Quattro amici in cerca di guai
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Con l’arrivo delle sospirate vacanze estive, Pietro, Mara e Tino decidono di esplorare il bosco vicino alla loro casa nuova. Insieme agli amici Miki e Betta e all’inseparabile cane Tobia, il desiderio d’avventura è presto soddisfatto.
Attraversando il ponte che scavalca un ruscello nelle vicinanze, i ragazzi si trovano di fronte a un cancello che blocca il passaggio. Chi l’ha costruito, e cosa si nasconde dall’altra parte? Subito partono le indagini per svelare il mistero. A ogni pagina gli indizi si moltiplicano e il quadro che si va componendo non è per nulla rassicurante. Sembra infatti che una banda di criminali abbia occupato la villa della signora Matilde per loschi traffici che coinvolgono anche il rapimento di molti bambini cinesi.
Quello che sembrava solo un gioco innocente si rivela un’avventura pericolosa, che i ragazzi decidono coraggiosamente di portare avanti per correggere una grave ingiustizia: con l’aiuto di genitori e amici, e il sostegno dello zio Roby, ex poliziotto, dedicheranno infatti la loro estate alla risoluzione del caso, per offrire un futuro ai piccoli prigionieri.
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Quattro amici in cerca di guai - Rachele Coerezza
Cover
Capitolo 1
Pietro pedalava velocemente, tenendo ben salde le mani sul manubrio. Tornava a casa da scuola sulla strada sterrata e sconnessa, su cui la bici sobbalzava pericolosamente. Si voltò a guardare il cane, che l’aveva seguito fin da quando era montato in sella: era a poca distanza e lo guardava con occhi dolci e mansueti. Si fermò e scese dalla bicicletta per osservarlo meglio. Il cane si accucciò in attesa, senza staccargli gli occhi di dosso.
«Mi dici cosa vuoi da me?» gli domandò in modo sgarbato.
Lasciò per terra la bici e si avvicinò lentamente. Il cane non si mosse. Era di taglia media, col pelo di un bianco sporco e maculato di nero attorno agli occhi. Era imbrattato di sangue secco sotto a un orecchio e Pietro si impietosì. Durante i suoi quattordici anni era stato spesso nell’ambulatorio veterinario dei suoi genitori e gli era capitato più di una volta di vedere animali che avevano subito dei maltrattamenti. Ogni volta si sentiva ferito nell’intimo, come se avesse assistito di persona a quelle atrocità. Il suo sguardo si fece più comprensivo.
«Avrai fame e sete. Su, vieni con me.»
Riprese a pedalare, ma procedette più lentamente e il cane gli andò dietro fino al cancello di casa e poi fino alla veranda.
Pietro salì i tre gradini e aprì la porta d’ingresso. Guardò l’animale, ma vide che era rimasto fermo, in attesa. Si era accucciato sul prato e lo guardava senza accennare a entrare.
«Dai, entra», lo sollecitò il ragazzo, tenendogli la porta aperta. Quasi dovette spingerlo dentro, ma quando gli mise davanti una ciotola piena d’acqua, il cagnolino bevve con avidità. Infine sollevò il muso e puntò i suoi grandi occhi nocciola sul ragazzo.
In quel momento entrarono mamma Anna e i fratelli Mara e Tino.
«Cosa ci fa quel cane a casa nostra?» esclamò la donna. «Mi pareva di essere stata chiara: niente animali in casa!»
I due fratellini di Pietro corsero subito accanto al cane, che nel frattempo non si era mosso.
«Mamma, guarda com’è bello! Poverino, forse ha fame!» osservò con voce compassionevole Tino, offrendo alla bestiola un biscotto avanzato dalla merenda del mattino. Aveva solo dieci anni e non badava certo alle impronte del cane sul pavimento.
«Guardate com’è sporco, piuttosto, e quante foglie ha sotto le zampe. Mandatelo fuori subito», intimò Anna con tono severo. «Ha già sporcato tutta la cucina», aggiunse, uscendo dalla stanza.
I bambini fissarono il cane con aria delusa.
«Perché non gli facciamo un bel bagno? Forse se lo vede pulito ce lo lascia tenere, cosa ne dite?»
Mara era la più ottimista. Sapeva che la mamma amava gli animali – non per nulla era veterinaria, come il loro papà. Bisognava solo convincerla con un po’ di pazienza.
Portarono il cane alla fontanella che c’era in giardino e a fatica lo spinsero dentro la vasca per la raccolta dell’acqua, poi aprirono il getto. Al tocco dell’acqua il cane fece un balzo indietro, scrollandosi il pelo bagnato, però si abituò in fretta.
«Adesso che è bagnato dobbiamo insaponarlo, poi lo ricacciamo un’altra volta sotto l’acqua per sciacquarlo, così sarà pulito.»
La bambina prese il barattolo del sapone liquido e se ne versò un po’ sulle mani, poi cominciò a strofinare il pelo dell’animale, mentre Tino e Pietro lo tenevano fermo.
«Stai buono», gli sussurrava Tino con la sua vocina ancora infantile. «Stai buono», ripeteva Mara con un tono dolce ma convincente. Pietro non parlava. Cercava di tenere fermo l’animale, che faceva di tutto per sottrarsi a quel supplizio improvviso. Faticarono non poco per ricacciarlo sotto il getto freddo dell’acqua, e presto il cane riuscì a liberarsi. Scrollandosi il pelo schizzò acqua sui tre ragazzi, che si ritrovarono completamente bagnati.
«Adesso sì che la sentiamo, la mamma!» si lamentò Pietro, mentre pensava a come fare per sgusciare in casa a cambiarsi senza farsi vedere.
Avvicinandosi alla porta della cucina, sentirono Anna che stava parlando al telefono in soggiorno.
«Via, via: questo è il momento buono!» sussurrò il ragazzo ai due fratelli, trattenendo il cane mentre loro entravano in casa. Lasciando la bestiola in giardino, Pietro li seguì all’interno e si chiuse la porta alle spalle. Con passo felpato i ragazzi raggiunsero le loro camere al piano di sopra. Mara aiutò Tino a togliersi pantaloncini e maglietta, poi cercò degli abiti asciutti per sé e per il fratellino. Pietro si cambiò in un battibaleno e tornò da basso per zittire il cane, che dava segni di impazienza.
Presto Mara e Tino lo raggiunsero con degli strofinacci per asciugare il nuovo ospite, rincorrendolo qua e là mentre quello scodinzolava e saltellava attorno a loro, abbaiando felice. Ridevano come matti nel vedere gli sforzi di Pietro e osservavano sorpresi il pelo del cagnolino che, asciugandosi, diventava candido e vaporoso.
«Caspita, ma sei proprio un bel cane!» esclamò la mamma, uscita per vedere cosa fosse tutto quel chiasso.
«Vero che è bellissimo?» rispose Pietro, soddisfatto. Così pulito, il cagnolino non sembrava più lo stesso. «Adesso che gli abbiamo fatto il bagno è bello bianco! Prima era incrostato di fango, poverino. Chissà da dove viene.» Guardando prima la mamma e poi il cane, azzardò: «Cosa ne dici, lo adottiamo? Potrebbe diventare il nostro nuovo compagno di giochi.»
«Dai mamma, lo possiamo tenere? Su, facci contenti! Noi non abbiamo protestato, quando tu e papà avete deciso di venire a vivere in mezzo al bosco!» incalzò Mara, con gli occhi pieni di speranza.
«Sì, lo vogliamo tenere! Guarda com’è bello!» aggiunse con entusiasmo Tino.
Anna si mise a ridere.
«Il patto era: niente animali per casa che sporchino dappertutto. Me lo sono fatto promettere da voi fin dal primo giorno, vi ricordate?» Il tono però si era ammorbidito. Lei stessa era molto indecisa: il cane le piaceva e sarebbe stato utile avere un animale che facesse la guardia.
«Se ve lo lascio tenere, come lo chiamerete? Non si può continuare a chiamarlo cane
.»
Superando il vocio allegro ed entusiasta dei fratelli, Pietro gridò: «Lo chiameremo Tobia! È il nome più adatto che ci sia.»
Tutti si misero a ridere, ma la mamma riprese: «Se Tobia rimane con noi, non voglio storie. Per prima cosa lo porteremo in ambulatorio per un controllo e i vaccini. Voi tre vi dividerete il compito di educarlo e mantenerlo sempre pulito, altrimenti non entrerà in casa. A turno gli preparerete da mangiare e la notte dormirà fuori, in una cuccia. Non voglio che salga sui letti, sul divano, o sulle poltrone. Avete capito bene?»
«Sì, sì!» gridarono i ragazzi in coro, felici di aver ottenuto quello che tanto desideravano. Mentre la mamma tornava alle sue faccende, si misero a rincorrersi chiamando il cane Tobia
perché imparasse a riconoscere il proprio nome.
Quando papà Massimo tornò a casa, aveva con sé un grosso pacco. I ragazzi gli corsero incontro con impazienza per presentargli il loro nuovo amico. Il babbo finse di essere sorpreso e accarezzò il cane, arruffandogli il pelo. Tobia gli girava attorno abbaiando e dimenando la coda. Massimo prese lo scatolone, che aveva appoggiato per terra, e quando lo aprì i ragazzi rimasero a bocca aperta: dentro c’erano una bella cuccia per Tobia, un morbido tappetino e due ciotole, una per il cibo e una per l’acqua.
«Allora lo sapevi già, imbroglione!» risero i ragazzi.
«Certo. La mamma mi ha telefonato, così ho fatto in tempo ad andare a comperare tutto l’occorrente per il nostro nuovo amico, non siete contenti?»
La domanda era retorica, perché i ragazzi sprizzavano gioia da tutti i pori. Entrarono in casa, lasciando Tobia in veranda.
«Tu rimani qui, per adesso», ordinò Pietro dandogli una pacca sulla groppa per farlo accucciare. Il cane sembrò avere capito: lo guardò con gli occhi tristi, ma non si mosse.
Anna era in cucina a preparare la cena e dall’ampia finestra che dava sulla veranda e sul prato poteva tenere d’occhio Tobia. Diede un bacio al marito poi chiese la collaborazione dei figli perché apparecchiassero la tavola, mentre l’uomo andava a rinfrescarsi e a cambiarsi d’abito.
Abitavano lì da pochi mesi. Ad Anna quella casa era piaciuta fin dal primo momento. Ci si arrivava percorrendo una breve strada sterrata che partiva dal viale asfaltato proveniente dalla città dove abitavano prima, in un piccolo appartamento in una zona molto trafficata. Sia lei sia Massimo erano preoccupati per la salute dei loro figli e avevano pensato di trasferirsi in mezzo al verde, dove l’aria fosse più salubre. In un primo momento i ragazzi si erano ribellati a quella scelta ma, quando avevano visto la villa circondata da alte siepi in mezzo a un grande prato, con ampie vetrate e una piccola piscina, se ne erano subito innamorati. Lì avrebbero vissuto come in un’eterna vacanza.
La scuola stava per terminare