Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Non è una storia sporca
Non è una storia sporca
Non è una storia sporca
Ebook229 pages2 hours

Non è una storia sporca

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Non è una storia sporca" raccontala vita del protagonista Angelo Rébile in tre distinte fasi: L'adolescenza, vissuta negli anni'70 in un paese di provincia sulla sponda lombarda del Lago Maggiore, dove gli interessi principali erano il calcio e le serate estive passate al Lago; La gioventù, dall'esame di maturità sino all'innamoramento, ed in seguito il lavoro e la famiglia; La maturità, sino ai giorni nostri, in cui riaffiorano ricordi di tempi trascorsi ed un inspiegabile colpo di scena finale, perché la vita riserva sempre qualche sorpresa.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 22, 2019
ISBN9788831621267
Non è una storia sporca

Read more from Giancarlo Buzzi

Related to Non è una storia sporca

Related ebooks

General Fiction For You

View More

Related articles

Reviews for Non è una storia sporca

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Non è una storia sporca - Giancarlo Buzzi

    1.

    NATALE

    I ricordi sono devastanti. Sempre.

    Belli o brutti che siano, ritornano come un moto perpetuo a tormentare la mente e la coscienza di ognuno, nella lenta decadenza del corpo.

    Sono un pizzo da pagare, una mafia esigente da cui non si può sfuggire o nascondersi e a volte sono mortali.

    Perciò ce li teniamo sia che ci facciano buon pro o ci distruggano.

    Nel periodo di Natale, la situazione peggiora e tocca picchi emotivi da incontrollabili effetti collaterali: le lacrime, la disperazione.

    Abbinerei il Natale alla giornata dei defunti ed unirei alla classica Stella di Natale il Crisantemo Natalizio; sarebbe un modo per valorizzare anche la ricorrenza del due novembre che non è giorno festivo per cui, lavorando, si è poco proiettati al ricordo dei nostri cari.

    Ma Natale vince sempre!

    Natale rimane una festa gioiosa alla quale, al pari dei ricordi, non si sfugge: luci scintillanti delle vetrine, abeti e balconi illuminati e alla televisione la visuale si amplia ulteriormente, passando da ridicole pubblicità di profumi prodotti da famosi stilisti, interpretati da affascinanti attrici hollywoodiane, a grassi cotechini di maiali che ci vogliono far credere ben nutriti ed allevati in libertà, sino ai panettoni e pandori impastati su ricetta del 1730 con farine prodotte da semi trovati nella tomba di Cleopatra.

    Si è talmente sollecitati che risulta inutile, anche per il più convinto anticonformista, non cedere alla tentazione di comprare un regalo.

    Telefonate, messaggini, regali, ex amici che sentiamo solo in questa occasione, in un infinito gioco di va e vieni, di caos ed eccitazioni e vuoti da riempire.

    Tutti ci adeguiamo con sentimenti di pace e fratellanza e un po' d'ipocrisia che non guasta e addolcisce rancori di tempi trascorsi.

    Anche per me, Natale è una gioia e, come per molti, mi adeguerò ai ricordi di momenti passati in compagnia di qualcuno scomparso.

    Persino del cane Bobby, il fantastico labrador, sotterrato qualche mese prima, a cui mancava la parola e gli mettevamo il cappellino rosso di Babbo Natale immaginando lo portasse con disinvoltura perché visto indossato da un suo simile della pubblicità televisiva, mentre era chiaro che gli dava fastidio e lo faceva solo per fedeltà al padrone.

    Ogni Natale manca qualche regalo da scartare, come i calzettoni multicolori di zia Gina, di lana vera! ci teneva a sottolineare, ma conoscendo la sua innata tirchieria, sapevamo che il più delle volte venivano confezionati con lane di diversi colori, avanzi di calze o scialletti precedentemente confezionati.

    E chi non ricorda il vino genuino di zio Giacomo? Il pincianello, di un bel color rubino ed un gusto asprigno - che diventava aceto prima della fine del pranzo - pigiato ad ottobre dall'uva fragola della vigna con i tralci talmente lunghi che in estate si arrampicavano sotto il portico ed alcuni entravano dalle finestre del primo piano, aperte per far entrare l'aria fresca della collina.

    Un tenero ricordo va alla lauta mancia di nonna Rosa: cinquanta mila lire, che metteva in una busta e vi scriveva sopra nome e cognome, quasi volesse spedirla: Al mio caro nipote Angelo Rébile e dentro il biglietto di cartoncino Bristol con scritto, in grafia sempre più tremolante , un pensiero natalizio, leggermente adattato, ma simile nella forma a quello che anni prima, suo marito Francesco le aveva inserito nel regalo inviatole dalla Francia, dove era andato a lavorare come capomastro: un foulard di seta con bellissimi disegni a fiori. Troppo vistoso per lei abituata al grigio o al marrone e che in seguito - dopo varie insistenze - regalò ad una delle mie sorelle che lo aveva notato e letto il nome della casa di moda che lo aveva confezionato: un certo Hermès di Parigi:

    Caro nipote Angelo, accetta questo umile regalo da nonna Rosa, ma sappi che il regalo più grande è il bene che ti voglio e che tu vuoi a me. Buon Natale, tesoro.

    Ricordi che tornano e la lista si allunga ogni anno, ma, quasi d'improvviso, svaniscono al momento dell'aperitivo, prima dell'abbondante pranzo di Natale che consumerò a casa dei miei arzilli genitori: ottant' anni mamma Natalina, ottantuno papà Luigi, con le mie figlie Claudia e Silvia, le mie sorelle Lisetta e Annamaria, i loro mariti Athur e Orazio, i loro quattro figli con i loro figli, talmente tanti che non ricordo il nome. In totale diciotto, nipotini compresi.

    E' una rottura di scatole, lo so, ma non si può fare a meno: è Natale.

    Saluti, baci e abbracci e scambio di doni solo ai nipotini più piccoli.

    Mamma e papà ci godono un mondo nel vederci uniti.

    Poi scatta l'ordine perentorio di papà Luigi:

    ˗ Prima del pranzo, consegnate tutti i vostri telefoni cellulari spenti e depositateli in questo cestino. Vi verranno resi al momento di ritornare a casa vostra. Il Natale va passato in tranquillità. ˗ Tutti obbediamo.

    Ognuno cerca di dare una mano, ma gli arzilli genitori se la cavano benissimo da soli, vanno e vengono dalla cucina all'ampio soggiorno dove è stato allestito il banchetto, con passi armoniosi e a volte di danza, giusto per ricordarci che frequentano lezioni di ballo latino-americano e al sabato sera partecipano alle gare organizzate dal Centro Anziani, poi, papà, ci mostra con orgoglio la coppa primo premio vinto al torneo di Burraco del giovedì.

    Ogni Natale mi riprometto di mangiare poco, perché il giorno dopo, andrò con le figlie a festeggiare dagli altri nonni, i genitori di Eugenia: mamma Teresa, papà Alberto e zio Matteo. Un altro momento molto speciale e, ammetto, il più atteso dalla mia famiglia.

    Possiamo stare giornate intere a parlare con loro e le mie figlie adorano questo momento. Resto sempre meravigliato nel vederle conversare con nonna Teresa e non ho dubbi che la considerino la mamma che è mancata loro troppo presto.

    Mio cognato Matteo, al contrario, non si sa da chi abbia preso il carattere impossibile. Ha sempre la stessa faccia, mai una smorfia di dolore o di felicità, chiuso in se stesso, non dice una parola in più del necessario e domani dovrò affrontarlo per questioni di lavoro; il solo pensiero, mi sta già creando ansia.

    Non è sposato. Voci dicono che abbia una fidanzata da qualche parte del globo visto che ogni tanto chiede permessi e ferie per fuggire, dice, al caldo. Un mistero!

    Esauriti i convenevoli, con genitori, sorelle, nipoti e nipotini, dodici e trenta in punto, si inizia con l'aperitivo.

    L'aperitivo! ovvero la frontiera dove tutti i ricordi si fermano improvvisamente, per lasciare il posto all'aroma celestiale del bitter più famoso, apprezzato da artisti e registi: il Campari Soda! Sedici gradi di bontà, rosso, come il colore del Natale, fresco, come la temperatura esterna, pizzichevole, per le minuscole bollicine che si spengono sulle papille gradatamente, lasciando quell'amaro insoddisfacente, che richiama con urgenza un altro sorso.

    Un rosolio, capace di far in modo che la mente abbandoni piano piano le tristezze per sconfinare nella realtà - secondo me ancora più triste - fatta di discorsi di politica antigovernativa, disastri economici causati da governanti incapaci, di squadre di calcio e giocatori bolsi e ridicoli nei loro tatuaggi, di elenchi di malanni accusati da tutti i presenti con disquisizioni sulla efficacia o meno di taluni medicamenti oramai considerati alla moda, prescritti da medici per lo più collusi con le case farmaceutiche.

    Conversazione peggiore non potrebbe esserci, ma rende di buonumore mia sorella Lisetta, da sempre l'ipocondriaca della famiglia la quale ci annuncia di essere nel pieno di un attacco di sciatalgia a causa della compressione di un'ernia discale per cui assolutamente non in grado di restare in piedi più di tanto e di non poter portare piatti in tavola perché anche il minimo peso potrebbe compromettere ulteriormente la pressione sull'ernia.

    Di rimando, l'altra mia sorella, Annamaria, convinta che i rimedi naturali facciano meglio della chimica, le consiglia di cuocersi una polentina di semi di miglio, fiori di tiglio e creta verde, da applicare ancora bollente sulle vertebre infiammate. Un vecchio rimedio - dice - che nonna Rosa aveva portato dalla Francia.

    Il torpore causato dal Bitter Campari bevuto a digiuno, accompagnato unicamente da patatine, arachidi salate e olive snocciolate, attenua i discorsi e le parlate si fanno più confuse, sovrapposte, sino a che ognuno prende il suo posto a tavola ed inizia il concerto: si parte dal preludio: gli antipasti: caldi, freddi, grassi, magri, sottaceti, sott'olio, sotto salsa, insalata russa, paté de fois gras, vol-au-vent-champignon, salmone selvaggio.

    Prosegue il sottofondo musicale composto da tintinnio di bicchieri, lucide forchette e coltelli poco affilati che fanno parte del servizio buono e che si incontrano col loro suono metallico sino all'apice: il suono romantico dei piatti di fine porcellana che potrebbero sostenere un concerto da soli e che muta a secondo se sono pieni o vuoti.

    I decibel aumentano sino a diventare il canto di una sirena ad ogni portata di cibo - decisamente ben cucinato dalla mamma - ma troppo anche per un affamato.

    Già alla seconda portata e senza che alcuno dei presenti se ne accorga, il canto della sirena, cala di tono sino a sparire completamente avendo oramai raggiunto il suo obiettivo principale: abbruttirci.

    Il colpo finale non è accompagnato da musiche o canti, ma è un fendente che ci indebolisce ulteriormente, che arriva puntuale alle quattro e mezzo del pomeriggio: il panettone! Da gustarsi spalmato di cremina al mascarpone o, in alternativa, ripieno di gelato gusto cassata.

    Una voce non ben identificata, unico suono percettibile dal campo di battaglia, arriva dalla cucina:

    ˗ Chi preferisce il panettone con la cremina? chi col gelato?

    Ma le facce sono spente, i corpi in stato di totale abbandono, riversati in parte sul lungo divano, altri sulle poltrone, non rispondono; qualcuno sbadiglia, qualcuno sonnecchia, le camicie stirate e inamidate sono slacciate di almeno due bottoni, le cravatte abbandonate sulla spalliera di una sedia e le cinture dei pantaloni fatte scivolare indietro di un buco.

    Mio cognato Athur marito di Lisetta, di origini inglesi e, secondo lui anche di nobile famiglia, fruga disperato tra i cappotti ed i giubbotti dell'attaccapanni, alla ricerca di un sacchetto del supermercato che aveva portato da casa con dentro delle ciabatte a forma di tartaruga e, senza troppa nobiltà, si toglie le scarpe di vernice lucidissima per indossarle.

    Qualcuno propone il gioco della tombola.

    Nessuno è disposto.

    Evito, per cavalleria, la descrizione delle signore, accenno solo alla boule di acqua calda che mia sorella Annamaria ha sullo stomaco per, dice, favorire la digestione, dopo che, praticamente si è mangiata un cotechino intero.

    Risuona la solita voce non ben identificata proveniente dalla cucina:

    ˗ Allora, lo taglio il panettone o no?

    Nessuno risponde.

    E' la resa! L'esercito è disfatto, abbruttito e fuori ogni regola di autocontrollo, mentre le prime tenebre calano inesorabili su una giornata passata in compagnia, come il Natale dello scorso anno e quello prima ancora e così da sempre.

    ˗ Però! ˗ commenta di nuovo Annamaria, guardando dall'ampia finestra del salone ˗ le giornate si sono già allungate.

    Nessuno la ascolta.

    Penso al problema che mi assilla in questo giorno di festa: mio cognato Matteo e non so se affrontarlo domani dopo il pranzo o un altro giorno.

    Nessuno che mi possa consigliare.

    2.

    VIRTUS & SALUS

    Tre giorni prima di Natale, oramai da 40 anni, noi ex calciatori della Virtus & Salus ci troviamo con l'allenatore di sempre, Giovanni Riciotti, ed il patron finanziatore Luigi Rimbaldi - ancora arzillo nonostante gli 86 anni di età - per il brindisi e gli auguri di Buon Anno, al Bar della Stazione, che frequentavamo il giovedì notte dopo gli allenamenti e la domenica a fine partita o di ritorno delle trasferte.

    Descrivere il Bar della Stazione, è una impresa: è un misto di trattoria casalinga, pizzeria napoletana, birreria alla tedesca.

    Fuori, per strada, già ad una decina di metri dalla porta di ingresso, si percepiscono odori di minestrone, aglio e cipolla fritta.

    Entri e vieni avvolto da questo odore che penetra negli abiti sino alle mutande e vi rimane anche dopo aver arieggiato gli indumenti per almeno tre notti all'aperto.

    Eugenia, mia moglie, sentiva questo odore anche nei capelli, sulla mia pelle in generale e, dopo ogni giro al Bar della Stazione, occorreva una doccia con bagnoschiuma dall'aroma extraforte.

    Una volta entrati, sulla destra, accanto alla porta a vetri di ingresso, c'è la porta a wasistas della cucina dalla quale si riesce a vedere mezza testa della signora Ernesta, cuoca e moglie Guglielmo, proprietario del locale.

    E' un obbligo, salutare la signora Ernesta passando davanti alla porta e lei risponde al saluto con un sorriso dolce, mostrando le sue gote oramai di colore bordeaux a furia di stare sopra le pentole e, da qualche mese, sfoggiando una dentiera di costosa porcellana color avorio.

    Ernesta era molto più pittoresca prima della dentiera color avorio, quando il sorriso era fatto dei soli due incisivi rimasti che, uniti al vecchio foulard dal colore indefinito che copre i capelli, alla solita vestaglietta a fiorellini lunga davanti e corta dietro ed al grembiule bianco che di sera, a fine lavoro, sembra un quadro di Pollock tanto è macchiato, fanno di lei la donna più simpatica del mondo.

    Risponde con garbo ai saluti e chiede sempre delle nostre famiglie, figli, e nonni.

    In più di una occasione mi sono chiesto quanti anni avesse. Una volta Gianluca glielo chiese, ma la risposta fu perentoria e scontata: non si chiede mai l'età ad una donna!. Ha superato di sicuro la cinquantina e forse anche la sessantina.

    Guglielmo, il marito, non è da meno in quanto a giovialità.

    Alto circa un metro e sessanta, un girovita di un metro e sessanta ed un girocollo di ottanta centimetri. Risulta molto equilibrato nelle misure: praticamente una mongolfiera vivente.

    Anni fa ci sembrava troppo da snob chiamarlo Guglielmo, ricordando grandi condottieri e uomini di chiara fama, per cui gli fu imposto il sopranome Willy, che cambiammo qualche domenica dopo in William, perché i figli di Davide, il terzino, avevano dato lo stesso nome al loro cane e per non essere irrispettosi gli conferimmo un tocco di nobiltà francese chiamando: William de la Gare.

    La loro simpatia nei nostri confronti è palpabile e si percepisce appena ci vedono entrare..

    Non sono solo i visi sorridenti che ci accolgono, è tutto il loro corpo che apprezza la nostra visita. William si sciacqua le mani prima di stringerla ad ognuno di noi, si sistema il grembiulone nero da barman

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1