fine di tutto.

    Lo scoppio massiccio del nucleo divise in due il pianeta e la roccia incandescente macchiò l’oscurità dello spazio in ogni dove. L’energia devastante del nucleo terrestre si stava riversando nella galassia, colpendo anche la Luna, che in brevi attimi fu polverizzata.

    Gli occhi degli astronauti si riempirono di lacrime, i volti atterriti, le menti in preda al più totale sconforto. Nessuno proferì alcuna parola, solo gemiti e lacrime di dolore. Sapevano che la Terra non sarebbe più stata il loro pianeta: il surriscaldamento globale, che già da cinquant’anni faceva presagire la fine del mondo, in conclusione aveva fatto impazzire il nucleo, indebolendo il relativo scudo magnetico della Terra che, con l’eruzione solare del 2067, aveva decretato la fine del mondo. Il nucleo esterno, quello liquido, aveva prima liquefatto il nucleo solido interno, innescando delle reazioni nucleari talmente elevate da farlo avanzare fino a raggiungere la crosta terrestre. Anziché esplodere immediatamente, come ipotizzavano gli scienziati, il nucleo aveva lentamente ampliato il suo volume. Tutti i calcoli, tutte le proiezioni analitiche e le visioni catastrofiche previste dal genere umano, non erano comunque serviti ad alleviare il dolore e la disperazione di coloro che, adesso, assistevano alla tremenda sciagura. Il fuoco che divampava nello spazio, come il sangue che schizza in ogni dove di un corpo crudelmente dilaniato, infiammò il petto di chi lasciava la propria vita, avvinta dal dolore, abbandonandosi alla sua funesta violenza. Orfani e reietti dello spazio, spettatori inermi dei loro sogni infranti, della loro speranza vanificata, guardavano distruggersi le loro vite assieme a lei, alla madre che li aveva partoriti, nutriti e allattati sin dal loro primo respiro, e che ora fuggiva via da loro con un impeto prepotente, rinnegandoli per sempre. Così l’equipaggio dello shuttle e dell’intera piattaforma stellare assisteva alla disfatta del genere umano: erano riusciti a salvarsi in tanti, ma salvarsi da cosa? Ora che non vi era nulla per cui combattere, ora che le loro vite erano vincolate allo spazio e a una piattaforma fredda che gli avrebbe concesso la vita per poche centinaia di anni e non oltre? Forse sarebbe stato giusto finire insieme con lei. L’uomo, il carnefice di se stesso, aggravando con la sua irresponsabilità le condizioni già critiche del pianeta, adesso gemeva, anelando con tutte le sue forze quello che aveva perso. Forse la loro volontà di aggrapparsi alla vita a tutti i costi adesso non aveva più alcun senso, continuare a sopravvivere senza la spettacolarità che aveva offerto loro quel pianeta, non aveva alcun valore. La Terra era unica, meravigliosamente complessa e tragicamente pericolosa, se solo gli uomini cui aveva concesso la vita, si fossero resi conto prima della grande opportunità che l’universo aveva concesso loro, forse, in quel momento, non avrebbero preso parte a quella fine.

    Il loro sconforto fu interrotto nuovamente da una voce: «Shuttle Odissea, mi sentite? Dovete raggiungerci presto l’esplosione vi colpirà tra pochi secondi. Avete appena superato Marte. Cercate riparo dietro Giove, la sua enorme massa dovrebbe proteggervi, e comunque anche in caso di avaria, potremo sempre inviarvi uno shuttle di soccorso. Cercate riparo.»

    2

    Paragonabile all’inferno: per gli esseri umani non può esserci nulla di più atroce e devastante. Un luogo mai identificato, immaginato solo come purificazione per le anime perse attraverso le fiamme e il dolore.

    In quello spazio mai esplorato, dove nessuna forma di vita avrebbe mai potuto attecchire, le fiamme e la potenza di una stella arroventata lo avevano già consumato in miliardi di anni, eppure era ancora lì: la crosta arida, disseminata da crateri spogli, senza ossigeno, senza atmosfera, una massa rocciosa ritenuta la più impraticabile dell’intera galassia, tuttavia capace di essere la forza scatenante di una vera e propria catastrofe,

    l’inferno cosmico a due passi dalla Terra.

    Il Sole sembrava più vicino di quanto fosse mai stato per il piccolo pianeta del sistema solare, Mercurio, dove all’improvviso le temperature della parte esposta ai raggi solari ebbero un picco di crescita spaventoso, circa duecento gradi in più dei già impensabili quattrocento venti soliti. Se il pianeta non fosse già stato consumato nel corso della sua vita dal calore del Sole così vicino, quelle temperature avrebbero sicuramente causato un altro scoppio. Certo era che l’esplosione della Terra aveva cagionato un sicuro danno anche al piccolo pianeta che orbitava intorno al Sole, riducendo visibilmente il perielio che lo distanziava dalla stella.

    L’onda d’urto aveva investito in pieno il pianeta privo di atmosfera a proteggerlo, scaraventandolo per chilometri verso il Sole, costringendolo a lasciare la sua orbita astrale.

    Anche Venere aveva subito una mera variazione nella sua rotta usuale: e il suo apoapside da Mercurio si era distanziato ulteriormente; il pericolo era in agguato.

    Al momento, il piccolo arso pianeta condizionava anche le sorti degli astri rimasti nella galassia e Giove, da sempre detentore del potere delle orbite astrali, chissà come avrebbe reagito a questo cambiamento: quello che era accaduto alla Terra aveva rotto gli equilibri cosmici.

    La pioggia di materia incandescente proveniente dalla Terra continuava a investire lo spazio: i corpi celesti dell’intera galassia forse già rimpiangevano la loro singolare sorella.

    Il comandante Nakano aveva appena iniziato la virata verso Giove, il gigante gassoso. La sua maestosità era sfacciatamente spaventosa, lo shuttle a suo confronto era come un misero microbo, invisibile all’occhio umano. Dovevano distanziarlo parecchio, per non essere attratti dalla sua atmosfera: le cariche di venti forti, che raggiungevano persino i seicento chilometri orari provocando vortici spaventosi, insieme al potente campo magnetico, avrebbero potuto risucchiare senza sforzo la navicella.

    A quel punto accadde l’inimmaginabile. La massa della materia di cui era composta la Terra iniziò a comprimersi, tutta la sostanza sprigionata nello spazio dall’esplosione ritornava indietro fino ad avvolgersi, concentrandosi nella regione centrale del nucleo.

    Lo shuttle cominciò a essere attirato da una massiccia forza di attrazione sprigionata dal nucleo terrestre. Un’intensa luce si proiettò nello spazio dal centro del vortice. Il gorgo che si era creato aveva una forza di risucchio tale che lo shuttle non riusciva a liberarsi neanche con i motori al massimo della potenza stellare. Stavano retrocedendo al punto di partenza. Tyler Walker, il giovanissimo geofisico australiano, urlò: «Che cosa succede? Perché stiamo tornando indietro?»

    «Sembra un buco nero», rispose Tom Wilkinson, un militare della NASA.

    Karine cercò di ritornare in sé. Si sfregò gli occhi per schiarire bene la vista.

    «Non è possibile!» urlò slacciandosi le cinture di sicurezza per avvicinarsi all’oblò posteriore.

    «I buchi neri si formano solo alla morte di una stella. Il nostro pianeta non è una stella. Com’è possibile che stia accadendo questo?»

    «Forse l’esplosione del nucleo ha assunto dimensioni ed energia talmente potenti da scatenare un buco nero», ipotizzò Tyler.

    «Quello non è un buco nero» proruppe infine la dottoressa. «È un wormhole! Guarda l’intensità della luce che proviene dal nucleo. È un wormhole!»

    Tutti si slacciarono le cinture di sicurezza. Panico e urla di terrore cominciarono a diffondersi sulla navicella. Saya, ordinò loro di ritornare ai propri posti, ma nessuno le diede ascolto. Dalla sua visuale, le parve che anche Marte li seguisse. Il comandante in seconda, Jeffrey Roy, di origine canadese, guardò atterrito Saya e sussurrò: «Stiamo per essere inghiottiti dal vortice, cosa facciamo?»

    Saya non ebbe il tempo di replicare.

    «Shuttle Odissea, shuttle Odissea, qui comando generale. Rispondete! Vi stiamo perdendo, perché avanzate in direzione della Terra? Saya, inserisci il salto intergalattico! Shuttle Odissea, rispondete. Qui è il generale Stepford, che parla. Karine, Michelle, cosa sta succedendo?»

    Karine avrebbe voluto tanto raggiungere la cabina di pilotaggio, ma lo shuttle che s’inclinava sempre più verso la coda non glielo permise. Sentì solo Saya urlare che i comandi non rispondevano più, e che un grosso vortice li stava risucchiando. Furono le ultime parole del pilota. La comunicazione s’interruppe e lo shuttle fu inghiottito. Karine e Michelle riuscirono ad afferrarsi per mano, mentre la spirale spaziale li inghiottiva. Il vortice si richiuse istantaneamente, lasciando il posto al vuoto tenebroso dello spazio: la Terra non c’era più, eppure ciò che restava di essa era completamente svanito, insieme allo shuttle.

    «Li abbiamo persi generale!» urlò il comandante in seconda, Aiako Nakamura, cercando di ristabilire un contatto.

    Robert non rispose. Guardava le immagini del vortice che svaniva e lo spazio vuoto che lo circondava. Lo stesso vuoto che lo opprimeva alla vista della sua famiglia, del suo mondo, che svanivano.

    Attivò il comando di registrazione vocale: «Diario di bordo. Oggi 13 giugno 2077, ora spaziale 12.37. Il pianeta Terra è esploso, trascinando nel vuoto i dieci passeggeri dello shuttle Odissea. La razza umana sopravvivrà ancora sul pianeta spaziale Salvation. Che Dio abbia pietà delle nostre anime.»

    «Generale!» lo scosse un ufficiale.

    Robert tolse le mani dal pannello di comando

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